European Union (EU)

ATLANTE GEOPOLITICO (2012)

Unione Europea

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Scheda

Origini e sviluppo

L’idea di un’Europa unita, sebbene ipotizzata già nel 19° secolo, nacque concretamente nel secondo dopoguerra con il principale obiettivo di impedire il riprodursi di un conflitto attraverso la costruzione di uno stretto legame tra Francia e Germania, da sempre al centro delle tensioni tra i paesi europei. La prima iniziativa in questo senso fu la creazione della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (Ecsc) nel 1951. La proposta francese per la fusione della produzione carbosiderurgica franco-tedesca sotto una comune Alta autorità, aperta ad altri stati europei, mirava infatti a porre delle basi comuni per lo sviluppo economico e a rendere materialmente impossibile un riarmo segreto. Essa venne presentata dal ministro degli esteri francese Robert Schuman il 9 maggio del 1950, oggi celebrato come ‘Giornata dell’Europa’. Poco dopo, però, il processo di integrazione subì una prima battuta d’arresto, con il fallimento della Comunità europea di difesa, a causa delle resistenze francesi a cedere parte della sovranità in un settore sensibile quale la difesa nazionale. Questo non impedì, alcuni anni dopo, la creazione della Comunità economica europea (Eec) e della Comunità europea dell’energia atomica (1957), la prima con l’obiettivo di instaurare un mercato comune e la seconda volta a coordinare i programmi di ricerca dei membri per l’uso pacifico dell’energia atomica. Membri originari delle comunità erano, oltre a Francia e Germania, anche Italia e i paesi appartenenti al Benelux.

La Comunità economica europea era inizialmente basata sulla libera circolazione delle merci e dei fattori di produzione – lavoratori, servizi e capitali – e su alcune politiche comuni, prime tra tutte la politica agricola e la politica commerciale. Nel 1968 sono stati definitivamente aboliti i dazi doganali tra i membri ed è stata così completata l’unione doganale.

Gli anni Settanta, periodo di crisi economica internazionale, hanno poi contribuito a una maggiore determinazione dei paesi europei circa il raggiungimento di una più profonda integrazione regionale, che ha portato alla creazione del Fondo europeo di sviluppo regionale nel 1975 e del sistema monetario europeo nel 1979, e all’elezione a suffragio universale diretto del Parlamento europeo. Inoltre è negli anni Settanta che avviene il primo allargamento. Negli anni Cinquanta, infatti, il Regno Unito non partecipò ai negoziati poiché non aveva interesse a inserirsi in un quadro di integrazione avanzato, che avrebbe implicato significative rinunce alla propria sovranità. Di conseguenza il Regno Unito promosse inizialmente la creazione di una zona di libero scambio attraverso l’Associazione europea di libero scambio (Efta), insieme a Austria, Danimarca, Norvegia, Portogallo, Svezia e Svizzera. Poco tempo dopo però, nel 1961, insieme a Irlanda e Danimarca il Regno Unito presentò domanda di adesione, ma la Francia di De Gaulle pose il veto, in quanto considerava la partecipazione britannica una minaccia rispetto all’obiettivo di usare la Comunità europea per rafforzare la propria influenza esterna. Solo nel 1973 Regno Unito, Irlanda e Danimarca divennero membri delle Comunità.

È poi negli anni Ottanta che il Trattato di Roma, che istituisce la Comunità economica europea, venne modificato per la prima volta con l’Atto unico europeo, attribuendo così alla Comunità nuove competenze in materia di ambiente, trasporti, energia e telecomunicazioni.

Nel 1989, l’assetto politico del continente subì una radicale trasformazione con la caduta del muro di Berlino. In questo contesto, i primi anni Novanta videro un notevole ampliamento del processo di integrazione, suggellato dalla conclusione del Trattato di Maastricht che istituisce l’Unione Europea (Eu), ponendo la Comunità economica europea come uno dei ‘pilastri’ della struttura, accanto alla politica estera e di sicurezza comune e alla cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni. In tale modo, la precedente cooperazione politica fu istituzionalizzata, vennero ulteriormente ampliate le competenze dell’Eu alla protezione della salute, protezione dei consumatori, cultura, sviluppo dell’industria, energia e turismo, fu introdotta la cittadinanza europea e avviata l’Unione economica e monetaria.

Accanto a tali importanti sviluppi, nella metà degli anni Novanta presentarono domanda di adesione all’Eu – allora formata da 15 membri – gli ex paesi del blocco sovietico (Bulgaria, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia e Ungheria) e i tre stati baltici dell’ex Unione Sovietica. Di qui l’esigenza di adeguare il processo decisionale in vista dell’allargamento dell’Unione all’Europa centrorientale, obiettivo del Trattato di Nizza del 2001. Tale processo si è completato con l’adesione di 8 paesi dell’Europa centrorientale, insieme a Malta e Cipro, nel 2004, seguiti da Bulgaria e Romania nel 2007. L’attuale membership a 27 è così una realtà completamente diversa da quella della Comunità economica europea, dove i membri hanno concezioni piuttosto differenti circa lo sviluppo dell’integrazione europea. Questo contribuisce anche al fenomeno noto come ‘Europa a più velocità’, nel senso che sono sempre più frequenti forme di cooperazione rafforzate e differenziate in alcune materie, come è avvenuto per l’abolizione dei controlli alle frontiere interne, l’euro e come potrebbe avvenire per il brevetto europeo.

Nel 2001 è stato inoltre avviato il dibattito sul futuro dell’Eu. Il Consiglio europeo di Laeken ha istituito una ‘Convenzione sul futuro dell’Europa’, composta da rappresentanti del Parlamento europeo, della Commissione, dei governi e dei parlamenti nazionali e che ha poi iniziato i lavori sotto la presidenza del francese Valery Giscard d’Estaing. Essa ha portato all’elaborazione del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, firmato a Roma nel 2004. Tuttavia la Costituzione non è mai entrata in vigore poiché ratificata da soli 18 membri su 27. Infatti, nel 2005 i cittadini francesi, seguiti poco dopo da quelli olandesi, hanno espresso tramite referendum la loro contrarietà alla ratifica. Riaperti i negoziati intergovernativi, si è così arrivati alla firma, nel 2007, del Trattato di Lisbona che, nonostante un primo referendum irlandese di esito negativo, è poi stato ratificato da tutti i membri ed è entrato in vigore il 1° dicembre 2009. Quest’ultimo non include riferimenti alla ‘costituzione’ e ai suoi simboli (sebbene anche la precedente Costituzione non implicasse un’evoluzione federale dell’Unione), ma recepisce la maggior parte delle modifiche sostanziali previste dalla precedente bozza costituzionale, con particolare riguardo alle modifiche istituzionali, al rafforzamento della politica estera e di sicurezza comune e alla cooperazione in materia penale. Di rilievo anche il fatto che, con il Trattato di Lisbona, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, proclamata una prima volta da Consiglio, Commissione e Parlamento nel 2001 e una seconda volta nel 2007, viene ad assumere lo stesso valore dei Trattati. Essa prevede espressamente il divieto della pena di morte. Infine, scompare la ‘Comunità europea’ e resta solo l’Unione Europea.

Le tappe dell’integrazione

1952: Comunità europea del carbone e dell’acciaio

1954: Fallimento della Comunità europea di difesa

1957: Trattato che istituisce la Comunità economica europea e Trattato che istituisce la Comunità europea dell’energia atomica

1965: Trattato di Bruxelles, detto ‘Trattato sulla fusione degli esecutivi’

1973: Adesione di Danimarca, Regno Unito, Irlanda

1981: Adesione della Grecia

1986: Atto unico europeo

1986: Adesione di Spagna e Portogallo

1992: Trattato sull’Unione Europea, detto ‘Trattato di Maastricht’

1995: Adesione di Austria, Finlandia, Svezia

1997: Trattato di Amsterdam

2001: Trattato di Nizza

2000: Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea

2004: Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa

2004: Adesione di Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia e Ungheria

2007: Adesione di Romania e Bulgaria

2007: Trattato sull’Unione Europea e Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea; la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea ha il medesimo valore dei Trattati

Gli allargamenti e i paesi candidati

I membri dell’Eu

Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Ungheria.

Paesi candidati

Croazia, Islanda, Macedonia, Montenegro, Turchia.

Paesi potenziali candidati

Albania, Bosnia-Erzegovina, Kosovo (sulla base della risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite 1244), Serbia.

Procedura di adesione

Possono divenire membri dell’Eu gli stati ‘europei’ che rispettino i valori della democrazia e diritti umani e i cosiddetti ‘criteri di Copenaghen’.

La procedura prevede che lo stato richiedente trasmetta la propria domanda di ammissione al Consiglio, che si pronuncia all’unanimità (tutti i membri Eu devono essere d’accordo), previa approvazione del Parlamento europeo. Tale decisione tiene conto dei criteri di ammissibilità convenuti dal Consiglio europeo, con riferimento ai criteri stabiliti dal Consiglio europeo di Copenhagen del giugno 1993. Essi sono:

– il criterio politico: la presenza di istituzioni stabili che garantiscano la democrazia, lo stato di diritto, i diritti umani, il rispetto delle minoranze e la loro tutela;

– il criterio economico: l’esistenza di un’economia di mercato funzionante e la capacità di far fronte alle forze del mercato e alla pressione concorrenziale all’interno dell’Unione;

– il criterio dell’acquis communautaire: l’attitudine necessaria per accettare gli obblighi derivanti dall’adesione e, segnatamente, gli obiettivi dell’unione politica, economica e monetaria.

La verifica dei criteri va quindi effettuata in una fase preliminare di preadesione nella quale, per prassi, la Commissione svolge un ruolo di rilievo. Essa è fondamentale perché si possa procedere all’apertura dei negoziati di adesione che si concludono con un accordo tra i membri dell’Eu e lo stato candidato che determina le condizioni di ammissione. Tale accordo entra in vigore solo se ratificato da tutti i membri Eu, oltre che dagli stati candidati.

Le innovazioni istituzionali introdotte dal Trattato di Lisbona

Il Trattato di Lisbona ha apportato numerose modifiche alla struttura istituzionale dell’Eu. La presidenza del Consiglio europeo è oggi affidata a un presidente eletto – con un mandato di due anni e mezzo, rinnovabile una sola volta – che sostituisce il precedente sistema di presidenza a rotazione semestrale e dovrebbe garantire maggiore continuità. Il presidente svolge funzioni di carattere procedurale e strumentale all’attività del Consiglio europeo e garantisce la rappresentanza esterna dell’Eu nell’ambito della politica estera e di sicurezza. Dal primo dicembre 2009 è presidente del Consiglio europeo il belga Herman Van Rompuy. Tuttavia, la presidenza del Consiglio dell’Unione Europea rimane a rotazione semestrale.

Altra importante novità è la creazione della figura di alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza (non ‘ministro degli esteri’, come prevedeva la Costituzione europea), che dovrebbe rafforzare la coerenza dell’azione esterna dell’Eu. L’alto rappresentante ha un doppio incarico: è il mandatario del Consiglio per la politica estera e di sicurezza comune (Pesc), nonché vice presidente della Commissione. Egli rappresenta l’Eu sulla scena internazionale per le materie che rientrano nella Pesc, contribuisce con le sue proposte all’elaborazione di detta politica e la attua in qualità di mandatario del Consiglio. A tal fine è assistito da un servizio europeo per l’azione esterna, composto da funzionari del Consiglio, della Commissione e dei servizi diplomatici nazionali. Il Consiglio europeo ha nominato alto rappresentante l’ex commissaria per il commercio estero, la britannica Catherine Ashton.

Inoltre, il Trattato di Lisbona prefigura una novità anche per quanto concerne la Commissione, che dal 2014 dovrebbe essere composta non più da un cittadino per ogni stato membro, ma da un numero di membri – compreso il presidente e l’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza – corrispondente ai due terzi del numero degli stati membri. Tuttavia, su pressione dell’Irlanda, le conclusioni della presidenza del Consiglio europeo di Bruxelles del 2008 hanno affermato l’impegno politico a mantenere l’attuale composizione.

Istituzioni e organi

Le maggiori istituzioni

Parlamento europeo. – L’Assemblea parlamentare, comune alle tre comunità originarie, nasceva con funzioni consultive. Nel tempo però vi sono stati notevoli passi avanti nell’ambito del processo volto alla riduzione del ‘deficit democratico’ dell’Eu, riferito al fatto che il potere legislativo è stato storicamente esercitato dal Consiglio, un organo formato dai rappresentanti degli esecutivi degli stati membri. Dal 1979 i membri dell’Assemblea sono eletti a suffragio universale e dal 1986 essa è stato denominata ‘Parlamento’. I membri del Parlamento sono eletti per cinque anni con procedure elettorali scelte a livello nazionale, ma sempre secondo il metodo proporzionale. Il numero dei deputati è cresciuto nel tempo, passando dagli originari 142 agli attuali 736.

Oggi il Parlamento europeo esercita, congiuntamente al Consiglio, la funzione legislativa e la funzione di bilancio. Se inizialmente esso interveniva nel processo legislativo solo con funzione consultiva, nel tempo il ruolo del Parlamento è divenuto sempre più incisivo nel processo decisionale e oggi, con l’estensione della ‘procedura legislativa ordinaria’ attuata dal Trattato di Lisbona, il Parlamento contribuisce alla formazione degli atti in numerosi ambiti in maniera congiunta con il Consiglio. Generalmente il Parlamento vota a maggioranza.

Inoltre, il Parlamento è chiamato a esercitare il controllo democratico sulle altre istituzioni dell’Eu e in particolare sulla Commissione. Infatti, tra le principali prerogative vi è la possibilità di approvare una mozione di censura nei confronti della Commissione che porta alle dimissioni collettive dei membri della medesima e dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza (per quanto concerne le funzioni esercitate nell’ambito della Commissione).

Distribuzione seggi al Parlamento
Numero di seggi per paese

Consiglio europeo. – Già negli anni Sessanta i capi di stato e di governo dei membri delle tre comunità si riunivano periodicamente per definire l’indirizzo politico delle attività. Con il vertice di Parigi del 1974 tali riunioni sono state istituzionalizzate.

Oggi il Consiglio europeo è composto dai capi di stato o di governo degli stati membri, dal suo presidente e dal presidente della Commissione. L’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza partecipa ai lavori ma non ne fa parte, mentre il presidente del Parlamento può essere invitato.

Tale organo è la suprema istanza politica che dà all’Eu gli impulsi necessari al suo sviluppo e ne definisce gli orientamenti e le priorità politiche generali, mentre non esercita funzioni legislative. Il Consiglio europeo si riunisce generalmente due volte a semestre su convocazione del presidente. Esso delibera generalmente per consensus, oppure all’unanimità, per delibere particolarmente rilevanti (ad esempio, per la modifica del numero di membri della Commissione o sulla politica estera e di sicurezza comune) o, ancora, a maggioranza semplice o qualificata (come per la nomina dell’alto rappresentante dell’Eu per gli affari esteri e la politica di sicurezza).

La presidenza del Consiglio

Consiglio dell’Unione Europea. – Il Consiglio è composto da un rappresentante di ciascuno stato membro a livello ministeriale. Esso esercita, congiuntamente al Parlamento europeo, la funzione legislativa e la funzione di bilancio; inoltre, esercita una funzione esecutiva e di definizione delle politiche e di coordinamento alle condizioni stabilite nei trattati. Il Consiglio ha sede a Bruxelles, dove si riunisce diverse volte al mese (le sessioni hanno luogo a Lussemburgo nei mesi di aprile, giugno e ottobre).

Il Consiglio si riunisce in varie formazioni. Nella formazione ‘Affari esteri’ la presidenza spetta di diritto all’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, mentre per le altre formazioni il presidente è stabilito dal Consiglio europeo secondo un sistema di rotazione paritaria.

Le formazioni del Consiglio

Negli anni Novanta le formazioni erano 22, ridotte a 16 nel giugno 2000 e infine a 9 nel giugno 2002. Il Trattato di Lisbona definisce 10 formazioni. Tuttavia il Consiglio rimane unico, nel senso che qualunque sia la formazione del Consiglio che adotta una decisione, si tratta sempre di una decisione ‘del Consiglio’.

In particolare il Consiglio ‘Affari generali’ assicura la coerenza dei lavori delle varie formazioni del Consiglio, mentre il Consiglio ‘Affari esteri’ elabora l’azione esterna dell’Eu secondo le linee strategiche definite dal Consiglio europeo e assicura la coerenza dell’azione dell’Unione.

Attualmente le formazioni sono:

• Affari generali

• Affari esteri

• Economia e finanza

• Giustizia e affari interni

• Occupazione, politica sociale, salute e consumatori

• Competitività (mercato interno, industria, ricerca e spazio)

• Trasporti, telecomunicazioni ed energia

• Agricoltura e pesca

• Ambiente

• Istruzione, gioventù, cultura e sport

Commissione europea. – La Commissione è composta da un cittadino di ciascuno stato membro, compresi il presidente e l’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, in carica per cinque anni. Tuttavia dal 2014 il numero dei membri sarà ridotto a due terzi del numero degli stati membri. I componenti sono persone scelte in base alla loro competenza generale e al loro impegno europeo e devono garantire la piena indipendenza, infatti essi non sollecitano né accettano istruzioni da alcun governo.

La Commissione ha il compito di promuovere l’interesse generale dell’Eu e di vigilare sull’attuazione dei trattati da parte degli stati (essa è detta anche ‘guardiana dei trattati’). In tale contesto, essa ha potere quasi esclusivo di iniziativa legislativa, può adottare provvedimenti normativi di esecuzione di atti adottati dal Consiglio, può avviare delle procedure di infrazione nel caso in cui reputi che uno stato membro abbia violato gli obblighi previsti dalle norme dell’Eu affinché la Corte di giustizia dichiari l’esistenza dell’infrazione e, in taluni casi, comminare una sanzione.

La Commissione è suddivisa in direzioni generali (Dg) e servizi.

Le direzioni generali

Politiche

Affari economici e finanziari (Ecfin)

Affari interni (Home)

Affari marittimi e pesca (Mare)

Agricoltura e sviluppo rurale (Agri)

Ambiente (Env)

Azione per il clima (Clima)

Bilancio (Budg)

Concorrenza (Comp)

Energia (Ener)

Fiscalità e unione doganale (Taxud)

Giustizia (Just)

Imprese e industria (Entr)

Istruzione e cultura (Eac)

Mercato interno e servizi (Markt)

Mobilità e trasporti (Move)

Occupazione, affari sociali e integrazione (Empl)

Politica regionale (Regio)

Ricerca e innovazione (Rtd)

Salute e consumatori (Sanco)

Società dell’informazione e mezzi di comunicazione (Infso)

Relazioni esterne

Aiuti umanitari (Echo)

Allargamento (Elarg)

Commercio (Trade)

EuropeAid – Sviluppo e cooperazione (Devco)

Servizio degli strumenti di politica estera (Eeas)

Corte di giustizia dell’Unione Europea. – La Corte di giustizia dell’Eu comprende la Corte di giustizia, il Tribunale e i tribunali specializzati. Questi ultimi possono essere istituiti dal Consiglio e dal Parlamento secondo la procedura legislativa ordinaria. Nel 2004 è stato istituito il Tribunale della funzione pubblica dell’Eu, competente sulle controversie tra l’Eu e i funzionari delle istituzioni, delle agenzie e degli organi. È inoltre in discussione la proposta di creare un tribunale specializzato sul contenzioso in materia di brevetti.

La Corte è composta da un giudice per stato membro ed è assistita da otto avvocati generali, nominati di comune accordo dai governi degli stati membri e in carica per sei anni.

La Corte ha il compito di assicurare il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei trattati. In tale contesto essa si pronuncia, in particolare, su ricorsi circa la legittimità di atti adottati dalle istituzioni presentati da stati, istituzioni dell’Eu e persone fisiche e giuridiche, e su ricorsi circa i casi di inadempimento delle norme comunitarie da parte degli stati membri e delle istituzioni. Inoltre, attraverso lo strumento del rinvio pregiudiziale, la Corte può essere adita da giudici nazionali che, nel corso di un processo nazionale, decidano di porle una domanda circa l’interpretazione o la validità di una norma comunitaria rilevante ai fini del processo. Dal momento che ai giudici interni compete di assicurare l’applicazione del diritto dell’Eu nei rispettivi ordinamenti, i meccanismi di cooperazione tra giudici interni e comunitari rivestono particolare importanza.

Banca centrale europea. – La Banca centrale europea, con sede a Francoforte, è un organo indipendente nell’esercizio dei suoi poteri e nella gestione delle sue finanze sia rispetto alle istituzioni dell’Eu che rispetto ai governi degli stati membri.

La Banca centrale europea e le banche centrali nazionali degli stati membri la cui moneta è l’euro costituiscono l’Eurosistema e conducono la politica monetaria dell’Eu. Viceversa, la Banca centrale europea e le banche centrali nazionali di tutti i 27 membri costituiscono il Sistema europeo di banche centrali (Sebc). I membri che mantengono la propria valuta continuano a gestire la propria politica monetaria, ma sono comunque impegnati a rispettare i principi di una politica monetaria volta alla stabilità dei prezzi e a collaborare con l’Eurosistema con varie modalità.

Corte dei conti europea. – La Corte dei conti effettua il controllo contabile e l’esame del bilancio dell’Eu. Essa è composta da un cittadino di ciascuno stato membro. I suoi membri esercitano le loro funzioni in piena indipendenza, nell’interesse generale dell’Unione.

Altri organi

Banca europea per gli investimenti. – La Banca europea per gli investimenti ha il compito di contribuire, facendo appello al mercato dei capitali e alle proprie risorse, allo sviluppo equilibrato e senza scosse del mercato interno.

Comitato delle regioni. – Il Comitato delle regioni è composto dai rappresentanti delle collettività regionali e locali, i quali devono essere titolari di un mandato elettorale o responsabili politicamente verso un’assemblea eletta. Esso esercita funzioni consultive in piena indipendenza e nell’interesse generale dell’Eu.

Comitato economico e sociale. – Il Comitato economico e sociale è composto dai rappresentanti delle organizzazioni di datori di lavoro, di lavoratori dipendenti e di altri attori rappresentativi della società civile organizzata, in particolare nei settori socio-economico, civico, professionale e culturale. Esso esercita funzioni consultive in piena indipendenza e nell’interesse generale dell’Eu.

Mediatore europeo. – Il Mediatore tratta le denunce da parte di cittadini, imprese e organizzazioni dell’Eu, contribuendo a scoprire i casi di cattiva amministrazione, ovvero i casi in cui istituzioni, organi, uffici e agenzie dell’Eu abbiano infranto la legge, non abbiano rispettato i principi della corretta amministrazione o abbiano violato i diritti umani. Si tratta di un sistema extragiurisdizionale.

Garante europeo della protezione dei dati. – Il Garante europeo della protezione dei dati è stato istituito al fine di garantire il rispetto del diritto alla vita privata nel trattamento dei dati personali da parte delle istituzioni e degli organismi dell’Eu.

Agenzie

Nell’ambito dell’Eu sono state istituite numerose agenzie specializzate e decentrate, allo scopo di fornire aiuto e consulenza alle istituzioni e agli stati membri e ai loro cittadini. Esse differiscono dalle istituzioni europee e possono essere distinte in agenzie settoriali, agenzie per la politica di sicurezza e di difesa comune e agenzie per la cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale.

Le prime sono organismi di diritto pubblico europeo dotati di personalità giuridica che svolgono compiti molto specifici di natura tecnica, scientifica o amministrativa. Le seconde sono agenzie istituite per svolgere compiti molto specifici di natura tecnica, scientifica e amministrativa nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa comune dell’Unione Europea. Tra queste vi sono l’Agenzia europea per la difesa (Eda), il Centro satellitare dell’Unione Europea (Eusc) e l’Istituto dell’Unione Europea per gli studi sulla sicurezza (Iss). Infine, sono state create alcune agenzie per il coordinamento degli stati nella lotta alla criminalità organizzata internazionale. Esse sono l’Accademia europea di polizia (Cepol), l’Ufficio europeo di polizia (Europol) e l’Unità di cooperazione giudiziaria dell’Unione Europea (Eurojust).

Agenzie, anno di istituzione e sede

Processo decisionale

Il processo decisionale dell’Eu vede coinvolte più istituzioni: è regola prevista dal Trattato, con eccezioni, che l’iniziativa sia affidata alla Commissione europea e che Parlamento e Consiglio esercitino la funzione legislativa.

La procedura di adozione degli atti avviene attraverso varie modalità ed è mutata notevolmente nel tempo, nel tentativo di ridurre il già menzionato deficit democratico dell’Eu. La procedura di regola nei trattati originari era quella di consultazione, in base alla quale il Consiglio ha l’obbligo o la facoltà di consultare il Parlamento, ma non è tenuto a seguirne il parere nella decisione finale. Tale procedura è ancora applicabile in alcune materie, quali movimenti di capitali, ambiente ed energia. L’Atto unico europeo ha introdotto la procedura del parere conforme, in base alla quale il Consiglio può adottare un atto solo con l’assenso del Parlamento, e la procedura di cooperazione, che prevedeva che in caso di dissenso del Parlamento il Consiglio potesse comunque adottare un atto, ma con decisione all’unanimità. Il Trattato di Maastricht andò oltre, introducendo la procedura di codecisione. Con il Trattato di Lisbona la ‘procedura legislativa ordinaria’, che corrisponde in larga parte alla procedura di codecisione, è ora il meccanismo generale di adozione degli atti in quanto è stata estesa a numerosi ambiti anche di rilievo, come le politiche agricole e lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, ai trasporti, al ravvicinamento delle legislazioni per l’attuazione del mercato interno. Essa prevede che l’atto sia adottato solo con il consenso sia del Consiglio che del Parlamento.

Il Parlamento vota generalmente a maggioranza, a meno che i trattati non dispongano diversamente. Il quorum è raggiunto quando è presente in aula un terzo dei deputati, mentre è necessaria la maggioranza assoluta dei componenti per alcune delibere importanti, quali l’ammissione di nuovi stati o l’elezione del presidente della Commissione.

Il Consiglio invece vota di regola a maggioranza qualificata nel caso della procedura legislativa ordinaria, salvo nei casi in cui i trattati dispongano diversamente. In un’Unione sempre più ampia risulta difficile riuscire a raggiungere l’unanimità ed è quindi opportuno estendere il voto a maggioranza qualificata. Il Trattato di Lisbona ha ridotto i casi in cui è necessaria l’unanimità che tuttavia è ancora prevista, per esempio, nel caso di ravvicinamento delle legislazioni, per le decisioni in materia di politica commerciale, ambientale, energetica e per la conclusione di alcuni accordi internazionali. Fino al novembre 2014, per il calcolo della maggioranza qualificata si applica il sistema di ponderazione dei voti. Esso, in vigore fin dai trattati originari, seppur con modifiche nel corso del tempo, attribuisce un certo di numero di voti ai membri tenendo conto della popolazione, con importanti correttivi dettati da motivi politici, economici e di opportunità. Nell’ultima versione la delibera è adottata se raggiunge 255 voti su 345 che esprimano il voto favorevole della maggioranza dei membri (14 stati) quando presa su proposta della Commissione. Quindi la ‘minoranza di blocco’, ovvero gli stati che possono bloccare l’adozione con 91 voti, può essere composta da soli tre stati ‘grandi’ (con 29 voti ciascuno) e uno stato ‘piccolo’. La ponderazione dei voti del Consiglio favorisce la rappresentatività degli stati membri piccoli rispetto ai grandi ed è stata spesso oggetto di lunghi negoziati.

Il Trattato di Lisbona prevede l’abolizione del sistema di ponderazione dei voti ma, a causa della resistenza di alcuni stati (tra cui Polonia e Spagna) desiderosi di non veder ridotto il peso del proprio voto, tale sistema è stato posticipato al novembre 2014 e, in ogni caso, qualunque stato membro può chiedere e ottenere che tali norme non divengano effettive fino al 2017. Il nuovo sistema prevede una semplificazione e una doppia maggioranza: il voto a maggioranza qualificata richiederà il consenso del 55% dei membri del Consiglio con un minimo di 15 stati, che dovranno totalizzare almeno il 65% della popolazione dell’Eu (circa 320 milioni di abitanti). Di conseguenza un atto non può essere adottato se manca il consenso di 13 stati (45% dei membri più uno) o di un numero di stati che abbiano una popolazione superiore al 35% del totale (in ogni caso la minoranza di blocco deve comprendere almeno quattro membri del Consiglio, al fine di evitare che gli stati più popolosi possano bloccare una decisione). In ultima analisi, il nuovo sistema abolisce la ponderazione dei voti e introduce una doppia maggioranza che si basa sia su un criterio intergovernativo (relativo al numero degli stati membri), sia su un criterio democratico (la popolazione che gli stati rappresentano, con il correttivo della minoranza di blocco).

Distribuzione dei voti per stato membro

Le politiche

Nel tempo gli ambiti di competenza dell’Eu sono stati notevolmente estesi. L’attività dell’Eu incide oggi in larga misura sulle politiche nazionali. Di seguito si analizzeranno alcune politiche dell’Eu.

Mercato unico

La realizzazione di un mercato comune delle merci e dei fattori di produzione – lavoratori, servizi e capitali – ha avuto un ruolo centrale sin dalla creazione della Comunità economica europea. Esso era lo strumento che avrebbe permesso alla Comunità di perseguire i propri obiettivi, in particolare uno sviluppo armonioso delle attività economiche e un miglioramento del tenore di vita dei cittadini. Inizialmente è prevalsa la logica dell’integrazione negativa ad opera della Corte di giustizia, fondata sull’abolizione degli ostacoli diretti e indiretti agli scambi, cui nel tempo è stata affiancata una sempre maggiore integrazione positiva, che si riflette negli atti di ravvicinamento delle legislazioni nazionali che incidono sul mercato interno. L’unione doganale, ovvero l’eliminazione definitiva dei dazi e delle tasse di effetto equivalente tra i membri e l’adozione di una tariffa doganale comune per gli scambi con i paesi terzi, è stata completata nel 1968. In seguito, le maggiori distorsioni al commercio intracomunitario derivavano prevalentemente dalle cosiddette barriere non tariffarie, quali, per esempio, i requisiti di sicurezza o di imballaggio. A questo riguardo la Corte di giustizia ha avuto un ruolo fondamentale; negli anni Ottanta, poi, c’è stata un’accelerazione al fine di completare il mercato interno entro il 1 gennaio 1993, con l’adozione di numerose direttive di armonizzazione o mutuo riconoscimento, per esempio nel campo della proprietà intellettuale, dato che le merci che circolano nel mercato unico sono in gran parte coperte da diritti di proprietà intellettuale nazionali. Tuttavia, l’integrazione dei mercati nazionali in un unico mercato è un processo ancora in atto, soprattutto per quanto concerne la liberalizzazione dei servizi.

Il mercato unico rappresenta così il motore economico e il cuore dell’Eu ed è uno dei principali strumenti volti a rispondere alla crisi economica.

Dall’Agenda di Lisbona alla strategia 2020

Nel marzo 2000 a Lisbona i capi di stato europei hanno stabilito una strategia per rendere l’Europa più dinamica e competitiva, detta ‘Strategia di Lisbona’. Rilanciata nel 2005, dopo un inizio di risultati poco soddisfacenti, essa si è focalizzata maggiormente sulla crescita e sull’occupazione. La Strategia ha avuto un’accoglienza positiva, ma gli obiettivi che si era prefissata non sono stati raggiunti.

A seguito della crisi globale del 2009 è stata definita una nuova strategia, la cosiddetta ‘Strategia Europa 2020’, che punta a rilanciare l’economia dell’Eu nel prossimo decennio.

In un mondo che cambia, l’Unione Europea si propone di diventare un’economia intelligente, sostenibile e solidale. Queste tre priorità, che si rafforzano a vicenda, intendono aiutare l’Eu e gli stati membri a conseguire elevati livelli di occupazione, produttività e coesione sociale. In questo contesto l’Eu si è posta cinque ambiziosi obiettivi, da raggiungere entro il 2020: l’innalzamento al 75% del tasso di occupazione (per la fascia di età compresa tra i 20 e i 64 anni); l’aumento degli investimenti in ricerca, sviluppo e innovazione al 3% del pil dell’Eu (pubblico e privato insieme); nel campo ambientale, la riduzione delle emissioni di gas serra del 20% (o persino del 30%, se le condizioni lo permettono) rispetto al 1990, il potenziamento delle fonti rinnovabili fino a ricavare da queste il 20% del fabbisogno di energia, l’aumento del 20% dell’efficienza energetica; nel campo dell’istruzione, la riduzione degli abbandoni scolastici al di sotto del 10% e l’aumento al 40% dei trenta-trentaquattrenni con un’istruzione universitaria; infine, risolvere il problema della fascia di popolazione europea che vive a rischio o in situazione di povertà ed emarginazione, stimata in almeno 20 milioni di persone.

Politica agricola e pesca

Inizialmente la politica agricola comunitaria (Pac) mirava alla necessità di produrre cibo sufficiente per un’Europa che usciva da un decennio di carestie dovute alla guerra. Essa prevedeva sussidi alla produzione e l’acquisto delle eccedenze nell’interesse della sicurezza alimentare.

L’attuale politica, sebbene in continua evoluzione, mira a far sì che i produttori di alimenti di ogni genere siano in grado di competere in modo autonomo sui mercati dell’Eu e su quelli mondiali. Tra i principali obiettivi vi sono l’incremento della produttività agricola, attraverso un migliore impiego dei fattori di produzione, e la garanzia di un tenore di vita equo per la popolazione agricola, permettendo nel contempo al settore agricolo di modernizzarsi e svilupparsi. Inoltre, lo sviluppo della politica agricola comune è legato a una maggiore attenzione alla qualità del cibo prodotto in Europa, alla sicurezza alimentare al benessere della società rurale, alla garanzia di un ambiente preservato per le generazioni future, la garanzia di migliori condizioni di salute e benessere per gli animali.

Accanto alla politica agricola si è sviluppata, a partire dagli anni Ottanta, una politica comunitaria per la pesca. Nell’ambito di quest’ultima vengono fissate le norme per garantire che la pesca europea sia sostenibile e non arrechi danno all’ambiente marino, vengono controllate le dimensioni della flotta peschereccia europea per evitare che cresca ulteriormente, vengono aiutati i produttori, le imprese di lavorazione e i distributori a ottenere un prezzo equo per i loro prodotti e garantire al consumatore la qualità del pesce acquistato.

L’agricoltura e la pesca sono due politiche integrate dell’Eu, in cui le decisioni sono adottate a livello europeo dal Consiglio e il bilancio di ciascuna politica è ‘comunitarizzato’, ovvero il finanziamento delle misure è deciso anch’esso in sede di Consiglio sulla base di un bilancio europeo distinto dai bilanci nazionali. Di conseguenza, questo assorbe buona parte del bilancio dell’Eu. Tuttavia, se negli anni Settanta il bilancio delle politiche agricole e della pesca raggiungeva quasi il 70% del bilancio dell’Eu, nel periodo 2007-13 la quota della spesa agricola è scesa al 34%.

L'EU e la governance dell'economia
Vedi L'Eu e la governance dell'economia dell'anno: 2012 - 2013
Riccardo Rovelli

Non essendo l’Eu uno stato in senso proprio, le attività di governo - e tra queste la governance dell’economia - che le competono sono condotte in condizioni particolari per quanto riguarda i rapporti con gli stati membri dell’Unione.

Un primo rilevante aspetto da tener presente è che - in quei campi dove i trattati le conferiscono la competenza - direttive, regolamenti e decisioni dell’Eu sono vincolanti per gli stati membri (Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea - Tfeu, art. 288).

Il secondo aspetto riguarda i campi di competenza dell’Eu nella governance dell’economia. Due principi precedono la definizione delle competenze: (i) «L’Unione persegue i suoi obiettivi […] in ragione delle competenze che le sono attribuite nei trattati» (Trattato sull’Unione Europea – Teu, art. 3,6; (ii) «Qualsiasi competenza non attribuita all’Unione nei trattati appartiene agli stati membri» (Teu, art. 4,1; vedi anche art. 5). Quanto alle competenze, i settori di attività sono poi distinti per la tipologia: le competenze possono essere esclusive, concorrenti (con gli stati membri), di coordinamento (tra stati membri), e infine di sostegno o completamento dell’attività degli stati membri (Tfeu, art. 2). In ambito economico, le competenza attribuite all’Eu sono (Tfeu, artt. 3-6):

Esclusive, per quanto riguarda:

(i) l’unione doganale e la politica commerciale comune;

(ii) le regole di concorrenza per il mercato interno;

(iii) la politica monetaria per i paesi che hanno adottato l’euro;

(iv) per la politica di conservazione delle risorse biologiche marine.

Concorrenti, per quanto riguarda principalmente:

a) mercato interno,

b) politica sociale,

c) coesione economica, sociale e territoriale,

d) agricoltura e pesca,

e) ambiente,

f) protezione dei consumatori,

g) trasporti,

h) reti trans-europee,

i) energia.

In tali settori, «gli stati membri esercitano la loro competenza nella misura in cui l’Unione non ha esercitato la propria». I settori in cui le competenze dell’Eu e degli stati membri sono concorrenti, ma l’esercizio delle competenze dell’Eu non può impedire agli stati membri di esercitare le loro, anche in modo autonomo comprendono: la ricerca, lo sviluppo tecnologico, l’esplorazione dello spazio, la cooperazione allo sviluppo e l’aiuto umanitario.

Di coordinamento, per quanto riguarda principalmente le politiche economiche (in particolare per gli stati membri che hanno adottato l’euro), occupazionali e sociali. Una questione rilevante è il criterio per l’attribuzione delle competenze all’Eu. Esistono in proposito due impostazioni teoriche: le teorie della sussidiarietà e quelle del federalismo fiscale. L’approccio della sussidiarietà sostiene che un’autorità centrale debba farsi carico solo di quei compiti che non possono più efficacemente essere svolti a un livello locale o comunque decentrato.

L’art. 5 del Teu stabilisce esplicitamente che «L’esercizio delle competenze dell’Unione si fonda sui principi di sussidiarietà e proporzionalità». Il federalismo fiscale, con un approccio di economia pubblica, sostiene che il governo centrale debba occuparsi di fornire alla collettività solo quei beni pubblici, in relazione ai quali le comunità locali (in questo caso, gli stati membri dell’Eu) non abbiano diversità di preferenze, e per la produzione o distribuzione dei quali vi siano rilevanti economie di scala, tali appunto da rendere assolutamente più efficiente la centralizzazione del servizio. In diversa misura, ambedue le impostazioni, e in primo luogo l’approccio della sussidiarietà, hanno trovato un recepimento abbastanza condiviso. Il dibattito si è fatto però acceso in relazione a due politiche: la politica agricola comunitaria (Pac) e le politiche regionali. Per quanto riguarda la prima, da più parti si è obiettato, in modo condivisibile, che gli obiettivi iniziali siano stati storicamente superati e che sarebbe tempo di riconsegnare agli stati membri la responsabilità di sostenere i redditi dei produttori agricoli, qualora lo desiderino. A questa obiezione è facile rispondere che, in effetti, la politica agricola è (o meglio sarebbe) un settore di competenza concorrente fra Unione e stati membri, e che una ‘nazionalizzazione’ di tale politica è una decisione presa a livello politico intergovernativo (in particolare, su richiesta della Francia) e non ha rilevanza costituzionale.

Un terzo aspetto da considerare sono gli obiettivi perseguiti dalla governance economica dalle istituzioni europee. Essi possono essere riassunti nel processo di costruzione del mercato interno, in relazione al quale si possono distinguere i seguenti passi:

(i) la costituzione dell’Unione doganale e l’adozione della politica commerciale comune (completata nel 1968); (ii) il completamento del mercato interno, con l’abolizione progressiva delle barriere non tariffarie (dal 1987) e il rafforzamento della politica di concorrenza; (iii) l’adozione di un sistema di tassi di cambio tendenzialmente stabili (Sme, dal 1979) e (iv) l’adozione di una moneta unica e di una politica monetaria unica, dal 1999; infine (v) l’ampliamento su base geografica del mercato interno, attuato con i successivi allargamenti avvenuti fra il 1973 e il 2007 (ma non ancora esauriti). Da ultimo, un giudizio complessivo sulla governance economica attuata dall’Eu deve tener conto dell’articolazione complessiva di tali attività. In estrema sintesi: Il mercato interno, formalmente entrato in vigore nel 1993, garantisce sostanzialmente le quattro libertà fondamentali – libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali – anche se vi sono tuttora aspetti di incompletezza per quanto riguarda la circolazione dei servizi. Il bilancio dell’Eu, per quanto di ammontare limitato (l’1,12% del reddito lordo comunitario, per le prospettive finanziarie 2007-13) è dedicato principalmente a due settori di attività economica: per il 45% alle politiche per la crescita sostenibile, l’occupazione e la coesione, attuate soprattutto su base regionale; per il 42% alla gestione e tutela delle risorse naturali (l’80% del quale è dedicato al sostegno diretto alla politica agricola).

La politica monetaria unica, affidata alla Banca centrale europea, ha realizzato in gran parte gli obiettivi proposti, in relazione ai 17 paesi che hanno adottato l’euro, e contribuito al rafforzamento e alla diffusione su scala internazionale dell’euro e successivamente ha partecipato in modo costruttivo alla assai complessa gestione della crisi finanziaria e della recessione manifestatesi a partire dal 2008.

Più critico e spesso assente il contributo dell’Eu alla governance in altri settori di attività, nonostante le ambizioni manifestate nel 2000 con l’adozione della ‘Strategia di Lisbona’, che poneva rilevanti obiettivi di sviluppo economico, sociale e ambientale, basandosi sull’idea di una crescita trainata dalle innovazioni tecnologiche e dall’economia della conoscenza. I risultati sono stati sconfortanti, soprattutto per l’assenza di strumenti d’azione corrispondenti agli obiettivi, e hanno rivelato l’insufficienza del modello di governance basato sull’attività di coordinamento da parte dell’Unione delle politiche degli stati membri. L’insufficienza di un modello di governance basato sul coordinamento degli stati e su deboli strumenti di intervento diretto si è rivelata in modo più drammatico nel coordinamento delle politiche fiscali nazionali, che avrebbe dovuto assicurare la disciplina fiscale degli stati membri, in particolare (per quanto riguarda l’area dell’euro) attraverso il ‘Patto di stabilità e crescita’: più volte disatteso e conseguentemente riformato, da ultimo nel 2011, il Patto si è rivelato in particolare inadeguato a prevenire prima e a gestire poi le emergenze fiscali della Grecia, ma anche di altri stati membri.

Da ultimo, la gravità e le emergenze poste dalla crisi finanziaria del 2008, dalla recessione del 2009 e dalla crisi del debito sovrano di alcuni stati iniziata nel 2010 hanno posto in luce l’inadeguatezza di alcuni strumenti di governance previsti dai trattati, smentendo le opinioni di quanti consideravano il processo di costruzione istituzionale dell’Unione concluso con l’entrata in vigore, nel dicembre 2009, del Trattato di Lisbona. L’emergenza delle crisi ha richiesto, nel 2010, la predisposizione di nuovi strumenti d’intervento, e in particolare del Meccanismo europeo per la stabilità finanziaria (Efsm, che in modo istituzionalmente innovativo autorizza l’indebitamento diretto della Commissione europea sui mercati finanziari) e dello Sportello europeo per la stabilità finanziaria (Efsf), a carattere intergovernativo, destinato a essere sostituito nel 2013 dal Meccanismo europeo di stabilità (Esm). L’adozione di quest’ultimo strumento dovrà essere recepita nel Trattato di Lisbona.

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Unione economica e monetaria

Inizialmente non era previsto che accanto al mercato comune vi fosse cooperazione nell’ambito della politica economica e monetaria. Tuttavia, politiche economiche e monetarie autonome rischiavano di compromettere l’integrazione economica europea; di conseguenza venne presto avvertita l’esigenza di coordinare tali politiche e venne avviato un processo che ha portato all’adozione del serpente monetario nel 1972, all’istituzione del Sistema monetario europeo nel 1978 e all’Unione economica e monetaria, sancita con il Trattato di Maastricht (1992). Quest’ultima comprende il coordinamento delle politiche economiche dei membri, il coordinamento delle politiche fiscali, tramite vincoli di debito e deficit, una politica monetaria indipendente gestita dalla Banca centrale europea e la moneta unica, che comporta il trasferimento all’Eu di una tipica funzione sovrana degli stati.

L’Unione economica e monetaria è stata caratterizzata da più fasi: la prima, a partire dal 1990, prevedeva la libertà totale di circolazione dei capitali all’interno dell’Unione (abolizione del controllo sui cambi); l’aumento delle risorse destinate a correggere gli squilibri fra le regioni europee (fondi strutturali); la convergenza economica, grazie al controllo multilaterale delle politiche economiche degli stati membri. Nella seconda fase, avviata nel 1994, è stato creato l’Istituto monetario europeo (Ime), con sede a Francoforte, composto dai governatori delle banche centrali dei paesi dell’Eu; doveva inoltre realizzarsi l’indipendenza delle banche centrali nazionali e l’introduzione di norme per ridurre i deficit di bilancio. Infine, la terza fase, dal 1999, ha visto la nascita della moneta unica: il 1° gennaio 1999, 11 paesi adottano l’euro, che diventa la moneta comune di Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo e Spagna (seguiti dalla Grecia il 1° gennaio 2001). La Banca centrale europea (Bce) subentra all’Ime e diventa responsabile della politica monetaria dell’Unione, che è definita e attuata in euro. Il 1° gennaio 2002 vengono messi in circolazione i biglietti e le monete in euro nei 12 paesi dell’area dell’euro. Tra i paesi dell’allargamento del 2004, la Slovenia è entrata a far parte dell’area dell’euro nel 2007, seguita da Cipro e Malta nel 2008, dalla Slovacchia nel 2009 e dall’Estonia nel 2011. Viceversa Regno Unito e Danimarca hanno negoziato uno status speciale: i protocolli allegati al Trattato che istituisce la Comunità europea conferivano loro il diritto di decidere se aderire o meno alla terza fase e entrambi i paesi si sono finora avvalsi di questa clausola di esenzione. I rimanenti stati sono considerati membri con ‘deroga’ non avendo ancora soddisfatto le condizioni necessarie per accedere alla terza fase.

Per passare alla terza fase ogni paese dell’Eu deve soddisfare i cinque criteri di convergenza, che sono: il tasso di inflazione non può superare di più dell’1,5% la media dei tre stati membri con l’inflazione più bassa; i tassi di interesse a lungo termine non possono variare di più del 2% rispetto alla media dei tre stati membri con i tassi di interesse più bassi; il deficit di bilancio deve essere inferiore al 3% del pil; il debito pubblico non può superare il 60% del pil; i tassi di cambio devono aver rispettato i limiti di fluttuazione per almeno due anni.

Anno di adesione dei Paesi
I cittadini europei e la crisi

Lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia

La libertà di circolazione delle persone è una delle quattro libertà su cui la Comunità europea si è sempre basata. Inizialmente mossa dall’obiettivo di consentire ai lavoratori di spostarsi negli stati membri in cui vi era domanda di lavoro, e poi estesa a tutti i cittadini dell’Eu, essa permette la libertà di soggiorno nell’Unione.

Ad essa è stato affiancato lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Nel 1985, infatti, alcuni stati europei (Francia, Germania, Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi), al di fuori dell’ambito comunitario, hanno concluso l’accordo di Schengen che ha abolito i controlli alle frontiere interne. Contestualmente, per garantire la sicurezza all’interno dello spazio di Schengen, sono state potenziate la cooperazione e il coordinamento tra i servizi di polizia e le autorità giudiziarie. Nel tempo altri stati hanno aderito, tra i quali alcuni paesi extra-Eu come Svizzera, Norvegia e Islanda (con lo status di associati) e con il Trattato di Amsterdam (1997) tale accordo è entrato a far parte del quadro legislativo comunitario, sebbene alcuni paesi abbiano ottenuto di beneficiare di una clausola di opting out (Regno Unito e Irlanda).

Inoltre, a partire dal Trattato di Amsterdam l’Eu ha assunto competenze in materia di immigrazione e asilo. L’esigenza di armonizzare e sviluppare politiche in questi ambiti ha coinciso con la volontà dell’Eu di proporsi come attore unitario, capace di affrontare le sfide del nuovo millennio. In particolare, la migrazione viene concepita come un’importante risorsa per le esigenze economiche dell’Unione e per i suoi crescenti squilibri demografici. Allo stesso tempo, tuttavia, si poneva la necessità di arginare i flussi irregolari, e di gestire in maniera appropriata ed efficiente le molteplici domande di asilo, cresciute esponenzialmente negli anni Novanta a causa dei numerosi conflitti nell’immediato vicinato, in Medio Oriente e in Africa.

Il primo e più importante tassello di una politica comune in materia di migrazione e asilo è stato posto al Consiglio europeo di Tampere, in Finlandia, nel 1999. L’agenda di Tampere proponeva di affrontare in modo congiunto questioni riguardanti l’immigrazione legale e illegale e questioni riguardanti l’ammissione umanitaria. Aspetto cruciale dell’impianto di Tampere era il riconoscimento che questi temi necessitavano di un maggior coinvolgimento degli stati terzi di origine, con i quali istituire partnership che promuovessero un dialogo sulla gestione dei flussi migratori e possibilità di co-sviluppo. Una politica comune in materia di immigrazione irregolare acquisiva sempre maggior rilievo, e veniva strettamente associata alla costruzione di un’area di sicurezza, libertà e giustizia, e alla realizzazione di un sistema di asilo e di ammissione legale credibili. Inoltre, dal 2005 l’agenzia Frontex ha rappresentato un’importante strumento per la sicurezza dei confini esterni dell’Eu, pensata per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli stati membri con compiti di coordinamento, assistenza nella formazione delle guardie nazionali di confine, preparazione di analisi del rischio e organizzazione di operazioni di rimpatrio. Il potenziamento di misure di controllo al confine esterno dell’Unione avrebbe permesso di affrontare una serie di minacce in grado di oltrepassare i confini degli stati e mettere a repentaglio la sicurezza dei cittadini.

Nel 2005 è stata poi elaborata una strategia per la dimensione esterna dell’area di sicurezza, libertà e giustizia che evidenziava le priorità politiche nelle relazioni con stati terzi, i principi e gli strumenti a disposizione per la cooperazione esterna. Particolare enfasi veniva posta in un primo momento sulla cooperazione con il continente africano e in particolare con gli stati a sud del Mediterraneo. Una volta delineati i nuovi confini ad est dell’Unione e valutata l’adozione dell’acquis di Schengen da parte dei nuovi stati membri, l’approccio globale alla migrazione veniva esteso agli stati a est e a sud-est dell’Unione (2007). Data l’importanza della dimensione esterna per la gestione delle opportunità e delle sfide poste dalla migrazione, l’Eu si è dotata di una serie di strumenti e ha creato un network di relazioni a vari livelli.

Come già evidenziato, accanto all’obiettivo di una politica comune in materia di migrazione il Consiglio di Tampere caldeggiava la creazione di un sistema comune di asilo europeo che armonizzasse le politiche degli stati membri in materia. Dati i massicci flussi di persone in cerca di protezione e dato l’obiettivo dell’Unione di promuovere ed essere garante del rispetto di fondamentali diritti umani, lo sviluppo di un sistema di protezione condiviso dagli stati membri rivestiva una particolare importanza. Nel 2010 è stato istituito l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo, i cui principali compiti sono quello di intensificare la cooperazione pratica tra i paesi membri in materia di asilo (scambio di informazioni e best practices), di sostenere un paese membro sottoposto a particolari pressioni, dovute all’afflusso massiccio di cittadini di paesi terzi aventi potenzialmente bisogno di protezione, e infine di contribuire alla creazione di un sistema comune europeo di asilo (Ceas). Il Programma di Stoccolma ha fissato il 2012 come data per il raggiungimento di questo obiettivo, data già posticipata di due anni rispetto ai termini posti dal Consiglio dell’Aja per la difficoltà dei paesi membri di raggiungere un più alto grado di coordinamento in materia.

Politiche regionali e strutturali

La politica regionale rappresenta uno strumento di solidarietà finanziaria e una potente forza di coesione e integrazione economica. Già alle origini del processo di integrazione europea erano previsti alcuni strumenti finanziari e iniziative per affrontare gli squilibri economici e sociali a livello comunitario, ma solo nel 1975 è stato creato il Fondo europeo di sviluppo regionale, mentre con l’Atto unico europeo del 1986 è stata formalmente introdotta una politica di coesione integrata. Nel 1988 il Consiglio adottò un regolamento volto a integrare i fondi strutturali nell’ambito della politica di coesione, introducendo così alcuni principi chiave, come focalizzare il sostegno sulle regioni più povere e arretrate, svolgere una programmazione pluriennale, promuovere un orientamento strategico degli investimenti, coinvolgere partner regionali e locali. In seguito, il Trattato di Maastricht creò un nuovo strumento, il Fondo di coesione, e una nuova istituzione, il Comitato delle regioni, introducendo inoltre il principio di sussidiarietà, in base al quale l’Eu interviene in quei settori che non sono di sua esclusiva competenza solo quando la sua azione è considerata più efficace di quella intrapresa a livello nazionale, regionale o locale, senza andare oltre quanto necessario per il raggiungimento degli obiettivi fissati.

Con l’ingresso di Austria, Finlandia e Svezia nel 1995 venne definito un ulteriore obiettivo, consistente nel promuovere le regioni scarsamente popolate nella penisola scandinava. Inoltre, il successivo allargamento ai paesi dell’Europa orientale ha comportato un aumento delle disparità di reddito e di occupazione tra i membri (attualmente, una regione su quattro ha un pil pro capite inferiore al 75% della media dell’Eu a 27) e numerosi membri entrati nel 2004 sono stati inclusi nel cosiddetto ‘Obiettivo 1’, che li rendeva destinatari del maggior livello di sostegno da parte dei fondi strutturali e di coesione. Principali modifiche della politica di coesione per il periodo attuale (2007-13) sono state la concentrazione delle risorse negli stati e nelle regioni più povere e un cambiamento delle priorità, oggi incentrate su crescita, impiego e innovazione. Il Consiglio europeo del dicembre 2005 ha stanziato 347 miliardi di euro per i fondi strutturali e di coesione, dei quali più dell’80% è stato diretto alle regioni più povere, mentre un quarto delle risorse sono state destinate a progetti di ricerca e innovazione, e circa il 30% a infrastrutture ambientali e misure volte a combattere i cambiamenti climatici.

Gli strumenti della politica dell'EU per le migrazioni
Tra gli strumenti adottati è opportuno menzionare i ‘partenariati per la mobilità’ che creano un dialogo tra l’Unione, determinati paesi membri e paesi terzi su questioni legate alla migrazione legale, alla migrazione illegale e al rapporto tra migrazione e sviluppo; i ‘profili migratori’, volti a fornire informazioni sulla situazione migratoria di specifici paesi terzi; la ‘migrazione circolare’ che presuppone una mobilità generalmente temporanea tra paesi di origine e di destinazione, legata ai fabbisogni del mercato del lavoro e proficua per entrambe le parti. Gli accordi di riammissione rappresentano un altro strumento attraverso il quale l’Unione coordina le sue azioni con quelle di paesi terzi di origine (ma a volta anche di transito) per il rimpatrio ordinato e sicuro di immigrati irregolari in cambio di una politica più flessibile in materia di visti. Ultimi accordi firmati sono stati quello con la Georgia (2010), con il Pakistan (2010) e con la Turchia (2011); restano ancora in itinere quelli con Marocco, Algeria, Cina e Capo Verde, la cui negoziazione è già stata autorizzata dal Consiglio. L’Unione ha inoltre cercato di stabilire un dialogo regolare con partner regionali. Esistono infatti vari frameworks in cui migrazione e questioni a essa collegate vengono trattate, come per esempio nei Eu-Ecowas Ministerial Troika Meetings; nelle conferenze ministeriali Eu-Africa, nei piani della politica europea di vicinato, nel Partenariato Euro-Mediterraneo. La conferenza ministeriale di Praga del 2009 ha inaugurato un dialogo incentrato sulle migrazioni dall’est. Lo stesso anno è stato inaugurato un dialogo con America Latina e paesi caraibici (Eu-Lac Dialogue on Migration) e con l’Asia (attraverso il framework Eu-Asem).

L’ultimo piano quinquennale elaborato dal Consiglio dell’Unione è il Programma di Stoccolma ‘Un’Europa aperta e sicura al servizio e a tutela dei cittadini’ del dicembre 2009. Proseguendo nella direzione delineata dall’approccio globale alla migrazione, il Programma insiste sulla necessità di gestire in modo coordinato politiche migratorie, di sviluppo e relazioni esterne dell’Unione. Il Programma enfatizza inoltre l’importanza della solidarietà e della condivisione delle responsabilità sia tra i membri dell’Unione che con altri paesi del mondo, aspetti già sottolineati nel Patto europeo sull’immigrazione e l’asilo (2008). Nel 2008, infine, un passo verso una politica europea comune di immigrazione è stato fatto attraverso l’approvazione della Direttiva rimpatri, che stabilisce norme minime sulla durata e sulle condizioni di detenzione temporanea e sul divieto di reingresso nel territorio dell’Unione.

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Politiche sociali e ambientali

L’Eu e gli stati membri, nel rispetto dei diritti sociali fondamentali, quali quelli definiti nella Carta sociale europea firmata a Torino il 18 ottobre 1961 e nella Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989, hanno come obiettivi la promozione dell’occupazione, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, che consenta la loro parificazione nel progresso, una protezione sociale adeguata, il dialogo sociale, lo sviluppo delle risorse umane atto a consentire un livello occupazionale elevato e duraturo, e la lotta contro l’emarginazione. Originariamente una politica di competenza degli stati membri, a partire dall’Atto unico europeo del 1986 la ‘dimensione sociale’ ha acquistato un’importanza crescente e oggi l’Eu svolge un ruolo propulsivo in campo sociale ed è fautrice di un quadro normativo inteso a tutelare i cittadini europei. L’Eu incoraggia la cooperazione fra gli stati membri, il coordinamento e la convergenza delle politiche nazionali, la partecipazione delle autorità locali, dei sindacati, delle organizzazioni dei datori di lavoro e di tutti gli attori coinvolti.

La politica dell’Eu in materia ambientale contribuisce a perseguire i seguenti obiettivi: salvaguardia, tutela e miglioramento della qualità dell’ambiente; protezione della salute umana; utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali; promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi dell’ambiente a livello regionale o mondiale e, in particolare, a combattere i cambiamenti climatici. Essa è fondata sui principi della precauzione e dell’azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché sul principio esprimibile con la massima ‘chi inquina paga’. Oggi le priorità sono la lotta ai cambiamenti climatici, la tutela della biodiversità, la riduzione dei problemi di salute derivanti dall’inquinamento e l’utilizzo responsabile delle risorse naturali. In questo contesto, nel 2008 gli stati membri hanno approvato un ampio pacchetto per la riduzione delle emissioni di CO2 che mira a ridurre le emissioni del 20% (rispetto ai livelli del 1990) entro il 2020, ad aumentare la quota di energia rinnovabile del 20% e di ridurre il consumo di energia del 20% (rispetto all’andamento atteso).

La politica migratoria a fronte dell’emergenza umanitaria del Nord Africa

Nei primi mesi del 2011, migliaia di persone della sponda sud del Mediterraneo si sono dirette verso la sponda nord, esercitando una pressione crescente sui sistemi di protezione e accoglienza di alcuni stati membri dell’Eu. Tali avvenimenti hanno mostrato che la politica di migrazione dell’Eu dispone di mezzi inadeguati ad affrontare alcune situazioni.

In questo contesto, l’Italia, insieme ai governi dei paesi mediterranei (Francia, Grecia, Spagna, Malta e Cipro), ha caldeggiato la creazione un sistema di asilo comune entro la fine del 2012, l’istituzione di un fondo speciale di solidarietà per condividere gli oneri derivanti dall’emergenza, il rafforzamento dell’Agenzia per i controlli alle frontiere (Frontex), infine la promozione di forme di collaborazione bilaterale per affrontare le questioni migratorie sia tra gli stati membri che con i paesi di partenza e transito dei flussi. Inoltre, la tensione tra Italia e Francia sulla circolazione degli immigrati tunisini nell’aprile 2011 ha portato entrambi i paesi a chiedere modifiche all’acquis di Schengen per casi eccezionali.

Il Consiglio europeo straordinario dell’11 marzo 2011 ha ribadito l’impegno per l’invio di aiuti umanitari, ha richiesto l’invio di maggiori risorse da parte degli stati membri per Frontex e ha espresso la necessità di una fattiva solidarietà per i membri più direttamente interessati dai movimenti migratori. Tuttavia, non è ancora chiaro come verrà attuato il principio di ripartizione degli oneri introdotto dal Trattato di Lisbona (l’art. 80 del Tfeu prevede che le politiche relative ai controlli alle frontiere, all’immigrazione e all’asilo siano governate dal principio di solidarietà e di equa ripartizione delle responsabilità tra gli stati membri, anche sul piano finanziario).

Quindi, nel maggio 2011 la Commissione ha presentato una comunicazione nella quale afferma la necessità di una maggiore solidarietà a livello europeo e di ulteriori misure dirette a rafforzare le frontiere esterne (essa fa riferimento ad un meccanismo che permetta all’Eu di gestire sia le situazioni in cui uno Stato membro non adempie all’obbligo di controllare la propria sezione di frontiera esterna, sia quelle in cui un tratto particolare della frontiera esterna diventa oggetto di pressione inaspettata e grave a seguito di eventi esterni). Inoltre, la Commissione sottolinea l’esigenza di rispondere in modo fermo ed efficace all’immigrazione irregolare, anche attraverso una più coerente politica di rimpatrio; di una politica coerente di mobilità per i cittadini dei paesi terzi che includa i visti; di una migliore gestione dell’immigrazione legale; di completare il sistema europeo comune di asilo e del potenziamento delle politiche esterne in materia di immigrazione.

L’azione esterna dell’Eu

L’azione esterna dell’Eu si pone come principali obiettivi la salvaguardia dei valori, degli interessi fondamentali, della sicurezza, dell’indipendenza e dell’integrità; il consolidamento dei principi democratici e dei diritti umani; il mantenimento della pace; la promozione dello sviluppo sostenibile dei paesi in via di sviluppo e di un sistema internazionale basato su una cooperazione multilaterale rafforzata e il buon governo mondiale.

Uno dei pilastri dell’azione esterna è la politica commerciale, comune fin dalle origini, che è andata nel tempo ampliandosi notevolmente. Essa include modifiche tariffarie, la conclusione di accordi tariffari e commerciali, l’uniformazione delle misure di liberalizzazione, la politica di esportazione e le misure di difesa commerciale e, con il Trattato di Lisbona, è stata estesa agli aspetti commerciali della proprietà intellettuale e agli investimenti diretti esteri. Con l’espansione del commercio internazionale la politica commerciale comune ha assunto un’importanza sempre maggiore: l’Eu a 27, infatti, conta oggi per il 19% delle importazioni ed esportazioni mondiali. Tramite essa l’Eu ha concluso accordi commerciali bilaterali con numerosissimi paesi e altre zone di integrazione regionale e ha una voce unica all’interno dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto), il principale foro internazionale sui negoziati commerciali.

Anche la cooperazione allo sviluppo e gli aiuti umanitari sono una componente cruciale dell’azione esterna dell’Unione. Essa mira a ridurre la povertà, con attenzione agli ‘Obiettivi di sviluppo del millennio’, nonché a promuovere i valori democratici ed è basata sul principio per cui sono i paesi in via di sviluppo i principali responsabili del loro sviluppo, attraverso strategie da essi elaborati. Attualmente, oltre la metà dei soldi spesi per aiutare i paesi poveri proviene dall’Eu e dai suoi stati membri, facendo dell’Unione il maggiore donatore a livello mondiale. L’Eu ha stabilito di aumentare gli aiuti ufficiali allo sviluppo allo 0,56% del pil (con l’obiettivo di arrivare allo 0,7% proposto dalle Nazioni Unite) e invia ulteriori aiuti al continente africano, in particolare agli stati fragili. Tramite la cooperazione allo sviluppo l’Eu è dunque presente in tutto il mondo.

Più difficile è stato lo sviluppo di una cooperazione su materie prettamente politiche, sebbene fondamentale per rendere efficace e consolidare l’avanzata integrazione economica. Già negli anni Settanta i membri dell’allora Comunità economica europea avevano avviato una forma di cooperazione in materia politica. Una politica estera e di sicurezza comune è poi stata introdotta formalmente con il Trattato di Maastricht nel 1992. La politica estera e di sicurezza comune è però soggetta a norme e procedure specifiche: essa risponde a un meccanismo più intergovernativo che comunitario, in quanto è generalmente definita e attuata dal Consiglio europeo e dal Consiglio all’unanimità, l’adozione di atti legislativi è esclusa e la Corte di giustizia non ha giurisdizione in materia. Nel Trattato di Lisbona la politica estera e di sicurezza è stata rafforzata, anche con la creazione dell’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza.

La politica estera e di sicurezza comprende infine la politica di sicurezza e difesa, nell’ambito della quale il Consiglio europeo di Bruxelles del 2003 ha adottato la ‘Strategia europea in materia di sicurezza’ e l’Eu svolge missioni civili e militari in tutto il mondo.

Metodo comunitario e intergovernativo

Il metodo comunitario poggia su una logica di integrazione ed è caratterizzato essenzialmente dai seguenti elementi: monopolio del diritto d’iniziativa della Commissione, ricorso generalizzato al voto a maggioranza qualificata in sede di Consiglio, ruolo attivo del Parlamento europeo, uniformità di interpretazione del diritto comunitario garantita dalla Corte di giustizia. Il metodo intergovernativo attribuisce maggior importanza agli stati membri e ha le seguenti caratteristiche: la Commissione condivide il diritto d’iniziativa con gli stati membri, il Consiglio delibera all’unanimità, il Parlamento europeo è informato e consultato, la Corte di giustizia europea ha un ruolo minore.

Cittadini per politica estera e di sicurezza comune

Bilancio

Già nel 1970 è stato introdotto il sistema delle risorse proprie, in base al quale il bilancio non sarebbe stato finanziato mediante contributi versati da ciascuno stato membro, come generalmente avviene per le organizzazioni internazionali, ma attraverso risorse finanziarie autonome, soggette al controllo di un organo democratico.

Oggi il bilancio europeo è basato per il 99% su risorse proprie e per l’1% su altre risorse. Le risorse proprie derivano prevalentemente da dazi doganali sulle importazioni e imposte sullo zucchero, da una percentuale calcolata sulla base dell’imposta sul valore aggiunto (iva) armonizzata di ogni membro Eu e da una percentuale del prodotto nazionale lordo di ogni membro. Le altre risorse derivano prevalentemente dalle imposte sui salari dei dipendenti dell’Eu, sui contributi di alcuni paesi non membri Eu nell’ambito di alcuni programmi e sulle sanzioni alle imprese dovute alla violazione della normativa in materia di concorrenza.

L’approvazione del bilancio è decisa dal Parlamento e dal Consiglio. Uno dei principi fondamentali è che la spesa deve corrispondere a un’entrata e nella prassi vi è un surplus che viene usato per ridurre il contributo dei membri sul bilancio per l’anno successivo.

Bilancio preventivo 2007-2013

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