ESPORTAZIONE e IMPORTAZIONE

Enciclopedia Italiana (1932)

ESPORTAZIONE e IMPORTAZIONE

Anna Maria Ratti

L'esportazione e l'importazione dal punto di vista individuale di chi vende o compera all'estero sono atti giuridicamente ed economicamente distinti. Dal punto di vista nazionale il complesso delle esportazioni si deve considerare invece come la contropartita delle importazioni, ché un paese non può certo ottenere da altri quello di cui abbisogna senza dare qualcosa in cambio, o contemporaneamente o in tempi successivi. Esportazione e importazione sono quindi i termini correlativi con cui s'indicano i due elementi degli scambî internazionali e, più comunemente, dei soli scambî di merce. I movimenti di entrata e di uscita delle merci sono quelli infatti che prima s'impongono a chi osservi le relazioni economiche tra gli stati, sia perché tra i primi a sorgere in ordine di tempo, sia perché più facilmente rilevabili e oggetto quindi di particolari statistiche quasi in ogni paese del mondo. Non bisogna dimenticare però la crescente importanza delle esportazioni e importazioni cosiddette invisibili, che sfuggono cioè a regolari rilevazioni e sono valutate solo di tempo in tempo e con calcoli approssimativi. Sempre maggior rilievo vanno acquistando infatti, nel saldo dei conti tra gli stati, gl'introiti e gli esiti relativi al trasporto delle merci, sia per mare sia per terra, alla circolazione delle navi da guerra e mercantili, alla circolazione dei viaggiatori, ai movimenti migratorî e ai movimenti di capitali, per conto tanto dei privati quanto degli stati; introiti ed esiti corrispondenti ad esportazioni e importazioni di servizî e di titoli che contribuiscono a pagare le merci importate o si ricevono in cambio di quelle esportate.

In senso lato, quindi, i termini esportazione e importazione si riferiscono ai movimenti internazionali di merci, titoli e servizî, e in senso più ristretto, ma più comunemente usato, all'entrata e uscita delle sole merci dal territorio di uno stato. Dato inoltre che nella massa globale delle merci che escono ed entrano dalle frontiere di uno stato (commercio generale) si sogliono distinguere quelle che nello stato stesso sono state prodotte o devono essere consumate (commercio speciale) da quelle che transitano per il suo territorio, provenendo da altri stati e ad altri essendo dirette (commercio di transito) e da quelle, infine, che escono ed entrano provvisoriamente per subire un processo di trasformazione ed essere quindi reimportate o riesportate (esportazioni e importazioni temporanee), è naturale che i termini esportazione e importazione abbiano, anche nella più ristretta accezione, significati diversi a seconda delle correnti commerciali che si vogliono considerare.

Per esportazione generale s'intende quindi l'insieme delle merci di qualsiasi origine che passano la frontiera di uno stato dirette a stati esteri, sia definitivamente sia temporaneamente, e per importazione generale l'insieme delle merci di qualsiasi origine che entrano in uno stato, sia per essere consumate, sia per essere trasformate e riesportate, sia in transito. L'esportazione speciale comprende le sole merci di origine nazionale che escono definitivamente dai confini dello stato e l'importazione speciale le sole merci di origine estera immesse nello stato e destinate a essere in esso consumate. Soprattutto in questo senso i due termini sono usualmente intesi. È da notare però che la distinzione tra commercio speciale e di transito non è netta poiché, per evitare l'intralcio di formalità doganali, i commercianti preferiscono dichiarare come immesse in consumo merci che in realtà sono destinate alla riesportazione e riesportarle poi come merci nazionali, a meno che le merci stesse non siano soggette a dazio d'importazione o d'esportazione (quanto più numerosi sono i prodotti colpiti da dazî doganali, tanto meno la suddetta confusione può verificarsi, come appunto è avvenuto nel dopoguerra). Ed è da notare che in alcuni paesi le statistiche non rilevano separatamente le importazioni ed esportazioni temporanee o, anche facendolo, le comprendono poi nelle cifre del commercio speciale. Ne deriva quindi, in molti casi, incertezza sull'estensione del significato dei due termini, anche se riferiti al solo commercio speciale, ed è questa anzi una delle cause che concorrono ad ostacolare la perfetta comparabilità delle cifre del commercio internazionale elaborate dai singoli paesi (v. commercio). È tuttavia solo dall'analisi del commercio speciale, nei limiti, s'intende, dell'attendibilità e della comparabilità delle statistiche, che si possono trarre elementi per valutare la situazione di un paese nei riguardi della produzione interna e del suo fabbisogno e dei suoi rapporti commermerciali con l'estero (mentre le cifre del commercio generale non significano che il traffico complessivo di frontiera), ed è sempre al commercio speciale che ci si riferisce quando si parla di esportazioni e d'importazioni senza contraddistinguerle con particolari indicazioni.

Per quel che riguarda l'ammontare, la composizione e la direzione delle correnti commerciali, si vedano gli articoli dedicati ai singoli paesi, e per la partecipazione dei paesi stessi all'esportazione e all'importazione dei principali prodotti, gli articoli che ai prodotti stessi si riferiscono.

Complesso è il meccanismo per cui le esportazioni e le importazioni si effettuano, poiché la lontananza dei mercati di origine e di sbocco rende necessaria l'azione d'intermediarî che alla conoscenza dei mercati stessi e della solvibilità delle clientele uniscano la possibilità di finanziare le operazioni, permettendo al venditore di realizzare immediatamente le spese sopportate per la produzione e concedendo, d'altra parte, un pagamento dilazionato al compratore (v. commercio). La rapidità e maggior sicurezza dei trasporti e la fitta rete assicurativa, da un lato, la perfezionata tecnica bancaria, dall'altro, sono i fattori che hanno permesso lo sviluppo del commercio d'esportazione e d'importazione ma ne hanno fatto nello stesso tempo un organismo complicato e sensibilissimo, intimamente connesso alla vita degli stati. È per questo che l'attività degli esportatori e importatori, oltre a essere minuziosamente regolata da un punto di vista puramente commerciale, è anche soggetta a una congerie di norme che ne facilitano o ne ostacolano l'esplicazione in armonia con interessi nazionali, d'indole economica e politica. Le tariffe doganali e i trattati di commercio sono i più efficaci strumenti di cui fanno uso i governi per ostacolare l'afflusso delle merci estere superflue o concorrenti, e l'uscita di materie prime necessarie, e per facilitare d'altra parte il collocamento dei prodotti nazionali e l'importazione dei generi necessarî al consumo o alla produzione (v. dazio e dogana; trattato: Trattati di commercio). Molti altri provvedimenti fiancheggiano le direttive generali, sostenendo i produttori contro la concorrenza straniera, indirizzando e incoraggiando le esportazioni con premî, esenzioni fiscali e concorsi di varia natura.

Particolare importanza ha in questo campo l'istituto dell'importazione temporanea, per cui si ammette l'entrata in franchigia nel territorio doganale di uno stato di materie prime e semilavorate, con l'espressa condizione che siano riesportate entro un termine stabilito dopo di aver subito un determinato processo di lavorazione. Tutti i paesi che hanno già raggiunto o tendono a raggiungere un notevole progresso industriale profittano largamente di questo istituto, come di quello che permette alle industrie nazionali di acquistare le materie prime da incorporare e trasformare in prodotti esportabili alle stesse condizioni dei paesi che tali materie possiedono, con la sola aggiunta delle spese di trasporti. Né si può dire che tali facilitazioni all'industria contraddicano ai criterî di giustizia fiscale, poiché il titolo che lo stato ha alla percezione del dazio, la presunzione cioè che le merci introdotte siano destinate al consumo interno, è annullato dallo scopo precario dell'importazione. Minore estensione ha invece l'istituto analogo, ma di ben diversa portata economica, della esportazione temporanea, che suscita ben più gravi opposizioni da parte delle industrie similari nazionali. Solo in pochi casi, infatti, le esportazioni temporanee sono giustificate, almeno provvisoriamente, da una necessità dell'industria, non ancora in grado di perfezionare il prodotto semilavorato per immetterlo in consumo, e in ogni modo poi il vantaggio è goduto dall'industria straniera. Il regime delle importazioni ed esportazioni temporanee non è tuttavia frutto della concessione unilaterale di uno stato, ma rappresenta per lo più un compromesso con altri stati e qualche ammissione alla temporanea esportazione può quindi essere concessa nei trattati di commercio per averne in compenso il nulla-osta a importazioni temporanee di particolare interesse. L'esportazione temporanea è poi come l'importazione soggetta a rigorose formalità doganali, intese a evitare frodi e abusi, e per essa più che mai s'impone l'esigenza dell'identità (tra prodotto finito reimportato e prodotto semilavorato esportato), che nelle temporanee importazioni cede qualche volta il campo al criterio dell'equivalenza.

Analogo come finalità a quello della temporanea importazione è l'istituto del drawback, il quale consiste nella restituzione, all'atto dell'esportazione, del dazio pagato sulle materie prime impiegate nella lavorazione del prodotto (per le quali non sia ammessa l'importazione temporanea) e nella restituzione o nell'abbuono delle imposte di fabbricazione e altri tributi pagati all'interno per le merci che risultano destinate all'esportazione. Il drawback non è soggetto a limiti di tempo e di destinazione come l'importazione temporanea e occorre solo che l'esportatore provi, all'atto dell'esportazione del prodotto, l'origine straniera delle materie prime in esso incorporate o, nel secondo caso, dia garanzia che la merce esentata dall'imposta di fabbricazione non venga immessa in consumo all'interno. I vantaggi del drawback sono tuttavia ritenuti inferiori a quelli ritraibili dall'ammissione all'importazione temporanea, nonostante i controlli e le cautele doganali che a quest'ultima sono inerenti, e ad esso quindi sempre meno si ricorre. Il drawbach, infatti, obbliga le industrie a immobilizzare capitali con relativa perdita d'interessi e conserva il carattere di pura restituzione solo quando si applica a materie prime di esclusiva fabbricazione estera e quando concerne imposte di fabbricazione o di monopolio, ma non si adatterebbe a tutte le materie prime importate che si producono anche all'interno, senza correre rischio di tramutarsi in un premio all'esportazione.

L'Italia ereditò dal Piemonte, insieme con tutto il complesso della politica commerciale, anche il regime delle importazioni temporanee; i presupposti anzi su cui si basava la concessione contemplata nella tariffa piemontese del 1859 si possono dire ancora fondamentalmente gli stessi: mancanza all'interno o scarsità delle materie prime occorrenti all'industria nazionale esportatrice e abbondanza e bontà di mano d'opera atte a compensare tale deficienza. Da allora in poi l'agevolazione fu estesa perciò gradatamente a un numero sempre maggiore di merci e l'estensione divenne rapida dopo la guerra mondiale, quando da un lato si verificarono vaste disponibilità di mano d'opera, per la crescente disoccupazione e per la chiusura di numerosi sbocchi all'emigrazione e dall'altro, si senti più viva la necessità di sorreggere l'industria nazionale e di dare impulso ai traffici con l'estero.

Il valore delle merci importate temporaneamente e dei prodotti riesportati è andato regolarmente e continuamente crescendo non solo in armonia con l'aumento di valore verificatosi nel commercio estero dell'Italia, ma anche in via assoluta; le importazioni temporanee che costituiscono oggi 1/21 del valore complessivo delle importazioni non raggiungevano che 1/38 nel 1913 e così pure le riesportazioni a scarico sono passate da 1/16 nel 1913 a 1/10 del valore delle esportazioni, come risulta dalla seguente tabella (in milioni di lire):

Le nuove concessioni che si sono venute man mano aggiungendo a quelle stabilite dalla legge fondamentale del 1913, tenuto conto, s'intende, anche dell'interesse della produzione interna di materie prime e semilavorati similari a quelli introdotti temporaneamente in franchigia, riguardano specialmente i prodotti della quarta sezione economica della tariffa (minerali metallici, metalli comuni, ecc.), che più d'ogni altro mancano in Italia e sono d'altra parte ricercati per la fabbricazione, si può dire, di qualsiasi manufatto. Se ne avvantaggiarono dunque soprattutto la metallurgia e la meccanica in genere, e particolarmente considerate furono l'industria dell'automobile, dei materiali elettrici e delle costruzioni navali. Numerose le ammissioni stabilite per varî rami dell'industria chimica, e tra questi per la seta artificiale, per le industrie tessili e in minor proporzione per quelle della carta, del vetro, delle pelli. Notevoli i vantaggi che molte industrie alimentari trassero dalla più larga applicazione di quest'istituto, specie quelle del vermut e dei liquori, della birra, della cioccolata e gli stabilimenti impiantati per la lavorazione dell'orzo e del riso e per la raffinazione dello zucchero.

In complesso dunque, si è voluto favorire con una serie ininterrotta di nuove ammissioni all'importazione temporanea tutto l'organismo industriale del paese, ma specialmente alla grande industria può derivarne la massima utilità, poiché è la grande industria che allarga la sua attività oltre la cerchia del mercato nazionale, e, traendo nuovo alimento dall'estensione degli sbocchi, rinforza la sua prevalenza anche sul mercato interno. Qualche vantaggio ne è venuto però indirettamente anche all'agricoltura, sia nel caso d' industrie che elaborano prodotti agrarî con l'aggiunta di merci provenienti dall'estero, vale a dire di gran parte delle industrie alimentari favorite; sia ancora per le agevolazioni concesse allo sviluppo d'industrie che destinano i loro prodotti all'agricoltura, come quelle delle macchine agricole e dei concimi chimici.

Assai scarse modificazioni furono apportate invece alle disposizioni che regolano l'istituto della temporanea esportazione, limitate alle industrie dei guanti, delle pelli, della maglieria e a poche altre; e solo a 26 e 20 milioni rispettivamente nel 1928 e 1930 ammonta il valore complessivo delle merci esportate temporaneamente e a 22 e 16 quello delle merci reimportate negli stessi anni, mentre già nel 1913 le esportazioni temporanee raggiungevano 21 e le reimportazioni superavano i 33 milioni. L'istituto, che del resto ha avuto sempre scarsa importanza, non ha subito quindi alcuno sviluppo, ma presenta invece una diminuzione di fronte all'anteguerra, sia in via assoluta sia in via relativa.

Ben poco fu pure innovato nel campo dei drawbacks, anzi, in alcuni casi, ai drawbacks precedentemente accordati furono sostituite ammissioni alla temporanea importazione. Le più importanti restituzioni di diritti di confine in vigore sono quelle concesse alle merci alla cui produzione concorrono il cotone greggio, gli olî minerali, il sale, lo zucchero, il glucosio e lo spirito: tutti i prodotti colpiti attualmente all'interno da imposta di fabbricazione sono inoltre ammessi all'abbuono o alla restituzione, qualora vengano esportati.

Tra gli ostacoli frapposti all'entrata e all'uscita di determinate merci, particolare rilievo meritano i divieti all'importazione e all'esportazione, sia totali sia parziali. Comuni a tutti i paesi e a tutti i tempi sono i divieti per ragioni sanitarie. Maggior importanza hanno però i divieti di carattere economico, cui gli stati ricorrono quando gli alti dazî e il rigore delle formalità doganali non siano sufficiente barriera all'importazione di prodotti non desiderabili e all'esportazione di merci utilizzabili con vantaggio nel mercato interno. Non è certo questo un istituto di origine recente, ché ai divieti all'entrata e soprattutto all'uscita delle merci ricorsero quasi sempre i governi in periodi di guerra e di carestia, specie per riserbare al consumo interno le derrate alimentari e in primo luogo i cereali. Larga applicazione ebbero pure i divieti e le restrizioni in genere nell'epoca in cui prevalsero le teorie mercantiliste: divieti riguardanti anzitutto le importazioni e ispirati all'esagerato timore delle conseguenze economiche d'una bilancia commerciale in deficit.

Col diffondersi del liberismo economico anche i divieti, come tutti gli altri freni e ostacoli al commercio, andarono però diradando e sui primi del Novecento erano ormai ridotti a ben poca cosa, quando la guerra mondiale intervenne con tutte le sue esigenze d'ordine economico e militare. Si chiusero automaticamente i mercati ai rapporti con gli stati nemici e anche nei riguardi dei paesi alleati o neutrali le importazioni e le esportazioni dei paesi belligeranti furono assoggettate a un rigoroso controllo e fu contratta al massimo l'uscita delle materie prime necessarie alla produzione e dei generi alimentari di prima necessità e l'entrata dei prodotti ritenuti superflui. A lor volta poi gli stessi paesi neutrali, sia per la chiusura di molti mercati, sia per la generale instabilità della situazione, ricorsero all'adozione di analoghi provvedimenti. Né col cessare delle ostilità venne immediatamente meno tale regime vincolistico: ad aggravare l'anormale situazione creata dalla guerra sopraggiunse anzi la svalutazione monetaria che indusse in certi casi all'elevamento dei dazî e all'istituzione di divieti d'importazione per difendersi contro il dumping esercitato dai paesi a cambio fortemente deprezzato, mentre i paesi stessi in cui la moneta aveva perduto quasi completamente il suo valore erano costretti a frenare le esportazioni per impedire il depauperamento dell'organismo nazionale. Il rifiorire del nazionalismo economico, per cui ogni paese tende alla massima autonomia tutelando le industrie indispensabili in caso d'isolamento forzato e specialmente quelle legate alla difesa nazionale, accentuò poi la politica restrittiva, rallentando il ritorno alla libertà dei traffici. Per il grave ostacolo che i divieti frapponevano alla ripresa del commercio internazionale, era tuttavia sempre più sentita da tutti la necessità della loro soppressione. Proposta dal governo italiano nel 1924 e preceduta da lunghi studî preparatorî, ebbe finalmente luogo a Ginevra, nell'ottobre 1927, una conferenza diplomatica sulle proibizioni e restrizioni all'importazione e all'esportazione. Ne derivò la convenzione plurilaterale dell'8 novembre 1927, in cui si consacrò il principio della soppressione di ogni divieto a scopo di protezione economica, e se ne consentì, nello stesso tempo, la graduale applicazione, poiché nessuno degli stati firmatarî si sentiva in grado di rinunziare immediatamente e completamente a un mezzo di protezione del mercato interno per anni largamente usato e di pronta efficacia. Nei due anni successivi, precedenti l'entrata in vigore della convenzione (1° gennaio 1930), furono sottoposte poi all'esame di esperti numerose questioni particolari, nella speranza di arrivare a convenzioni plurilaterali del tipo che la conferenza aveva raccomandato, e si trattarono questioni relative all'importazione e all'esportazione delle pelli e delle ossa, del cemento, dello zucchero, del carbone, ma solo sulla prima fu possibile giungere a un accordo (29 agosto e 11 settembre 1929).

Non si deve dimenticare inoltre che 11 degli stati che avevano firmato la convenzione del novembre 1927 avevano subordinato l'entrata in vigore della convenzione stessa alla ratifica da parte di uno o due altri stati, riserbandosi di riprendere intera la loro libertà di agire in materia a partire dal 1° luglio 1930, qualora la ratifica suddetta non fosse intervenuta prima del 31 maggio dello stesso anno. Essendo venuta a mancare una delle due ratifiche necessarie per assicurare la validità definitiva della convenzione, la questione può dirsi tuttora aperta e, nonostante che il numero e l'importanza dei divieti siano molto diminuiti in questi ultimi anni, l'odierna situazione è sempre assai incerta e preoccupante.

Anche in Italia la guerra aveva dato nuovo impulso ai divieti d'importazione e di esportazione. Ben presto però con disposizioni autonome o in conseguenza di trattati di commercio, i divieti d'importazione furono quasi interamente soppressi e i pochi ancora nominalmente in vigore e destinati alla difesa di tipiche produzioni nazionali (uva, vini e liquori, zolfo, energia elettrica) o alla protezione di alcune industrie (dell'automobile, dei prodotti esplodenti, della profumeria, della tessitura e del ricamo, dei giocattoli, dei cappelli, della lavorazione del legno, del vetro, della carta, ecc.) risultano in realtà neutralizzati dalle numerose deroghe generali e per contingenti.

Limitati a pochissimi prodotti sono pure ormai i divieti all'esportazione, che hanno tuttavia più larga portata economica di quelli all'importazione, integrando gli scarsi dazî di uscita nel riservare all'Italia le sue poche materie prime. I più notevoli tra questi sono i divieti per i rottami metallici (a evitare che la concorrenza degl'incettatori stranieri provochi un rialzo di prezzo che gravemente danneggerebbe gl'industriali italiani), per gli stracci (a vantaggio dell'industria della carta), per il frumento (a tutela dell'industria della molitura), per i tabacchi (a difesa delle manifatture interne), per le pelli grezze (a favore dell'industria della concia e delle pelli in generale). Anche questi divieti vengono poi in parte neutralizzati da deroghe per contingenti, tutte le volte che la situazione interna del mercato lo permetta o possa trarne vantaggio.

L'Italia ha potuto quindi partecipare con atteggiamento di avanguardia ai lavori della conferenza per l'abolizione dei divieti in cui si proclamò appunto la necessità che la sua politica fosse da altri seguita in modo da assicurare quella reciprocità di regime ritenuta indispensabile. Il fatto tuttavia che gli altri stati firmatarî avevano richiesto e ottenuto di tenere ancora in vita, temporaneamente, un certo numero di divieti espressamente indicati, indusse anche il governo italiano ad apportare qualche restrizione all'impegno di abolire i divieti; restrizioni peraltro che non turbano l'interesse di altri paesi poiché riguardano i divieti di esportazione per prodotti che l'Italia non è in grado d'inviare largamente all'estero, non possedendone neanche quantità sufficienti per il proprio consumo (minerali di ferro, rottami metallici).

Bibl.: Per la parte teorica v. le bibl. delle voci bilancia; commercio; dazio e dogana; dumping; trattato di commercio, ecc. Per i dati circa le esportazioni e importazioni temporanee, i drawbacks e i divieti si consultino le statistiche ufficiali dei singoli paesi e della Società delle Nazioni. Per l'esportazione degli oggetti d'arte, v. arte, IV, p. 663.

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