ESOBIOLOGIA

Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1978)

ESOBIOLOGIA

Giuseppe Montalenti

. Termine (ingl. Exobiology) introdotto da J. Lederberg nella riunione del COSPAR (Commettee on Space Research) tenutasi a Nizza nel 1957, per denominare il ramo della biologia che indaga sulle possibilità di vita extra-terrestre. Può indicare sia la ricerca di forme viventi che eventualmente esistano al di fuori della terra, sia lo studio della fisiologia dell'uomo o di altri organismi portati nello spazio interplanetario, o approdati sul satellite luna, oppure su altri pianeti. La prima è l'accezione più comune. Poiché per riconoscere la presenza delle condizioni necessarie alla vita è assai utile la conoscenza dei primi stadi dell'evoluzione biologica sulla terra, le indagini su questo argomento vengono talvolta considerate come parte dell'e. (v. vita, origine della, in questa App.).

L'ipotesi che organismi viventi esistano anche su altri pianeti del nostro sistema solare, o su pianeti di altri sistemi della nostra o di altre galassie, è stata formulata fin da tempi antichi: basti ricordare che ne parla già Lucrezio nel De rerum natura. L'argomento è stato poi ripreso in varie opere, dal Rinascimento in poi, e in particolare negli Entretiens sur la pluralité des mondes di B. de Fontenelle (1686). In epoca moderna la teoria della panspermia per spiegare l'origine della vita sulla terra fu sostenuta fra gli altri da H. Helmholtz, W. Thomson (lord Kelvin) e soprattutto da S. Arrhenius, il quale la espose in un libro di divulgazione che, tradotto in parecchie lingue, ebbe molto successo: Valdarnus ut veckling (Il divenire dei mondi, 1906). Secondo questo autore, la vita esisterebbe in molti corpi celesti e si trasmetterebbe dall'uno all'altro per mezzo di germi (spore) di microrganismi, che sfuggendo alla forza di gravità, navigherebbero negli spazi interplanetari e intersiderali e raggiungerebbero altri pianeti. Su quelli ove trovano condizioni adatte si svilupperebbero dando origine ai primi organismi, dai quali avrebbe inizio l'evoluzione. Tale sarebbe stata l'origine della vita sulla terra. La teoria di Arrhenius non è oggi ritenuta valida, perché le condizioni fisiche che si verificano negli spazi interplanetari (vuoto pressoché assoluto, intense radiazioni ionizzanti) non sono tali da consentire la conservazione di alcuna forma di vita a noi nota, anche quiescente come le spore dei batteri.

Una possibilità che era stata anche considerata è che la vita sia giunta sulla terra con le meteoriti. La ricerca di tracce di vita su questi corpi celesti caduti sulla terra è stata riproposta con le osservazioni di B. Nagy e G. Claus (1961) che trovarono in alcune meteoriti composti carboniosi in parte simili a sostanze organiche di origine biogena. Essi descrissero anche strutture che interpretarono come originate da attività vitale, ancorché non fossero simili ad alcuna struttura organizzata prodotta da organismi terrestri. Le osservazioni e le conclusioni di Nagy e Claus sono state vivacemente contraddette da altri autori, i quali hanno ritenuto che tali reperti siano dovuti a contaminazione da parte di organismi terrestri, oppure che si tratti di composti chimici di origine non biologica. La questione è tuttora aperta: non si hanno dati sicuramente interpretabili come prove dell'esistenza di forme viventi sui pianeti dalla cui frammentazione sono probabilmente derivate le meteoriti. Un argomento che è stato ritenuto decisamente contrario all'ipotesi che questi corpi abbiano potuto trasportare germi di vita sulla terra è il fatto che, durante il loro percorso nell'atmosfera, le meteoriti si riscaldano per attrito, raggiungendo temperature elevatissime, incompatibili con la vita. Tuttavia, le meteoriti che contengono acqua e composti organici devono avere subito le alte temperature soltanto sulla crosta esterna, e non all'interno (B. Nagy, 1968).

L'esplorazione diretta della luna e di alcuni pianeti del nostro sistema solare è una delle più spettacolari realizzazioni della scienza e della tecnica moderna da cui è lecito attendersi una risposta definitiva al quesito se la vita esista su altri pianeti. La ricerca di forme di vita passata o presente sulla luna ha dato risultati negativi, com'era previsto, data l'assenza di atmosfera e l'assoluta mancanza di acqua sul satellite della terra.

L'esplorazione su Marte per mezzo dell'astronave Viking ha dato finora risultati ambigui, come risulta dal rapporto preliminare pubblicato da H. P. Klein e altri il 1° ottobre 1976. Sono stati eseguiti tre tipi di esperimenti comandati da terra: assimilazione di biossido e di ossido di carbonio marcato con 14C da parte del terreno marziano in presenza di luce; scambio gassoso in terreno marziano inumidito con una soluzione acquosa di vari metaboliti; prove di metabolismo nel terreno marziano inumidito con una soluzione contenente parecchi composti organici marcati con 14C. In tutti tre i casi si è registrato qualche dato positivo, ma non tale da poter decidere se sia dovuto ad attività biologica o a semplice attività chimica.

Per quanto riguarda gli altri pianeti interni rispetto alla terra, Venere e Mercurio, i dati che si hanno sulle condizioni di temperatura e di composizione dell'atmosfera fanno ritenere molto improbabile l'esistenza della vita. L'atmosfera di Giove, in cui sono presenti ammoniaca, metano, idrogeno e probabilmente vapore acqueo, ha una composizione simile a quella che si ritiene avesse l'atmosfera terrestre primitiva, quando probabilmente comparvero le prime forme viventi. Si ritiene quindi possibile che su Giove vi siano, o che si sviluppino in futuro, organismi viventi; ma si tratta di un'ipotesi che per ora non è suffragata da alcun dato positivo (C. Sagan, 1964). Lo stesso si può dire per Saturno. Sui satelliti di Giove e Saturno, e sui pianeti più esterni si sa troppo poco per poter formulare ipotesi. Anche meno, naturalmente, si conosce sugli altri sistemi solari della nostra o di altre galassie.

Dato l'enorme numero di sistemi stellari esistenti nell'universo (valutabile in centinaia di miliardi) alcuni autori ritengono, in base a considerazioni probabilistiche, che su alcuni pianeti debbano essersi realizzate condizioni simili a quelle della terra, e che pertanto su di essi si sia sviluppata una vita analoga alla terrestre. Taluni pensano anche che si siano raggiunti stadi di civiltà simili a quella umana (cfr. I. S. Shklovskii e C. Sagan, 1966). Si suppone anche che sia possibile una comunicazione interstellare (cfr. A. G. W. Cameron, 1965; G. M. Tovmaysan, 1965; S. A. Kaplan, 1969). Si tratta, per ora, di congetture che hanno una assai tenue base scientifica.

Da un punto di vista generale, si possono stabilire alcuni criteri validi per la ricerca dell'esistenza della vita fuori della terra. Se gli esseri viventi hanno le stesse caratteristiche di quelli terrestri devono essere soddisfatte (secondo H. Shapley, 1953) le seguenti condizioni: presenza dell'acqua allo stato liquido; periodo di rotazione del pianeta tale che le notti non siano eccessivamente fredde e i giorni troppo caldi; l'eccentricità dell'orbita dev'essere bassa, per evitare eccessive differenze d'insolazione quando il pianeta si sposta dal perielio all'afelio e viceversa; il contenuto dell'aria, dell'oceano e della superficie del pianeta non dev'essere contaminato da sostanze incompatibili con le operazioni biologiche; la stella (sole) dev'essere abbastanza stabile, e non soggetta a esplosioni catastrofiche come le novae. Tutto ciò vale nell'ipotesi che gli organismi viventi su altri pianeti abbiano la stessa composizione chimica e le stesse proprietà biologiche di quelli terrestri. Ma non si può escludere che su altri pianeti la vita si sia realizzata con elementi chimici diversi da quelli che costituiscono gli organismi terrestri, e in tal caso queste previsioni possono essere fallaci.

Bibl.: La bibliografia essenziale si trova in Exobiology (a cura di C. Ponnamperuma), Amsterdam 1972. Vedasi inoltre: H. C. Urey, The planets: their origin and devolopment, New Haven 1952 (trad. it. Origine ed evoluzione dei pianeti, Milano 1961); H. Shapley, On climate and life, in Climatic changes (a cura di H. Shapley), Cambridge 1953, pp. 1-12: G. Claus, B. Nagy, A microbiological examination of some carbonaceous chondrites, in Nature, vol. 192 (1961), pp. 594-96; B. Nagy, W. C. Meinschein, D. J. Hennessy, Mass spectrometric analysis of the Orgueil meteorite. Evidence for biogenic hydrocarbons, in Ann. N. Y. Acad. Sci., 93 (1961), pp. 25-35; G. Mamikunian, M. H. Briggs, A catalog of microstructures observed in carbonaceous chondrites, Jet. Prop. Lab. Pasadena NASA Techn. Rep., pp. 32-398 (1963); Life sciences and space research (a cura di M. Florkin e A. Dollfuss), Amsterdam 1964; Interstellar communication (a cura di A. G. W. Cameron), New York 1965; Current aspects of exobiology (a cura di G. Mamikunian, M. H. Briggs), Londra 1966; Biology and the exploration of Mars (a cura di C. S. Pittendrigh, W. Vishniac, e J. P. T. Pearman), Nat. Acad. Sci. (Wasghinton), Publ. 1296, 1966; I. S. Shklovskii, C. Sagan, Intelligent life in the Universe, San Francisco 1966; J. D. Bernal, The origin of life, Londra 1967; Extraterrestrial civilization (a cura di G. M. Tovmasyan), Accademia delle Scienze Armena, Erevan 1965 (trad. ingl., Gerusalemme 1967); B. Nagy, Carbonaceous meteorites, in Endeavour, 27 (1968), pp. 81-6; M. Calvin, Chemical evolution, Oxford 1969; M. Ageno, L'origine della vita sulla terra, Bologna 1971; M. G. Rutten, The origin of life by natural causes, Amsterdam 1971; H. P. Klein e altri, The Viking biological investigation: preliminary results, in Science, vol. 194 (1976), pp. 99-105; H. H. Horowitz e altri, The Viking carbon assimilation experiments: preliminary results, ibid., pp. 1321-22; G. V. Levin e altri, Viking labeled release biology experiments: interim results, ibid., pp. 1322-28.

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