ESCA

Enciclopedia Italiana (1932)

ESCA (lat. esca; fr. appât; sp. cebo; ted. Köder, Lockspeise; ingl. bait)

Raffaele ISSEL
Giovanni Battista TRAVERSO

Sotto questo nome generico si comprendono organismi vivi o morti, sostanze ed oggetti di varia natura che l'uomo adopera per attirare animali e catturarli. Campo classico per lo sfruttamento delle esche è la pesca. Talvolta il pescatore sparge l'esca nell'acqua per attirare i pesci nella zona ove viene tesa l'insidia: più spesso l'esca serve come mezzo diretto di cattura e allora viene attaccata all'amo, mascherandone in varia guisa la punta, su cui rimane infisso il pesce quando abbocca. Ottime esche viventi sono i lombrichi e varie larve d'insetti nella pesca alla lenza in acqua dolce; anellidi marini come le Hermella (vermello) in quella marina. Con pesci morti s'innescano gli ami per la cattura di taluni pesci più grandi. Oggi ha raggiunto grande perfezione la tecnica della pesca, soprattutto d'acqua dolce, mediante esche artificiali mobili che simulano mosche e altri insetti, o pesci. Tali esche si confezionano con piume, caucciù, metallo splendente, ecc.

Lo stesso vocabolo (fr. amadou; sp. mecha; ted. Zunder; ingl. tinder) serve genericamente a indicare una sostanza, per lo più di origine vegetale, preparata in modo da bruciare assai lentamente e conservare il fuoco. Diverse piante vengono adoperate a tale scupo nei diversi paesi, utilizzandone soprattutto le foglie e i cauli coperti di lunghi peli; cosi a es. l'esca del Panamá si ottiene dal rivestimento peloso dalle foglie di Melastoma hirta. Ma comunemente l'esca si prepara utilizzando la trama miceliare dei ricettacoli di alcuni funghi del genere Fomes, e particolarmente del F. fomentarius, che cresce specialmente sul tronco dei faggi, e del F. igniarius, parassita dei salici, pruni, ecc., il quale ha però valore molto minore del precedente, perché più duro. Tali ricettacoli, di consistenza semilegnoosa, vengono prima puliti, levandone la parte esterna più dura e l'imenoforo tubuloso e conservandone la parte interna, fibroso-spugnosa; questa si taglia a fette che si rammolliscono facendole macerare in acqua e poi si battono sopra un legno con un martello, sfregandole ogni tanto fra le mani per far cadere le particelle legnose. Ripetendo alcune volte quest'operazione, si ottiene da ogni fetta una lamina feltrosa, molle, che si fa seccare, e si ha così l'egarico dei chirurghi delle antiche farmacopee (fungus chirurgorum) che fu usato come emostatico. Per ottenere l'esca bisogna ancora farlo bollire o macerare ripetutamente in una soluzione di nitrato o di clorato di potassio, lasciarlo seccare, batterlo di nuovo e infine conservarlo in luogo bene asciutto. Invece d'immergerlo nella soluzione di nitrato o clorato di potassio, si può sfregarlo con polvere pirica (v. micce). Il vocabolo esca serve anche a indicare il legno degli alberi trasformato in una massa spugnosa da alcuni funghi appartenenti per lo più alla stessa famiglia delle Poliporacee.

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