DE MARINIS, Errico

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 38 (1990)

DE MARINIS, Errico

Pietro Laveglia

Nacque a Cava dei Tirreni (Salerno) il 12 ott. 1863 da Luigi e da Filomena Stendardo. Compì i primi studi nella città natale iscrivendosi poi ai corsi universitari a Napoli dove conseguì la laurea in giurisprudenza. Già prima di laurearsi, a 22 anni, pubblicò a Napoli nel 1885 un Saggio critico sulla causa criminosa che lo fece conoscere negli ambienti accademici, procurandogli larghi consensi.

Dotato di viva intelligenza, di tenacia e di particolare predisposizione allo studio, dimostrò subito di avere vasti interessi culturali che andavano al di là degli studi di giurisprudenza. Attratto particolarmente dalle scienze filosofiche, si diede a studiare le moderne correnti del positivismo.

Di tendenza radical mazziniana, il giovane D. cominciò presto a frequentare le associazioni, i circoli politici, le società operaie che erano sorte in tutte le regioni italiane ancora prima del 1870, ma che dopo la conclusione del lungo e travagliato processo dell'indipendenza nazionale si erano organizzate stabilmente propugnando l'affermazione e il riconoscimento di nuovi principi civili e politici. Nel 1881 nasceva a Rimini il Partito socialista rivoluzionario che si presentava come l'organizzazione più coerente e più valida dei lavoratori italiani, verso la quale il D. si sentì subito irresistibilmente attratto. Ma a Napoli, dove già nel 1867 si era costituita l'organizzazione "Libertà e Giustizia" che pubblicava un battagliero foglio settimanale con lo stesso titolo (cfr. la ristampa completa del periodico, a cura di M. Ralli, Salerno 1977), il nuovo partito stentava a svilupparsi e la lotta politica si faceva sempre più aspra. Malgrado ciò, nella città partenopea sorgevano altri gruppi e altre associazioni operaie e libertarie che il giovane D. frequentava assiduamente, partecipando ai dibattiti e rivelandosi come un intellettuale di punta nella battaglia politica. Frattanto la sua maturazione di studioso gli aprì la strada all'insegnamento universitario e nel 1893 venne nominato da Ferdinando Martini, allora ministro della Pubblica Istruzione, professore pareggiato di filosofia del diritto.

La prolusione al corso dal titolo "La filosofia positiva e le scienze sociali" fu molto elogiata, attirando su di lui l'attenzione non solo degli ambienti accademici ma anche quella dei centri culturali e politici della città. Sulle orme di R. Ardigò fu in Italia fra i primi a interessarsi agli studi di sociologia e quando nel 1898 venne istituita la prima cattedra di tale disciplina, il ministro G. Baccelli gliene affidò l'insegnamento. La prima lezione del corso, che aveva per tema "P. Stanislao Mancini e il nuovo indirizzo della scienza giuridica", ebbe molto successo. Di notevole rilievo furono anche altri corsi e seminari tenuti su vari argomenti, fra i quali fece spicco quello su "Mario Pagano e le nuove scienze sociali".

Parallelamente con la sua attività di docente universitario, il D. intensificava sempre più il suo impegno politico, collocandosi fra i più attivi e battaglieri assertori di una maggiore giustizia sociale e di un profondo rinnovamento delle istituzioni secondo le linee generali indicate dal Partito socialista. Lo schieramento al quale egli faceva capo era quello dei cosiddetti "collettivisti", espressi e rappresentati, nell'ambito del repubblicanesimo mazziniano, da alcuni gruppi molto attivi costituiti in Romagna, in Sicilia e nella città di Napoli. Nel nucleo napoletano col D. si trovavano anche M. Magliano e il giovanissimo Arturo Labriola. Quando poi venne deciso di tenere a Napoli dal 20 al 24 giugno 1889 il diciassettesimo congresso delle Società operaie affratellate, il D. fu designato a svolgere la relazione per i gruppi dei "collettivisti", mentre A. Fratti era scelto come relatore per i mazziniani ortodossi individualisti e anticollettivisti. Prima del congresso, assieme ai repubblicani romagnoli, il D. iniziò un'intensa campagna per il "rinnovamento del mazzinianesimo", pubblicando una serie di articoli su L'Emancipazione (n. 123 del 10 febbraio, n. 139 del 2 giugno e n. 141 del 16 giugno 1889).

La sua tesi si basava sull'affermazione che il pensiero politico di Mazzini fosse ancora valido e vitale, ma che il suo pensiero economico fosse del tutto insufficiente e che quindi bisognasse integrarlo con la "critica dell'economia politica" e la "critica contro la produzione capitalistica" elaborata dai socialisti tedeschi (cfr. G. Manacorda, p. 217).

Il congresso di Napoli, che aveva posto alla base del dibattito il problema della nazionalizzazione della terra, si svolse in un'atmosfera surriscaldata che si caricò di tensione quando dalle discussioni dottrinarie e dalle teorizzazioni astratte si passò alla critica aperta contro il diritto di proprietà.

Il D. nella sua relazione, dopo avere tracciato brevemente la storia dell'istituto della proprietà privata, affermava testualmente: "Oggi siamo nell'evo borghese, il quale economicamente parlando significa regime capitalistico". Impostando così il discorso egli allargava ed estendeva la critica dalla proprietà terriera a tutta la produzione capitalistica, facendo intendere che il processo rivoluzionario non poteva fermarsi alla "semplice nazionalizzazione della terra" ma doveva mirare alla "socializzazione dei mezzi di produzione" (ibid., pp. 262 s.). Era questo un concetto chiaramente socialista dal quale scaturiva un embrione di disegno politico che si sarebbe potuto sviluppare e ampliare in un vero e proprio programma di riforme sociali e istituzionali. D'altra parte tutto il suo discorso andava al di là del pensiero mazziniano che, come si sa, sulla base dell'associazionismo, postulava dallo Stato provvidenze per i lavoratori, facilitazioni, assegnazione di terre pubbliche ai contadini, concessione di crediti agevolati, ecc., ma lasciava intatto il diritto di proprietà che invece il socialismo si proponeva di abolire.

Al congresso di Napoli prevalsero gli individualisti di A. Fratti, ma la battaglia fra collettivisti e individualisti continuò sulla stampa e nelle assemblee, sviluppandosi e diventando sempre più accesa e passionale, senza tuttavia riuscire a modificare in misura rilevante le posizioni dei due gruppi. Questo stato di cose durò fino al XVIII congresso delle Società operaie affratellate tenuto a Palermo dal 26 al 29 maggio 1892, dove ancora una volta si trovarono in contrapposizione il D., la cui relazione fu pubblicata in opuscolo col titolo Il collettivismo nel programma della democrazia italiana (Forli 1892) e Fratti per gli individualisti anticollettivisti. Ma a Palermo questi ultimi, diversamente da quanto si era verificato a Napoli, vennero superati dai collettivisti i quali, forse, furono in qualche modo favoriti dal clima di entusiasmo suscitato dai Fasci siciliani che in quel momento segnavano nell'isola la loro massima espansione e si ponevano come modello di organizzazione dei lavoratori anche per le altre regioni italiane, tanto che lo stesso D. si impegnò di organizzare un Fascio a Napoli. Ma la vittoria dei collettivisti non ebbe conseguenze laceranti perché il D. fece capire che non voleva "stravincere", per salvaguardare l'unità del partito che altrimenti sarebbe andato incontro alla scissione del gruppo guidato da Fratti.

Al XVIII congresso siverificò invece un fatto assai importante. Scrive S. F. Romano che a Palermo si ebbe "forse la discussione più elevata sulpiano dei principi economici, intorno allo sfruttamento capitalistico, alla presentazione dell'ordine del giorno collettivista" (p. 140). Alla discussione, fra gli altri, parteciparono con interventi scritti Enrico La Loggia e il D. il quale scriveva: "... La proprietà fondiaria oggi non è più fine a se stessa come quando era feudale, ma è diventata essa stessa un mezzo per la proprietà capitalistica, per l'industrialismo propriamente detto. Il nuovo sistema socialistico dovrà fondarsi sulla collettività foridiaria come appunto si riconosce nel nostro ordine del giorno" (ibid., p. 141).

La posizione politica del D. in questo periodo si delinea chiaramente come quella che si potrebbe definire di un socialista di estrema sinistra tendente verso l'anarchismo egualitario e massimalista. Ma il personaggio deve essere visto e considerato nei due aspetti essenziali che caratterizzano la sua vita e la sua attività: l'aspetto dello studioso di diritto e di scienze filosofiche e sociali e l'altro dell'uomo politico attivo, militante prima nel movimento dei repubblicani mazziniani, poi fra i socialisti e infine fra i radicali moderati. E ancora questi due aspetti devono essere a loro volta rapportati e correlati ai due periodi o cicli che segnano l'attività svolta prima che egli venisse eletto deputato e poi quella seguita dopo il suo ingresso in Parlamento. Nella visione d'insieme dei due aspetti e dei due tempi si precisa la complessa personalità del De Marinis.

Pur nell'accumularsi degli impegni politico-organizzativi del movimento dei collettivisti, non si arrestava la sua attività più specificamente culturale, studiando, lavorando e partecipando alla direzione della Rassegna critica, la rivista che era stata di Andrea Angiulli dei quale il D. "viene favorevolmente sottolineando la rivendicazione del valore della metafisica nel quadro del "imonismo scientifico" ... e viene operando in modo che la rivista sostenga cumulativamente, insieme con le teorie di Angiulli, anche quelle di Bovio e di Masci" (G. Oldrini, La crisi della cultura filosofica napoletana sul declino dell'Ottocento, in Rivista critica di storia della filosofia, XXIII [1966], 2, p. 141). In quegli anni collaborò a diversi giornali e periodici socialisti: al Mare di Trapani, di cui era direttore G. Montalto, a L'Intransigente di Catanzaro, al Milite dell'umanità di Roma, diretto da O. Pennesi, di tendenza repubblicano-socialista, a Socialismo popolare di Venezia, diretto da C. Monticelli, e alla Vigilia di Napoli.

Come studioso di sociologia egli veniva ipotizzando che in un prossimo futuro si sarebbe verificato un certo livellamento della personalità singola per cui l'intellettualità individuale sarebbe, come dire, confluita nell'eguaglianza delle intelligenze. Un concetto piuttosto oscuro e un'ipotesi altrettanto nebulosa. In proposito egli scriveva: "Ci avviciniamo ... ad un'eguaglianza nella sistemazione intellettuale come si avrà nell'ordine sociale .... Che cosa vogliono gli apostoli della nuova idea sociale? Una società di liberi e di uguali ... in cui cioè nessuno possa effettivamente rappresentare una individualità superiore per poteri sociali. Ebbene, questo stato di cose si affermerà compiutamente anche nel campo del pensiero quando il nuovo sapere positivo e critico trionferà e si universalizzerà nelle conseguenze scientifiche e pratiche" (Ilcarattere del sapere moderno, in L'Emancipazione sociale, 11giugno 1893, ora nel volume di P. F. Buccellato e M. Iaccio, Gli anarchici nell'Italia Meridionale. La stampa 1869-1893, Roma 1982, p. 210). Nel 188710 studioso e il penalista D. iniziava a scrivere una serie di articoli sulla riforma del diritto penale in cui tra le cause della criminalità annoverava l'influenza della religione, l'effetto deleterio della carcerazione e l'organizzazione dello Stato borghese e capitalista (Nuova scuola penale, in Humanitas, 30 genn. 1887, 6 febbraio e 13 febbraio dello stesso anno; Etiologia criminosa, ibid., 9 marzo, 27 marzo e 16 aprile 1887; L'idea socialista nel tempo e nello spazio, in Primo Maggio, 29 marzo 1891; Ilcarattere del sapere moderno, in L'Emancipazione sociale, 11giugno 1893). La polemica contro lo Stato unitario accentratore trovava largo spazio nel De Marinis.

Nel 1895 il D., che nel frattempo era passato definitivamente al Partito socialista, venne eletto deputato nel collegio di Salerno-Cava dei Tirreni con 1.250 voti. Rimarrà in Parlamento per oltre vent'anni, fino alla morte, rieletto ad ogni nuova consultazione elettorale. Con la sua elezione si chiudeva in quell'anno il primo ciclo della sua vita e della sua attività politica e se ne apriva uno nuovo caratterizzato dall'azione svolta in Parlamento e dal gioco politico condotto a Roma e a Salerno, l'una e l'altro esercitati non sempre in maniera lineare e cristallina.

Per poter capire meglio il suo comportamento di parlamentare è necessario dire che la sua elezione era stata facilitata dall'appoggio datogli durante la campagna elettorale da un moderato di Destra, l'on. Francesco Spirito, il quale nel piano del suo disegno politico riguardante la provincia di Salerno intendeva opporre il D. al deputato uscente Diego Taiani, creatura di G. Nicotera. Contro Nicotera l'on. Spirito conduceva da tempo una fiera battaglia iniziata nelle aule giudiziarie quando come avvocato aveva partecipato alla difesa di Sebastiano Viscardi, gerente responsabile della Gazzetta d'Italia, che era stato querelato per diffamazione a mezzo della stampa da Nicotera allora ministro dell'Interno (cfr. Causa per diffamazione a querela di Giovanni Nicotera contro Sebastiano Viscardi gerente responsabile della "Gazzetta d'Italia", Firenze 1887). Accettando l'appoggio dell'on. Spirito, il D. entrava, volente o nolente, nell'ambito politico moderato salernitano del quale Francesco Spirito era da sempre il leader più autorevole e rispettato e faceva il suo ingresso in Parlamento collocandosi in una posizione politica in certo modo ambigua. Infatti egli era socialista e come tale era stato eletto nelle liste del partito, ma era stato eletto con i voti non solo dei socialisti meridionali ma anche e forse soprattutto con quelli dei moderati salernitani. Non tardò a farsi palese che il neo deputato, pur rimanendo sempre ufficialmente socialista, dava l'impressione di cominciare a muoversi e operare nella scia dei moderati.

L'atteggiamento tenuto in Parlamento, in diverse occasioni, appariva tra l'equivoco e lo spregiudicato ogni qualvolta si presentavano situazioni difficili ma determinanti per l'approvazione o meno di alcuni particolari provvedimenti legislativi. In tali casi egli preferiva non presentarsi in aula durante le votazioni. Così avvenne che nella seduta del 27 apr. 1898 nella quale si votava per l'abolizione del dazio sui cereali il D. risultasse assente, così come anche da radicale era assente quando nella votazione del 3 apr. 1909 si decideva la riduzione del solo dazio sul grano (cfr. F. Barbagallo, p. 103). Altre volte assumeva atteggiame, riti apertamente contrastanti con quelle che erano le posizioni ufficiali del Partito socialista, nel quale egli ancora militava. Sulla questione delle autonomie locali, così come su quella, assai dibattuta nel '900, del federalismo decentratore e del governo unitario accentratore, egli assunse una posizione che lo poneva fra i più accesi fautori di un governo rigidamente unitario centralizzato.

Su tale atteggiamento Gaetano Salvemini in alcuni articoli pubblicati su Critica sociale il 16 luglio, il 1º e il 16 agosto, il 1º e il 16 sett. 1900, riferendosi ad alcuni personaggi socialisti sostenitori tutti del federalismo e dei decentramento, scriveva: "II solo De Marinis è amico dell'unità; egli continua ad aspettare un potere centrale illuminato (!) e darebbe il "voto ad un ministero che, per esempio, strappasse il Municipio di Napoli per alcuni anni dalle mani dei partiti locali". Può aspettare per un pezzo" (cfr. G. Salvemini, p. 106).

Sulla questione coloniale invece era stato sempre un convinto anticolonialista e nella seduta della Camera del 14 maggio 1897, presentando a nome del gruppo socialista una mozione in cui si chiedeval'abbandono immediato dell'Eritrea, in sede di votazione sostenne che i fondi negati alle imprese coloniali andavano impiegati per il sollievo del "proletariato e dei lavoratori" (cfr. F. Barbagallo, p. 104). Così come quando l'anno precedente, sull'onda dell'emozione suscitata in tutto il paese dalla sconfitta di Amba Alagi e dal disastro di Abba Garima, il governo di Francesco Crispi era stato costretto a presentare le dimissioni, il D., assieme ad Andrea Costa e altri sette deputati, firmò il manifesto affisso il 5 marzo che si apriva con le parole: "Italiani! Il governo presieduto da Francesco Crispi e caduto sotto il peso delle sue colpe e della sua vergogna..." (cfr. A. Angiolini, p. 280). Ma quattro anni più tardi, nel giugno del 1901 quando era ormai passato dal socialismo al radicalismo moderato, si faceva sostenitore e propagandista dell'espansione italiana in Africa e anche in Asia dove, secondo lui, s'era già avviato il "Risorgimento civile" e uno sviluppo industriale "molto più rapido e facile di quanto non sia stato lo stesso sviluppo industriale europeo".

L'equivoco del socialista D., che spesso in Parlamento faceva una politica tutt'altro che socialista, durò alcuni anni fino a quando la sua partecipazione ai funerali di Umberto I, ucciso a Monza il 29 luglio 1900 dall'anarchico G. Bresci, e la sua presenza alla seduta in Parlamento per il giuramento del nuovo re Vittorio Emanuele III non posero drasticamente la questione della sua ulteriore permanenza nel partito. Fu attaccato duramente, prima nella sezione socialista di Napoli da Arturo Labriola, e poi nel congresso nazionale del partito tenuto a Roma nel settembre di quell'anno. In quella che era la massima assise socialista venne aspramente criticato e denunziato per il suo comportamento e la sua condotta politica contraria ad ogni prassi socialista. Il congresso comminò una severa critica al suo operato non solo per aver partecipato ai funerali del re ma anche perché - come scriveva R. Michels - "i suoi vincoli personali e teorici con il socialismo italiano (come dovette risultare anche da una sua polemica con lo stesso Turati) erano di per sé piuttosto deboli" (cfr. R. Michels, Storia critica del movimento socialista in Italia, II, Roma 1979, pp. 576 s.). Uscito dal Partito socialista il D. s'iscrisse al gruppo radicale della Camera e subito dopo entrò ufficialmente nelle file di quel partito. Il suo nuovo atteggiamento e la sua collocazione ufficiale nell'ambito del Centro-destra consolidarono la sua nuova posizione di "parlamentare dell'ordine", spianandogli la strada della partecipazione, se pure per breve tempo, al governo. Infatti nel secondo ministero Fortis, durato dal dicembre 1905 al febbraio 1906, gli venne affidato il dicastero della Pubblica Istruzione.

Il D. mori improvvisamente a Napoli il 5 maggio 1919 all'età di 56 anni.

Il D. lasciò numerosi scritti, alcuni attinenti ai suoi studi di diritto, di filosofia e sociologia, altri più specificamente di argomento politico. Se ne segnalano qui solo alcuni fra quelli non indicati nel testo: Saggio critico sulla causa criminosa, Napoli 1885; Le presenti tendenze della società e del pensiero e l'avvenire, Palermo 1896; L'attuale momento del paese e la delineazione del partito nuovo, Torino 1901; Sistema di sociologia, ibid. 1901; questo ampio studio, ritenuto la sua opera più importante, venne tradotto in francese e tedesco. Il D. collaborò a numerose riviste e periodici, fra cui La Rivista d'Italia, Nuova Antologia, Rassegna critica, Critica sociale, L'Emancipazione, ecc., fu corrispondente da Roma dei quotidiani La Gazzetta del popolo, Il Resto del carlino e il Roma di Napoli.

Fonti e Bibl.: Cava dei Tirreni, Archivio storico del Comune, Registro dei nati (stato civile) dell'anno 1863, p. 68, numero d'ordine 134; Salerno, Archivio comunale, Sez. storica, cat. VI, cl. IV, cas. 6-10, a. 1919, commemorazione al Consiglio comunale; Archivio di Stato di Salerno, fondo Gabinetto di Prefettura, buste 98 e 377; Atti parlamentari, Camera, Discussioni, tornate varie relative a molti anni e resoconti pubblicati in molti volumi; T. Rovito, Dizionario bio-bibliografico dei letterati e dei giornalisti italiani, Napoli 1907, p. 137; G. De Crescenzo, Dizionario salernitano di storia e cultura, Salerno 1949-1960, p. 146; Onoranze alla memoria di E. D. (opuscoloin cui si rinnova una vecchia proposta di erigere al D. un monumento in Salerno), Salerno 1951; G. Manacorda, Ilmovimento operaio italiano attraverso i suoi congressi (1853-1892), Roma 1953, pp. 257, 260, 262, 287, 298, 310 s.; B. Magnino, Sociologia, Brescia 1953, pp. 83, 86; P. Laveglia, Lotte per la terra e primi tentativi di organizzazione contadina in provincia di Salerno, in Movimento operaio, VII (1955), 3-4, pp. 597-618; G. Salvemini, Scritti sulla questione meridionale (1896-1955), I, Torino 1955, p. 106; L. Lotti, Irepubblicani in Romagna, dal 1894 al 1915, Faenza 1957, ad Indicem;E. Santarelli, Ilsocialismo anarchico in Italia, Milano 1959, p. 125; S. F. Romano, Storia dei Fasci siciliani, Bari 1959, pp. 114, 141, 397, 400, 539; R. Villari, IlSud nella storia d'Italia, Bari 1961, p. 474; E. Ragionieri, Socialdemocrazia tedesca e socialisti italiani, Milano 1961, ad Indicem;R. Colapietra, Napoli tra dopoguerra e fascismo, Milano 1962, pp. 14, 63; A. Angiolini, Socialismo e socialisti in Italia, Roma 1966, pp. 185, 268, 272, 280, 286, 299, 344, 363, 369, 408; Ente per la storia del socialismo e del movimento operaio italiano, Bibliografia del socialismo e del movimento operaioitaliano, II, Bibliografia, Torino-Roma 1972, p. 514; Dizionario biografico del movimento operaioitaliano, a cura di F. Andreucci- T. Detti, II, Roma 1976, pp. 206-209; F. Barbagallo, Stato, Parlamento e lotte politico-sociali nel Mezzogiorno, 1900-1914, Napoli 1976, pp.45, 60, 63, 66, 68, 75, 89, 102 s., 165, 229, 352, 370, 408, 410, 428, 430, 588, 601, 603, 605; G. Imbucci-D. Ivone, Popolazione, agricoltura e lotta politica a Salernonell'età contemporanea, Salerno 1978, pp. 289, 290 n., 307, 317; D. Apicella, Sommario storico-illustrativo della città della Cava, Cava dei Tirreni 1978, pp. 440 s. Si segnalano anche alcuni giornali e periodici locali che alla morte del D. parlarono ampiamente di lui: Il Risveglio (Salerno), 30 maggio 1919; IlPiccoloCorriere (Salerno), 25 maggio 1919; La Nuova Cava (Cava dei Tirreni), 15 maggio e 1 giugno 1919.

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