ERMENEUTICA

Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1978)

ERMENEUTICA (XIV, p. 243)

Valerio Verra

Questo termine che, fin dall'antichità, indica l'arte o la scienza dell'interpretazione di un testo (poetico, letterario, giuridico, religioso, ecc.), ha assunto particolare rilevanza filosofica nel Novecento ad opera delle correnti storicistiche, fenomenologiche ed esistenzialistiche.

Se infatti l'e. è stata concepita per secoli come una scienza o una tecnica ausiliare rispetto alla filologia, alla teologia o alla giurisprudenza, nella misura in cui il linguaggio si presta a molteplici interpretazioni o, come si è detto soprattutto in campo teologico, ha molti "sensi" (letterale, allegorico, analogico, anagogico, tipologico, ecc.), già con il Romanticismo, e soprattutto con F. Schleiermacher si comincia a vedere nell'e. qualcosa di più profondo e autonomo come sforzo di comprensione che va molto al di là del testo e ricostruisce, con una sorta di congenialità, la mens auctoris. Con W. Dilthey che è tra i maggiori esponenti dello storicismo e non a caso autore di studi fondamentali su Schleiermacher, il problema dell'e. viene ripreso e ampliato nel quadro di una "critica della ragione storica" volta a fondare la legittimità e l'autonomia delle scienze dello spirito rispetto alle scienze della natura a cui si appellava il positivismo dominante. Per Dilthey l'e. è la scienza dell'arte dell'interpretazione e concerne quelle manifestazioni della vita spirituale che hanno trovato l'espressione più compiuta e conclusiva nello scritto. In tal senso l'e. ha una funzione centrale e portante nelle scienze dello spirito il cui oggetto può esser colto adeguatamente solo attraverso un'interpretazione che realizzi in modo unitario e intuitivo il nesso tra vita, espressione e "comprensione".

Ma se con Dilthey l'interesse pur rilevante per l'e. appare circoscritto all'interno del problema delle scienze dello spirito e impostato quindi ancora in senso prevalentemente metodologico, la svolta decisiva verso l'e. filosofica si ha con la fenomenologia di E. Husserl e con l'esistenzialismo di M. Heidegger. Nella sua polemica contro ogni forma di oggettivismo e naturalismo Husserl mette in luce infatti il carattere intenzionale della coscienza per cui ogni percezione è già sempre legata a un orizzonte entro il quale soltanto diventa significante e il giudizio rinvia a tutta una serie di presupposti "precategoriali". Su questa linea Heidegger, già in Sein und Zeit, concepisce l'e. non più come uno dei possibili modi d'intendere o di conoscere, contrapposto o coordinato ad altri, ma come il modo fondamentale di esistenza, essendo l'uomo precisamente un continuo autointerpretarsi e interpretare l'essere. Nella misura in cui l'esistenza è continua progettazione, anticipazione della morte, "cura", il problema della verità va considerato in una dimensione anteriore e diversa rispetto a quella del giudizio dove è stato collocato dalla metafisica occidentale, da Platone a Hegel. Il disvelarsi della verità presuppone sempre un'anticipazione di senso, una sorta di "pre-comprensione" che è al tempo stesso il segno della sua intrinseca storicità. E questo il cosiddetto "circolo ermeneutico" per cui l'interpretazione è un processo che va continuamente dal tutto alle parti e viceversa: soltanto in riferimento alla struttura dell'esistenza come esserci-nel-mondo si rivela il senso di ciò che l'esistenza viene storicamente scoprendo e viceversa. L'e. filosofica, considerando come produttivo, anzi indispensabile, questo circolo (che agli occhi della logica e della filosofia tradizionale appare invece come vizioso, e cioè tale da inficiare la verità delle conclusioni raggiunte) si contrappone alla logica quale si è venuta configurando nella filosofia occidentale quale logica della proposizione e del giudizio. Si hanno così nella scia del pensiero heideggeriano forme di logica ermeneutica (H. Lipps, Untersuchungen zu einer hermeneutischen Logik, Francoforte sul Meno 1938, 19683, e Die Verbindlichkeit der Sprache, ivi 1944, 19582), dove alla "morfologia del giudizio" si cerca di sostituire la "tipologia del discorso", riportando il giudizio all'anticipazione di senso proprio dell'interrogare da cui non può essere sciolto, o di "logica semantica" (J. Lohmann, Philosophie und Sprachwissenschaft, Berlino 1965) che cerca d'individuare nella storicità e intersoggettività dialogica del linguaggio il vero a priori dell'uomo e della ragione. Nella misura in cui il pensiero di Heidegger è andato poi evolvendo dalla prospettiva fenomenologico-esistenziale di Sein und Zeit verso una prospettiva ontologico-linguistica, per cui il linguaggio e soprattutto la poesia sono l'ambito dove l'essere si annuncia in un discorso che è sempre "per via", ossia sempre aperto a rivelare nuovi significati, in nuove interpretazioni, l'e. ha acquistato ancor maggiore rilevanza filosofica. Il motivo heideggeriano del rapporto tra arte e verità, per cui l'arte non è espressione di una verità presupposta o comunque assoluta e metastorica, ma è l'accadere della verità (motivo sviluppato in campo estetico soprattutto dal germanista svizzero E. Staiger, in opere come Die Zeit als Einbildungskraft des Dichters, Zurigo 1939, 19633; Grundbegriffe der Poetik, ivi 1946, 19688; Die Kunst der Interpretation, ivi 1955, 19675) porta con H. G. Gadamer a una revisione critica del concetto di coscienza storica che sfocia nell'affermazione dell'universalità dell'ermeneutica. La comprensione storica non consiste nella semplice ricostruzione del senso di un testo o di un momento del passato, come voleva lo storicismo, ma in una continua fusione di orizzonti dove, proprio come accade rispetto all'arte, vengono sempre di nuovo messi in giuoco tanto l'opera quanto l'interprete in un processo sempre incompiuto e infinito qual è appunto il linguaggio. Proprio questa consapevolezza del primato della dimensione linguistica e dialogica rispetto a ogni possibile forma di pensiero ha portato a una certa convergenza tra l'e. filosofica e certi sviluppi della filosofia analitica del linguaggio, soprattutto dell'ultimo Wittgenstein, attento ai giuochi linguistici e alla loro connessione con la prassi e le forme di vita.

Anche in campo teologico l'e. ha avuto importanti sviluppi con esiti diversi in corrispondenza alle due fasi del pensiero heideggeriano. Infatti, con R. Bultmann e la problematica della demitizzazione, avviata dalla celebre opera Neues Testament und Mythologie (Monaco 1941), è proprio l'autocomprensione dell'uomo messa in luce dall'analisi esistenziale heideggeriana a diventare la chiave per una nuova lettura del testo sacro che ne lasci cadere gli elementi cosmologici e anacronistici, facendone emergere i motivi esistenziali tuttora validi e significativi. Con E. Fuchs (Hermeneutik, Tubinga 1954, 19694, trad. it., Milano 1974; Zum hermeneutischen Problem in der Theologie, ivi 1960, 19652) e G. Ebeling (Wort und Glaube, 2 voll., ivi 1960,19673; Theologie und Verkündigung, ivi 1962,19633, trad. it., Roma 1972) viene invece accentuato il nesso tra ontologia, linguaggio ed e. per intendere, sulla scorta dell'antico motivo giovanneo, il processo salvifico come "accadimento linguistico" dove il linguaggio, il "verbo", non è affatto un semplice strumento per esprimere il messaggio, ma è la dimensione fondamentale dell'incontro continuo tra uomo e Dio nella storia, attraverso il processo ermeneutico.

Se l'e. filosofica si è sviluppata soprattutto in Germania, non ne sono però mancate trattazioni originali e significative in Francia soprattutto con P. Ricoeur e in Italia con L. Pareyson ed E. Betti. Prendendo le mosse dalla fenomenologia husserliana e con particolare attenzione al problema del male e del sacro da una parte e ai risultati della psicoanalisi dall'altra, Ricoeur considera compito essenziale dell'e. lo studio dei simboli, ossia di quei segni che oltre ad avere un senso diretto e letterale rinviano pure a uno o più sensi indiretti e figurati. Nell'adempiere a tale compito l'e. si dispiega in direzioni diverse a seconda che riguardi l'archeologia della coscienza (psicoanalisi freudiana), la sua teleologia (fenomenologia hegeliana) o la sua escatologia (fenomenologia del sacro); direzioni tra le quali deve operare una continua dialettica per ritrovare in ciascuna di esse l'unità di senso che vi si esplicita.

Ad affermare il valore ontologico e di verità dell'e. Pareyson è giunto dopo aver approfondito il problema dell'interpretazione nell'estetica, dove già ne aveva evidenziato il carattere irripetibile e personale (v. soprattutto: Estetica; teoria della formatività, Torino 1954, Firenze 19743). Così in Verità e interpretazione (Milano 1971), attraverso la distinzione tra pensiero puramente espressivo di esigenze e situazioni pratiche e storiche e pensiero rivelativo della verità, Pareyson pone l'e. al centro dell'intero discorso filosofico che è sempre personale e istituisce una molteplicità di interpretazioni singole e irripetibili del vero e al tempo stesso tutte le unisce nella consapevolezza di possedere la verità senza esaurirla, ma alimentandosene continuamente nella storia.

Lo storico e teorico del diritto E. Betti ha preso invece le mosse soprattutto dal campo giuridico per sviluppare una Teoria generale dell'interpretazione (2 voll., Milano 1955) molto vicina alle impostazioni specificamente metodologiche del problema dell'e. dell'inizio del secolo. Per quel che riguarda in particolare l'oggettività del processo ermeneutico, Betti ne ritrova la garanzia nel fatto che l'interprete, nel suo sforzo di ricostruzione del senso, ripercorre a ritroso il cammino creativo da cui è scaturita l'opera interpretata e la trasferisce in una soggettività diversa da quella originaria, ma ad essa unita nella comune umanità.

Bibl.: Un agile disegno della storia dell'e. nel suo significato filosofico è il saggio di W. Dilthey, Die Entstehung der Hermeneutik (1900), in Gesammelte Schriften, V, Lipsia-Berlino 1924, pp. 317-38 (trad. it. Bologna 1970). Su F. Schleiermacher: G. Vattimo, Schleiermacher filosofo dell'interpretazione, Milano 1968. Per gli sviluppi dell'e. nel secolo scorso, fondamentale J. Wach, Das Verstehen. Grundzüge einer Geschichte der hermeneutischen Theorie im 19ten Jahrhundert, 3 voll., Tubinga 1926-33. Per gli sviluppi successivi: N. Henrichs, Bibliographie der Hermeneutik und ihrer Anwendungsbereiche seit Schleiermacher, Düsseldorf 1968; R. E. Palmer, Hermeneutics. Interpretation Theory in Schleiermacher, Dilthey, Heidegger and Gadamer, Evanston 1969; Hermeneutik und Dialektik, a cura di R. Bubner, K. Cramer, R. Wiehl, 2 voll., Tubinga 1970; Autori vari, Hermeneutik und Ideologiekritik, Francoforte sul Meno 1971; Hermeneutische Philosophie, a cura di O. Pöggeler, Monaco 1972 (con ampia bibl.); V. Verra, Ontologia e ermeneutica in Germania, in Rivista di sociologia, n. 25 (genn. 1973), pp. 111-40; F. Bianco, Storicismo ed ermeneutica, Roma 1974; H. G. Gadamer, G. Boehm, Seminar: Philosophische Hermeneutik, Francoforte sul Meno 1976.

Per l'aspetto teologico del problema: R. Marlé, Le problème théologique de l'herméneutique, Parigi 1963; Ermeneutica e tradizione, a cura di E. Castelli, Padova 1963; Die neue Hermeneutik, a cura di J. M. Robinson e J. B. Cobb, Zurigo-Stoccarda 1965; Ermeneutica e escatologia, a cura di E. Castelli, Padova 1971.

Per l'e. in P. Ricoeur, v. F. Guerrera Brezzi, Filosofia e interpretazione, Bologna 1969, con ampia bibl; A. Rigobello, P. Ricoeur e il problema dell'interpretazione, in La Filosofia dal '45 a oggi, a cura di V. Verra, Torino 1976, pp. 211-23.

Per gli sviluppi anche in campo giuridico del problema ermeneutico, v. lo studio di E. Paresce, Interpretazione. Filosofia del diritto e teoria generale, in Enciclopedia del diritto, XXII, pp. 152-238, con ampie indicazioni bibliografiche.

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