MARELLI, Ercole

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 70 (2008)

MARELLI, Ercole

Stefania Licini

– Nacque a Milano il 19 maggio 1867 da Antonietta Molgora e da Ferdinando, un modesto artigiano, forse fornaio, trasferitosi nel capoluogo lombardo dal vicino Comasco.

Terminati gli studi di base, a quindici anni il M. iniziò a lavorare come apprendista meccanico presso una piccola officina, di cui era titolare L. Frascoli, tecnico del gabinetto di fisica del liceo C. Beccaria. Conosciuto e apprezzato da F. Grassi, docente dell’istituto – in occasione dell’assistenza prestata durante gli esperimenti effettuati presso la scuola –, fu presentato a B. Cabella, direttore del Tecnomasio italiano. Alle dipendenze del noto stabilimento elettrotecnico milanese, il M. rimase dal 20 luglio 1885 al 13 sett. 1888 in qualità di «meccanico per istrumenti di misura e specialmente per lavori elettrici applicati all’illuminazione».

Nell’ottobre 1888, per conto dello stesso Cabella, si recò ad Asunción, in Paraguay, dove in completa autonomia, seppur appena ventenne, montò e mise in funzione un impianto elettrico per lo stabilimento Concha Sociedad, dotato di cento lampade a incandescenza e di diciannove fari ad arco da 1000 candele, che servirono in parte anche per illuminare alcune vie e il teatro principale della città.

Rimase in America Latina due anni e, a pochi mesi dal ritorno in Italia, nel 1891, aprì un proprio laboratorio, in via Ausonio, nel centro di Milano. Dotato di un tornio di precisione, di un trapano e coadiuvato da un solo operaio, iniziò a fabbricare apparecchi di fisica e di geodesia, macchinette elettriche per gabinetti scolastici, pile, accumulatori e apparecchi elettromedicali. Un certo successo nelle vendite gli consentì nel 1893 di costituire, con il ragioniere L. Gorla, una società in nome collettivo dal capitale di 8000 lire e di trasferirsi in una più ampia officina in via Quadronno. Partecipò nello stesso anno, all’Esposizione medica internazionale di Roma e allargò la produzione a parafulmini, lampade ad arco e accumulatori elettrici portatili: costruì, tra l’altro, le batterie utilizzate per l’illuminazione dei lavori per il traforo del Sempione.

Nel gennaio 1894 un nuovo socio, l’ingegner B. Folli, entrò nella ditta, che modificò la ragione sociale in Gorla e C. e che tuttavia, dieci mesi più tardi, dovette sciogliersi. Tornato da solo, il M. trovò nuovi sostegni finanziari per la propria attività: riuscì, infatti, a ottenere da Vincenzo e Vittorio Piatti, proprietari di un’area coperta di 150 m2, sita in via Campo Lodigiano e attrezzata con un motore a gas, un contratto d’affitto molto particolare.

In virtù della scrittura siglata il 10 marzo 1895, i locatari si impegnavano a versargli una somma di circa 500 lire equivalente al prezzo pattuito per la locazione e si facevano carico nel contempo di versare 1200 lire alla Società del gas di Milano, a residuo pagamento del motore in dotazione all’officina. Il M. avrebbe saldato il suo debito mediante un rateo mensile di 54 lire, garantendo un interesse del 5% sui denari a lui lasciati a disposizione sia dai Piatti sia da un certo P. Busti, citato nell’atto di locazione quale proprietario di tutto il macchinario esistente nello stabilimento. Un paio di mesi più tardi, il M. ottenne dalla Cassa di risparmio delle provincie lombarde un mutuo di 100.000 lire: la ditta, dal valore stimato di 50.000 lire, si stava preparando a una successiva, robusta fase espansiva.

Nel 1896, importati dagli Stati Uniti, fecero la loro comparsa in Italia i primi «agitatori d’aria» (ventilatori) azionati elettricamente. Il M. intuì le potenzialità del mercato e si impegnò nella ricerca di un prodotto esteticamente più attraente dell’originale, meno pesante e meno ingombrante, facilmente adattabile a diverse esigenze e circostanze, ma pur sempre a prezzo contenuto. Nel 1897 brevettò, insieme con la società Brioschi e Finzi, un motore elettrico leggero a corrente continua, e tre anni più tardi, conclusa ormai la cosiddetta «guerra dei sistemi» (l’opzione fra l’alimentazione a corrente continua oppure alternata), fu la volta di un apparecchio automatico di avviamento per motori a corrente alternata.

Nel 1898, avviata la produzione di ventilatori a uso domestico, l’officina fu trasferita in via Farini 21, su un’area di 750 m2, e nel contempo si costituì una società in accomandita con capitale sociale di 125.000 lire. A inizio secolo traslocò nuovamente, al numero 36 della stessa via, su una superficie di 3500 m2; la gamma produttiva dell’impresa si era estesa ai ventilatori industriali, per il ricambio d’aria, per l’azionamento di forge e cubilots, per la ventilazione delle navi. Dai motori elettrici per gli agitatori si era passati a quelli per i più svariati tipi di macchine; gli operai arrivarono a un centinaio e il fatturato, già superiore ai 5 milioni di lire nel quinquennio 1891-96, si andava decisamente configurando come risultato di attività di esportazione.

Nel 1905 il M. iniziò l’acquisto di terreni in Sesto San Giovanni e l’anno successivo il capitale dell’accomandita fu portato a 625.000 lire. Nel 1910 gli operai, ormai 500, erano impiegati in uno stabilimento su un’area di 50.000 m2. Nel 1911-12, dopo l’avvio dell’attività nel nuovo stabilimento di Sesto San Giovanni, il capitale sociale salì a 2,5 milioni di lire, l’area dell’officina superò i 100.000 m2 e gli operai oltrepassarono la soglia del migliaio. Nei tre lustri dal 1897 al 1912 l’ammontare delle vendite si aggirò attorno ai 70 milioni di lire e più della metà (43 milioni) del fatturato fu realizzato all’estero.

Nel 1911, il M. celebrò negli spazi dell’Esposizione internazionale di Torino i primi venti anni della propria attività imprenditoriale: in quella circostanza rese nota (in un discorso edito s.l. né d.) la sua intenzione di iscrivere tutti i dipendenti, già coperti da una cassa mutua interna per malattie, alla Cassa nazionale di previdenza per la vecchiaia. Come egli stesso dichiarò, riteneva che la «parola padrone deriv[asse] da padre» e che «paterni» e «affettuosi sentimenti» avrebbero anche nel futuro, come nel passato, allontanato «dissensi e agitazioni». Di là dalla retorica paternalistica del tempo, non si ha notizia di particolari tensioni sociali o politiche alla Marelli, dove non mancarono molteplici e pionieristiche iniziative di welfare aziendale: dagli alloggi per gli operai all’ambulatorio medico, dall’asilo-nido all’assistenza ostetrico-ginecologica per la numerosa manodopera femminile.

Convinto che il lavoro fosse «vita» e, nel contempo «fonte di benessere per tutti», il M. si adoperò per organizzarlo in maniera efficace e razionale all’interno delle proprie officine. Deciso assertore della specializzazione, fu tra i primi in Italia a effettuare la lavorazione in serie, tanto per la parte meccanica dei motori, quanto per la più complessa componente elettrica (avvolgimento). La precisa divisione dei compiti e delle mansioni fu estesa dall’ambito della fabbricazione a quello della commercializzazione: sin dal 1898 furono istituite all’estero autonome agenzie di rappresentanza, poi strutturate come indipendenti filiali di vendita. La penetrazione sui mercati stranieri, in America Latina e nell’Europa orientale, ma anche in Francia, Austria, Germania e Inghilterra fu sostenuta da una costante opera di marketing e da accurate campagne pubblicitarie. Fino al primo conflitto mondiale le esportazioni si mantennero superiori alle vendite sul mercato interno, risultato più che lusinghiero se si considera che, ancora nel 1927, il settore elettromeccanico italiano nel suo complesso non arrivava a esportare il 10% della produzione.

Con lo scoppio della prima guerra mondiale la Marelli, come il resto dell’industria nazionale, si dedicò alla fabbricazione di materiale bellico: nel dicembre 1915 la ditta ottenne la concessione di un brevetto per la progettazione di un trapano per la foratura dei proiettili e l’anno successivo registrò il primo brevetto relativo ai magneti per accensione, perfezionando l’innovazione nel 1917 e poi ancora con un brevetto «completivo» verso la fine del 1918. Vista l’espansione della domanda, fu attrezzato uno specifico reparto della fabbrica per la produzione di magneti, finché nel 1919 si procedette allo scorporo di questa attività dall’accomandita Ercole Marelli, dando vita in compartecipazione con la FIAT di Torino alla società anonima Fabbrica italiana Magneti Marelli. Il patto sociale stabiliva paritetiche quote di capitale riservando, tuttavia, presidenza e direzione tecnica e commerciale alla Marelli. Il M. affidò la guida della neonata azienda elettromeccanica a un manager di assoluta fiducia, il marito di sua figlia Paola, B.A. Quintavalle, destinato a governarne le sorti fino al 1967, allorché l’intero pacchetto azionario passò nelle mani della FIAT.

Dalla prima guerra mondiale, probabilmente anche in virtù delle ingenti e remunerative commesse belliche, l’impresa uscì notevolmente rafforzata: il fatturato, pari a 10 milioni di lire nel 1915, arrivò a 42 milioni nel 1920. Tornata la pace, ripresero lentamente anche le esportazioni (perlopiù di ventilatori di vario tipo e dimensione e di piccoli motori elettrici), che si indirizzarono anche verso i nuovi mercati della Cina e del Medio Oriente. Nel frattempo cominciò la fabbricazione del macchinario elettrico di media e grossa potenza, del quale avevano avuto fino ad allora il monopolio poche grandi imprese straniere (General Electric, AEG, Siemens, Brown Boveri).

Nel 1920, in un’area attigua all’originario insediamento di Sesto San Giovanni, iniziarono i lavori per la costruzione dello «stabilimento n. 2», deputato appunto alla lavorazione di alternatori, grandi trasformatori, quadri e apparecchiature per centrali e impianti di propulsione terrestre e navale. Anche per far fronte alle nuove necessità finanziarie la società in accomandita Ercole Marelli e C., dotata nel 1919 di un capitale di 15 milioni di lire, si sciolse per dar luogo alla società anonima Ercole Marelli, con capitale iniziale di 20 milioni, portato nel giro di un anno a 30 milioni. Il M. assunse il 72% delle azioni e il rimanente 28% fu sottoscritto da A.S. Benni che egli chiamava il suo «figliolo di lavoro»: entrato in azienda come dipendente nel 1894, ne divenne socio con una quota di 15.000 lire nel 1906 e proprietario di quasi un terzo del capitale sociale al momento della costituzione in società anonima.

Il M. morì a Tremezzo il 28 ag. 1922, dopo essersi ammalato di tubercolosi. In seguito fu proprio Benni a prendere in mano le redini dell’azienda, che mantenne nei fatti – nonostante le dimissioni formali in occasione della nomina a ministro delle Comunicazioni, nel 1935 – fino alla morte (27 dic. 1945).

Nel suo testamento (conservato nell’archivio di Sara Galleani, nipote del M.) il M., ripercorrendo i momenti più significativi della propria vita, volle ricordare ed esprimere gratitudine nei confronti di una delle più antiche istituzioni educative milanesi: la Società di incoraggiamento di arti e mestieri, che, nel corso dell’Ottocento aveva visto impegnati come docenti o relatori, tra gli altri, personaggi quali C. Cattaneo, G. Colombo e F. Brioschi. Lì – dove aveva frequentato corsi serali negli anni dell’apprendistato – «l’insegnamento pratico vi [era] eseguito senza tanta esteriorità, alla buona, ma molto praticamente e con risultati splendidi pel miglioramento ed istruzione dell’operaio volenteroso di imparare». Effettivamente risultò vincente per il M., il suo «saper fare», la sua capacità di creare e di manipolare, di sperimentare artigianalmente: egli non inventò nulla di straordinariamente nuovo, ma prestò una continua attenzione al perfezionamento di macchine e apparecchi già esistenti. Lo rivela l’elenco dei brevetti rilasciati a suo nome o della sua ditta, nel quale piccoli dispositivi e congegni dei tipi più diversi si alternano a filtri e meccanismi di accensione, con l’unica stupefacente eccezione, il 19 maggio 1910, per la richiesta di brevetto – concesso nel febbraio 1911 – di un «aeroplano Marelli».

Fonti e Bibl.: Fonti primarie di riferimento, per ricostruire la vicenda imprenditoriale del M., sono l’Archivio dell’omonima impresa, depositato presso l’Istituto per la storia contemporanea di Sesto San Giovanni, nonché alcune carte di famiglia, tra le quali il testamento, conservate dalla signora Sara Galleani. Profili biografici sono rintracciabili anche in svariate pubblicazioni celebrative promosse dalla Società d’incoraggiamento d’arti e mestieri di Milano e dall’Associazione elettrotecnica italiana, oltre che nell’opuscolo aziendale Venti anni di vita della ditta E. Marelli & C. (1891 - 11 nov. 1911), Milano 1911. Sull’attività di industriale si vedano: S. Licini, E. M. e Tecnomasio italiano, dalle origini agli anni Trenta: un tentativo di comparazione, in Annali di storia dell’impresa, 1989-90, n. 5-6, in partic. alle pp. 300-302; M. Doria - P. Hertner, L’industria elettrotecnica, in Storia dell’industria elettrica in Italia, I, Le origini (1882-1914), a cura di G. Mori, Roma-Bari 1992, pp. 157, 162; M. Doria, Gli imprenditori tra vincoli strutturali e nuove opportunità, in Storia d’Italia (Einaudi), Annali 15, L’industria, a cura di F. Amatori et al., Torino 1999, pp. 659 s., 684; E. Cola, Andamento economico e produttivo all’Ercole Marelli dalla fondazione agli anni Cinquanta, in Annali della Fondazione «Istituto per la storia dell’età contemporanea», 2004, n. 6, pp. 119-125.

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