ERAN

Enciclopedia dell' Arte Antica (1994)

ERAṆ

G. Verardi

Località indiana (antica Airikiṇa) situata sulla riva sinistra del fiume Bina (Venvā), affluente della Betwa, col quale forma uno dei sistemi fluviali più importanti, dal punto di vista storico-archeologico, dell'India centro-settentrionale. Vi si trovano alcuni dei più notevoli insediamenti dell'India antica (Sāñcī e Vidiśā, con Udayagiri e Besnagar a monte; E. appunto; Lalitpur con Deogarh più a N; ecc.).

Il sito fu visitato e descritto per la prima volta da A. Cunningham nella seconda metà dell'Ottocento, e a lui si devono piante schematiche del sito e dell'area sacra. Anche se più di un dubbio è stato sollevato sull'esattezza della pianta del santuario (che non corrisponde sempre a quanto si dice nel testo), a essa si deve ancora far riferimento poiché le sue strutture murarie, già allora in cattivo stato, sono oggi quasi interamente scomparse.

L'insediamento urbano, che sorgeva su un'ansa della Bina, è stato indagato archeologicamente negli anni '60, con risultati tuttavia poco soddisfacenti a causa delle strategie di scavo adottate. Vi sono stati individuati quattro periodi di occupazione. Il primo è fatto coincidere con la cultura calcolitica dell'India centrale, caratterizzata da ceramica grigia; verso la fine del periodo si osserva la costruzione di mura urbane in argilla. Nel secondo periodo sono documentati mattoni cotti (ma nessuna struttura è stata individuata e portata alla luce) associati a ceramica rossa e ad alcuni interessanti oggetti, tra cui una pastiglia di cuoio impressa con la legenda, in caratteri di epoca maurya, raño Idagutasa, «del re Indragupta». Vanno ricordati a questo proposito i ritrovamenti di monete, tra cui una rara moneta quadrata del III sec. a.C. recante il nome di un sovrano, Dharmapāla, fatti da A. Cunningham. Nei primi secoli della nostra era (periodo III), quando compare la ceramica rossa polita che si associa comunemente alla ceramica romana, vi sono resti strutturali e, tra gli oggetti, numerose monete nāga, śaka, indo-sasanidi e gupta. Le mura in pietra ancora visibili risalgono al quarto periodo, tardo-medievale.

L'area sacra si trova a meno di 1 km a O dell'abitato, e consiste dei resti di quattro templi, aperti verso E, di epoca gupta (parzialmente ripresi in epoca medievale) con immagini di Viṣṇu e di suoi avatāra la cui pertinenza alle singole strutture è problematica, di un toraṇa o portale di accesso, e di un Garuḍastaṃbha. L'impianto del santuario riflette probabilmente un coerente programma cultuale del V sec. d.C., anche se la prima testimonianza archeologica è un'iscrizione su arenaria di Samudragupta (c.a 345-380 d.C.), il massimo sovrano della dinastia Gupta. È la sola a lui riferibile oltre alla famosa eulogia di Prayāga (Allahabad); oltre al nome del luogo, Airikiṇa, attestato anche su alcune monete, essa ricorda già la costruzione di un tempio dedicato a Janārdana, identificato con Visnu. L'area sacra ha esclusivo carattere visnuita, in accordo con i presupposti politico-ideologici dei sovrani e feudatari gupta, al cui patrocinio fu dovuta, tesi ad affermare un tipo di egemonia politica coincidente con l'ortodossia neo-brahmanica rappresentata sul piano religioso dal visnuismo.

La scultura più antica del sito risale agli inizi del V sec. ed è quella di Narasimha, l’avatāra in forma di uomo-leone che dilania il mitico re Hiränyakasipu (scivaita, secondo una tradizione) - un'iconografia legata ad ambiente kṣatriya; agli anni 450-480 è attribuita l'imponente immagine nimbata di Viṣṇu a quattro braccia, alta più di 4 m, con la tipica, alta corona e lunga ghirlanda (vanamālā); agli anni 470-485 sembra datare l'immagine antropomorfa di Varāha (ora nel Museo dell'Università di Sagar), una delle più belle sculture indiane, rappresentante il dio che in forma di cinghiale trae dall'abisso la Terra raffigurata come una giovane donna aggrappata a una delle sue zanne. Questa particolare iconografia, diffusasi in epoca gupta e post-gupta a partire dagli anni intorno al 400 d.C. (si consideri il grande rilievo rupestre di Udayagiri presso Vidiṣā), è strettamente legata alla committenza regale, che fonda un'equivalenza tra mito cosmogonico (il cinghiale che fa emergere la Terra dal caos) e sovranità ortodossa (il sovrano che riporta l'ordine sulla terra già retta da lignaggi; e dinastie eterodosse).

Dell'anno 485 è il pilastro iscritto fatto erigere da Mātṛviṣṇu, feudatario di Bhaumagupta, e da suo fratello Dhanyaviṣṇu. La sua parte inferiore è a sezione quadrata, a cui segue un tratto a sezione ottogonale (il simbolismo è dunque quello delle direzioni spaziali), sormontato da un capitello campaniforme e da un abaco quadrangolare con due coppie di leoni. In cima al pilastro sono due figure antropomorfe addorsate, con un unico cakra o ruota all'altezza della testa e delle spalle, interpretate come immagini di Garuda, il veicolo di Viṣṇu. Garuḍastaṃbha si trovano di frequente davanti ai templi visnuiti d'epoca medievale, ma va ricordato che pilastri con emblemi protovisnuiti, tra cui Garuda, risalgono al II sec. a.C., come mostra il pilastro di Besnagar (v. vidiśā), collegato al culto dei pañcavīra.

La scultura più impressionante di E. è forse quella di Varāha in forma interamente teriomorfa dovuta alla committenza del fratello minore di Dhanyaviṣṇu, scolpita intorno al 490 secondo alcuni o nel 510 secondo altri. È la prima immagine di Varāha di questo tipo, il corpo del dio-cinghiale suddiviso in fasce orizzontali fittamente riempite dalle figure dei ṛṣi o veggenti, barbuti e con i vasetti rituali per l'acqua, che secondo il mito si afferrano alle sue setole. Tra le zampe del cinghiale si notano le spire di un serpente e due dee-serpenti (nāginī), che alludono alle acque primordiali, mentre alla zanna destra del dio si aggrappa la Terra. Tra il collo e la spalla del cinghiale si trova un'iscrizione datata al I anno di Toramāṇa, sovrano di quegli Hūṇa o Eftaliti che corsero l'India nord-occidentale e centrale sul finire dell'epoca gupta, i quali, nel tentativo di fondare un loro potere politico, si provarono a far propria l'ideologia imperiale dei Gupta.

Bibl.: A. Cunningham, Tours in Bundelkhand and Malwa in 1874-75 and 1876-77 (Archaeological Survey of India, 10), Calcutta 1887, p. 76 ss.; Κ. D. Bajpai, Excavation at Eran, District Sagar, Madhya Pradesh, in Indian Archaeology. A Review, 1960-61, pp. 17-18; 1961-62, pp. 24-25; 1962-63, pp. 11-12; 1963-64, pp. 15-16; 1964-65, pp. 16-18; U. V. Singh, Eran. A Chalcolithic Settlement, in Bulletin of Ancient Indian History and Archaeology (University of Saugar/Sagar), I, 1967, pp. 29-38; J. C. Harle, Gupta Sculpture, Oxford 1974, pp. 11-12, 37-39; B. Chhabra, G. S. Gai (ed.), Corpus Inscriptionum Indicarum, III. Inscriptions of the Early Gupta Kings. Revised by D. R. Bhandarkar, Nuova Delhi 1981, pp. 86 ss., 94, 220 ss., 339 ss.; J. G. Williams, The Art of Gupta India. Empire and Province, Princeton 1982, pp. 90-91, 98, 129-130; F. M. Asher, Historical and Political Allegory in Gupta Art, in B. L. Smith (ed.), Essays on Gupta Culture, Delhi 1983, pp. 53-66; M. W. Meister, M. A. Dhaky, Κ. I)eva (ed.), Encyclopaedia of Indian Temple Architecture. North India. Foundations of North Indian Style c. 250 B.C.-A.D. 1100, Delhi 1988, pp. 33-34, 40; K. D. Bajpai, Coins from Eran Excavations: a Chronological Analysis, in D. Handa (ed.), Numismatic Studies, 2, Nuova Delhi 1992, pp. 21-25.