EQUITÀ

Enciclopedia Italiana (1932)

EQUITÀ

Gioacchino Scaduto

Nel diritto romano classico, e più ancora nel diritto giustinianeo, l'equità, concepita come idea di giustizia sia astratta, cioè generale, sia particolare, cioè riferita al singolo caso concreto, ha grandissima importanza. Ne è un indice la famosa definizione di Celso: ius est ars boni et aequi. In generale all'equità s'ispirano tutte le norme dello ius honorarium e dello ius gentium, in contrapposto allo ius civile, rigido, severo, formalistico; e all'equità si riportano talvolta le soluzioni adottate in singole controversie. L'equità appare quindi fonte autonoma di diritto; serve anzi adiuvandi vel supplendi vel corrigendi utris civilis gratia.

Questo dualismo fra ius aequum e ius strictum può ancora oggi rilevarsi nel diritto inglese per il contrapposto fra l'equity e la common law. All'equità, accanto al diritto, rinvia poi il cod. civ. svizzero (art. 4), statuendo che "il giudice è tenuto a decidere secondo il diritto e l'equità, quando la legge si rimette al suo prudente arbitrio o fa dipendere la decisione dall'apprezzamento delle circostanze o da motivi gravi". Nel codice civile francese, viceversa, per quanto nel progetto si fosse inserito un articolo, per il quale nelle materie civili il giudice, in difetto di leggi precise, sarebbe stato un ministro di equità e si fosse anche definita l'equità come un ritorno alla legge naturale e agli usi ricevuti nel silenzio della legge positiva, mancano un rinvio generale all'equità e una definizione di essa. Ugualmente nella legislazione italiana si constata un rinvio all'equità soltanto negli articoli 463, 578, 1124, 1652, 1718 codice civile e in alcune leggi speciali.

Tuttavia la determinazione del concetto di equità non ha meno affaticato giuristi e filosofi. Alle opinioni precedentemente sostenute, secondo le quali per equità dovrebbe intendersi o il diritto naturale o la morale o lo spirito della legge o l'adattamento della norma alle particolarità del caso concreto, si sono anzi aggiunti nuovi indirizzi secondo i quali tutto il diritto andrebbe identificato con l'equità. Da un canto (Maggiore) si è detto infatti che diritto attuato, concreto, applicato è uguale a equità, perché il diritto si realizza snaturandosi in qualche modo, negando cioè la sua natura di puro e astratto diritto, per diventare giusto in concreto, mentre l'equità avrebbe un valore immanente e si ritroverebbe in qualsiasi momento della vita del diritto; dall'altro (Osilia) si è sostenuto che l'equità non snatura il diritto, non è nozione distinta e antitetica al diritto. Per vie diverse il risultato sarebbe lo stesso. A questi due ultimi indirizzi è comune il difetto di non tenere conto che il nostro ordinamento positivo fa all'equità un trattamento di fonte distinta del diritto. Quanto ai primi, sembra preferibile la tesi, secondo la quale l'equità avrebbe una funzione correttrice del diritto, come giustizia in un dato caso. Così intesa, all'equità non può il giudice richiamarsi se non nei casi tassativamente stabiliti dal legislatore.

Bibl.: V. Scialoja, Del diritto positivo e dell'equità, Camerino 1880; V. Miceli, Sul principio di equità, in Studi in onore di V. Scialoja, II, Milano 1905, p. 83 segg.; P. Calamandrei, Il significato costituz. delle giurisdizioni di equità, in Arch. giuridico, LXXXV, p. 224 segg.; E. Osilia, L'equità nel dir. privato, Roma 1923; G. Maggiore, L'equità e il suo valore nel diritto, in Riv. internaz. di fil. del dir. 1923, p. 256 segg.: P. Bonfante, Equità, in Riv. dir. civ., 1923, p. 190; P. Rotondi, Equità e principi generali di diritto, in Riv. dir. civ., 1924, p. 266 segg.; L. Tripiccione, L'entità nel diritto, in Riv. internaz. di fil. del dir., 1925.

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