EQUISETACEE

Enciclopedia Italiana (1932)

EQUISETACEE (lat. scient. Equisetaceae)

Adriano FIORI

Famiglia di piante appartenente alla divisione delle Pteridofite. Le Equisetacee viventi appartengono al solo genere Equisetum, e sono tutte erbacee; invece altri generi e altre famiglie affini vissute nelle ere paleozoica e mesozoica erano pei lo più piante arboree (v. equisetinee).

Le Equisetacee viventi sono isospore, cioè hanno una sola forma di spore, mentre tra quelle fossili se ne trovano anche di eterospore, cioè a spore di due forme. Le spore si formano in borsette (sporangi) situate al margine di una squama (sporofillo) fatta a capocchia di chiodo, le squame sono disposte a verticilli attorno a un asse e nell'assieme costituiscono una spiga ovoidea o bislunga. Le spore hanno una membrana esterna che si rompe formando due appendici nastriformi (elaterî), allargate all'estremità, che in ambiente umido stanno avvolte attorno alla spora, in ambiente secco si raddrizzano in modo da agevolarne la dispersione per opera del vento.

Le spore, germogliando sul terreno umido, producono un corpicciolo irregolare, papilloso o ramificato, che si abbarbica mediante peli radicali: è il protallo, che costituisce la generazione sessuata della pianta e infatti porta gli organi sessuali maschili (anteridî) e femminili (archegonî). I primi generano anterozoidi cigliati, che vanno a fecondare l'oosfera dei secondi. Dall'oosfera fecondata si ha, attraverso una prima fase embrionale, la pianta perfetta, che produrrà poi, per via agamica, le spore sopra descritte.

L'apparato vegetativo è formato da rizomi sotterranei, talora forniti di ingrossamenti tuberiformi (Equisetum arvense) e da fusti articolati, con numerosi rami verticillati, gracili, pure articolati. Mancano vere foglie, essendo ridotte a guaine indurite circondanti il fusto. La funzione clorofillica è adempiuta dal fusto e dai rami. Dell'unico genere Equisetum si conoscono circa 30 specie, diffuse sopra gran parte del globo, viventi per lo più nei luoghi umidi o nell'acqua. Le specie italiane sono 8, fra le quali 4 molto diffuse, cioè: E. maximum ed E. arvense che hanno fusti fertili (sporigeni) semplici, che muoiono dopo la maturazione delle spore; E. palustre ed E. ramosissimum con fusti fertili simili a quelli sterili e perduranti anche dopo la maturazione delle spore. L'E. maximum è la specie di maggior mole, con fusti alti sino a m. 1,80; forma talora grandi masse nei luoghi umidi a terreno argilloso-siliceo e spesso diviene erbaccia infestante. Va ricordato anche l'E. silvaticum che cresce riei boschi folti delle Alpi, con aspetto elegante, quasi di piuma. Tra le specie esotiche l'E. giganteum dell'America Meridionale è quella di maggior mole (fusti lunghi sino a 10 m., ma gracili); l'E. Schafneri del Messico è la specie a fusto più grosso.

Il volgo conosce specialmente gli E. arvense ed E. maximum, che per il loro aspetto chiama "code di cavallo" o "code equine"; a tutte le specie di Equisetum si dà anche il nome di brusca o asperella perché sono scabre, avendo sull'epidermide silicizzata sporgenze più o meno copiose, tanto che possono servire ai falegnami e tornitori per levigare il legno, l'avorio e l'alabastro.

L'E. arvense è anche usato dal volgo come leggiero astringente e diuretico. Tutti gli equiseti sono indigesti e nocivi al bestiame per la forte quantità di silice che contengono: deprezzano quindi il fieno quando vi si trovino in certa quantità.

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