FERRARI, Enzo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 46 (1996)

FERRARI, Enzo

Franco Amatori

Nacque a Modena il 20febbr. 1898 da Alfredo e da Adalgisa Bisbini. Il padre, proprietario di una piccola azienda produttrice di materiale ferroviario, aveva raggiunto una certa agiatezza tanto da possedere già all'inizio del secolo diverse automobili. Il F., che abbandonò gli studi alla seconda classe dell'istituto tecnico superiore, dichiarerà di avere avuto da giovane tre passioni: l'operetta, le corse automobilistiche, il giornalismo. Collaborò ancora giovanissimo alla Gazzetta dello sport, dimostrando una chiarezza e un'incisività nel comunicare che rimarranno tra le sue doti maggiori anche nell'attività di imprenditore.

Gli anni della prima guerra mondiale furono molto duri. Morirono, infatti, a breve distanza di tempo, nel 1916, il padre ed il fratello maggiore, si interruppe l'attività della piccola impresa di famiglia e lo stesso F., arruolato, si ammalò gravemente e venne ricoverato per diversi mesi in un ospedale militare di Bologna. Ripresosi dopo la fine del conflitto, il F. si recò a Torino tentando senza successo di farsi assumere dalla FIAT (Fabbrica italiana automobili Torino). Rimase tuttavia a Torino - torinese è Laura Garello che sposò nel 1923 - e nell'ambiente automobilistico. Trovò lavoro in una piccola ditta che riadattava autocarri Lancia; in seguito grazie alla conoscenza del pilota U. Sivocci, divenne collaudatore a Milano alla Costruzioni meccaniche nazionali (CMN) per passare poi nel 1920 all'Alfa Romeo a Portello.

La casa del Portello stava vivendo una difficilissima fase seguita alla sproporzionata espansione degli anni del conflitto e cercava una propria collocazione nel panorama automobilistico italiano fabbricando vetture veloci e da competizione. Una tale scelta era facilitata dalla struttura del settore che si andava consolidando negli anni '20. La produzione di massa era ormai saldamente dominata dalla FIAT, che nel corso del decennio giungerà a controllare quasi il 90% della produzione nazionale mentre la Lancia, in particolare dopo l'uscita della innovativa Lambda - laprima vettura con scocca portante - nel 1922, si avviava a primeggiare nel segmento medio alto. Le due case torinesi rinunciavano ad impegnarsi nelle competizioni considerate solo come un sostegno all'azione commerciale. Si apriva quindi una favorevole nicchia per l'Alfa Romeo e il F. fu tra i protagonisti di questo nuovo indirizzo aziendale.

Grazie alle sue frequentazioni torinesi contribuì a convincere diversi tecnici della FIAT impegnati nella produzione di vetture da corsa a trasferirsi presso la casa del Portello ed in particolare il grande progettista V. Jano che, con la preparazione dei modelli P2 e P3, dette origine ad una memorabile stagione di successi sportivi per l'impresa milanese. Anche il F. si cimentò come pilota. La sua prima gara fu la Parma-Poggio di Berceto nel 1919 su una CMN 3000; in seguito correrà per l'Isotta Fraschini, prima di approdare all'Alfa. Ottenne qualche buon piazzamento e qualche vittoria. In occasione della vittoria conseguita nel 1923 nel Circuito del Savio a Ravenna, la madre dell'aviatore medaglia d'oro Francesco Baracca lo invitò a fregiarsi dello stemma di suo figlio, il cavallino rampante, un simbolo che accompagnerà tutta la sua carriera di imprenditore. Egli si ritirò dalle competizioni nel 1932, anno in cui nacque suo figlio Dino. Sfruttò, invece, sin dagli anni '20 le sue non comuni capacità organizzative e commerciali. Riuscì ad essere nominato concessionario dell'Alfa Romeo per l'Emilia Romagna e per le Marche ed apri nel 1925 a Modena un'autorimessa con officina per riparazioni e assistenza alle vetture. Il successo economico non mancò, anche perché, seppure in fasce di pubblico limitate dal basso reddito pro capite che caratterizzava il paese, l'automobilismo sportivo attraeva diversi appassionati che trovavano gratificante servirsi da chi come il F. era pilota o aveva familiarità con i piloti più affermati.

Nel 1929 dall'accordo del F. con alcuni imprenditori del settore tessile, interessati alle corse automobilistiche ed essi stessi piloti, i fratelli Augusto e Alfredo Caniato e Mario Tadini, nacque la Società anonima Scuderia Ferrari, alla quale parteciparono come azionisti anche l'Alfa Romeo ed alcune importanti produttrici di componentistica quali la Bosch e la Pirelli. In seguito aderì anche la Shell.

La Scuderia, con sede a Modena, aveva come obiettivo l'assistenza e il sostegno a piloti dilettanti che intendevano affrontare le competizioni. Per questo disponeva già dal primo anno di tre vetture Alfa Romeo GL 1750, mentre l'officina era adeguatamente attrezzata di pezzi di ricambio e macchinari. Tuttavia venne creata anche una squadra corse che ingaggiava i migliori piloti professionisti già affermati come T. Nuvolari, A. Varzi, D. Campari, U. Borzacchini ed altri che venivano formati all'interno come A. Brivio e G. Moll. In questo modo la Scuderia sfruttava i vantaggi economici derivanti dalle competizioni sotto forma di ingaggi e premi. Strettissimo era il rapporto con l'Alfa Romeo di cui la Scuderia Ferrari finì per costituire in breve tempo un secondo reparto corse ed anzi in alcune fasi fu delegata a rappresentarne interamente l'attività sportiva.Il F., che si impegnò in una vivace opera di propaganda con la pubblicazione fra l'altro di un periodico illustrato, costruì quindi un'agile organizzazione al servizio della casa del Portello. Sebbene non mancassero episodi di rivalità nelle competizioni fra l'Alfa e la Scuderia, l'interesse per il successo del suo marchio spingeva l'impresa milanese ad indirizzare a Modena risorse tecniche ed umane d'alto valore. Ad esempio, nel 1933 l'Alfa Romeo cedette alla Scuderia L. Bazzi, grande esperto di motori da corsa che a Modena assunse il ruolo di direttore tecnico e che sarà da allora uno dei più stretti collaboratori del Ferrari. La Scuderia divenne un vero e proprio centro di sperimentazione, dove si studiavano carrozzerie esclusive e soprattutto dove le vetture venivano profondamente elaborate e si realizzavano originali modifiche e assemblaggi. Nel 1937 l'Alfa Romeo decentrò a Modena la progettazione e la costruzione della nuova monoposto Tipo 158, dotata di un motore di 1500 cm3 con compressore, cioè l'Alfetta che nel dopoguerra vincerà due campionati mondiali.

Ben presto l'iniziativa del F. si dimostrò di consistente impegno (nel 1933 la Scuderia si avvaleva di ventuno piloti professionisti, sei piloti motociclisti e ventisette meccanici altamente qualificati), tanto che nel 1932 A. Caniato si era sentito inadeguato a ricoprire la carica di presidente e l'aveva ceduta al nobiluomo biellese C. F. Trossi, ricchissimo e dotato di una vasta rete di contatti molto utili all'impresa. Nessuno tuttavia metteva in dubbio la leadership del F. che nel 1936 sostituì Trossi alla presidenza.

Notevoli furono i successi sportivi della Scuderia come quelli ottenuti a ripetizione nella Mille Miglia, la vittoria di T. Nuvolari nel Gran Premio di Germania al Nürburgring nel 1935 e i record internazionali sul chilometro e sul miglio battuti sulla Firenze-mare dal pilota mantovano nello stesso anno con la Bimotore assemblata da L. Bazzi.

L'esperienza della Scuderia Ferrari ebbe termine nel 1938 quando venne assorbita dall'Alfa corse della quale il F. fu nominato direttore. Ugo Gobbato, direttore generale dell'Alfa Romeo, volle in tal modo controllare più strettamente l'attività sportiva, a cui il regime fascista attribuiva una notevole importanza per il prestigio nazionale e che dalla metà degli anni'30 venne posta in seria difficoltà dalla poderosa concorrenza tedesca della Mercedes e dell'Auto Union. Ma il F. non resistette a lungo nella nuova posizione e alla fine del 1939 abbandonò la società milanese.

Il documento che sanci la rottura fra l'Alfa Romeo e il F. impediva a quest'ultimo di utilizzare il marchio Scuderia Ferrari per quattro anni. L'imprenditore modenese creò quindi una nuova ditta individuale, l'Auto avio costruzioni, che nei locali appartenuti alla Scuderia cominciò a fabbricare piccoli motori per aerei-scuola per la Compagnia nazionale aeronautica di Roma ed in seguito rettificatrici oleodinamiche. Nel 1943, quando l'azienda contava più di cento dipendenti, la legge sul decentramento industriale spinse il F. a trasferire la produzione a Maranello, un piccolo centro distante pochi chilometri da Modena ai piedi dell'Appennino, dove l'attività proseguì nonostante lo stabilimento subisse due bombardamenti.

In realtà, dopo aver lasciato l'Alfa Romeo, non aveva mai abbandonato l'interesse per le vetture da competizione. Nel 1940 avvalendosi di Alberto Massimino, il progettista con il quale aveva lavorato alla preparazione della 158, il F. costruì una vettura che non potendo chiamare con il suo nome, chiamò 815, per il motore a otto cilindri e per la cilindrata di 1500 cm3 . Pronta in due esemplari, uno dei quali affidato al giovane Alberto Ascari, la vettura partecipò senza molta fortuna alla Mille Miglia del 1940. L'episodio dimostrava chiaramente le intenzioni del F., che nei primi mesi del 1945 prendeva contatto con G. Colombo, uno dei più stretti collaboratori di V. Jano all'Alfa Romeo, per realizzare un nuovo modello da competizione dotato di un motore da dodici cilindri.

Il F. era consapevole di non possedere le competenze di un progettista, sapeva tuttavia mettere a frutto le sue capacità di stimolare i tecnici che cercava di far competere l'uno con l'altro per raggiungere il medesimo obiettivo. Allo stesso modo utilizzerà in seguito i migliori piloti disponibili sempre attento però a far sì che la loro fama non superasse quella delle sue vetture. Il F. aveva una precisa cognizione delle caratteristiche che doveva possedere il prodotto. Riteneva innanzitutto che fosse di primaria importanza per la riuscita nelle corse la potenza del motore rispetto a qualsiasi altro elemento del veicolo. Tendeva inoltre a trasferire sulle vetture granturismo, che costruirà per sostenere economicamente l'attività sportiva, le parti meccaniche ed i motori di quelle da competizione. Una scelta del genere, unica fra i costruttori impegnati sui due fronti - gare e produzione di serie -, conferirà un fascino particolare alle Ferrari destinate alla strada e risulterà molto efficace da un punto di vista commerciale.

La decisione del F. di dedicarsi alla costruzione di vetture sportive era certamente confortata dall'entusiasmo più che mai diffuso nell'Italia del secondo dopoguerra per le competizioni automobilistiche, un fenomeno europeo se a quattro mesi dalla fine del conflitto a Parigi si correva il Gran Premio della Liberazione, mentre dalla primavera del 1946 anche negli altri paesi le competizioni riprendevano su vasta scala.

Intanto Modena, grazie anche alla presenza di una diffusa industria metalmeccanica, diventava una sorta di Mecca del'alta velocità. La supremazia del F. era messa in discussione nel 1940 dal trasferimento in città della Maserati, rilevata da A. Orsi, imprenditore modenese con vasti interessi in campo siderurgico e meccanico, e fresca delle prestigiose vittorie ottenute nella Cinquecento Miglia di Indianapolis: la rivalità con il F. sarà accesissima. Il centro emiliano era meta di fornitori, commercianti d'auto, tecnici, progettisti, piloti professionisti, ricchi dilettanti, giornalisti sportivi, che intendevano stabilire rapporti con le due imprese.

L'iniziativa del F. ebbe un rapido decollo. Per la fine del 1945 il Colombo preparò il progetto di una dodici cilindri da 1500 cm3 la 125 così definita dalla cifra della cilindrata unitaria, che fu pronta per le corse nella primavera del 1947. In quest'anno il F. ottenne sei vittorie sulle quattordici competizioni a cui parteciparono le sue vetture, mentre nell'anno successivo vinse la prima di sei Mille Miglia consecutive e nel 1949 colse il successo alla 24 Ore di Le Mans. Nel 1951 nel Gran Premio di Inghilterra a Silverstone, in una prova del Campionato mondiale piloti per vetture di Formula 1 (inaugurato l'anno precedente), una Ferrari con il nuovo motore aspirato da 4500 cm3 realizzato dal giovane ingegnere A. Lampredi, batté le rivali della vecchia casa madre, l'Alfa Romeo; per il F. fu il punto d'arrivo di un lungo processo di emancipazione. Tuttavia nel 1951 fu J. M. Fangio dell'Alfa Romeo a ottenere il titolo mondiale che però non sfuggì al F. nei due anni seguenti con A. Ascari. Nel 1952 e nel 1953 al titolo mondiale per piloti il F. unì anche quello per marche.

La produzione e la vendita delle vetture granturismo apparve il modo più efficace per sfruttare da un punto di vista economico i trionfi sportivi. Nel 1947 le Ferrari vendute furono 7, nel 1948 45 e circa 80 l'anno nel periodo fra il 1950 e il 1955. A differenza dei rivali della Maserati orientati verso il mercato interno, il F. puntò soprattutto sulla ricca clientela dei mercati stranieri. Particolarmente efficace fu l'azione commerciale negli Stati Uniti di L. Chinetti il vincitore della 24 Ore di Le Mans. Alle fortune delle Ferrari granturismo contribuì in misura rilevante la collaborazione con la Pininfarina con la quale dal 1952 ebbe inizio un rapporto esclusivo. Il carrozziere torinese seppe combinare magistralmente una costruzione aerodinamica che valorizzasse le potenzialità del motore con l'attenzione per la comodità, la raffinatezza, l'estetica. E il caso di uno dei modelli di base della Ferrari negli anni '50, il 250 G T, che, presentato al Salone di Parigi nel 1955, per il vasto consenso ottenuto, venne prodotto in serie dal 1959.

Non c'è dubbio che le affermazioni dei primi anni '50 furono agevolate dalla momentanea debolezza della concorrenza, una situazione che cambiò drasticamente nel 1954 con il ritorno alle competizioni della Mercedes e con l'ingresso della Lancia, diretta dal vecchio Jano, nella ristretta cerchia delle marche che potevano aspirare ai massimi traguardi sportivi. Nel 1954 il F. riuscì a conservare il titolo di campione del mondo per marche ma la Mercedes con Fangio ottenne quello per piloti e l'anno seguente la casa tedesca conseguì entrambi lasciando alla Ferrari pochissime vittorie. Tuttavia la Mercedes, acquisiti questi risultati, preferì ritirarsi dalle gare (è del 1955 il gravissimo incidente di Le Mans in cui una Mercedes causò la morte di ottanta spettatori), mentre il F. ricevette un aiuto insperato. Anche la Lancia, ormai una seria rivale, decise di abbandonare le competizioni, causa non secondaria della grave crisi economica in cui versava. Per iniziativa del presidente dell'Automobile Club d'Italia, F. Caracciolo, che temeva un'offerta della Mercedes, la Lancia cedette alla Ferrari le sue vetture ed il suo materiale per le competizioni: a questo dono la FIAT aggiunse un contributo a favore della casa di Maranello di 50 milioni annui per cinque anni come sostegno all'automobilismo sportivo nazionale. Rielaborando le Lancia D 50 il F. vinse nel 1956 il suo terzo titolo mondiale per piloti con Fangio.

Per il F. ebbe inizio in ogni caso un periodo difficile. Il 30 giugno 1956, dopo una lenta agonia, si spense il figlio Dino e nei mesi seguenti morirono alcuni fra i suoi migliori piloti. Nel marzo del 1957 perse la vita durante una prova a Modena E. Castellotti; in maggio A. De Portago, durante la Mille Miglia, per lo scoppio di una gomma provocò oltre che la sua e quella del copilota la morte di undici persone; nel luglio dell'anno seguente durante il Gran Premio di Francia ebbe un fatale incidente L. Musso. Per l'episodio della Mille Miglia del 1957, il F. fu incriminato per non aver dotato la vettura di pneumatici adeguati alle velocità sviluppate. Nell'ottobre del 1958 in un articolo pubblicato sulla Civiltà cattolica, firmato da padre L. Azzolini, Una inutile strage: le gare automobilistiche di velocità, il F. fu definito un moderno Saturno che divora i propri figli. L'imprenditore modenese riuscì però a convincere della propria innocenza i suoi accusatori. Fu assolto in istruttoria per l'incidente della Mille Miglia, mentre l'Azzolini, da lui persuaso, riconobbe che le responsabilità delle gare dovevano essere attribuite agli organizzatori e a coloro che detenevano i pubblici poteri.

Alla fine degli anni '50 la posizione del F. - che nel 1958 aveva ottenuto un altro titolo mondiale per piloti con l'inglese M. Hawthorn - appariva piuttosto solida. L'azienda contava più di 300 dipendenti, produceva 250 vetture l'anno, e per costruire all'interno i motori ideati dai propri ingegneri si era dotata, con un impegnativo investimento, di una fonderia. Molto positivo era il rapporto fra il F. e l'ambiente sociale modenese. All'interno della fabbrica egli si caratterizzò per una certa apertura nelle relazioni sindacali, concedendo il premio di produzione collettivo, riconoscendo i diritti della commissione interna, evitando discriminazioni politiche. Aiutò concretamente - con un prestito senza interessi - la nascita della Cooperativa fonditori che salvaguardava l'occupazione degli operai licenziati dalla fonderia Valdevit. Nel 1956 riuscì a trasformare in un vero e proprio istituto tecnico la scuola creata qualche anno prima in un vecchio stabile lungo la strada dell'Abetone, dove venivano impartiti insegnamenti di meccanica per la produzione automobilistica. La sfida cittadina con la Maserati fu definitivamente vinta al termine del 1957 quando i rivali, pur avendo vinto il campionato del mondo per piloti, a causa delle difficoltà economiche della famiglia Orsi annunciarono il ritiro dalle competizioni. Il F., ormai unico costruttore in grado di rappresentare l'Italia nelle grandi competizioni dell'automobilismo sportivo, assurse al ruolo di gloria nazionale. Nel 1952 era stato nominato cavaliere del lavoro. Nel 1960 l'università di Bologna gli conferì la laurea honoris causa in ingegneria meccanica.

L'espansione non poteva più essere contenuta nell'alveo della ditta individuale. Nel maggio 1960 si costituì a Modena la Società esercizio fabbriche automobili e corse (SEFAC), avente come oggetto la costruzione di automobili Ferrari e la partecipazione a competizioni automobilistiche. Ma un passo del genere non era sufficiente a sostenere il peso economico dell'attività sportiva e della produzione di serie, occorreva un alleato forte.

Un'offerta in questo senso giunse nel 1963 dalla Ford che riteneva quello delle auto sportive un mercato in forte crescita soprattutto fra i giovani americani. La trattativa andò avanti per qualche mese sulla base di una proposta della Ford che prevedeva la costituzione di due società, una a netta maggioranza statunitense dedicata alla produzione di serie, l'altra con rapporti azionari rovesciati a favore del F. rivolta alle gare. Ma infine non fu raggiunto alcun accordo in quanto il F. ritenne che l'intesa con la casa di Detroit avrebbe gravemente limitato la sua libertà d'azione anche nelle competizioni. In realtà da diversi commentatori la possibile intesa con Ford venne considerata soprattutto come un messaggio inviato alla maggiore impresa automobilistica nazionale che certamente temeva un accordo con un concorrente di quel calibro.

Di fatto l'accordo tra la FIAT e la Ferrari fu siglato nel 1965 per la realizzazione di un motore a sei cilindri denominato Dino che la Ferrari avrebbe progettato e la FIAT prodotto per vetture di serie.

Non fu un episodio isolato: il 21 giugno 1969 veniva annunciata la costituzione di una società con partecipazioni paritetiche tra le due imprese, così che, riprendendo lo schema della trattativa con la Ford, il settore granturismo dipendeva interamente dalla FIAT, mentre il F., presidente della nuova azienda si occupava delle competizioni. Sotto la guida del management FIAT la produzione delle vetture aumentò gradualmente sino a superare la quota di 2000 annue nel 1979, quota sulla quale le esportazioni incidevano per più dell'80%. Nel 1973 fu deciso di limitare le attività sportive alla partecipazione al Campionato mondiale di Formula i. Si riconobbe così che l'eccessiva tipologia di competizioni - la Formula 1, la Formula 2, le gare di lunga durata, ecc. - alle quali la Ferrari partecipava aveva costituito uno dei punti di maggiore debolezza degli anni '60, un decennio in cui il titolo mondiale per piloti era stato ottenuto due volte (1961 con Ph. Hill e 1964 con J. Surtees), la metà di quanto si era conseguito nel decennio precedente.

Il sostegno della FIAT consentì un netto potenziamento della fabbrica di Maranello: furono ammodernate le linee di montaggio e la fonderia, fu acquisita la carrozzeria modenese Scaglietti, mentre si costruì nelle vicinanze, a Fiorano, una pista per le prove che era quanto di più avanzato si potesse immaginare. Il ramo sportivo dell'azienda beneficiò della maggiore consistenza economico-organizzativa. N. Lauda su Ferrari vinse il Campionato del mondo per piloti nel 1975 e nel 1977, un titolo conseguito per la nona e sino ad ora ultima volta per la Ferrari da J. Scheckter nel 1979. Il F. era probabilmente sicuro di vincerlo di nuovo con l'ultimo dei suoi piloti prediletti, l'audace e combattivo canadese G. Villeneuve, ma questi scomparve in un incidente durante le prove del Gran Premio del Belgio nel 1982.

Dalla fine degli anni '70 il mondo della Formula i subiva un rapido cambiamento. Nuove tecnologie, nuove forme di finanziamento, costruttori intesi sempre piùcome assemblatori ne facevano qualcosa di profondamente diverso da quello in cui il F. aveva iniziato la sua avventura. Tuttavia il prestigio personale e la popolarità delle sue autovetture fecero rimanere il F. fino agli ultimi anni al centro del pittoresco mondo dello sport automobilistico, tanto che egli fu costantemente chiamato ad arbitrare le controversie tra organizzatori, produttori, piloti. Se non altro perché, senza la presenza delle Ferrari, le corse avrebbero avuto un danno economico irreparabile.

Il F. si spense a Modena il 14 ag. 1988.

Il F. ha pubblicato quattro volumi autobiografici: Le mie gioie terribili, Bologna 1962; Le briglie del successo, ibid. 1970; F., Modena 1974; e Piloti che gente..., Bologna 1985.

Fonti e Bibl.: Al F. è intitolata una cartella nell'Archivio storico della Fondazione cavalieri del lavoro a Roma ed un fascicolo dell'Archivio del Museo dell'automobile a Torino. Di qualche consistenza è la documentazione contenuta presso l'Archivio storico dell'Alfa Romeo ad Arese sul periodo della Scuderia Ferrari: si vedano Fondo Direzione generale, Segreteria, Serie pratiche varie, cart. 225 (corrispondenza, verbali riunioni, accordi collaborazione, anni 1933-1937); Serie contratti, cart. 97 (contratto tra Alfa Romeo e il F. per affitto locali a Modena, anno 1939); Fondo Direzione amministrazione, Serie finanza cassa, cart. 12 (corrispondenza varia e contratto piloti, anni 1934-1937). Presso il Centro storico Alfa Romeo (Arese) sono conservati 23 numeri del periodico Scuderia Ferrari dal 1934 al 1937. Non esiste invece alcun archivio o centro storico a Maranello. Piero Lardi Ferrari - figlio naturale del F. che successivamente lo adottò - sta raccogliendo e ordinando in una "Eredità Ferrari" tutta la documentazione in suo possesso riguardante il padre.

Sulla vita e l'opera del F. sono disponibili numerosissirne pubblicazioni. Si segnalano fra le più importanti: P. Casucci, E. F. 50 anni di automobilismo, Milano 1980; F.: uomo, macchine, Milano 1983; G. Rancati, F. l'unico, Milano 1988; B. Yates, E. F.: the man, the cars, the races, the machines, New York 1991.

Sulle Ferrari si vedano G. Rogliatti, Le Ferrari, Milano 1972; L. Orsini-A. Costantino, Catalogue raisonné, Milano 1987. Sul F. pilota cfr. V. Moretti, E. F. pilota, Roma 1987; G. Schmidt, Le corse ruggenti, Milano 1989; per l'esperienza della Scuderia Ferrari, si veda: L. Orsini, La Scuderia Ferrari, Firenze 1979 e il più sintetico A. T. Anselini, Le Alfa del cavallino, in Quadrifoglio, n. 34, ottobre-dicembre 1991. Vanno considerate alcune testimonianze come J. M. Fangio-M. Giambertone, La mia vita a 300all'ora, Milano 1963, pp. 217-228; N. Lauda, I miei anni con F., Firenze 1979; G. Colombo, Le origini del mito, Firenze 1985. Ad essi può essere assimilato, O. Oreficini, C. Chiti. Sinfonia ruggente, Roma 1991, pp. 18-58; sul fenomeno dell'automobilismo sportivo si rimanda al classico L. Pomeroy, The Grand Prix car, II, London 1949, aggiornato da L. J. K. Setright, The Grand Prix car 1954-1966, London 1968, ma anche a G. Lurani, Storia delle macchine da corsa, Milano 1970, e al più recente A. Cimarosti, Gran Prix story, Milano 1990. Sul F. ed il contesto modenese, si veda G. Muzzioli, Modena, Bari 1993, pp. 316 s., 326-28.

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