ENZIMI

Enciclopedia Italiana (1932)

ENZIMI (dal gr. ἐν "in" e ζῦ???μη "lievito")

Mario Giordani

Sostanze secrete dalle cellule viventi, le quali determinano o accelerano in seno alle stesse o fuori speciali reazioni chimiche. Una delle caratteristiche più salienti degli esseri viventi, è la facilità con cui essi disintegrano anche sostanze fra le più complesse. Così i nucleoproteidi vengono demoliti in proteine, carboidrati, purine, ecc.; le proteine a loro volta sono scisse in amminoacidi; gli zuccheri ossidati in acido lattico; le purine in acido urico, e così via. Ora, in genere, tutto il complesso meccanismo di trasformazione degli alimenti per renderli adatti all'assimilazione, come la solubilizzazione e utilizzazione delle riserve contenute nei semi in germinazione, le azioni microbiche, è appunto frutto di reazioni blande effettuate dagli enzimi.

Cenno Storico. - A uno scienziato italiano spetta il merito di aver per primo iniziate le ricerche in tal campo. Fu infatti Lazzaro Spallanzani che nel 1765 mostrò brillantemente l'azione solvente del succo gastrico sulla carne. Per quanto egli avesse precisati alcuni particolari, non poté tuttavia valutare, a causa dei mezzi rudimentali di cui allora si disponeva e delle scarse cognizioni di chimica del tempo, la vasta portata della sua scoperta. Successivamente, nel 1830, Dubrunfaut preparò un estratto di malto che idrolizzava l'amido in maltosio, e tre anni dopo Payen e Persoz da tali estratti precipitarono con alcool una sostanza che poteva essere conservata allo stato secco, mantenendo un'energica azione sull'amido: erano i primi tentativi d'isolamento della sostanza attiva. All'incirca alla stessa epoca Lenchs (1831) riuscì a saccarificare l'amido con la saliva, e da questa più tardi (1845) Miahle separò una sostanza simile alla diastasi che denominò diastasi salivare. Settant'anni dopo le ricerche di Spallanzani. lo Schwann identificò la pepsina nel succo gastrico, e poco dopo Kühne completò le sue interessanti ricerche sulla tripsina, riuscendo così a dare in parte spiegazione dei fenomeni tanto complessi della digestione.

L'interpretazione delle funzioni di tutte queste sostanze fu data dal Berzelius (1837), il quale ammise che esse agissero di presenza, senza così prendere direttamente parte alla reazione, e introdusse così il concetto di reazioni catalitiche. In seguito il Liebig in una serie di articoli (1870) sviluppò una teoria puramente chimica in perfetta antitesi con la teoria vitale del Pasteur (v. fermentazione). La controversia fu troncata dalla scoperta fatta dal Büchner (1897) che l'estratto del lievito: perfettamente libero da cellule viventi, è capace di determinare la fermentazione dei carboidrati. Le scoperte del Pasteur portarono tra l'altro alla differenziazione tra fermento solubile, o non organizzato, o enzima, come la diastasi, la pepsina ecc., e fermento organizzato o figurato, veri organismi viventi con forma e figura propria e definita.

Da quell'epoca, insieme alle indagini innumerevoli sui fenomeni di fermentazione, s'iniziò un periodo molto brillante di studî sugli enzimi e sulle reazioni enzimatiche. O' Sullivan e Tompson seguirono con misure quantitative l'azione della saccarasi del lievito, riuscendo a stabilire che l'inversione segue le leggi delle reazioni monomolecolari; E. Fischer e i suoi allievi, con le magistrali ricerche sulla struttura degli zuccheri e dei peptidi fornirono le basi sulle quali poggiano gli attuali criterî di specificità: Schonbein, Traube e in particolare Bertrand (1912) diedero lo spunto per un'analisi sistematica delle ossidasi e di molti enzimi della stessa classe. La funzione dell'acidità del mezzo sullo sviluppo dell'azione enzimatica, messa in evidenza da Fernbach (1888), fu precisata dai classici lavori di Sorensen e Michaelis, e inquadrata oggi in dati numerici precisi che permettono di definire le condizioni ambientali per ogni enzima.

Le conoscenze nel campo degli enzimi si vanno oggi estendendo in misura notevole per l'opera d'insigni maestri: Willstätter a Monaco e Euler a Stoccolma delucidando il meccanismo chimico-fisico d'azione degli enzimi, vanno creando metodi per la preparazione e purificazione di essi; in Inghilterra Quastel e Dixon studiano la catalisi d'ossidazione e riduzione; Harden e Young precisano la funzione del cofermento della zimasi alcoolica; Northrop e Nelson eseguono misure di grande precisione sulla cinetica dell'azione delle proteasi e della saccarasi. A Berlino Neuberg e la sua scuola portano un notevole contributo alla conoscenza dei varî enzimi contenuti nel lievito.

Natura e nomenclatura degli enzimi. - Gli enzimi, come risulta da analisi più o meno concordanti, contengono oltre C, H e O anche N, Ph, S e tracce di Ca, Fe e qualche volta di Mn. Alcuni ritengono gli enzimi costituiti da proteine o anche da nucleo-proteidi, ma l'esistenza di preparazioni attive perfettamente prive delle reazioni proprie delle sostanze proteiche, come l'amilasi e la sucrasi, non suffragano questa ipotesi. Euler invece li considera come combinazioni colloidali con proteine; Willstätter e la sua scuola ammettono l'esistenza d'un supporto di natura colloidale variabile, con un gruppo attivo puramente chimico. La separazione dei due costituenti determina una notevole perdita d'attività.

Per la denominazione si seguono quattro sistemi:1. applicando il suffisso asi al nome del substrato sul quale l'enzima agisce, per es. amilasi, ureasi, proteasi, ecc.; 2. applicando lo stesso suffisso al nome di uno dei prodotti finali della reazione, per es. alcoolasi, glucasi, ecc.; 3. denominandoli secondo la natura dell'azione che determinano, per es. ossidasi, reduttasi, invertasi, ecc.; 4. adoperando termini che hanno scarsa attinenza con la natura della reazione, per es. zimasi, pepsina, tripsina, ecc. In tale categoria rientrano generalmente i complessi di più enzimi. Gli enzimi sintetizzanti hanno la terminazione in esi, come p. es. la fosfatesi. In genere poi quelli che digeriscono gli amidi si chiamano amilolitici, quelli delle sostanze proteiche proteolitici, e così via.

La cellula però non sempre secerne l'enzima completo, ma una sostanza madre che è poi attivata fuori della cellula stessa; la prima costituisce lo zimogeno o proenzima, e l'attivatore si dice kinasi. Così nel caso della pepsina (zimogeno) occorre l'azione combinata dell'HCl (kinasi) perché possa aversi l'azione proteolitica. Coenzima o cofermento è invece un attivatore termostabile che esalta l'attività d'un enzima.

Generalità, estrazione e purificazione. - Gli enzimi si rinvengono nelle cellule viventi; ne sono particolarmente ricche quelle costituenti gli esseri inferiori (lieviti, muffe, ecc.). La quantità d'enzima è in rapporto con la composizione del substrato su cui la cellula si sviluppa. È così che enzimi demolitori di carboidrati (amilasi, inulasi, lattasi, ecc.) vengono prodotti in forti quantità su terreni contenenti quello zucchero. Fin dal 1898 Duclaux ha trovato che il Penicillium glaucum allevato su lattato di calcio forma solamente invertasi, su amido produce in più amilasi, sul latte dà enzimi proteolitici. Analogamente nel nostro organismo un'alimentazione lattea determina una più forte secrezione di lipasi che non una dieta carnea o di pane di pari contenuto azotato, e richiedente la medesima quantità di proteasi per essere digerita; mentre una somministrazione farinacea aumenta la secrezione d'amilasi e così via.

Se la membrana limitante la cellula è sufficientemente permeabile da permettere a un enzima (esoenzima) di venir fuori, l'estrazione è abbastanza semplice; basta digerire il vegetale o l'organo con acqua toluenata. Consigliabile molte volte adoperare glicerina o alcool diluito invece d'acqua, al fine d'evitare gli effetti deleterî d'una prolungata esposizione in questo solvente; così succede ad es. per l'estrazione della tripsina dalle cellule pancreatiche.

Quando l'azione chimica degli enzimi si esplica all'interno della cellula, o quando gli enzimi non possono attraversare la membrana cellulare (endoenzimi) si deve distruggere questa per autolisi, o meccanicamente, sia congelando il materiale e frantumandolo, sia sottoponendolo a forti pressioni.

Nel primo modo si opera per es. nell'estrazione dell'invertasi dal lievito per autodigestione a 30°, nel secondo nella preparazione del Büchner della zimasi per impasto del lievito con kieselguhr e successiva rottura delle pareti cellulari mediante forti pressioni (300-400 atmosfere), per quanto con tale sistema il kieselguhr, che funziona da sostegno e da filtro, adsorba una notevole quantità d'enzima.

Tali procedimenti però forniscono liquidi soggetti rapidamente a perdita d'attività enzimatica, sia per inevitabili fenomeni di proteolisi sia per la facilità con cui vengono anche invasi da muffe o batterî. Né è sufficiente per una migliore conservazione, l'impiego di basse temperature o quello non sempre consigliabile degli antisettici. Si ricorre allora o alle preparazioni secche o a speciali processi di purificazione.

Le preparazioni allo stato secco s'ottengono per evaporazione degli estratti liquidi nel vuoto e a basse temperature, o per precipitazione con soluzioni saline, con acetone o alcool diluito e successiva disidratazione con alcool assoluto e con etere; l'operazione deve essere effettuata con la massima rapidità possibile per evitare l'azione deleteria dell'alcool acquoso. La purificazione è invece un po' più complessa. Il procedimento per dialisi mentre libera l'enzima dalle sostanze inorganiche e da molte sostanze diffusibili, ne attenua l'attività, forse per la contemporanea rimozione del cofermento, o per una vera azione distruttiva cui l'enzima stesso va soggetto durante l'operazione. Willstätter e Euler hanno ottenuto migliori risultati con assorbimento su caolino, allumina e altre sostanze simili, specialmente per la purificazione dell'invertasi, amilasi, lipasi, tripsina e perossidasi. L'assorbimento può effettuarsi o verso le impurità, con che resta purificato l'enzima, o verso l'enzima che viene assorbito in maggiori proporzioni delle impurità. In tal caso l'enzima viene riestratto dall'assorbente modificando il pH (indice della concentrazione idrogenionica) del mezzo, e per conseguenza la carica elettrica dell'enzima o dell'assorbente, determinandone la separazione (eluzione). Il tipo d'assorbente varia secondo la natura elettrica dell'enzima, così come il caolino carico negativamente assorbe i colori basici, mentre l'allumina positiva assorbe quelli acidi. Per gli anfoliti si ricorre all'uso dell'alcool che sviluppa in essi proprietà acide e ne rende possibile quindi l'assorbimento con allumina.

Alcuni fattori possono modificare le modalità d'assorbimento, come la presenza di sostanze estranee, la varietà dell'assorbente (Willstätter e Kraut descrivono almeno sei diversi tipi d'allumina, di cui due assorbono la maltasi e non la saccarasi, gli altri a parità di carica elettrica hanno un comportamento inverso), la concentrazione ionica del mezzo, ecc. Altri metodi di purificazione per filtrazione attraverso candele o per elettrodialisi sono meno adoperati.

In qualche caso si può ricorrere al metodo biologico di Effront, che consiste nel sottoporre il materiale, dal quale si deve separare l'enzima, all'azione di lieviti speciali. I carboidrati e le proteine dei microrganismi vengono digerite e distrutte, mentre l'enzima rimane intatto.

Comportamento degli enzimi. - Il comportamento degli enzimi è in molti punti analogo a quello dei catalizzatori inorganici. Ci troviamo però qui generalmente in presenza di sistemi eterogenei, essendo gli enzimi prevalentemente di natura colloidale. Come tali essi hanno quindi molte caratteristiche proprie dei colloidi, quali un grande sviluppo di superficie e un grande potere d'assorbimento. Tale potere d'assorbimento selettivo determina generalmente una delle caratteristiche più salienti di queste sostanze, la specificità.

I metalli colloidali possono catalizzare gran numero di reazioni, avvicinandosi sotto tale aspetto al comportamento degli ioni idrogeno; l'azione idrolitica degli acidi minerali si esplica indistintamente sulla inversione del saccarosio, come nella saponificazione dei grassi, nella scissione dei glucosidi o nella demolizione delle proteine. Per le reazioni enzimatiche la specificità è molto più marcata, e r10n si limita solo al fatto che le proteasi non digeriscono i grassi o i carboidrati, oppure che le lipasi non attaccano le proteine o i carboidrati, ma vi sono anche dei limiti alla loro attività su certi gruppi. Non ha tanto importanza la semplice costituzione chimica qualitativa del substrato quanto la configurazione sterica delle molecole che lo costituiscono. Dei sedici stereoisomeri dell'esosio, per esempio, solo il d-glucosio, il d-mannosio, il d-levulosio e il d-galattosio (e quest'ultimo in limitate condizioni ambientali) vengono attaccati dalla zimasi alcoolica. Così anche la lipasi ottenuta dal pancreas nell'idrolisi di certi gliceridi si mostra eminentemente più attiva che non quella estratta dal fegato.

Oltre che a un fenomeno d'assorbimento tale specificità può ricercarsi anche in una affinità che un gruppo chimico caratteristico dell'enzima può mostrare per una speciale struttura chimica del substrato. Né mancano altre interpretazioni di carattere fisico, nel senso d'un enzima otticamente attivo e suscettibile di combinarsi con un antipodo del substrato, come nel caso studiato dal Dakin per la miscela otticamente inattiva dei due esteri dell'acido mandelico.

La lipasi mette in libertà più rapidamente il componente destrogiro, conferendo alla soluzione attività ottica; col procedere dell'idrolisi le quantità relative dei due acidi finiscono per diventare eguali con che la miscela diventa inattiva.

Queste considerazioni c'introducono nel campo abbastanza complesso delle influenze perturbatrici della cinetica delle reazioni enzimatiche. È noto che qui il comportamento si discosta alquanto da quello delle comuni reazioni chimiche governate dalla legge d'azione di massa. L'inversione dello zucchero di canna, per citare un caso, segue l'andamento espresso dall'equazione:

ove a rappresenta la concentrazione iniziale dello zucchero, x1 e x2, sono le quantità di sostanza trasformata ai tempi t1 e t2.

I valori che assume la costante di velocità K sono riportati qui appresso nella tabella I.

Ma se invece dell'acido s'adopera l'invertasi, il processo fornisce valori di K man mano crescenti (tab. II).

Diverso è invece il comportamento dell'idrolisi delle proteine con la tripsina; si nota qui una diminuzione graduale della costante di velocità (tab. III). Le cause che determinano questa irregolarità di comportamento sono varie.

Pur ammettendo (Henri) che nel caso specifico dell'invertasi la trasformazione si effettui completamente, senza arrestarsi a uno stato di equilibrio, intervengono azioni distruttrici sull'enzima (Henri e Bayliss) la cui scomparsa graduale determina naturalmente un abbassamento della velocità di reazione. Talvolta sono gli stessi prodotti della reazione che distruggono o precipitano l'enzima come fa la benzaldeide per l'emulsina. Il meccanismo delle reazioni idrolitiche coinvolge spesso la formazione d'un composto fra enzima e substrato, seguito dalla decomposizione di questo, per es. in sucrasi ed esosio nel caso dell'inversione del saccarosio. Come si è già accennato per la specificità non è agevole qui stabilire a che genere di fenomeni sia da attribuire la tendenza dell'enzima a combinarsi col substrato.

Le ricerche che sono state fatte per giungere alla formulazione esatta di equazioni che diano valori di K costanti, non hanno fornito conclusioni che possano considerarsi soddisfacenti.

Le considerazioni di Bodenstein sull'esistenza di un'azione ritardatrice m del saccarosio maggiore di quella n dello zucchero invertito sull'invertasi, condussero questo autore a proporre una formula piuttosto complessa, che non rispondeva nel caso di soluzioni concentrate o molto diluite di zucchero:

Henri, basandosi sullo stesso criterio, ha dato una formula ancora meno semplice per il calcolo di K:

Questa dà migliori risultati per l'invertasi, ma non si applica all'azione di altre diastasi. L'idrolisi delle proteine segue invece la legge di Schütz, cioè la quantità di proteina digerita nel tempo t è proporzionale alla radice quadrata della concentrazione dell'enzima E:

ove K rappresenta un fattore di proporzionalità.

Nonostante la gran quantità di lavoro compiuto, molta oscurità regna ancora sulle condizioni precise nelle quali s'esercitano le azioni dei fermenti solubili. Queste condizioni potranno senza dubbio essere meglio delineate se si giungerà a conseguire un sufficiente grado di purezza dei fermenti studiati.

Reversibilità delle reazioni enzimatiche. - Quasi in tutte le reazioni enzimatiche i prodotti formati tendono a ricombinarsi per ridare le sostanze originali. Queste reazioni procedon0 in senso inverso con velocità loro proprie e raggiungono uno stato d'equilibrio dinamico quando la velocità nei due sensi è tale da determinare una eguale concentrazione delle sostanze reagenti. Gli enzimi accelerano entrambi i processi d'idrolisi e di sintesi. Le ricerche del Tammam hanno dimostrato che l'emulsina demolisce solo parzialmente l'amigdalina e che l'idrolisi può progredire solo se vengono eliminati i prodotti della reazione. Se invece s'aggiungono i prodotti d'idrolisi si può ottenere la sintesi dell'amigdalina. Nello stesso modo Hill ha potuto realizzare la sintesi di alcuni carboidrati e glucosidi. Le proteine possono essere ottenute per sintesi dai prodotti della digestione della caseina per mezzo della pepsina, come ha dimostrato il Robertson.

Non sono infrequenti i casi dei cosiddetti falsi equilibri (Bayliss) specialmente quando si opera con piccole quantità d'enzima. Questi falsi equilibri sono dovuti all'effetto deleterio sull'enzima dei prodotti della reazione; l'eliminazione di questi può ristabilire la marcia del processo.

Fattori che influenzano le reazioni enzimatiche. - L'attività enzimatica, come tutte le reazioni chimiche, è funzione della temperatura e segue la legge di Van 't Hoff. Le reazioni enzimatiche però, a differenza di quelle chimiche ordinarie, hanno talvolta coefficienti di temperatura elevati. L'emulsina, p. es., fra 60° e 70° raggiunge valori di 7,14 (Tammann), la tripsina fra 20° e 30° dà 5,3 (Bayliss). Ciò può essere dovuto a una maggiore dispersione, cioè a un aumento della superficie attiva sull'enzima per effetto dell'elevazione di temperatura.

L'influenza del calore viene però esercitata fino a un certo limite optimum, che varia secondo alcuni fattori, come: la concentrazione del substrato e dell'enzima, la reazione del mezzo, la presenza di speciali attivatori o paralizzanti. In tale punto la velocità della reazione è massima, ma al di là di essa un ulteriore aumento di temperatura affievolisce la reazione fino a sospenderla del tutto, rendendo inattivo l'enzima.

Le proteine e alcune impurità spesso agenti come colloidi protettori o come tamponi, proteggono gli enzimi dall'inattivazione termica. Del pari agiscono varî sali, come i fosfati e i cloruri nel caso per es. dell'amilasi, che probabilmente f0rma con essi un complesso più resistente. Tale è anche il caso dell'invertasi che in presenza di saccarosio è più termostabile che non in assenza; tale maggiore resistenza è indubbiamente dovuta alla formazione d'un complesso meno termolabile (O' Sullivan e Tompson). Importante è la concentrazione del substrato per la velocità delle reazioni. L'idrolisi enzimatica del saccarosio, per esempio, aumenta con l'aumentare della concentrazione del saccarosio fino a un massimo del 5%. Al di sopra di tale limite la quantità di zucchero che s'idrolizza decresce con l'aumentare della concentrazione in saccarosio.

La fig. 1 mostra invece il comportamento del pH optimum per l'ureasi in funzione della concentrazione del substrato. Del pari ha influenza la concentrazione dell'enzima agente. La reazione del mezzo ha una parte predominante in queste reazioni. Vi è una concentrazione ionica optima per l'attività di ciascun enzima, e vi sono anche limiti di reazioni sopra o sotto i quali l'enzima è inattivo e può essere rapidamente distrutto. Così nel caso del sistema tiraminaossidasi (v. fig. 2), l'attività è al massimo a pH 9,7 (optimum) e diventa zero a pH 11,6 (curva B). Una permanenza dell'enzima per 5 minuti ad un pH 7,3 ne affievolisce l'attività (curva A).

La concentrazione optima per una reazione enzimatica dipende anche dal tipo di tampone adoperato; così la diastasi salivare ha un pH optimum di 6,1-6,2 in soluzioni di fosfato, acetato o solfato, e pH 6,9 in soluzioni di nitrati o cloruri; l'optimum della diastasi pancreatica è 7,2 in soluzione di fosfati e 5,6 in soluzione di acetato.

In genere l'effetto della reazione del mezzo sull'attività enzimatica può essere dovuta alla sua influenza sul grado di ionizzazione dell'enzima.

Veleni degli enzimi. - Gli enzimi, come i metalli colloidali, sono estremamente sensibili ai veleni, che vengono assorbiti alla superficie. Il meccanismo dell'avvelenamento è stato accuratamente studiato da Euler e dai suoi collaboratori.

Il cloruro mercurico, per es., aggiunto a una soluzione di 60 cc. di zucchero all'8%, più 10 cc. di KH2PO4, al 4%, più 1 cc. contenente 50 mgr. d'invertasi, produce l'effetto indicato dai valori della tabella qui di seguito (tab. IV).

L'assorbimento è in tal caso perfettamente reversibile, come viene dimostrato dal fatto che l'attività dell'enzima è in maniera quasi totale recuperata, per eliminazione del mercurio con idrogeno solforato. Nello stesso modo agirebbe un'eventuale ulteriore aggiunta di saccarosio, perché in tal caso i due composti di assorbimento, invertasi-zucchero, invertasi-ioni mercurici, sono in competizione con la prevalenza della formazione del primo.

I sali d'argento sono anche più efficaci di quelli di mercurio. Il rame e il piombo hanno azione più debole, e si comportano quasi come il mercurio nei riguardi d'un aumento della concentrazione in zucchero:

In maniera analoga certi sali ritardano l'attività enzimatica, come fanno per esempio i cloruri sulle ossidasi. Questa proprietà ha il suo valore pratico nella salatura dei vegetali destinati a essere conservati, per impedirne l'imbrunimento (ossidazione) e per rallentare in genere i processi di fermentazione a cui sono soggetti.

Varie sostanze organiche, come per esempio l'anilina e gli alcaloidi, effettuano egualmente avvelenamenti reversibili (Bloch e Rona); mentre d'altra parte i nitrofenoli avvelenano irreversibilmente formando composti indissociabili.

Bibl.: V. Henti, Lois gén. de l'action des diastases, Parigi 1903; H. Euler, Chemie der Enzyme, Monaco 1922; W. M. Bayliss, The nature of enz. action, Londra 1925; S. A. Waksman e W. C. Davidson, Enzymes, Londra 1926; C. Oppenheimer, Die Fermente und ihre Wirkungen, 5ª ed., Lipsia 1929; Haldane, Enzymes, Londra 1930.

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