DUGONI, Enrico

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 42 (1993)

DUGONI, Enrico

Giuseppe Sircana

Nacque a San Benedetto Po (Mantova) il 12 giugno 1874, da Eugenio, fornaio, e da Adelaide Lambertini. Malgrado le condizioni economiche della famiglia, certo non agiate, poté frequentare le scuole medie a Mantova ed accedere poi all'università. Influenzato dall'ambiente familiare e dall'amicizia con E. Ferri, manifestò ben presto simpatie per il socialismo e nel 1895 si iscrisse al Partito socialista italiano (PSI). Per sfuggire alla repressione poliziesca dovette trasferirsi in Svizzera, a Ginevra, dove si iscrisse alla facoltà di chimica e si impegnò soprattutto nell'attività di propaganda tra gli italiani e come corrispondente de La Provincia di Mantova e dell'Avanti!; mantenne i contatti con l'ambiente politico mantovano e fece diverse visite nella sua terra di origine.

Nel 1897 prese parte a Bologna al V congresso del PSI e, due anni dopo, rientrò definitivamente in Italia. Nel luglio 1899 il D. venne eletto consigliere comunale di San Benedetto Po e per qualche tempo divise la sua vita tra il paese natale e Bologna, dove si era iscitto al corso di farmacia nel tentativo, non riuscito, di conseguire la laurea e dove pure svolgeva una intensa attività politica. Nel 1900 per aver definito "assassino" l'on. F. Macola - che aveva ucciso in duello Felice Cavallotti - subi, a Mantova, un processo e fu condannato ad undici mesi di reclusione. Dopo aver scontato quattro mesi nelle carceri giudiziarie di Como, il 20 nov. 1901 fu liberato. Ritornato nel gennaio 1902 a Como per lavorare nella locale federazione socialista e al settimanale Il Lavoratore comasco, nel maggio si trasferi a Milano per assumere la carica di segretario della federazione provinciale dei lavoratori dei campi e quella di direttore del periodico L'Aratro. A Milano il D. raggiunse una certa influenza in seno alla Camera del lavoro. Nel settembre dello stesso anno, al congresso socialista di Imola, attaccò F. Turati e gli altri riformisti milanesi accusandoli in particolare di trascurare il problema delle campagne.

Ad Imola emerse con chiarezza la spaccatura tra i due filoni del socialismo mantovano, quello riformista di G. Zibordi, E. Bernaroli, c. Vezzani e I. Bonomi e quello rivoluzionario del D., di E. Ferri e G. Gatti. Cosi quando all'inizio del 1903 il D. fece ritorno a Mantova, s'impegnò a fondo nella lotta contro tutti i rappresentanti della tendenza riformista. Al congresso dei circoli e delle leghe, tenutosi il 20 e 21 dic. 1903, l'egemonia dei "rivoluzionari" fu infine sancita con l'assunzione da parte di Ferri, Gatti e dello stesso D. delle principali cariche politiche, sindacali e amministrative della provincia. "Dugoni fu forse l'uomo politico che condusse l'opposizione con maggiore coerenza e serietà; il suo pensiero politico derivava dall'adesione al sindacalismo rivoluzionario, acquisito da contatti diretti con Arturo Labriola, venuto a San Benedetto Po nel maggio 1903 e sempre influente nella zona attraverso la diffusione del giornale L'Avanguardia" (Salvatori, 1966, p. 175). Alla fine del 1903 egli assunse la direzione del settimanale socialista La Nuova Terra, facendo eco da questa tribuna alle posizioni di Enrico Ferri, divenuto intanto direttore dell'Avanti!. L'affermazione "rivoluzionaria" al congresso del PSI, tenutosi a Bologna nell'aprile 1904, fu consolidata nel Mantovano da una serie di avvenimenti. Nel maggio i socialisti locali, che rifiutavano ogni alleanza con elementi della democrazia borghese, riuscirono a conquistare con le loro sole forze il Consiglio provinciale e nella circostanza il D. fu tra gli eletti. L'11 settembre, nel corso di un'assemblea a Milano, egli presentò un ordine del giorno con cui si sollecitava la Camera del lavoro a promuovere lo sciopero generale contro l'eccidio di Buggerru. Nelle elezioni politiche, svoltesi a novembre, mentre il partito socialista registrava a livello nazionale una battuta d'arresto, nel Mantovano otteneva un lusinghiero risultato, riuscendo a far eleggere quattro deputati, tra cui il Dugoni. Questi dovette tuttavia dimettersi dopo qualche mese, essendo risultata la sua candidatura incompatibile con la carica di consigliere provinciale.

Sia pure per poco tempo egli fu l'unico deputato a proclamarsi sindacalista rivoluzionario. Una tale definizione, applicata a lui, appariva per la verità discutibile. Nei confronti della sua condotta concreta nel Mantovano non solo insorgevano i riformisti, ma mostravano aperte perplessità gli stessi sindacalisti rivoluzionari, che ritenevano che gli esperimenti patrocinati dal D. andassero isolati. Mentre infatti, secondo la teoria sindacalista-rivoluzionaria, solo le leghe, affiancate dalle cooperative, potevano considerarsi organi genuinamente di classe, nel Mantovano si era realizzata un'integrazione tra queste e le organizzazioni politiche, quali i circoli, verso cui i sindacalisti mostravano un aperto rifiuto. A tali critiche il D. rispondeva insistendo sulla necessità per i socialisti di battersi per la conquista dei pubblici poteri e additando ad esempio proprio le realizzazioni nel Mantovano, dove, a suo parere, si sarebbe presto formata "una piccola repubblica sociale nell'Italia monarchica" (La Nuova Terra, 19 febbr. 1905).

In questo periodo l'attività politica del D. assunse un certo rilievo nazionale nell'ambito della Federazione nazionale dei lavoratori della terra (Federterra), nel cui secondo congresso svoltosi a Bologna dal 7 al 9 apr. 1906 egli sostenne la praticabilità di un rilancio delle lotte agrarie e la necessità di un patto solidale tra il proletariato agricolo settentrionale e quello meridionale. Il D. imputava l'aumento costante della disoccupazione nei campi al diffondersi dei contratti di mezzadria e di compartecipazione e presentò un ordine del giorno, respinto a grande maggioranza, in cui si impegnava la Federterra ad operare per il superamento di questi patti di lavoro. Intorno al 1906 le posizioni politiche del D. stavano già mutando e dal sindacalismo, più o meno ortodosso, si avvicinavano sempre più al riformismo. Tutto il socialismo mantovano era del resto investito da un profondo travaglio ideologico e organizzativo in seguito ai mutamenti intervenuti sia nella struttura economica e sociale della zona, con l'introduzione delle macchine in agricoltura e la diffusione della piccola proprietà al posto del latifondo, sia nel quadro politico locale con la fine della maggioranza socialista al Consiglio provinciale dopo le elezioni del maggio 1906. Alla fine dell'anno un congresso plenario di tutti gli organismi di carattere politico, sindacale e cooperativo del Mantovano fece proprio l'orientamento del D. affinché venisse meno l'antagonismo fra organizzazione politica ed organizzazione economica, fra intellettuali e lavoratori.

Era una chiara contestazione delle posizioni classiche del sindacalismo rivoluzionario, che cosi veniva a perdere consensi e posizioni. Attaccato dall'Avanguardia socialista, nel gennaio 1907 il D. si pronunciò apertamente contro i suoi vecchi compagni di corrente e i loro metodi di lotta, a cominciare dallo sciopero generale. In tal senso egli propose un ordine del giorno, approvato dal consiglio nazionale della Federterra il 6 luglio 1907. Ancora più compiutamente ebbe modo di esprimere le sue nuove convinzioni nella relazione presentata al III congresso della Federterra, svoltosi a Reggio Emilia nel marzo 1909.

L'approdo del sociafismo mantovano alle posizioni riformiste si era appena compiuto quando insorsero nuovi problemi in seguito al dissenso dal partito da parte di due prestigiose figure quali Bonomi e Ferri. Il D., segretario della confederazione socialista mantovana, prese le distanze sia dal riformismo di destra di Bonomi sia dal movimento di "democrazia, rurale", basato sui ceti medi agricoli, promosso da Ferri. All'XI congresso nazionale del PSI, nell'ottobre del 1910 a Milano, il D. votò l'ordine del giorno Turati sancendo cosi il proprio definitivo passaggio nelle file riformiste. Nel 1911 il contrasto con Ferri si acui: mentre questi appoggiava l'impresa tripolina il D. guidò lo sciopero di protesta. Il contrasto con Bonomi, momentaneamente composto in occasione delle elezioni politiche del 1909, si risolse infine con l'espulsione di questo dal partito sancita dal congresso nazionale del PSI nel luglio 1912. A tale appuntamento il socialismo mantovano era giunto avendo finalmente messo ordine nella propria organizzazione: in luogo della confederazione socialista erano state costituite la Camera del lavoro e la federazione provinciale, distinguendo cosi il momento politico da quello economico, prima confusi. Il D. era stato nominato segretario della Camera del lavoro e, dall'ottobre 1911 al marzo 1912, anche direttore del quotidiano La Provincia di Mantova.

Nel 1913 il D. venne eletto in Parlamento nel collegio di Mantova, ma non cessò di occuparsi delle vicende politiche e sindacali locali. Al congresso nazionale di resistenza, tenutosi a Mantova nel maggio 1914, egli presentò, insieme a Rinaldo Rigola, un ordine del giorno in cui veniva afferinata l'autonomia della Confederazione generale del lavoro (CGdL) dal PSI. Nel medesimo anno fu eletto presidente del Consiglio provinciale, carica che mantenne fino al 1920. Allo scoppio del conflitto mondiale il D. condivise sostanzialmente la posizione neutralista del suo partito, pur dicendosi a favore di una "guerra di difesa".

Nel corso della guerra, come presidente del Consiglio provinciale, operò attivamente per predisporre la distribuzione dei viveri e degli aiuti alla popolazione continuando peraltro a seguire le trattative sindacali sul carovita. Nell'aprile del 1916 fece parte della delegazione italiana alla conferenza dell'Internazionale socialista a Kienthal in favore della pace. Al termine del conflitto, intervenendo in Parlamento a nome della CGdL, della Federterra e della Lega delle cooperative, reclamò dal governo la Costituente, il suffragio universale e le otto ore lavorative, richieste che rispecchiavano la piattaforma riformista.

Nel dopoguerra anche il socialismo mantovano venne investito dall'ondata massimalista e dagli echi della rivoluzione bolscevica. In questo periodo il D. fu oggetto di pesanti attacchi da parte dei massimalisti e soprattutto di N. Bombacci. Nei confronti della rivoluzione russa il D. sosteneva che "è miraggio ingannevole credere che, per forza sola di imitazione, in Italia si possa fare altrettanto di quello che si è fatto in Russia. Troppe e sostanziali sono le differenze" (La Nuova Terra, 18 ott. 1909).

Nell'estate del 1919 il contrasto tra riformisti e massimalisti si fece particolarmente acuto. Il D., sostenuto dai dirigenti del PSI, della CGdL, e delle organizzazioni cittadine, si manteneva "su una posizione di resistenza alla pressione delle masse: le sue osservazioni sull'immaturità del movimento proletario a prendere in mano la direzione del paese, le critiche alla direzione del partito non si propo[nevano] di diventare la base di un programma politico, non da[vano] alcuna indicazione atta ad operare un superamento, ma rima[sero] su una linea di sterile opposizione" (Vaini, 1961, p. 70).

Alla fine del 1919 il D. venne rieletto deputato nel collegio di Bozzolo. Pochi giorni dopo scoppiarono a Mantova le "giornate rosse": cosi venne definita la violenta esplosione popolare, originata dalla protesta per l'aggressione subita da alcuni deputati socialisti, tra cui il mantovano M. Murari, all'uscita dalla Camera. Durante lo sciopero generale, proclamato dalla Camera del lavoro, gli scontri tra la folla e la forza pubblica provocarono sette morti. Dei fatti di Mantova si discusse in Parlamento e il D., che pure espose le ragioni del malcontento popolare, espresse una sostanziale condanna nei confronti di quel moto di protesta.

All'inizio del 1920 la federazione socialista mantovana fu conquistata dai massimalisti e l'influenza locale del D. diminui progressivamente. Nel maggio di quello stesso anno egli si recò in Russia con una delegazione della CGdL e al suo ritorno ribadi le riserve sulla rivoluzione sovietica. Le sue dichiarazioni alimentarono una vivace polemica nella quale non era difficile scorgere i motivi che, di li a poco, avrebbero portato alla scissione di Livorno. Nell'ottobre del 1920 egli partecipò al convegno riformista di Reggio Emilia in perfetto accordo con le posizioni di Turati.

Dopo il congresso socialista di Livorno, che aveva visto la maggior parte dei delegati mantovani aderire al nuovo partito comunista, il D. riprese le redini della federazione socialista mantovana. In quel periodo, con maggiore intensità rispetto ad altre parti d'Italia, si sviluppò nel Mantovano lo squadrismo fascista, alimentato dalla reazione degli agrari, con assalti e saccheggi di leghe, circoli e cooperative socialiste. Rieletto in Parlamento nel 1921 nel collegio di Mantova il D. presentò una interrogazione al governo sulla situazione nel Mantovano, che venne discussa il 29 novembre. Pur critico nei confronti del governo Bonomi egli propendeva per la tesi collaborazionista e in tal senso operò fino alla marcia su Roma. Il congresso provinciale socialista del 29 aprile e quello delle leghe del 25 giugno 1922 ribadirono una politica tendente a staccare le forze residue del socialismo mantovano dal partito, su posizioni intransigenti. per schierarle a fianco della CGdL, su posizioni collaborazioniste. Questa linea fu sostenuta dal D. in polemica con G. M. Serrati anche al Consiglio nazionale del PSI nel giugno 1922. Quando, un mese dopo, il governo Facta si dimise, il D., insieme con Buozzi e con D. Baldesi, si prodigò per realizzare un governo di democratici, socialisti e popolari secondo le intenzioni di Bonomi e Turati. Il 29 luglio egli dichiarò alla stampa di essere personalmente disposto ad appoggiare una simile ipotesi, che venne però respinta dal gruppo parlamentare socialista. Allorché al congresso del PSI, tenutosi a Roma nell'ottobre 1922, la frazione turatiana venne espulsa dal partito anche il D. la segui aderendo al nuovo Partito socialista unitario.

Con l'avvento del fascismo il D., la cui abitazione era già stata invasa dagli squadristi il 13 marzo 1921, non poté ritornare nella sua città e si stabili a Milano, dove fu prima dirigente di un'azienda farmaceutica e quindi si dedicò ad un piccolo commercio di generi alimentari. Nel 1930 e nel 1932 venne arrestato per propaganda antifascista, ma, a parte questi episodi, egli non si segnalò per altre attività avverse al regime. Solo dopo la caduta del fascismo tornò ad occuparsi di politica. Entrato in contatto con il Comitato di liberazione nazionale, ricevette da questo l'invito a recarsi a Roma per dirigere l'Ente nazionale della cooperazione. Il 14 ag. 1944 il D. propose lo scioglimento di questo organismo ereditato dal fascismo, che venne però soppresso solo nell'aprile del 1946. Intanto egli lavorava alla ricostituzione della Lega delle cooperative, le cui caratteristiche cosi disegnava in uno dei suoi ultimi interventi: "quando affermiamo che il movimento cooperativo deve essere apolitico non intendiamo che esso deve estraniarsi dalla politica, intendiamo che la organizzazione cooperativistica non deve obbedire ai partiti politici, a particolari scuole economiche e religiose" (Terra nostra, 1° ott. 1945).

Il D. mori a San Benedetto Po il 2 novembre 1945.

Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centrale dello Stato, Casell. politico centrale, b. 1869, fasc. 2493; Atti parlamentari, Camera, Discussioni, legisl. XXIV, IX, pp. 9393 ss.; XII, pp. 12772 ss.; Idem, Indice alfabetico, legisl. XXIV, pp. 170 s.; … Legislatura XXV, Attività parlamentare dei deputati, Indice, p. 136; … Legislatura XXVI, Attività parlamentare dei deputati, Indice alfabetico, p. 130; R. Salvadori, Il dopoguerra e le origini del fascismo nel Mantovano, in Riv. stor. del socialismo, I (1958), pp. 286, 290 s.; Lotte agrarie in Italia. La Federazione naz. dei lavoratori della terra 1901-1926, a cura di R. Zangheri, Milano 1960, ad Indicem; R. Salvadori, La vita politica di E.D., Mantova 1961; M. Vaini, Le origini del fascismo a Mantova 1914-1922, Roma 1961, ad Indicem; R. Salvadori, La repubblica socialista mantovana da Beffiore al fascismo, Milano 1966, ad Indicem; M. Gabrieli, Cento anni del Consiglio provinciale di Mantova (1867-1966), Mantova 1967, ad Indicem; Comitato per il monumento alla Resistenza, La Resistenza mantovana 1919-1945, a cura di R. Salvadori, Mantova 1968, ad Indicem; L. Cortesi, Il socialismo ital. tra riforme e rivoluzione 1892/1921, Bari 1969, ad Indicem; G. Procacci, La lotta di classe in Italia agli inizi del sec. XX, Roma 1970, ad Indicem; A. Pepe, Storia della Cgdl dalla guerra di Libia, all'intervento 1911-1915, Bari 1971, ad Indicem; Id., Storia della Cgdl dalla fondazione alla guerra di Libia, Bari 1972, ad Indicem; I. Barbadoro, Storia del sindacalismo ital. dalla nascita al fascismo, I, La Federterra; II, La Cgdl, Firenze 1973, ad Indices; A. Roveri, Le origini del fascismo a Ferrara 1918-1921, Milano 1974, ad Indicem; P. Audenino, Cinquant'anni di stampa operaia dall'Unità alla guerra di Libia, Milano 1976, ad Indicem; A. Riosa, Il sindacalismo rivoluzionario in Italia e la lotta politica nel Partito socialista nell'età giolittiana, Bari 1976, ad Indicem; G. B. Furiozzi, Il sindacalismo rivoluzionario ital., Milano 1977, ad Indicem; Il movimento cooperativo nella storia d'Italia 1854-1975, a cura di F. Fabbri, Milano 1979, ad Indicem; G. Candeloro, Storia dell'Italia moderna, VII, La crisi di fine secolo e l'età giolittiana 1896-1914, Milano 1981, ad Indicem; VIII, La prima guerra mondiale, il dopoguerra, l'avvento del fascismo, Milano 1984, ad Indicem; L. Cavazzoli-R. Salvadori, Storia della cooperazione mantovana dall'Unità al fascismo, Venezia 1984, ad Indicem; A. Caroleo, Il movimento cooperativo in Italia nel primo dopoguerra 1918-1925, Milano 1986, ad Indicem; A. Malatesta, Ministri, deputati, senatori dal 1848 al 1922, Milano 1940, I, ad vocem; Il movim. operaio italiano. Diz. biografico 1853-1943, II, ad vocem.

CATEGORIE