ENRICO di Lussemburgo, imperatore

Enciclopedia Italiana (1932)

ENRICO (VII) di Lussemburgo, imperatore

Fedor Schneider

Discendeva dalla casa di Limburgo, che nel 1101 era stata investita del ducato della Bassa Lorena. Il padre, conte Enrico III, cadde nel 1288 nella battaglia di Worringen, che risolse la questione per la successione del Limburgo. E., nato probabilmente fra il 1270 e il 1280, cresciuto alla corte di Francia (sì che egli parlava comunemente il francese), fu il quarto conte di Lussemburgo del suo nome; e fu, come tale, di tendenze nettamente francofile, tanto che nel 1294 s'impegnò, in compenso d'una rendita, a sostenere la politica francese. Dopo l'assassinio di Alberto I (1 maggio 1308), Filippo il Bello di Francia cercò di far eleggere re di Germania suo fratello, Carlo di Valois; ma fu appunto questo pericolo che favorì gli sforzi fatti da Baldovino di Treviri, fratello di E., che aveva pur ottenuto l'arcivescovado di Treviri grazie all'aiuto della politica francese, di far dare la corona ad E. Il 27 novembre 1308 E. era eletto ad unanimità re di Germania dai principi elettori, a Francoforte sul Meno; il 6 gennaio 1309 fu incoronato re ad Aquisgrana, prima che fosse giunta la ratifica di Clemente V.

La contea di Lussemburgo, che E. possedeva e che corrispondeva press'a poco all'attuale granducato, insieme con la provincia del Belgio dello stesso nome, non poteva essere paragonata con i possessi famigliari degli Asburgo al momento dell'elezione di Rodolfo I. Ma appunto questo aveva favorito E. presso gli elettori, che troppo avevano sofferto sotto il suo predecessore Alberto I e che in generale avrebbero visto nell'elezione d'un Asburgo diminuito il loro diritto elettivo dal principio della legittimità. Personalità nobile, giusta e forte, E. non aveva tuttavia il senso della realtà politica, come si vide nell'aver egli ripreso l'antica politica imperiale, crollata con gli Hohenstaufen, sebbene la potenza imperiale fosse tanto diminuita. Era romanticismo in atto, questo; né senza ragione E. fu esaltato dagli storici romantici e la sua tragica fine poeticamente trasfigurata. Ma per lo sviluppo della Germania fu un grave errore che E. si servisse di tutte le forze della nazione per un'utopia, cioè per la sottomissione della nazione italiana che stava formandosi.

Mentre E. stava preparando con molta abilità diplomatica nella dieta di Spira (settembre 1309) la spedizione a Roma, annunziata per il 1° ottobre 1310, si guadagnò il consenso del papa alla sua incoronazione imperiale col metter innanzi abilmente l'idea d'una crociata. Tuttavia egli cercava prima di tutto di fondare una potenza famigliare della casa di Lussemburgo, seguendo cioè la via battuta da Rodolfo d'Asburgo, rimasta senza risultato per Adolfo di Nassau; e aspirava perciò al regno di Boemia, la cui dinastia nazionale - i Přemislidi - s'era estinta nel 1306. Alberto I aveva già tentato di ottenere questo paese per suo figlio Rodolfo; ma questi era morto nel 1307, e nello stesso anno era stato eletto re di Boemia il duca Enrico di Carinzia, conte del Tirolo. Ma il duca aveva molti potenti avversarî nel paese; e, giuridicamente, gli mancava l'infeudazione da parte dell'Impero, che non riconosceva il diritto della successione femminile in Boemia. L'opposizione si unì col nuovo re di Germania, il quale, considerando la Boemia un feudo vacante, annullò l'elezione di Enrico di Carinzia e fece sposare suo figlio Giovanni alla seconda sorella di Venceslao III, Elisabetta (settembre 1309). Il 31 agosto 1310 egli investì Giovanni della corona di Boemia e di Moravia. Con ciò la casa di Lussemburgo si trovò, di colpo, fra le più grandi casate dell'Impero. Un'altra difficoltà, costituita dall'offesa arrecata alle aspirazioni degli Asburgo con l'elezione di E., aveva eliminata già a Spira (settembre 1309), facendo pace con gli Asburgo. Risolte tali difficoltà, lasciata libertà d'azione ai grandi principi tedeschi nelle questioni di Germania, il 23 ottobre 1310 egli, passate le Alpi, giungeva a Susa.

La situazione politica dell'Italia, sconvolta dalle lotte interne, pareva favorisse i piani del re: i ghibellini e anche parecchi tra i guelfi salutarono con entusiasmo l'arrivo di lui; e su tutte si alzò la voce di Dante che vedeva in E. il rigeneratore della patria. E l'avvenire appariva roseo, quando E., recatosi a Milano, si fece porre sul capo la corona di ferro il 6 gennaio 1311. Ma tosto risorse lo spirito di fazione: il partito di Guido della Torre si ribellò, fu vinto e scacciato dalla città; dopo non molto il suo avversario, Matteo Visconti, fu nominato vicario imperiale. Ma con ciò i guelfi si ponevano tutti contro l'imperatore: Cremona e Brescia si sollevarono. Cremona fu castigata duramente, Brescia fu conquistata dopo un assedio di quattro mesi. E. non poteva più presentarsi come arbitro imparziale fra le parti in contrasto: egli era ormai coinvolto nel gioco dei partiti italiani. E difatti, mentre si recava a Genova, lasciando il conte Werner von Homburg come capitano generale dei fedeli dell'Impero in Lombardia, una lega ghibellina, dipendente dal re, si pose contro i guelfi. Per contrapposto, alla testa dei guelfi italiani si pose re Roberto di Napoli, che fece occupare Roma da suo fratello Giovanni. Il papa, istigato dalla Francia, che guardava ormai con mal celata ostilità all'azione di E. e ai suoi sogni universalistici, abbandonò la neutralità da lui adottata in principio. Nel febbraio del 1312 E. si recò per mare a Pisa; ma ormai tutta la Toscana, con a capo Firenze, si era sollevata, ed egli dovette mettere al bando molte città. Finalmente, per Viterbo, giunse sui primi di maggio a Roma, dilaniata dalle discordie civili. Alleatosi con gli Orsini, Giovanni di Napoli aveva occupato una gran parte della città per impedire l'incoronazione imperiale di E.; e questi infatti non riuscì a impossessarsi di Castel S. Angelo e di S. Pietro. Le trattative con Roberto di Napoli ebbero risultato altrettanto scarso quanto l'intercessione dei cardinali, mandati da Clemente V, per l'incoronazione dell'imperatore, e le lotte per le vie della città. Solo un'azione violenta del popolo romano fece sì che E. potesse essere incoronato il 29 luglio 1312. Dopo di ciò E. concluse un'alleanza con Federico d'Aragona, re di Sicilia; ma il papa, nonostante le sue proteste, lo costrinse anche a concludere una tregua d'un anno con Roberto di Napoli.

Alla fine di agosto del 1312 E. iniziò una spedizione contro i guelfi toscani, in modo particolare contro i Fiorentini. I ghibellini toscani rinforzarono l'esercito imperiale; ma i guelfi della Toscana, vedendosi in pericolo, si rafforzarono con gli aiuti di guelfi di altre provincie, con truppe mandate dal re Roberto, con mercenarî catalani, in guisa da contrapporre all'imperatore un saldo blocco. Infatti E., che si era presentato davanti a Firenze, fu costretto a ritirarsi, il 30 ottobre, per mancanza di rifornimenti, e, nonostante il valore dei suoi cavalieri, ad abbandonare (gennaio 1313) anche l'accampamento di S. Casciano e a recarsi a Poggibonsi. Tuttavia egli attendeva sempre a preparare la lotta decisiva contro Roberto di Napoli, ch'egli aveva già processato con tutte le forme, come un vassallo dell'Impero, per delitto di lesa maestà, e condannato ad essere privato di tutti i suoi feudi, fra i quali anche il regno di Napoli e l'isola di Sicilia.

Da Pisa, dove si era stabilito per preparare la sentenza il 10 marzo, E. emanò il 2 aprile due leggi, che furono accolte nel Corpus iuris civilis, per chiarire quale fosse il delitto di lesa maestà e chi dovesse essere considerato ribelle. Quindi, il 26 aprile, uscì la memorabile sentenza, che è completamente conforme al diritto romano quale edictalis lex.

E., malato di febbri (forse malaria), aspettava con impazienza la fine della tregua impostagli dal papa per muovere guerra contro Napoli. Ma intervenne la monarchia francese, in aperta opposizione ad E. Filippo di Francia scrisse il 12 maggio al papa che egli non poteva tollerare che un discendente della casa di Francia fosse attaccato, e insistette presso il papa Clemente affinché non permettesse a E. di turbare la pace. E così, il 12 giugno, avvenne il colpo di scena: Clemente V proibì qualunque ostilità contro il regno di Roberto e minacciò di scomunica chi agisse in contrario. E., ormai venuto sulla via battuta da Federico II, cominciò tuttavia la guerra senza badare alle proteste del papa, in alleanza con Federico di Sicilia e con le città marittime italiane. Anche Venezia parteggiava per lui; e si unirono con lui i ghibellini italiani e grossi reparti di truppe venute in rincalzo dalla Germania. Ma l'imperatore moriva in Buonconvento, a sud di Siena, il 24 agosto 1313, secondo una voce, di veleno propinatogli dal suo confessore, ma in realtà della ricaduta di un'antica malattia. Fu sepolto nel duomo di Pisa; il suo celebre monumento sepolcrale è stato portato nuovamente ai giorni nostri dal camposanto al posto dove si trovava prima e restaurato nella sua forma antica.

E. è il primo sovrano tedesco, del cui archivio e dei cui regesti ci siano pervenute notevoli parti, depositate nell'Archivio di stato di Pisa.

Cfr. H. Bresslau, Urkundenlehre für Deutschland und Italien, I, 1, 2ª, ed., Lipsia 1912, p. 130 segg. Le edizioni di Dönniges e Bonaini sono interamente antiquate. Ci si può servire degli atti di E. in Mon. Germ. Hist., Constitutiones et acta publ., IV, parte 2ª, 1909-11.

Bibl.: K. Wenk, in Allgemeine deutsche Biographie, XI (1880), pp. 443-49 con la bibl. più antica; Fr. Schneider, Kaiser Heinrich VII., Greiz i. V., 1924-1928, con ricca bibliografia, ma con giudizio errato sulla politica italiana dell'imperatore. Cfr. in generale: F. Baethgen, in Zeitschrift f. Kirchengeschichte, IL, p. 449; W. Kienast, Die deutschen Fürsten im Dienste der Westmächte bis zum Tode Philipps des Schönen von Frankreich, I, Monaco 1924; J. Ficker, Vom Reichsfürstendstande, II, pubbl. da P. Puntschart, parte 1ª, Innsbruck 1911; R. Davidsohn, Geschichte von Florenz, III, Berlino 1912; K. Gräfe, Die Persönlichkeit Kaiser Heinrichs VII., Lipsia 1911; Fr. Schneider, Die Öffnung des Grabmals Kaiser Henrichs VII. in Pisa, 1920-21, in Mitt. d. Instt. f. österr. Gesch., XLI (1926), p. 136 segg.; R. Caggese, Roberto d'Angiò e i suoi tempi, I, Firenze 1922.

TAG

Corpus iuris civilis

Francoforte sul meno

Casa di lussemburgo

Federico d'aragona

Guido della torre