Enologia

Enciclopedia on line

di Luca Maroni

Arduo produrre un vino di eccellente pregio analitico-sensoriale. Obiettivo per conseguire il quale è necessario soddisfare contemporaneamente due selettive condizioni: l’ottimizzazione dei fattori viticoli ed enologici del processo produttivo. L’ottimizzazione della qualità del frutto, quindi l’ottimizzazione delle sue modalità enologiche di trasformazione. Tanto più qualitativo il frutto compositivo - tanto migliore l’uva di base - tanto più qualitativo può essere il vino da questo frutto prodotto. La chiave è il può essere: la perfetta qualità del frutto è infatti condizione necessaria ma non sufficiente per la produzione di un vino di qualità superiore. Se è vero che un vino eccellente non può derivare da frutto di qualità mediocre, altrettanto vero è che un frutto eccellente, per via di un’impropria trasformazione enologica può dare vita a un vino mediocre.

Di seguito illustreremo l’assieme di cognizioni e di pratiche che, data la qualità dell’uva disponibile, determinano la natura dei fattori enologici della qualità d’ogni vino.

L’enologia

Il vino è il prodotto di una trasformazione naturale dell’uva: i lieviti presenti nel frutto, quindi nel mosto, trasformano i suoi zuccheri in alcool, ciò mentre le sostanze estrattive e aromatiche traslano dalla fase solida a quella liquida.

La scienza preposta all’ottimizzazione di questa trasformazione è l’enologia. Fondamentale infatti considerare che la trasformazione del pigiato del frutto, prima in mosto poi in vino, ancorché naturale, è fenomeno che per svolgersi ottimalmente necessita di assidue, aggiornate, periziose cure tecniche dell’uomo. Pena la compromissione irreversibile e totale delle caratteristiche qualitative proprie del frutto di base. Si consideri al riguardo che una fermentazione viene mediamente svolta da centinaia di miliardi di lieviti: basta che anche un ceppo di questi sia negativo, basta che una piccola colonia soffra e stenti nel suo lavoro, ecco il vizio, il sottoprodotto che altera e distorce il naturale gusto-aroma del frutto. Una trasformazione non monitorata, mal guidata e non assistita dall’enologo può trasformare in pessimo aceto il frutto uva migliore del mondo.

L’enologia è allora definitivamente la disciplina tecnica del rispetto. Il miglior enologo è infatti colui il quale riesce a trasferire integro nel vino, il patrimonio gusto-aromatico sintentizzato dalla natura nel frutto: il semplice cambiamento di stato, da solido a liquido. Non esiste un enologo o una tecnica enologica che può migliorare la qualità analitica e sensoriale dell’uva di base, ma un cattivo enologo, una non accurata e non naturale enologia può compromettere, artare, distorcere, modificare ciò che la natura aveva composto nell’uva.

Di seguito, l’analisi degli aspetti tecnico-enologici da curare per ottimizzare la qualità del vino.

L’ammostatura

La prima operazione di cantina è la ricezione del frutto. Assai utile per l’ottenimento di vini di alta qualità una cernita definitiva (post-vendemmia ma pre-ammostatura) dei grappoli da avviare alla trasformazione. Esistono all’uopo appositi nastri o tavoli di scelta ove le uve vengono distese per essere selezionate, pulite da fogliame o da impurità residue d’altra natura, quindi inviate alla pressatura. Ove invece direttamente scaricate in coclee o tramoggie, le uve che non sono sottoposte a diraspatura (separazione meccanica degli acini dal raspo ricorrente nei rossi, da taluni praticata anche per i bianchi) all’atto della pressatura vengono aggiunte a preparati d’uso enologico capaci di mantenere integro il loro stato: antiossidanti e antisettici quali l’anidride solforosa e l’acido ascorbico, preziosi per impedire degradazioni e contaminazioni batteriche del mosto. Le migliori modalità di ammostatura sono oggi assicurate dalle moderne presse pneumatiche orizzontali, modulabili a piacimento nell’intensità e nella durata della pressione. Il mosto ha consistenza mucillaginosa e polposa, è solo parzialmente liquido, e perciò può necessitare sia di trattamenti pre-fermentativi con enzimi atti a promuovere la sua liquefazione, sia di lavorazioni con altre sostanze d’impiego enologico consentito al fine di ottimizzare la sua composizione (eventuali acidificazioni o disacidificazioni, trattamenti con chiarificanti, ecc.).

I progressi tecnici degli ultimi anni hanno dato la possibilità agli enologi di proteggere l’integrità ossidativa dell’uva fin dal momento del distacco e durante le fasi dell’ammostatura-pigiatura con l’impiego di gas inerti e di anidride carbonica. All’interno dei vasi di fermentazione e di sviluppo enologico, fino all’imbottigliamento, l’atmosfera dei contenitori viene  inertizzata evitando la presenza di ossigeno. Il controllo sulla fragranza del prodotto  è ulteriormente rafforzato agendo sulla temperatura di conservazione, sempre assai bassa.

Il contatto con le bucce, la macerazione/estrazione

All’uscita dalla pressa il mosto viene inviato, per caduta o tramite pompa, nelle vasche di fermentazione. I vini bianchi solitamente vengono separati dalle bucce direttamente alla pressione, i rossi invece fermentano assieme alle bucce. Il contatto con le bucce è necessario dal momento che in esse o vicino a esse sono contenute quelle sostanze che conferiscono ai vini il colore, i polifenoli, e parte dei profumi, i terpeni. Durante il contatto il mosto comincia a fermentare, sviluppa alcol, che con il suo potere solubile estrae e/o macera le sostanze delle bucce che così traslano nella soluzione. La macerazione per i bianchi viene praticata raramente, esclusivamente a freddo e per brevissimi periodi: dai 2 ai 7 gradi la temperatura del mosto per un massimo di 12/18 ore. In questo modo si evitano estrazioni eccessive di polifenoli, imbrunimenti per ossidazione del mosto-vino. I vini rossi invece macerano per più tempo, da un minimo di 4/5 giorni, a tutta la durata della fermentazione, ovvero dai 10 ai 15 giorni. I rosati macerano invece per 8/15 ore. Onde consentire un’alta attività estrattiva, le temperature dei rossi salgono fino a 30 gradi, e più volte nella giornata, con varie tecniche dette rimontaggi o follature, la parte liquida di mosto-vino a contatto con quella solida viene rinnovata e agitata onde promuovere la cessione-assunzione di estratti e colore. Fondamentale in queste pratiche evitare tanto l’ossidazione quanto l’eccessiva estrazione di sostanze dalle bucce: un vino sovraestratto o sovramacerato, ovvero eccessivamente ricco in polifenoli, dato il loro amaro sapore, è vino disequilibrato e spiacevole al gusto.

La fermentazione

La nascita del vino. Grazie all’azione dei lieviti gli zuccheri del mosto vengono metabolizzati e trasformati in alcol. Una trasformazione graduale e progressiva che segna la definitiva caratterizzazione del vino ottenuto dalle uve disponibili. È con la fermentazione che il gusto-aroma del frutto trasla nel vino in modo più o meno integro. Una fermentazione ben condotta dà vita a un vino pulito e non ossidato; uno stento, un arresto, una fermentazione mal condotta causa l’insorgenza nel vino di vizi enologici, e/o la sua eventuale parziale o totale ossidazione. Difetti e carenze di fragranza sostanzialmente irreversibili. I fattori che più influenzano la fermentazione sono: la temperatura del mosto-vino, la quantità e la qualità di lieviti presenti, la disponibilità di sostanze nutritive presenti nel mosto, la composizione chimica del mosto, il materiale delle vasche di fermentazione. La temperatura è fattore determinante: tanto più alta la temperatura tanto più veloce la moltiplicazione dei lieviti, tanto più repentino lo sviluppo dell’alcol. Una temperatura di fermentazione superiore ai 35 gradi può causare difficoltà nella riproduzione dei lieviti, arresti di fermentazione per eccessivo calore, perdita di fragranza aromatica e distorsione del patrimonio aromatico (distillazione e/o cottura dei profumi). Abbassandosi la temperatura di fermentazione diminuisce l’attività di moltiplicazione e di attività dei lieviti, si allungano i tempi di durata della fermentazione, si esalta il patrimonio aromatico del vino. I migliori risultati per i vini bianchi si ottengono da fermentazioni condotte con temperature oscillanti fra i 12 e i 16 gradi. Maggiore la temperatura di fermentazione dei rossi: l’intensità di macerazione-estrazione di sostanze dalle bucce è direttamente proporzionale alla temperatura di fermentazione. I migliori risultati per i vini rossi si ottengono con temperature fra i 25 e i 32 gradi. I moderni vasi vinari di fermentazione dispongono della tecnologia per la regolazione automatica ottimale della temperatura durante tutto il ciclo di fermentazione. La quantità e la qualità di lieviti presenti è il secondo fattore determinante il pregio della fermentazione. Le uve sono ricche di lieviti propri, del vigneto e/o della flora indigena della varietà, che possono essere aggiunti all’inizio della fermentazione con un quantitativo variabile di lieviti di particolare tipo - detti selezionati -, acquistabili sul mercato. Esistono numerose specie di lieviti selezionati, dalle attitudini differenziate secondo la tipologia del mosto-vino disponibile: lieviti aromatici per esaltare il profumo dei vini bianchi, lieviti atti a favorire l’estrazione e la struttura dei rossi, lieviti capaci di fermentare mosti dall’alto potenziale alcolico. Centrale risulta tanto favorire lo sviluppo e l’azione di colonie qualitative di lieviti, quanto impedire il lavorio di lieviti negativi e di batteri acetici. Altrettanto fondamentale si rivela curare l’aspetto nutritivo dei lieviti: mosti poveri di sostanze azotate, di fosfati, solfati e vitamine, inducono il lievito in carenza nutrizionale. Un lievito mal nutrito stenta a trasformare gli zuccheri in alcol, e lavorando produce sostanze di scarto fortemente inquinanti il profumo e il gusto del vino (idrogeno solforato e/o acido acetico, agenti chimico-fisici rispettivamente dei difetti sulfureo e acetoso). Onde evitare questi inconvenienti i produttori da un lato possono agevolare la circolazione di ossigeno nel mosto, aerazione della massa fermentante atta a fornire ai lieviti il carburante principe della loro azione e moltiplicazione, dall’altro lato possono nutrire i lieviti addizionando al mosto il quantitativo necessitato di sostanze azotanti. Interventi e integrazioni fondamentali atti ad ottimizzare la composizione chimica del mosto durante la trasformazione. Il materiale delle vasche di fermentazione è l’ultimo aspetto determinante la qualità e la natura della fermentazione; le opzioni più diffuse sono l’acciaio inox, il cemento vetrificato, il legno, materiali plastici inerti. I primi materiali, non penetrati dall’ossigeno, sono più facilmente condizionabili da un punto di vista termico e tendenzialmente più puliti da un punto di vista sanitario. Il legno è più costoso, favorisce la diffusione dell’ossigeno, fissa forte il colore e rilascia preziose sostanze aromatiche.

Un’altra fermentazione dopo quella alcolica svolge la maggior parte dei vini: la fermentazione malolattica, ovvero la trasformazione dell’acido malico presente nel frutto quindi nel mosto, nell’acido lattico presente nel vino. Nella vinificazione in bianco la fermentazione malolattica può essere naturalmente impedita agendo sulla temperatura del mosto in fermentazione. Pressoché tutti i vini rossi svolgono invece la malolattica sul finire della fermentazione alcolica, oppure nella primavera successiva, all’innalzarsi della temperatura di cantina. I batteri malolattici addetti a questa fermentazione e naturalmente contenuti nel vino, sono infatti termosensibili: la loro azione abbisogna di tepore. Un efficace indicatore della qualità dalla fermentazione in corso è la quantità di schiuma prodotta in superficie dal mosto in trasformazione: minore la schiuma, più integro il vino.

La svinatura e i travasi

Al termine della fermentazione, moto tumultuoso per eccellenza, sul fondo della vasca si deposita il residuo di questa naturale trasformazione. L’assieme delle sostanze di risulta, la massa di lieviti non più in vita: la feccia del vino. Tempestiva e profonda deve a questo punto essere la pulizia. La separazione della parte solida da quella liquida: la svinatura. L’operazione di separazione del vino dalle prime fecce si effettua o con il travaso, spillando con pompe il vino dalla parte superiore della vasca e trasferendolo in un vaso vinario assolutamente pulito, oppure con più sofisticate e moderne tecniche di filtrazione tangenzale del vino. La precipitazione di fecce vieppiù impalpabilmente fini proseguirà per i primi mesi dopo la fermentazione, e sempre occorrerà tenere il vino pulito onde evitare la contaminazione e la diminuzione della sua integrità aromatica. Tanto più tempestivi, frequenti e regolari i travasi, tanto più pulito il vino all’olfatto. Durante questi spostamenti è fondamentale evitare ossidazioni del vino, per questo, secondo il bisogno di ossigeno del vino, i travasi avvengono più o meno al riparo dall’aria.

Lo sviluppo enologico: stabilizzazione, ottimizzazione analitica e sensoriale

Dal termine della fermentazione al definitivo imbottigliamento il vino deve essere enologicamente assistito e curato dal produttore. Ciò avviene attraverso una serie di operazioni di cantina che rappresentano lo sviluppo enologico del prodotto. Un vino non curato si sporca, si contamina, diviene sulfureo o acetoso, e finisce per acquisire gusto-aromi non rappresentativi del frutto di base; un vino abbandonato a se stesso può presentarsi all’assaggio disequilibrato ed eventualmente ossidato. Due gli obiettivi da conseguire, la stabilizzazione e l’ottimizzazione della composizione chimica del vino. La stabilizzazione è fondamentale per assicurare al vino la commerciabilità e la possibilità di durare integro nel tempo; l’ottimizzazione della sua composizione chimica determina invece la sua qualità sensoriale. Lo sviluppo dell’enologia ha coinciso con la messa a punto di tecniche chimico/fisiche per determinare la stabilità dei composti del vino. Nel passato la stabilizzazione del prodotto era essenzialmente naturale e avveniva con l’invecchiamento: le sostanze instabili precipitavano con il tempo all’interno della botte, quindi in bottiglia. Una stabilizzazione parziale che tra l’altro implicava lo sfiorire della fragranza gusto-aromatica, l’incremento progressivo dell’ossidazione del composto. Oggi sono invece state messe a punto tecniche e tecnologie enologiche atte a stabilizzare completamente e rapidamente il prodotto prima dell’imbottigliamento: stabilizzazione proteica, tartarica, polifenolica e biologica. Si agisce introducendo sostanze capaci di far precipitare i composti instabili (chiarifiche), e/o variando la temperatura del vino nella vasca così determinando la precipitazione dei composti termo-labili, infine filtrando il vino prima di imbottigliarlo. E se da un lato non è più necessario invecchiare i vini per proporli stabili sul mercato, dall’altro lato, essendo divenuta stabile nel tempo la composizione chimico-fisica del vino, altrettanto stabile nel tempo il suo indice di qualità.

Parallelamente al conseguimento della stabilità, durante lo sviluppo enologico del vino l’enologo o il cantiniere riserva al prodotto quei trattamenti e quelle cure atte a modulare ottimalmente il suo gusto-aroma: travasi e interventi di pulizia per massimizzare la nettezza dei profumi, protezioni dall’ossidazione per preservare intatta la sua fragranza, chiarifiche per ammorbidire e bilanciare il suo gusto, contatto con legni nuovi e pregiati per ampliare la gamma aromatica del vino e per indurre la parziale stabilizzazione naturale del composto.

Il legno è materiale secolarmente impiegato nello sviluppo enologico del prodotto, tanto per motivi logistici, tanto per motivi tecnici. In passato il legno era l’unico materiale modulabile per la conservazione e il trasporto del vino, oggi è essenzialmente uno strumento per migliorare le sue caratteristiche analitiche e organolettiche. La sua permeabilità da parte dell’ossigeno agevola la stabilizzazione del vino, la porosità della sua fibra consente l’imbibimento e l’estrazione da parte dell’alcol del vino di composti aromatici speziati, mentosi, vanigliati, balsamici, che accentuano la suadenza e amplificano la gamma gusto-aromatica del frutto compositivo. Tanto migliore la qualità del legno, tanto più integra e nuova la sua composizione, tanto più piccolo il volume della botte, tanto più rilevante e migliore il ceduto aromatico e l’integrità olfattiva del vino. Le botti di legno più qualiquantitativamente cedevoli hanno una capienza variabie da 225 a 500 litri. Quelle da 225 litri, denominate barriques, sono le più universalmente apprezzate e diffuse. Quanto ai tipi di legni impiegati, i migliori risultati in termini di dolcezza e morbidezza dell’aroma ceduto li dona il legno di quercia. Fondamentale durante l’eventuale sviluppo in legno del vino evitare ossidazioni da eccessiva permanenza, esagerata estrazione di sostanze aromatiche dal legno. Le note del rovere non devono mai soverchiare standardizzando, coprendo, artefacendo il gusto–aroma del frutto. Laddove eccessiva la quantità di acido vanillico desunta dal legno, il vino presenterà il difetto del legnoso.

La tipologia e la natura di ogni intervento atto a ottimizzare le modalità di sviluppo enologico del vino vengono determinate dal produttore con continui esami della qualità analitica e sensoriale del vino durante la produzione. Assaggi e misurazioni di laboratorio (monitorizzazione chimico-organolettica) attraverso i quali dedurre e modulare i dosaggi e le caratteristiche delle varie applicazioni dal vino necessitate. Tanto più tempestive, ben calibrate, opportune e non invasive le pratiche di stabilizzazione e di ottimizzazione analitica riservate al vino, tanto più naturali e qualitative le sostanze impiegate, tanto minori le aggiunte di sostanze improprie del frutto, tanto più alta l’integrità del vino prodotto. Il frutto ottimo ha in sé tutti i componenti propri del grande vino: la migliore enologia applicata è pertanto la più rispettosa e la più giusnaturalisticamente pura. Al termine dello sviluppo enologico, stabilizzato e ottimizzato nella composizione, il vino è pronto per l’imbottigliamento. Un’eventuale filtrazione per assicurare in modo assoluto la sua infermentiscibilità, stabilità che consegue all’eliminazione a mezzo filtro di eventuali lieviti residui, l’ultima aggiunta di sostanze antiossidanti, e il vino, in linee di imbottigliamento sterili interne o esterne all’azienda (imbottigliatrici mobili predisposte su camion) viene definitivamente imbottigliato. Dopo un periodo variabile di stoccaggio post-imbottigliamento (dai 20 giorni ai 12 mesi), il vino viene confezionato e commercializzato. Onde evitare precoci evoluzioni del vino, alterazioni in bottiglia del suo patrimonio aromatico, importante il condizionamento termico del locale di stoccaggio del produttore.

Gli stili enologici del vino

Con il progresso delle competenze e delle disponibilità viticole ed enologiche, con il moltiplicarsi delle anime, delle singole aziende produttrici, diverse tipologie di vino si rendono oggi realizzabili-proponibili-rinvenibili sul mercato. Categorie che rappresentano le numerose opzioni tecniche percorribili, e che sostanziano le diverse scelte che gli operatori possono operare in tema di filosofia enologica produttiva. Lo stile produttivo prescelto più che rispondere a motivazioni commerciali, in realtà esprime l’obiettivo umanistico-naturalistico-idealistico che ogni organismo produttivo, ogni produttore vuol praticare e trasferire nel proprio vino. Tutti questi stili enologici hanno quindi identica valenza soggettiva, mentre è oggettivamente innegabile giacché analiticamente certificabile che solo i vini da enologia convenzionale possono presentare livelli di integrità gusto-aromatica del vino prossimi/conformi a quelli del frutto nativo.

Vini da enologia convenzionale

Sono questi i vini largamente più diffusi e più corretti tecnicamente. Vini che prevedono l’impiego tanto nella fase viticola dell’ottenimento del frutto, quanto in quella enologica della sua trasformazione di tutti gli strumenti chimici, meccanici, fisici posti oggi a disposizione dei produttori dalla tecnica e naturalmente consentiti dalla legge.  In questa categoria brillano i vini degli enologi “naturalisti”, di coloro i quali non additivano il vino con sostanze di sintesi esogene al frutto, non aggiungono tannini e gomma arabica, impiegano poca solforosa proteggendo le originali doti analitiche dell’uva agendo soprattutto per via fisica previo controllo della temperatura e/o saturazione con anidride carbonica o con gas inerti dei vasi vinari. Da tenere presente riguardo a questa categoria di vini che l’inarrestabile progresso tecnico ingenera un calo continuo e tendenzialmente diffuso dei tenori di anidride solforosa da essi contenuti.

Vini biologici

Vini ottenuti da uve da agricoltura biologica. L’uva biologica è quella ottenuta da vigneti la cui coltivazione non prevede in nessun modo l’impiego di concimanti o diserbanti chimici, eccezion fatta per il solfato di rame (poltiglia bordolese). Per evitare l’insorgenza di parassiti si procede all’immissione e allo sviluppo nel vigneto di specie animali innocue per la vite, ma divoratrici degli insetti contaminanti. Un antagonismo naturale fra specie (fra il parassita della vite e il suo naturale parassita) destinato a regolare naturalmente la fauna patogena e ad assicurare armoniosamente la salubrità della coltivazione. I vini biologici in cantina sono sviluppati con l’impiego di bassissime dosi di anidride solforosa aggiunta.

Vini biodinamici

Vini ottenuti da uve da agricoltura biodinamica. La biodinamica è una tecnica fondata sulla visione spirituale del filosofo Rudolf Steiner. L’agricoltura biodinamica si basa sull’idea della natura in equilibrio. Bisogna mantenere equilibrato in modo naturale il terreno con tutti i suoi organismi per ottenere da viti sane uve della più alta qualità ottenibile. Non si somministra alla pianta ciò che la pianta necessita, ma si mette in condizione la pianta di trarre da se stessa dall’ambiente circostante, nel modo più naturale possibile ciò che è presente nel suolo e nell’ambiente. Nella biodinamica è fondamentale la cura delle risorse naturali e favorire secondo direttive esatte i processi vitali come risultato dell’agire insieme di forze terrene e cosmiche. Nella pratica questo vuol dire che nell’agricoltura biodinamica non vengono utilizzati – come d’altronde in quella biologica – prodotti di sintesi chimica (concimi, fitofarmaci, diserbanti) e organismi geneticamente modificati. Si somministrano in dosi omeopatiche dei preparati naturali ottenuti da processi fermentativi, decotti, e minerali, come humus ottimizzato e polvere di quarzo, sempre tenendo conto delle fasi della luna e del sole; si lavora il terreno secondo metodi tradizionali come arare (con il cavallo, non con il trattore!) e letamare – tutto con l’obiettivo di rigenerare e rivitalizzare il suolo. Così le viti riescono a radicarsi bene e profondamente per sopportare periodi di gran caldo o di pioggia. Come trattamento profilattico si spruzzano le piante con infusi di ortica, camomilla, finocchio, dente di leone, valeriana e corteccia; come antiparassitario si impiega il solo solfato di rame. Il calendario lunare viene seguito anche in cantina per i travasi e l’imbottigliamento; in cantina non è possibile il controllo della temperatura di fermentazione, si usa poca anidride solforosa e i lieviti sono rigorosamente autoctoni.

Vini naturali

Categoria vasta e non ancora codificata-certificata che sotto le diverse e disparate dizioni quali: vini naturali, vini puri, vini veri, vini in anfora, vini senza solfiti, raccoglie la moltitudine di stili enologici realizzativi praticati ispirati dalla naturalità del processo. L’enologo elabora l’uva sana e maturata bene e non ricorre ad interventi fisici o chimici, il mosto fermenta sui propri lieviti autoctoni. Talvolta le fermentazioni avvengono in anfore di terracotta o in tini di cemento.

Bibliografia

Luca Maroni

Annuario dei Migliori Vini italiani

Lm EDIZIONI Roma edizione annuale dal 1994

Luca Maroni

Piacevolezza del vino

2001 Sperling & Kupfer – Mondadori Editore

Mario Fregoni

Viticoltura di Qualità

Tecniche Nuove 2006

Italo Eynard e Giovanni Dalmasso

Viticoltura moderna

HOEPLI Milano 1990

Jean  Ribereau-Gayon  e  Emile  Peynaud

Trattato  di enologia  volumi I e II

EDAGRICOLE 2007

Pier Giovanni Garoglio

Nuova enologia, enciclopedia vitivinicola mondiale

Edizioni AEB Brescia 1981

Emile Peynaud

Enologia e tecnica del vino

Edizioni AEB Brescia 1985

Wine Science: Principles and Applications

Ronald S. Jackson

2008 Elsevier Inc.

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