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Nella Grecia antica, canto corale celebrativo di azioni insigni. In Pindaro è equivalente a epinicio per una vittoria agonale, ma fu detto e. anche il canto conviviale laudativo a solo, più breve, che ebbe poi nome di scolio. Con la retorica siceliota l’e. divenne uno dei generi di eloquenza epidittica. Gorgia di Leontini compose due e. su Elena e su Achille e un altro per gli Elei. All’e. mitico di Gorgia si avvicina Isocrate con l’Elena e col Busiride, mentre con l’Evagora dà il primo esempio d’e. di un contemporaneo in prosa. Senofonte lo imita con l’Agesilao e a quei modelli si ispirò Teopompo con gli e. di Mausolo, Filippo, Alessandro. L’e. prosastico divenne una consuetudine per i re ellenistici e poi per gli uomini illustri e imperatori di Roma; nel periodo imperiale i grammatici Ermogene e Menandro ne fissarono le norme. Non scomparvero tuttavia gli e. poetici; se ne ha un esempio in età ellenistica nell’idillio 17 di Teocrito, che è un e. di Tolomeo Filadelfo. Presso i Romani è da ricordare il Panegirico di Messalla del Corpus Tibullianum.

Il genere dell’e. ha avuto molta fortuna in ambiente cristiano, soprattutto a partire dal 4° sec., quando le masse cristianizzate si affollavano nelle Chiese ad ascoltare i sermoni dei vescovi. Si moltiplicano così gli e. in onore dei santi più venerati nelle diverse città e santuari e quelli in onore della Vergine, degli apostoli, degli angeli. Meno diffuso fu l’uso dell’e. in Occidente. All’esempio classico dell’e. prosastico si riconnettono gli e. umanistici: famoso su tutti l’ἐγκώμιον μωρίας, seu laus stultitiae o Elogio della pazzia di Erasmo da Rotterdam.

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