Encefalopatie

Enciclopedia Italiana - VI Appendice (2000)

Encefalopatie

Maurizio Pocchiari

(App. III, i, p. 546)

Encefalopatie spongiformi trasmissibili

Le e. spongiformi trasmissibili (EST) o malattie da prioni (v. anche prione e prusiner, Stanley B., App.V) sono un gruppo di malattie degenerative del sistema nervoso centrale a esito invariabilmente letale, causate da un agente infettivo la cui natura è ancora sconosciuta.

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Le EST colpiscono sia l'uomo sia gli animali (v. .), ma nella maggior parte dei casi l'uomo non contrae la malattia da animali infetti. I soggetti colpiti dalle EST presentano gravi lesioni del sistema nervoso centrale caratterizzate da vacuolizzazione del tessuto nervoso (da cui il termine 'spongiosi'), aumento numerico e, a volte, ingrandimento delle cellule astrocitarie, e spesso anche da una più o meno grave perdita di neuroni. Al contrario di altre malattie infettive, sono invece assenti infiltrati di cellule infiammatorie (da cui il termine 'encefalopatia' invece di encefalite). Altra lesione caratteristica è l'accumulo, soprattutto nel tessuto cerebrale, di una proteina amiloidea chiamata proteina prionica o PrP. L'accumulo di PrP si ritrova esclusivamente nei soggetti colpiti da EST e costituisce pertanto un marker diagnostico importante per distinguere queste e. da altre patologie neurologiche simili, quali, per es., la malattia di Alzheimer.

fig. 1

La PrP è costituita, a seconda della specie, da un numero di aminoacidi che varia da 253 a 257 e deriva da un precursore fisiologico situato sulla superficie cellulare, la cui funzione è ancora poco conosciuta, anche se si ipotizza un suo ruolo nei meccanismi di interazione tra cellula e cellula. Nelle cellule infette la PrP 'normale' va incontro a un'alterazione della sua struttura tridimensionale: due delle quattro catene elicoidali (α-eliche) da cui è formata si trasformano in foglietti β. (fig. 1). In seguito al cambiamento conformazionale, la proteina diviene resistente alla degradazione da parte degli enzimi cellulari accumulandosi all'interno della cellula fino a provocarne la morte. In seguito alla lisi della cellula, la PrP va a depositarsi negli spazi tra cellula e cellula dando luogo, in alcuni casi, a vere e proprie placche amiloidee.

Questo complesso meccanismo molecolare determina la morte delle cellule nervose e quindi la comparsa della grave sintomatologia neurologica nei soggetti affetti. Rimane da scoprire come e perché una proteina cellulare vada incontro a questa trasformazione patologica. Secondo alcuni studiosi la prima molecola di PrP patologica si forma spontaneamente. Questa si lega quindi a una molecola di PrP 'normale' inducendone la trasformazione e innescando un meccanismo a cascata responsabile della produzione massiva di PrP patologica. Quando una molecola o, più facilmente, un aggregato di PrP patologica vengono introdotti accidentalmente in un altro ospite, questi agirebbero da stampo per indurre la trasformazione della PrP normale dell'ospite in PrP patologica. Questa teoria, conosciuta come la teoria del prione, ipotizza che la sola proteina patologica sia in grado di dare inizio al processo morboso e che l'infettività sia pertanto legata esclusivamente a essa e non, come in altre infezioni virali, a un virus che contenga, nel suo acido nucleico, le informazioni necessarie per la replicazione e per esplicare il proprio potere patogeno.

Un'altra teoria prevede invece che l'agente infettivo sia un virus con caratteristiche biologiche (per esempio, la mancanza di risposta immunitaria nell'ospite) e chimico-fisiche (resistenza ai trattamenti in grado di distruggere gli acidi nucleici) non convenzionali che si leghi alla PrP cellulare; in seguito a questa interazione la proteina verrebbe modificata nella sua conformazione patologica.

Una terza teoria, che si colloca tra la teoria prionica e quella virale, è la teoria del virino. Il virino sarebbe costituito dall'assemblaggio di una molecola di PrP patologica e da un acido nucleico esogeno non codificante: la porzione esterna, costituita dalla PrP patologica, si legherebbe alla PrP cellulare (che anche in questo caso svolgerebbe funzioni di recettore) permettendo la penetrazione del virino all'interno della cellula; a questo punto l'acido nucleico andrebbe incontro a svariati cicli di replicazione, andando poi a complessare una molecola di PrP endogena 'normale' determinandone la conversione conformazionale.

Esistono varianti dell'agente infettivo responsabili delle EST. Queste varianti, in particolare quelle dello scrapie (v. oltre), sono state isolate e caratterizzate sperimentalmente mediante l'inoculazione nei topi di tessuto cerebrale prelevato da individui affetti da EST.

La distinzione tra varianti, in assenza di conoscenze certe sulla struttura dell'agente, viene effettuata sulla base di alcuni parametri clinici e istopatologici osservabili nei topi affetti. Dal punto di vista clinico il criterio discriminante è il tempo di incubazione della malattia che rimane costante per ogni variante isolata. A seconda della variante di EST, inoltre, le lesioni istopatologiche variano per gravità e distribuzione. L'analisi di nove aree della sostanza grigia e di tre di quella bianca consente di costituire un profilo delle lesioni che è tipico di ogni variante di EST considerata ed è indipendente dalla dose infettante.

L'organo bersaglio dell'agente infettivo delle EST è il sistema nervoso centrale, e pertanto è facilmente intuibile che l'introduzione diretta di materiale infetto nel cervello o nel midollo spinale produca la malattia nell'ospite con più efficienza che in seguito a infezione per via periferica (endovenosa, intraperitoneale, sottocutanea, intragastrica). In quest'ultimo caso, l'agente infettivo si replica in prima istanza a livello degli organi linfatici (milza, linfonodi, placche di Peyer). Da qui, attraverso i nervi periferici e mediante il trasporto assonale lento, l'agente raggiunge il midollo spinale e l'encefalo dove continua a replicarsi provocando la formazione di PrP patologica, quindi l'insorgenza dei sintomi clinici e infine la morte dell'ospite. Tra le vie di infezione periferica, la via endovenosa è molto più efficiente nel trasmettere la malattia di quella intramuscolare, e quest'ultima della via orale.

Dall'efficienza di trasmissione dipende la minima dose infettante necessaria per sviluppare la malattia e la lunghezza del periodo di incubazione. La via di trasmissione non è tuttavia il solo elemento che influenza la durata del periodo di incubazione della malattia; oltre alla dose infettante, svolge un ruolo importante anche l'interazione tra il genotipo dell'ospite (in particolare il gene della PrP) e l'agente infettante.

Questa interazione è stata analizzata con modelli sperimentali di scrapie nel topo. Il topo ha due varianti alleliche del gene della PrP (l'allele prn-p a e l'allele prn-p b) che si distinguono per due aminoacidi presenti in posizione 108 e 189 (rispettivamente leucina e treonina per prn-p a, fenilalanina e valina per prn-p b). Con la maggior parte delle varianti dell'agente dello scrapie, i topi omozigoti per l'allele prn-p a si ammalano con un tempo di incubazione inferiore rispetto agli omozigoti per prn-p b; gli eterozigoti (prn-p a/prn-p b) si ammalano con un tempo intermedio. Con altre varianti di scrapie murino, tuttavia, la situazione si presenta capovolta: i topi omozigoti per prn-p b si ammalano più velocemente di quelli omozigoti per prn-p a, e gli eterozigoti hanno tempi di incubazione superiori rispetto agli omozigoti. Questi esperimenti indicano che la suscettibilità alla malattia e le caratteristiche cliniche delle EST dipendono sia dall'ospite che dall'agente infettivo.

Anche nella pecora e nell'uomo sono presenti polimorfismi del gene della PrP che sono coinvolti nella regolazione del periodo di incubazione e della suscettibilità alla malattia. Nell'uomo, infine, sono presenti diverse mutazioni del gene della PrP responsabili delle cosiddette forme familiari o genetiche delle EST (v. oltre: Encefalopatie spongiformi trasmissibili dell'uomo).

La sequenza della PrP è inoltre coinvolta in quell'insieme di fenomeni che si verificano quando si cerca di trasmettere la malattia da una specie a un'altra, che vengono definiti come barriera di specie.

Si è visto che l'efficienza di infezione si riduce quando si cerca di trasmettere la malattia da una specie ospite a un'altra (per es., dalla pecora al topo). Dopo la prima inoculazione la malattia si manifesta con tempi di incubazione molto lunghi, che a volte superano la vita stessa dell'animale. L'inoculazione di nuovi individui della medesima specie produce invece un periodo di incubazione più breve rispetto al primo passaggio.

In natura la barriera di specie è in grado di influenzare la diffusione della malattia da una specie a un'altra e ha perciò un ruolo fondamentale per l'epidemiologia delle EST. La determinazione della 'consistenza' della barriera di specie tra bovini e uomo è uno dei punti fondamentali per poter valutare correttamente il rischio di trasmissione della e. spongiforme bovina (BSE, Bovine Spongiform Encephalopathy) all'uomo.

Encefalopatie spongiformi trasmissibili degli animali

Scrapie

Lo scrapie naturale colpisce le pecore e, più raramente, le capre e prende il nome dall'osservazione che gli animali malati si grattano (dall'ingl. to scrape, grattare) insistentemente i fianchi strofinandosi contro recinti o strutture fisse fino a perdere il pelo. Lo scrapie sembra colpire tutte le razze ovine ed è diffuso in Europa, Asia e Americhe, con la notevole eccezione di paesi come l'Australia, la Nuova Zelanda e la Repubblica Sudafricana in cui la malattia è stata eradicata.

Di norma sono colpite le pecore dopo i due anni di vita, con un picco di incidenza intorno ai quattro anni. L'esordio clinico della malattia è insidioso ed è caratterizzato da modificazioni del comportamento e da aggressività, riconoscibili solo a un attento esame del gregge. Il quadro clinico si aggrava con la comparsa dei due sintomi principali: il prurito e l'atassia. Il prurito, localizzato inizialmente alla regione lombare, diviene poi generalizzato, e il grattamento provoca la perdita del pelo, escoriazioni e lesioni cutanee profonde. L'atassia si manifesta con il tipico andamento trottante: nelle fasi precoci l'animale può anche cadere, ma in genere si rialza velocemente. Altri segni neurologici sono il tremore, l'epilessia e la cecità corticale. Nella fase terminale della malattia l'animale è in decubito e la morte sopravviene generalmente dopo 4÷6 mesi.

I meccanismi di trasmissione dello scrapie all'interno del gregge non sono stati ancora completamente chiariti. L'infezione può essere trasmessa dalla pecora all'agnello nel periodo prenatale, al momento del parto o durante lo svezzamento. La via orale e la scarificazione della cute sembrano essere le vie d'infezione nella trasmissione orizzontale da pecora a pecora; tra le possibili sorgenti di infezione la placenta, proveniente da soggetti infetti, costituisce un rischio per gli animali che se ne nutrono come pure una possibile fonte di contaminazione dei pascoli.

Encefalopatia spongiforme bovina

L'e. spongiforme bovina si è manifestata per la prima volta nel Regno Unito nel 1986 e sin dalla sua comparsa ha assunto un andamento epidemico. Casi di BSE sono stati osservati in Germania, Danimarca, Paesi Bassi, Belgio, Isole Falkland, Italia, Portogallo, Canada e Oman in animali provenienti dal Regno Unito, e in Irlanda, Svizzera e Francia in animali indigeni.

È stato ipotizzato che i primi bovini si siano infettati all'inizio degli anni Ottanta in seguito alla contaminazione delle farine di carne con l'agente dello scrapie. In Gran Bretagna l'allevamento di pecore è estremamente diffuso e pertanto il riciclaggio delle carcasse di ovini è una pratica frequente e da lungo tempo utilizzata. La procedura per l'ottenimento delle cosiddette farine di carne prevedeva l'uso di solventi, i quali per essere eliminati dal prodotto finale richiedevano passaggi a elevate temperature in presenza di vapore. Anche se in maniera non intenzionale (lo scopo era solo quello di eliminare i solventi), questi passaggi riducevano drasticamente il potenziale infettivo del prodotto, eliminando l'agente dello scrapie accidentalmente presente nel materiale di partenza (carcasse di pecora). Tra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli anni Ottanta la crisi energetica e la necessità di abbattere i costi hanno portato a sostanziali modifiche nelle metodiche di estrazione delle proteine dalle carcasse animali. Eliminando l'uso dei solventi, e quindi il concomitante utilizzo di fasi a elevata temperatura, si è probabilmente contribuito a innalzare il potenziale infettivo delle farine di carne utilizzate come supplemento proteico nell'alimentazione dei bovini britannici. Tuttavia è probabile che, all'inizio, il numero di casi di malattia nel bovino sia stato piuttosto limitato e che sia stato il riciclaggio delle stesse carcasse bovine per la produzione di mangimi a determinare l'andamento epidemico della malattia.

Anche la malattia simile alla BSE, comparsa nel Regno Unito in alcune specie di bovidi africani tenuti in cattività e nei felini (gatti domestici e alcuni felini esotici degli zoo), è stata collegata al consumo di cibo contaminato.

Per impedire l'ulteriore diffusione del contagio nel Regno Unito, dal giugno 1988 è stato vietato l'uso delle farine di carne per l'alimentazione dei bovini ed è stata ordinata la distruzione dei capi ammalati. Nonostante una significativa riduzione del numero dei casi registrati dopo l'introduzione del decreto, l'epidemia è ancora in corso. I dati a disposizione fanno ritenere che l'epidemia sia sostenuta ancora da un contagio pregresso attraverso la catena alimentare, a cui contribuisce attualmente la trasmissione verticale da mucca a vitello della BSE.

La malattia colpisce animali di età compresa tra i 22 mesi e i 18 anni, con un picco attorno ai 4÷5 anni; il tempo d'incubazione medio è compreso tra i 4 e i 6 anni. Dal punto di vista clinico nella BSE si osservano modificazioni del comportamento come apprensione e aggressività, iperestesia a stimoli tattili e uditivi; incoordinazione dei quarti posteriori, tremori muscolari e digrignamento dei denti. Il prurito non è un sintomo frequente come nello scrapie. A differenza di quanto osservato nello scrapie naturale dove sono state isolate, attraverso il passaggio nel topo, circa venti varianti diverse, l'epidemia della BSE è sostenuta da una sola variante, diversa da quelle isolate nello scrapie, e le cui caratteristiche (tempo di incubazione e profilo delle lesioni dopo il passaggio nel topo) rimangono inalterate anche dopo il passaggio in altre specie. Per questo motivo e per la inusuale facilità di trasmissione da una specie a un'altra, la BSE emerge tra le EST come un'entità nosologica a sé stante e, nonostante la sua probabile origine dallo scrapie, è distinta da esso. Si comprende come la BSE possa rappresentare un rischio concreto per la salute vista l'importanza del consumo di prodotti di origine bovina nell'alimentazione umana.

Encefalopatie spongiformi trasmissibili dell'uomo

La malattia di Creutzfeldt-Jakob e le sue varianti

La malattia di Creutzfeldt-Jakob (MCJ) può presentarsi in forma sporadica, familiare o come conseguenza di trasmissione accidentale e appartiene - insieme alla sindrome di Gerstmann-Sträussler-Scheinker (GSS), all'insonnia fatale familiare (IFF) e al kuru (una forma un tempo epidemica tra gli indigeni di lingua Fore di Papua Nuova Guinea e oggi quasi scomparsa) - alle EST dell'uomo.

La MCJ è presente in tutto il mondo con un'incidenza di circa un caso per un milione di abitanti, colpisce ugualmente entrambi i sessi, e insorge generalmente tra i 50 e i 70 anni con una durata media di circa 5÷6 mesi. Per quanto riguarda la distribuzione geografica la malattia è ubiquitaria e i dati disponibili non sembrano suggerire l'ipotesi di clusters spazio-temporali, a eccezione di aggregazioni di casi familiari.

Le modalità di trasmissione naturale della malattia rimangono sconosciute. Non sono note evidenze epidemiologiche tali da avvalorare la tesi che lo scrapie delle pecore costituisca il serbatoio animale dell'infezione per l'uomo, e, anche se questa modalità di trasmissione è stata più volte postulata, è opportuno osservare come la MCJ sia presente in paesi, per es. l'Australia, dove lo scrapie è stato eradicato da tempo. Sono noti invece casi di MCJ da trasmissione accidentale iatrogena in seguito a terapia con ormone della crescita estratto da ipofisi umane infette, a trapianto di cornea o dura madre provenienti da donatori affetti da MCJ, e a inadeguata sterilizzazione di strumenti chirurgici.

Nonostante gli sforzi compiuti in campo epidemiologico, non è stato finora possibile evidenziare un rischio maggiore di sviluppo della malattia in categorie professionali particolari (per es., operatori sanitari e soggetti esposti, per la loro attività, al contatto con il bestiame), rispetto alla popolazione generale.

La MCJ sporadica

La forma sporadica della MCJ, trasmissibile nel 90% dei casi ad animali da esperimento, è spesso caratterizzata da una fase iniziale costituita da sintomi aspecifici quali, per es., astenia e perdita di peso. Il quadro clinico progredisce con la comparsa di disturbi della memoria, disturbi psichiatrici quali modificazioni comportamentali, disturbi d'ansia, irritabilità, depressione, insonnia, disturbi della deambulazione, vertigini e disturbi visivi. Nella fase di stato, al deterioramento mentale rapidamente progressivo si associano mioclonie (guizzi muscolari), tremori e altri movimenti involontari, segni cerebellari (incoordinamento motorio, disturbi dell'equilibrio), piramidali (deficit dell'attività motoria volontaria, paresi), extrapiramidali (alterazioni dell'attività motoria automatica, quali, per es., i movimenti mimico-emotivi o gli automatismi come l'andare in bicicletta) o visivi (diplopia, allucinazioni visive). Nella fase terminale della malattia si assiste a un peggioramento dei sintomi descritti, alla comparsa in molti casi di crisi epilettiche e coma, con il decesso che usualmente sopraggiunge per infezioni respiratorie o sistemiche.

Molto utile ai fini diagnostici è il riscontro di anomalie elettroencefalografiche di tipo periodico che rendono il tracciato elettroencefalografico simile a un elettrocardiogramma. L'esame del liquor cefalorachidiano rivela una proteina anomala (chiamata 14-3-3) nei pazienti affetti da MCJ. Questa proteina è assente in altre malattie neurodegenerative ed è perciò di grande aiuto per differenziare la MCJ da altre demenze, come, per es., la malattia di Alzheimer. La diagnosi di certezza è tuttavia ancora basata esclusivamente sull'esame istologico del cervello o sull'identificazione della PrP patologica mediante tecniche immunochimiche.

Per quanto riguarda gli aspetti genetici, il polimorfismo al 129° aminoacido della PrP svolge un ruolo favorente nei riguardi della suscettibilità alla malattia. Nella popolazione generale il gene della PrP può esprimersi con due varianti, una che codifica per l'aminoacido metionina e l'altra per la valina. Nelle popolazioni caucasiche circa il 40% dei soggetti è omozigote per la metionina (le PrP prodotte dai due alleli hanno entrambe la metionina in posizione 129), il 50% è eterozigote (una PrP ha metionina, mentre l'altra ha valina) e il restante 10% è omozigote per la valina. Nei casi sporadici di MCJ, invece, circa il 70÷80% dei casi è omozigote per metionina suggerendo una certa, seppur debole, predisposizione di questi individui a sviluppare la malattia.

La nuova variante di MCJ

Accanto alla forma sporadica di MCJ, è stata recentemente segnalata in Gran Bretagna una nuova variante (nvMCJ) per la quale si ipotizza un legame con la BSE. Questa si differenzia dalla forma classica per un esordio precoce (tutti i casi fino a oggi descritti hanno un'età inferiore ai 55 anni), una lunga durata clinica della malattia (superiore a un anno) e caratteristici sintomi di esordio rappresentati da disturbi comportamentali, modificazioni della personalità o depressione. Sono frequenti anche disestesie, spesso riferite come dolore localizzato alla gamba o al piede. La maggior parte dei pazienti sviluppa precocemente un'atassia cerebellare (incoordinazione motoria) mentre, con il progredire della malattia, compaiono il mioclono, altri movimenti involontari e la demenza. Il quadro elettroencefalografico non presenta le caratteristiche tipiche riscontrate nella MCJ.

fig. 2

Tutti i casi di nvMCJ fino a oggi studiati risultano omozigoti per la metionina al 129° aminoacido della PrP. All'esame neuropatologico si osservano numerosi depositi di PrP che, spesso, si presentano sotto forma di placche di amiloide circondate da spongiosi (placche floride; fig. 2). Fino al giugno 1999, sono stati descritti 41 casi di nvMCJ nel Regno Unito e uno in Francia. Non si conoscono casi di nvMCJ in altri paesi europei o extra-europei.

Recenti studi hanno dimostrato che la nvMCJ, ma non la forma classica, è da attribuire all'agente della BSE. Sebbene si dia come probabile che l'infezione sia avvenuta attraverso la via alimentare, non si può ancora escludere l'esistenza di altre modalità di trasmissione.

Forme familiari di MCJ

Le forme familiari rappresentano il 10÷15% dei casi di EST dell'uomo e, in genere, sono più difficilmente trasmissibili agli animali di laboratorio delle forme sporadiche.

La MCJ familiare è legata a sette mutazioni puntiformi del gene PRNP che determinano un cambiamento di un singolo aminoacido nella proteina. In Italia sono state finora descritte solo quelle in posizione 200 e 210. La mutazione in posizione 200 si presenta con una sintomatologia simile a quella della forma di MCJ sporadica ma con un esordio più precoce. Questa forma è stata legata a vari clusters spazio-temporali in Cile, Slovacchia e tra gli ebrei libici in Israele. Anche la mutazione in posizione 210 si presenta con un quadro di MCJ classico. Questa forma è stata descritta in 17 famiglie italiane.

Nella forma familiare di MCJ, in cui la mutazione in posizione 178 è associata con la valina in posizione 129, si osserva una sintomatologia tipica di MCJ, ma con un esordio più precoce (intorno ai 45 anni), una maggiore durata della malattia e l'assenza in quasi tutti i casi di attività periodica elettroencefalografica. Quando la stessa mutazione è in coppia con la metionina in posizione 129, la malattia si manifesta invece come IFF, ed è caratterizzata da insonnia, disturbi del sistema nervoso autonomo, disturbi motori e cognitivi. In Italia sono state descritte le prime famiglie affette da IFF, ma, fino al 1998, non sono stati identificati casi di MCJ legati alla mutazione 178.

La GSS si manifesta solo in forma familiare ed è sempre legata a mutazioni del gene della PrP. La mutazione più frequente, e l'unica identificata in Italia, è quella in posizione 102. Nei soggetti portatori di questa mutazione la malattia compare intorno ai 50 anni con una atassia cerebellare cronica cui si associano altri segni clinici quali la demenza e il mioclono. La durata media della malattia è intorno ai 5 anni. L'esame elettroencefalografico non mostra di solito la caratteristica periodicità che si osserva nei casi di MCJ. Le caratteristiche cliniche sono tuttavia molto variabili anche tra i soggetti affetti della stessa famiglia.

Oltre alle mutazioni puntiformi, sono state anche descritte inserzioni di differente lunghezza (da 2 a 9 octapeptidi) del gene della PrP che sono associate sia alla MCJ sia alla GSS. In questi pazienti la malattia ha un esordio precoce, una lunga durata e una grande eterogeneità clinica anche tra i soggetti affetti di una stessa famiglia.

Terapia

Al momento non esistono terapie per questo gruppo di malattie e i farmaci vengono studiati soprattutto in ambito sperimentale. Tra le numerose sostanze sperimentate solo alcuni polianioni, l'antibiotico amfotericina B e il colorante istologico rosso Congo si sono dimostrati in grado di prolungare il tempo di incubazione della malattia sperimentale e, in alcuni casi, anche di prevenirne la comparsa. Questi farmaci, tuttavia, sono efficaci solo quando la terapia ha inizio in prossimità del giorno dell'infezione e, per alcuni di essi, con dosi vicine alla tossicità. La loro somministrazione è inefficace quando viene effettuata a malattia conclamata e questo è uno dei motivi che rende di difficile attuazione il trasferimento all'uomo dei risultati ottenuti nella terapia sperimentale.

bibliografia

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