LUSSU, Emilio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 66 (2006)

LUSSU, Emilio

Giuseppe Sircana

Nacque il 4 dic. 1890 ad Armungia, in provincia di Cagliari, da Giovanni e da Lucia Mereu in una famiglia di piccoli proprietari terrieri. Dopo aver frequentato il ginnasio presso il collegio salesiano di Lanusei e il liceo T. Mamiani di Roma, nel novembre 1910 si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell'Università di Cagliari. Conseguì la laurea il 29 apr. 1915, avendo tra il 1912 e il 1913 trascorso venti mesi in uniforme, come allievo ufficiale a Torino e come ufficiale di prima nomina al 46( reggimento di fanteria di Cagliari. Convinto interventista, il L. fu mobilitato nel maggio 1915 e destinato, come sottotenente comandante di plotone, alla brigata Sassari, costituita in gran parte da militari sardi. Promosso tenente il 2 dic. 1915, e capitano il 12 nov. 1916, fu per quasi tutto il periodo del conflitto in trincea: ferito il 28 genn. 1918 a Col del Rosso, fu insignito di due medaglie d'argento e due di bronzo al valor militare.

La guerra rappresentò per il L. un'esperienza formativa sotto il profilo umano, sociale e politico. Con i fanti della brigata, contadini e pastori della sua stessa terra, stabilì un rapporto di solidarietà attiva fondato sulla comune contestazione dell'autoritarismo e dell'inettitudine degli alti comandi. La presa di coscienza dell'assurdità e del carattere classista della guerra non comportò tuttavia il venir meno, da parte del L., delle ragioni ideali dell'intervento contro gli Imperi centrali. Le esperienze e le riflessioni degli anni di trincea avrebbero ispirato il suo libro più famoso, Un anno sull'altipiano (Parigi 1938).

Al termine del conflitto, il 15 genn. 1919, il L. fu trasferito nella zona d'armistizio tra l'Italia e la Iugoslavia, dove venne raggiunto dalla notizia della sua elezione unanime a presidente dell'associazione dei reduci di Cagliari. Fu infine congedato nel settembre 1919.

Rientrato in Sardegna la trovò percorsa da tensioni sociali e da sollecitazioni autonomiste, espresse da un nuovo blocco sociale, composto da ex combattenti, intellettuali e piccola borghesia. Il movimento, dai tratti politici non ben definiti ma con un'intonazione di fondo antisocialista e ostile ai partiti e agli uomini del passato, si accingeva a partecipare alle prossime elezioni con proprie liste e faceva affidamento sul prestigio e sulla popolarità del Lussu. Il racconto dei reduci aveva infatti contribuito a farne una figura leggendaria in tutta l'isola, cui guardavano con fiducia contadini e pastori che rivendicavano il riscatto promesso loro dal governo negli anni di guerra.

Il L. non aveva l'età minima per candidarsi alle elezioni del 16 maggio 1919, ma contribuì al successo della lista dei combattenti che, in Sardegna, ottenne il 23,4% dei voti eleggendo tre dei suoi dodici rappresentanti alla Camera.

Al III congresso dei combattenti sardi (Macomer, 8-9 ag. 1920) si confrontarono le due anime prevalenti nel movimento: quella, espressa da C. Bellieni e radicata soprattutto nella sezione di Sassari, d'ispirazione salveminiana, liberista e fautrice del cooperativismo, e quella d'indirizzo classista e sindacale, influenzata dalle teorie soreliane, che aveva il suo punto di forza a Cagliari e nella quale il L. si riconosceva.

Il programma sancito dal congresso risultò una miscela tra "qualche traccia di salveminismo e parecchie suggestioni soreliane" (Fiori, p. 94), dove si poteva cogliere l'apporto del cosiddetto "ruralismo giacobino" del L. (Mattone, p. 7); dopo essere stato eletto, nell'ottobre 1920, al Consiglio provinciale di Cagliari, il L. si candidò alle elezioni politiche del 15 maggio 1921 nelle liste del Partito sardo d'azione (PSd'A). A dare vita al PSd'A erano stati i combattenti sardi, che al termine del loro IV congresso (Oristano, 16-17 aprile), di fronte al dissolvimento dell'Associazione nazionale combattenti, avevano deciso di costituirsi in partito con lo stemma dei quattro mori. Sotto la guida di Bellieni e grazie alla popolarità del L. il partito sardista ottenne nell'isola il 28,8% dei voti, riuscendo a eleggere alla Camera quattro deputati, tra cui lo stesso Lussu.

Il radicamento del PSd'A e le sue origini combattentistiche furono tra i motivi per cui la nascita e l'affermazione del fascismo ebbero in Sardegna modalità e tempi diversi rispetto al resto d'Italia. "Evidentemente - avrebbe osservato il L. - il favore generale era per questo grande movimento proletario popolare che agiva per la rinascita dell'isola e la stessa borghesia ne era influenzata. Questo spiega perché la Sardegna fu l'ultima regione d'Italia che conobbe il fascismo e lo ebbe in forma seria dopo la marcia su Roma, cioè quando lo Stato era già fascista" (Essere a sinistra, p. 42). Nei confronti del movimento delle camicie nere l'atteggiamento del PSd'A fu tuttavia equivoco e contraddittorio. Mentre alcuni suoi esponenti si affrettavano a riconoscere le affinità con il fascismo, nel dicembre 1922 B. Mussolini affidò al nuovo prefetto di Cagliari, generale A. Gandolfo, il compito di avviare le trattative per la fusione tra PSd'A e partito fascista.

A guidare la delegazione sardista fu il L., che si disse favorevole alla fusione perché "il PSd'A, aderendo al fascismo ma conservando le sue caratteristiche idealità programmatiche", avrebbe realizzato in tempi molto più rapidi "il suo sogno di rinnovamento isolano e di moralizzazione della vita pubblica" (in Nieddu, p. 334). Tuttavia, mentre il 14 febbr. 1923 un primo gruppo di sardisti entrò nel partito fascista, raggiunto, il 26 aprile, da un secondo e più consistente gruppo, il L. non compì alcun passo in quella direzione. Reagì invece alla dissoluzione del suo partito e al clima d'incertezza e di disordine che regnava in Sardegna dimettendosi, il 22 maggio, da deputato. Le sue dimissioni vennero respinte ed egli ebbe così modo, il 15 luglio, d'intervenire alla Camera per contestare a Mussolini l'affermazione secondo cui tutti i combattenti d'Italia si riconoscevano nel fascismo.

Il L., "anche in nome di un'infinità di combattenti, i quali finora non hanno ritenuto di dare la loro adesione al fascismo e non la daranno fino a quando non si accorgeranno che veramente ha concesso all'Italia la libertà", dichiarò che "per il momento" non avrebbe votato la fiducia al governo (Atti parlamentari, XXV legisl., 15 luglio 1923, p. 10680).

Nonostante ciò tornarono a circolare voci di una sua prossima adesione al fascismo, alle quali il L. reagì comunicando ai giornali che sarebbe restato "irriducibilmente solidale con quelli che oggi in Italia combattono arditamente per la libertà contro il fascismo" (La Nuova Sardegna, 23-24 nov. 1923). Dalle elezioni del 6 apr. 1924 il PSd'A - con un sorprendente 16% dei voti e due deputati eletti (uno dei quali fu il L.) - emerse come l'unica forza politica in grado di contrastare l'avanzata del fascismo in Sardegna.

Sull'esito elettorale, a detta degli stessi fascisti cagliaritani, aveva influito molto il L., visto dal popolo come "il combattente valoroso", "il cavaliere dell'ideale", difensore della libertà e degli umili (in Fiori, p. 153 n.).

Membro del comitato che guidò la secessione dell'Aventino, dopo il discorso del 3 genn. 1925 con cui Mussolini riprese il pieno controllo della situazione, il L. avrebbe voluto l'inasprimento della lotta contro il fascismo in Parlamento e nel Paese. Il 31 ott. 1926 i fascisti assediarono la sua abitazione cagliaritana e il L. riuscì a salvarsi uccidendo, con un colpo di pistola, uno degli assalitori e mettendo in fuga gli altri. Arrestato e rinviato a giudizio per omicidio volontario, trascorse parecchi mesi in carcere fino a che, il 22 ott. 1927, non fu assolto in istruttoria avendo agito per legittima difesa. Anziché essere posto in libertà il L. venne condannato a cinque anni di confino e inviato, il 17 novembre, nell'isola di Lipari. Qui strinse amicizia con C. Rosselli e F. F. Nitti, insieme con i quali il 27 luglio 1929 organizzò una rocambolesca fuga in Francia. Sbarcati a Marsiglia il 1( agosto, nello stesso giorno i tre si trasferirono a Parigi, dove furono accolti, tra gli altri, da G. Salvemini, F. Turati, C. Treves, E. Modigliani, A. Cianca, A. Tarchiani. Nell'autunno di quell'anno il L. partecipò alla costituzione del movimento Giustizia e libertà (GL), impegnandosi particolarmente nell'attività organizzativa e di propaganda tra gli emigrati italiani. Agli inizi del 1933 si aprì all'interno di GL una discussione tra chi avrebbe voluto caratterizzarla come un movimento o una federazione di gruppi e chi, come il L., avrebbe invece preferito darle la struttura di un vero e proprio partito. La divergenza sulle forme di organizzazione ne sottendeva in realtà un'altra che riguardava l'orientamento politico, come emerse chiaramente nel 1934 in seguito alla crisi della Concentrazione antifascista, cui GL aveva aderito nel 1931.

Il L. voleva trasformare GL nel nuovo partito socialista, democratico, repubblicano e federalista, prevalentemente non marxista, classista e libertario, che avrebbe dovuto prendere il posto del Partito socialista italiano (PSI) e promuovere l'unificazione di tutte le correnti socialiste. Tale prospettiva prendeva le mosse dalle sferzanti critiche da lui rivolte allo stesso PSI e al Partito comunista d'Italia. Ai socialisti il L. rimproverava l'inconcludenza e la passività davanti al fascismo, mentre i comunisti, ai quali pure riconosceva tempra rivoluzionaria e sacrificio nella lotta ideale, gli apparivano sottomessi al volere di Mosca e assertori dogmatici di un'utopia che nella pratica si traduceva nella negazione della democrazia e della libertà. Questi duri giudizi suscitarono le risentite reazioni di comunisti e socialisti, mentre la prospettiva politica indicata dal L. per GL incontrò la decisa avversione di Salvemini e dei principali esponenti della corrente liberaldemocratica del movimento come A. Cianca e A. Tarchiani.

L'andamento del dibattito interno, che dal 18 maggio 1934 si trasferì anche sulle pagine del nuovo settimanale Giustizia e libertà, non soddisfaceva il L., che ricavò l'"impressione d'uno smarrimento o scoloritura, nel giornale e nell'iniziativa politica, dei postulati ai quali in passato Rosselli aveva aderito", a cominciare dal carattere socialista del movimento (Fiori, p. 286). Verso la fine dell'anno, anche per l'aggravarsi di una malattia polmonare che lo costrinse a trasferirsi per un periodo di cure in Alta Savoia, il L. si estraniò dal dibattito. Il 2 dicembre scrisse a Rosselli che non intendeva più continuare nelle polemiche, anche perché "tutta l'essenza della divergenza è questa: che io sono il solo socialista di GL o almeno fra quanti di voi stanno a Parigi. Io sono socialista e voi non lo siete: ecco tutto" (Lettere a Carlo Rosselli, p. 98). All'inizio del 1935 si dimise dal comitato centrale di GL, che a suo parere era ormai in discredito tanto presso la borghesia quanto presso il proletariato e viveva unicamente sul prestigio degli anni passati. A questo punto il L. auspicò l'unità di tutte le correnti socialiste in un solo partito non essendo ancora ipotizzabile, dati i molti motivi di contrasto, la pur necessaria unità politica di tutto il proletariato.

Una tale prospettiva divenne meno aleatoria nel 1936 con il superamento da parte comunista della teoria del "socialfascismo", l'avvio della politica di unità d'azione con la vittoria nel 1936 dei fronti popolari in Spagna e in Francia e la solidarietà con la Repubblica spagnola. Dopo circa due anni di silenzio critico, una delicata operazione e una lunga degenza nei sanatori svizzeri, il L. trovò così una forte motivazione per riprendere in pieno l'attività politica. Con una serie di sei articoli apparsi in Giustizia e libertà rilanciò con convinzione e passione lo slogan di Rosselli ("Oggi in Spagna, domani in Italia").

"Noi abbiamo bisogno di andare in Spagna più di quanto la Repubblica spagnola abbia bisogno di noi" (La Legione italiana in Spagna, in Giustizia e libertà, 28 ag. 1936).

Deciso a raggiungere egli stesso la Spagna fu tuttavia trattenuto in sanatorio e solo nel maggio 1937 poté fare ritorno a Parigi, dove esaminò con Rosselli le prospettive di GL.

Entrambi erano convinti della necessità di unificare il proletariato italiano, ma, mentre Rosselli presumeva di poter trattare direttamente con i comunisti, per il L. occorreva prima realizzare una federazione di tutti i partiti e movimenti socialisti.

Alla fine di maggio il L. riuscì finalmente a recarsi in Spagna, sul fronte di Huesca, ma dovette rientrare dopo pochi giorni, alla notizia dell'uccisione di Carlo e Nello Rosselli. Il L. si trovò a essere il leader naturale di GL e ne accentuò la caratterizzazione socialista, suscitando le forti resistenze di altri dirigenti. Il tentativo di fare di GL un movimento proletario, anziché una forza in grado di mobilitare l'antifascismo democratico e liberale, indisponeva anche i comunisti, che dalle pagine de Lo Stato operaio rivolsero un duro attacco ai giellisti e al L. in particolare.

Il 14 giugno 1940, mentre le truppe tedesche entravano a Parigi, il L. abbandonò la capitale e si trasferì, con la moglie Joyce Salvadori (sempre coraggiosamente al suo fianco negli anni della clandestinità e dell'esilio), in un piccolo villaggio ai piedi dei Pirenei, nell'estremo Sud della Francia. Nella tarda estate raggiunse Marsiglia per organizzare l'imbarco clandestino degli antifascisti più esposti e minacciati e nel giugno 1941 si trasferì a Lisbona, allo scopo di far espatriare negli Stati Uniti un gruppo di loro, bloccato a Casablanca.

Nella capitale portoghese ebbe diversi incontri con rappresentanti del governo britannico, ai quali espose un piano per uno sbarco di antifascisti in Sardegna volto a suscitare un movimento insurrezionale. Ai suoi interlocutori il L. sottolineò l'esigenza che gli oppositori del regime non apparissero, agli occhi del popolo italiano, asserviti agli Inglesi invece che garanti dell'integrità territoriale e degli interessi nazionali.

Nel tentativo, rivelatosi vano, di convincere il governo britannico ad appoggiare il suo piano, nel gennaio 1942 si trasferì a Londra, da dove a marzo raggiunse gli Stati Uniti. Nelle due settimane trascorse a New York il L. ebbe modo d'incontrare Salvemini, C. Sforza, Tarchiani, A. Garosci e altri esponenti della Mazzini society, registrando una prevalente contrarietà a ipotesi di alleanze con i comunisti. Il L. continuò invece a perseguire tale obiettivo e, rientrato clandestinamente a Marsiglia nell'estate 1942, ebbe una serie d'incontri con il dirigente comunista G. Amendola. I colloqui, per quanto vivaci, contribuirono a ristabilire il rapporto con il PCI, dopo la rottura del 1939 causata dal patto russo-tedesco. A dicembre il L. fu costretto a lasciare Marsiglia; riparò a Lione e mentre tentava di entrare in Svizzera fu arrestato dai Tedeschi ad Annemasse, insieme con la moglie: tuttavia, non essendo stati riconosciuti, furono rilasciati.

Rientrato a Lione, il L. ebbe, in rappresentanza di GL, nuovi incontri con Amendola e G. Dozza per il PCI e G. Saragat per il PSI, che il 3 marzo 1943 approdarono alla firma di un patto di unità d'azione tra le rispettive forze politiche. Il 26 luglio, all'indomani della caduta di Mussolini, il L. redasse con altri fuorusciti un appello al Paese e, dopo vari tentativi, il 12 agosto riuscì finalmente a rientrare in Italia varcando il confine a Ventimiglia.

In agosto raggiunse Roma, dove incontrò i suoi compagni di GL, F. Fancello, R. Bauer e S. Siglienti, che avevano aderito al Partito d'azione (Pd'A), costituito nel giugno 1942, ritenendolo erede del movimento giellista. Al L. il Pd'A appariva invece come una formazione di borghesia radicale nella quale c'erano scarse tracce della tradizione socialista di GL. Decise tuttavia di aderire al nuovo partito, intenzionato a proseguire lì la sua battaglia. Partecipò al I convegno clandestino del Pd'A, che si tenne a Firenze il 5-6 settembre, dove fece circolare alcune copie del suo scritto, La ricostruzione dello Stato, nel quale evidenziava le divergenze tra il pensiero politico di GL e i "sette punti" del primo programma azionista. Tornò a Roma in tempo per partecipare al tentativo di resistenza armata di porta S. Paolo e alla costituzione del Comitato di liberazione nazionale (CLN). Durante l'occupazione tedesca, assunto il falso nome di Raimondi, il L. ebbe parte attiva della Resistenza romana, impegnandosi nella stampa del foglio azionista Italia libera e nella definizione del nuovo programma azionista dei "sedici punti".

A tale risultato si pervenne dopo una lunga e tormentata discussione in seno all'esecutivo del Pd'A tra i "ventuno punti" proposti dal L. e i "dieci punti" fissati da U. La Malfa, a nome della componente liberaldemocratica del partito. La piattaforma del L. configurava il Pd'A come un partito socialista, federalista, antiautoritario e laico e annoverava tra i punti programmatici qualificanti l'esproprio senza indennizzo del grande capitale commerciale-industriale-bancario, un sistema economico a due settori, pubblico e privato, con forme di collettivizzazione della terra.

Di lì a poco il congresso meridionale del Pd'A (Cosenza, 5-7 ag. 1944), facendo prevalere le tesi del L., dimostrò tutta la precarietà del compromesso raggiunto tra l'ala socialista e quella liberaldemocratica. Il permanere dell'equivoco sulla natura del partito avrebbe alimentato altre laceranti discussioni che avrebbero avuto nel L., capofila riconosciuto della componente socialista, uno dei protagonisti.

Dopo la Liberazione di Roma il L. fece ritorno in Sardegna, dove fu accolto da grandi manifestazioni popolari e realizzò l'affiliazione del ricostituito PSd'A al Pd'A.

Dal 21 giugno all'8 dic. 1945 fu ministro dell'Assistenza postbellica nel governo Parri e quindi, nel successivo governo De Gasperi, ministro senza portafoglio incaricato dei rapporti con la Consulta, di cui fu membro. Si dimise da ministro il 20 febbr. 1946, all'indomani del congresso del Pd'A (Roma, 4-8 febbraio), che aveva sancito l'uscita dal partito della "destra" guidata da Parri e La Malfa.

Eletto il 2 giugno 1946 all'Assemblea costituente nel collegio di Cagliari, il L. fece parte della Commissione dei settantacinque, incaricata di redigere la bozza della costituzione repubblicana occupandosi in particolare delle autonomie regionali. Le elezioni per la Costituente segnarono una netta sconfitta azionista e fecero precipitare la crisi del partito. Dopo lo scioglimento del Pd'A, nel giugno 1947, il L. aderì al PSI, mentre non gli fu possibile far compiere il medesimo passo al partito sardista, nel quale non si riconosceva da tempo. Per il L. il PSd'A era ormai un partito di clientele, conservatore, che agitava demagogicamente i temi del "nazionalismo sardo" e del separatismo. Il 4 luglio 1948 decise pertanto di abbandonarlo per fondare il Partito sardo d'azione socialista, che dopo le elezioni regionali sarde (9 maggio 1949) confluì nel PSI.

Nominato senatore nel 1948, il L. fu confermato al Senato nelle elezioni del 1953, del 1958 e del 1963. Membro della direzione nazionale del PSI, contrastò sempre quello che in modo icastico egli definiva "l'anti-comunismo epilettico" di alcuni socialisti di destra e la prospettiva di una terza forza tra PCI e DC. Contrario alla politica di centrosinistra, ruppe con P. Nenni e nel 1964 aderì al Partito socialista italiano di unità proletaria (PSIUP). Nel 1968 decise di concludere la sua esperienza parlamentare e nel 1972, allo scioglimento del PSIUP, si ritirò dalla politica attiva per dedicarsi alla ricostruzione della mancata difesa di Roma nel 1943 e delle vicende del Partito d'azione.

Il L. morì a Roma il 6 marzo 1975.

Oltre che come uomo politico il L. è ricordato anche per l'attività di scrittore, che esercitò soprattutto durante l'esilio, quando si impegnò a raccontare la sua esperienza degli anni in cui era sorto il fascismo, in uno stile piano, realistico e sintetico, che nonostante la drammaticità degli eventi narrati non rinunciava all'apporto di una concreta ironia. Al già citato Un anno sull'altipiano vanno aggiunti: La catena, Parigi 1929 (nuova ed., a cura di M. Franzinelli, Milano 1997, con note biografiche e bibl. sul L.); Marcia su Roma e dintorni, Parigi 1933; Teoria dell'insurrezione, ibid. 1936; Diplomazia clandestina, Firenze 1946; La brigata Sassari e il Partito sardo d'azione, in Il Ponte, VII (1951), 9-10, pp. 1076-1084; La nascita di Giustizia e libertà, in Trent'anni di storia italiana 1915-1945, a cura di F. Antonicelli, Torino 1961, pp. 173-177; Sul brigantaggio in Sardegna, Cagliari 1967; Il cinghiale del diavolo, Roma 1968; Sul Partito d'azione e gli altri, Milano 1968; Per l'Italia dall'esilio, a cura di M. Brigaglia, Cagliari 1976; Essere a sinistra, Milano 1976; Lettere 1930-1937, a cura di P. Bagnoli, Roma 1978; Lettere a Carlo Rosselli e altri scritti di Giustizia e libertà, a cura di M. Brigaglia, Sassari 1979; Discorsi parlamentari, Roma 1986; La difesa di Roma, a cura di G.G. Ortu - L.M. Plaisant, Cagliari 1987.

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