JANNINGS, Emil

Enciclopedia del Cinema (2003)

Jannings, Emil

Giovanni Spagnoletti

Nome d'arte di Theodor Friedrich Emil Janenz, attore cinematografico svizzero, naturalizzato tedesco, nato a Rorschach (Cantone di San Gallo) il 23 luglio 1884 e morto a Strobl (Austria) il 2 gennaio 1950. Ha rappresentato per antonomasia il prototipo dell'attore tedesco (statura massiccia, gioco mimico pronunziato) e il suo nome è immediatamente collegato all'UFA e alla gloriosa storia del cinema di Weimar, di cui fu uno dei massimi interpreti e artefici. Alla metà degli anni Venti J. raggiunse una fama internazionale tanto grande da venir chiamato a Hollywood per due anni e mezzo e vincere nel 1929 l'Oscar come migliore attore, il primo in assoluto conferito dall'Academy of Motion Pictures Arts and Sciences, per The way of all flesh (1927; Nel gorgo del peccato) di Victor Fleming e per The last command (1928; Crepuscolo di gloria) di Josef von Sternberg. In epoca nazista, diventato una delle immagini del regime, fu insignito di tutte le onorificenze possibili: nel 1936 fu nominato Staatsschauspieler e l'anno successivo Kultursenator; nel 1939 ottenne la Goethe-Medaille e nel 1941 l'Ehrenring des deutschen Films per Ohm Krüger (Ohm Krüger, l'eroe dei Boeri) di Hans Steinhoff; nel 1937 vinse il Nationaler Filmpreis tedesco e la Coppa Volpi al Festival di Venezia per l'interpretazione di Der Herrscher (Ingratitudine) di Veit Harlan. Con il tempo la sua fama è stata, in parte, ridimensionata e la figura di J. attende di essere studiata o inquadrata in una più equilibrata valutazione.

Figlio di un commerciante tedesco nato negli Stati Uniti, crebbe a Lipsia e Görlitz dove, lasciato il liceo, iniziò le sue prime esperienze teatrali. Dal 1901 lavorò in diverse compagnie itineranti e in provincia (1907-08 Stettino; 1908-1911 Bonn; 1911-12 Königsberg; 1911-12 Norimberga; 1913-14 Darmstadt e Brema) prima di approdare nel 1914 sulle scene berlinesi del grande Max Reinhardt e comparire per la prima volta sullo schermo nel film di propaganda bellica Im Schützgraben (1914) di Walter Schmidthässler. Anche se coinvolto in ruoli sempre più impegnativi al Deutsches Theater, proseguì, all'inizio per pura opportunità economica, un'intensa carriera nel cinema (con Robert Wiene, Arthur Robison, Alexander von Antalffy per la prima versione di Lulu, 1917, e altri). Soprattutto sotto la direzione di Ernst Lubitsch, anch'egli proveniente dalla scuola di Reinhardt, J. diede le prime prove mature della sua arte performativa, elaborando presto, nella mimica gestuale e del corpo, una specifica recitazione più atta alla macchina da presa. Due in particolare furono i film, tra i numerosi girati con il regista berlinese, in cui risaltarono le capacità sceniche di J. al di là dell'artificio esteriore e della matrice teatrale: Madame Dubarry (1919), in cui ebbe la parte del frivolo Luigi XV e che lo rese una star internazionale, e Anna Boleyn (1920; Anna Bolena), in cui fu il tirannico Enrico VIII. Abbandonato il teatro, J. si dedicò quasi esclusivamente al cinema, dove la sua fama crebbe sempre più mentre i risultati dipendevano soprattutto dalla capacità dei vari registi di affinare un incontenibile talento che lo portava ad andare di continuo sopra le righe. Prima della celebre interpretazione di un vecchio portiere d'albergo, vittima del declassamento sociale, in Der letzte Mann (1924; L'ultima risata) di Friedrich Wilhelm Murnau, che diversi critici considerano la sua prova più riuscita e che costituì il modello verso cui si orientarono moltissime parti successive, si ricordano ancora, tra gli altri, il ruolo di Danton nell'omonimo film (1921) di Dimitri Buchowetzki, quello del sultano Harun al Raschid in Das Wachsfigurenkabinett (1924; Tre amori fantastici) di Paul Leni o ancora il Nerone nel Quo vadis? (1924) di Gabriellino D'Annunzio e Georg Jacoby. Attore capace anche di sottili sfumature psicologiche, alla metà degli anni Venti J. offrì, alternando il registro comico-grottesco a quello drammatico, tre interpretazioni, variamente considerate ma comunque rimarchevoli, in due film di Murnau ‒ Tartüff (1926; Tartufo) e Faust (1926) ‒ e in Varieté (1925) di Ewald André Dupont, film che gli aprì le porte di Hollywood. Nei due anni della sua trasferta americana, partecipò a sei film per la regia di Mauritz Stiller, Lubitsch, Ludwig Berger o Lewis Milestone, quasi tutti emigranti come lui dall'Europa. Pur essendo una grande star, l'avvento del sonoro lo obbligò a rientrare in patria. Subito si trovò a interpretare uno dei suoi film più celebri, Der blaue Engel (1930; L'angelo azzurro), in cui però il regista von Sternberg, a differenza del romanzo di H. Mann, spostò la sua attenzione sulla figura femminile. Così, malgrado una buona prova, l'interpretazione di J. ‒ nel ruolo ormai consueto di un loser, il professor Unrath, colpito dagli strali del destino (e dal fascino di una femme fatale) ‒ tagliata su misura sulle sue capacità, venne oscurata da quella di una giovane semidebuttante, Marlene Dietrich, che da un giorno all'altro ascese a stella di prima grandezza. J. riprese allora l'attività teatrale, forse perché il cinema, con l'eccezione di Stürme der Leidenschaft (1932; Tempeste di passione) di Robert Siodmak, non gli offriva più occasioni di esprimersi come un tempo. Trasformato in una sorta di monumento vivente all'arte tedesca, fu una delle figure più rappresentative del regime nazista, diventando, a partire dalla figura di Federico il Grande in Der alte und der junge König (1935; I due re) di Steinhoff, il prototipo dei grandi uomini tedeschi del passato che incarnavano i precursori del novello messia Hitler. A parte il kleistiano Der zerbrochene Krug (1937; L'ombra del diavolo) di Gustav Ucicky, suo cavallo di battaglia teatrale, di cui firmò anche la supervisione artistica, tutti i suoi ruoli importanti si adeguarono a questo copione portato avanti con disciplina politica e consumata professionalità di commediante: così per es. in Der Herrscher (da G. Hauptmann, ancora con la supervisione artistica di J., che lo aveva già interpretato in teatro), in Robert Koch, der Bekämpfer des Todes (1939; La vita del dottor Koch) di Hans Steinhoff o in Ohm Krüger (di cui fu anche produttore), tronfio blockbuster di grande impatto spettacolare e di esplicita propaganda anti-inglese, ancora diretto da Steinhoff. Ma ormai la sua carriera era al tramonto: 'denazificato' nel 1946, dopo la guerra non riuscì più a realizzare alcun progetto. Nel 1947 prese la cittadinanza austriaca.

Bibliografia

J. Mitry, Emil Jannings, Paris 1928; H. Ihering, Emil Jannings, Baumeister seines Lebens und seiner Filme, Heidelberg-Berlin-Leipzig 1941; H. Holba, Emil Jannings, Ulm 1979.

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