MARLIANI, Emanuele

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 70 (2008)

MARLIANI, Emanuele

Francesca Di Giuseppe

– Figlio di Giuseppe, milanese, e della spagnola Francisca de Paula Cassens, nacque a Cadice il 13 luglio 1795. Ottenuto un impiego nell’ufficio consegne delle Poste di Milano, nel 1811 si trasferì in Lombardia; l’anno successivo fu promosso alla direzione generale.

All’indomani del congresso di Vienna fu aggregato, probabilmente grazie alle conoscenze familiari, alla missione dell’ambasciatore spagnolo E. Bardaxí y Azara diretta a Lucca per rilevare il possesso del Ducato, ceduto dagli accordi del 1815 a Maria Luisa di Borbone. Tornato a Milano, riprese il lavoro alle Poste, che mantenne fino al maggio del 1821 quando, richiamato nuovamente da Bardaxí, si recò a Torino e poi a Bordeaux. Il suo rapido allontanamento dalla Lombardia all’epoca del moto costituzionale piemontese, ma soprattutto i legami con l’ambiente liberale, e in particolare con G. Pecchio e con G. Berchet, destarono sospetti nel governo lombardo, che iscrisse il suo nome tra gli indagati del processo che vedeva imputati anche G.G. Pallavicino Trivulzio e G. Arconati Visconti. La commissione incaricata di condurre le indagini non riscontrò particolari prove di un suo coinvolgimento diretto nel moto; ciò nonostante, «se si considera quali fossero i suoi principi politici prima della sua partenza da Milano», scriveva il relatore del rapporto sul M. nell’ordine di arresto, «se si considera che questa ha avuto luogo poco prima che scoppiasse la rivoluzione e per impulso di Bardaxí, il quale figura per uno dei principali fautori della medesima […], esistono indizi legali anche contro di lui» (Arch. di Stato di Milano, Arch. postale, Arch. postale lombardo, cart. 34, n. 354).

L’accusa, che nel 1822 gli costò l’arresto e la condanna per alto tradimento, era quella di aver fatto da tramite tra i rivoluzionari piemontesi e quelli lombardi e di aver tramato per convincere il reggente Carlo Alberto di Savoia a capeggiare la rivoluzione nella vicina regione austriaca. Contumace, il M. decise di far ritorno nella sua patria d’origine, dove seguì le sorti del governo rivoluzionario di Cadice arruolandosi nella milizia nazionale di Siviglia.

L’intervento dell’esercito francese, inviato in Spagna per riportare l’ordine nella penisola iberica, lo convinse a emigrare di nuovo, prima a Gibilterra, poi a Londra e in seguito a Marsiglia, dove per un breve periodo gestì uno stabilimento di mulini a vapore. Risalgono a questo periodo le sue prime opere storiche di un certo rilievo, dedicate alla storia spagnola, come L’Espagne et ses révolutions (Paris 1833) e Apuntes al Estatuto real (1834; cit. in Pascual Sastre, p. 123), nelle quali il M. difende il regime vigente in Spagna dal 1820 al 1823, nel tentativo di restituirgli una maggiore credibilità agli occhi di quelle potenze che avevano plaudito alla sua caduta.

Nel 1836, in seguito alla scelta della reggente Maria Cristina di Borbone Due Sicilie di favorire gli elementi liberali per bloccare le ambizioni al trono dell’assolutista don Carlos, il M. iniziò, con la nomina a console a Parigi, la sua lunga carriera diplomatica al servizio della Spagna. Vi rimase fino al 1838, interrompendo di tanto in tanto la sua permanenza per recarsi a Londra a promuovere la concessione di un «emprestito univalor» con cui la Gran Bretagna e la Francia avrebbero contribuito a risollevare le sorti della dissestata economia spagnola. Fallito questo tentativo, il M. fu costretto ad abbandonare la sua carica a causa delle pressioni del Regno di Sardegna e dell’Impero asburgico, memori del ruolo da lui ricoperto durante la rivoluzione piemontese. Nel 1838 il M. fu rimosso da Parigi e nel 1839 fu inviato con l’ex primo ministro moderato F. de Zea Bermúdez alle corti di Berlino, Londra e Vienna per ottenere il riconoscimento di Isabella II di Borbone, sostenuta in patria dal partito liberale in alternativa a don Carlos.

Nel 1840, al rientro in una Spagna ormai liberata dalla minaccia carlista grazie alla vittoriosa campagna del generale B. Espartero, il M. fu nominato nuovamente console a Parigi; tuttavia un anno dopo (4 ott. 1841) il rifiuto della Francia di concedergli l’exequatur lo costrinse a rinunciare all’incarico.

A Parigi, infatti, il M. era considerato un «enemigo del gobierno francés» a causa dei suoi rapporti «con hombres enemigos del gobierno» (Madrid, Archivo del Ministerio de Asuntos exteriores y de Cooperación, P.161, n. 08258: lettera di J. Hernández a J.M. Ferrer del 19 dic. 1840); né poterono giovargli in quell’occasione l’aiuto di Bardaxí e quello congiunto di George Sand e di F. Chopin, legati alla famiglia Marliani da una solida amicizia e indignati per il comportamento del governo francese nei confronti di un rappresentante del progressismo europeo (Sand, IV, p. 495).

Gli anni della reggenza di Espartero (1840-43), determinata dall’esilio volontario di Maria Cristina, videro il M. profondamente coinvolto nelle vicende interne spagnole, tanto che nel 1842 fu anche nominato senatore. Cosicché, quando nel 1843 il pronunciamento di R.M. Narváez segnò il momentaneo declino di Espartero, egli decise di seguirlo nell’esilio londinese.

Tornò a Madrid nel 1849; due anni dopo, però, lasciò definitivamente la Spagna per lo Stato pontificio dove, nel 1855, fu nominato direttore del collegio spagnolo di S. Clemente di Bologna. I suoi progetti, tesi a trasformare il collegio in una moderna accademia delle scienze e delle belle arti, vennero frustrati dalla richiesta dei membri dell’istituto di rimuoverlo con il pretesto che fosse «demasiado joven, y que como tal carece de tacto y de experiencia» (Madrid, Archivo del Ministerio de Asuntos exteriores y de Cooperación, P.161, n. 08258: lettera del 13 apr. 1855 di M. de Parada, incaricato provvisorio del collegio). Le remore dei collegiali erano dovute, in realtà, al timore che la sua nomina favorisse la politica di espropriazione dei beni ecclesiastici, misura che il M. aveva dichiarato di approvare, in favore dello Stato spagnolo. In seguito a tali rimostranze, e nonostante le sue ripetute smentite, nel 1857 il governo di Madrid decise di rimuoverlo dall’incarico.

La passata esperienza diplomatica e le relazioni intrattenute negli anni trascorsi a Bologna con alcuni esponenti del moderatismo italiano gli permisero, nel 1859, di entrare a far parte del governo provvisorio delle Romagne come deputato del collegio di Budrio. In tale veste fu dapprima inviato in Toscana a promuovere la fusione preventiva degli Stati dell’Italia centrale e la loro successiva unificazione al Regno di Sardegna (soluzione poi abbandonata per il timore che rallentasse l’ipotesi unitaria e aprisse la strada alla realizzazione del progetto francese di un’Italia tripartita); quindi, nell’aprile dello stesso anno, a Londra, per ottenere la neutralità dell’Inghilterra nell’imminente conflitto tra l’Austria e il Piemonte.

Rientrato in Italia, nel gennaio del 1860 fu di nuovo a Londra con il compito, affidatogli dal governatore delle Province dell’Emilia, Luigi Carlo Farini, di arginare lo sdegno causato dalla cessione di Nizza e della Savoia alla Francia. La sua missione, improntata a un solido realismo diplomatico, mirava a minimizzare la reazione emotiva di parte dell’opinione pubblica italiana, per presentare il compromesso italo-francese come la necessaria conseguenza dell’accordo stretto un anno e mezzo prima tra Napoleone III e Vittorio Emanuele II, in virtù del quale quest’ultimo riuniva ora sotto la sua corona gli Stati dell’Italia centro-settentrionale. Nel marzo dello stesso anno fu richiamato a Bologna su invito di Farini e di C. Benso conte di Cavour, che lo spronarono ad abbandonare la carriera diplomatica «et de diplomate devenir législateur» (Cavour e l’Inghilterra, p. 52), entrando nel Parlamento italiano di prossima convocazione. Eletto deputato a Budrio nel 1861, l’11 dic. 1862 fu nominato senatore e incaricato di svolgere alcune inchieste economiche e finanziarie, come, per esempio, quella commissionatagli dal ministro delle Finanze M. Minghetti nel 1863 sull’opportunità di rimpinguare le casse dello Stato attraverso l’estinzione dei beni della manomorta (Sulla disammortizzazione dei beni delle manimorte in Ispagna, lettera diretta al ministro delle Finanze Marco Minghetti, Torino 1863). La sua attività politica si distinse anche per l’impegno nell’arginare le ali estreme del Parlamento e lasciare mano libera al governo nell’organizzazione dello Stato appena unificato.

Ripudiati i giovanili entusiasmi democratici in nome di un più maturo pragmatismo, il M. si dichiarò fautore di un «governo forte» – guidato da «generali d’armata» – che frenasse «l’anarchia parlamentare» dovuta alla presenza di politici che «nessuno né nulla rispettano» (Arch. di Stato di Biella, Fondo Alfonso Ferrero della Marmora, m. XCV, f. 507, n. 3687: lettera dell’8 luglio 1862 ad A. Ferrero della Marmora). Lo stesso G. Garibaldi, che pochi anni prima il M. giudicava «le messie, l’apôtre, le symbole» del processo risorgimentale (in E. Marliani, L’unité nationale de l’Italie, Turin 1860, p. 18), gli appariva ora dotato di «un orgoglio demoniaco, […] di un’ambizione smisurata», mosso, «sotto quel decantato disinteresse, [dalla] sete di potere» (Bologna, Arch. del Museo civico del Risorgimento, Arch. Posizioni: Marliani Emanuele, serie D: lettera a Laura Bignami, luglio 1862).

Non furono solo i democratici a suscitare la sua riprovazione, ma anche i reazionari, difensori del potere temporale del pontefice contro il quale il M. si era più volte pronunciato in Senato. In linea con questo acceso spirito anticlericale (celebre il suo discorso alla Camera alta in favore di una legge delle guarentigie che colpisse più a fondo gli interessi ecclesiastici), il M. aderì nel 1869 all’anticoncilio di Napoli, una riunione di liberi pensatori, atei e massoni, concepita come contraltare laico al concilio Vaticano, convocato a Roma da Pio IX in quello stesso anno.

Alla carriera politica il M. continuò ad affiancare un’attività pubblicistica fatta di lavori sulla storia d’Italia e su quella spagnola, tanto da poter essere considerato «il primo storico italiano di cose spagnole posteriore al 1860» (Mugnaini, p. 22).

Nel 1868, all’epoca della rivoluzione che in Spagna portò alla caduta della monarchia borbonica, il M. recuperò un piano da lui concepito già nel 1854 (al tempo del breve ritorno di Espartero al potere durante il «biennio progressista» spagnolo) per la sostituzione della dinastia dei Borboni con quella dei Savoia e per la riunificazione della penisola iberica attraverso la fusione del Portogallo con la Spagna (E. Marliani, 1854 et 1869. Un changement de dynastie en Espagne…, Florence 1869). Tale progetto si realizzò parzialmente con il breve regno di Amedeo (Amadeo in Spagna) di Savoia (mentre il M. aveva proposto di affidare la corona a Tommaso di Savoia, figlio del duca di Genova e nipote di Vittorio Emanuele II), cui mise fine, nel febbraio 1873, la proclamazione della Repubblica.

Il M. morì a Firenze il 15 genn. 1873, sei mesi prima che le Cortes spagnole decretassero il fallimento del suo disegno di espansione della dinastia sabauda nel Mediterraneo.

Altri scritti del M.: Aclaraciónes sobre mi misión a las Cortes de Berlín y Viena en principio de este año, Madrid 1839; De la influencia del sistema prohibitivo en la agricultura, industria, comercio y rentas públicas, ibid. 1842; Discorso sul trattato di cessione di Savoia e Nizza, Bologna 1860; Alcune osservazioni sull’opuscolo «La Francia, Roma e l’Italia», Torino 1861; Brevi cenni in risposta alle considerazioni sulla convenzione del 15 giugno 1862 per la concessione di strade ferrate nelle provincie meridionali e nella Lombardia, ibid. 1862; Della convenzione del 15 settembre, dell’enciclica e dei mezzi morali di conciliazione con Roma, ibid. 1865; Sulla urgenza di una legge di disammortizzazione generale in aiuto delle finanze, Pisa 1866; Trafalgar (21 ott. 1805) e Lissa (20 luglio 1866), Firenze 1867; La Spagna nel 1843 e nel 1872, in Nuova Antologia, aprile 1872, pp. 830-844; El reinado de Fernando VII, Madrid 1986.

Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centrale dello Stato, Real Casa, Casa civile di S.M. il re e ministero della Real Casa, Gabinetto particolare di Vittorio Emanuele II, b. 67, f. 1625 (1869); Ibid., Museo centrale del Risorgimento, bb. 563, n. 19 (1); 145, n. 5 (5) e n. 6 (7); 153, nn. 14 (2) e (9); 158, n. 24 (13 e 45 bis); 111, n. 16 (3); 627, n. 17 (3); Bologna, Arch. del Museo civico del Risorgimento, Arch. Posizioni: Marliani Emanuele, serie D; Arch. di Stato di Biella, Fondo Alfonso Ferrero della Marmora, m. XCV, f. 507 (3684-8); Arch. di Stato di Milano, Arch. postale, Arch. postale lombardo, cartt. 229, n. 9845; 230, n. 446; Processi politici (1821-22), cartt. 33, nn. 304, 309, 321, 327, 334, 339, 341, 373; 34, nn. 351, 354-355, 359, 416 (1-2); 35, n. 466 (1-8); Arch. segr. Vaticano, Segreteria di Stato, Epoca moderna, rubrica 165, a. 1859, b. 219, f. 12; Madrid, Archivo del Ministerio de Asuntos exteriores y de Cooperación, Personalidades, Manuel Marliani, P.161, n. 08258; P.154, n. 08036; Reconocimiento de Isabel II (1837-1848), H.2837, aa. 1834-40; Correspondencia del consulado de Paris, H.2007, aa. 1834-70 (1836-38); Atti del Parlamento italiano, VIII legislatura, Sessione del 1861 (dal 18 febbraio al 23 luglio), Torino 1861, pp. 289-294; Rendiconti del Parlamento italiano, VIII legislatura, Discussioni del Senato del Regno, Sessione del 1861-62, III, Firenze 1870, pp. 2177, 2264 s., 2287; Sessione del 1863-64, II, Roma 1872, pp. 510-514; III, ibid. 1873, pp. 1950 s., 2304 s.; IV, ibid. 1874, pp. 2859-2867; XI legislatura, Sessione del 1870-71, vol. unico, ibid. 1871, pp. 763-766; N. Bianchi, Storia documentata della diplomazia europea in Italia (1814-61), VII, Torino-Napoli 1870, pp. 183, 592; VIII, Torino-Napoli 1872, pp. 151-153; G. Ricciardi, L’anticoncilio di Napoli del 1869, Napoli 1870, p. 278; Lettere ad Antonio Panizzi, a cura di L. Fagan, Firenze 1880, ad ind.; M. Minghetti, I miei ricordi, III (1850-59), Roma-Torino-Napoli 1890, ad ind.; G. Sforza, Una missione di M. a Londra, in Il Risorgimento italiano, I (1908), 1, pp. 104-109; Biblioteca di storia italiana recente (1800-1870), IV, Torino 1915, pp. 50-53; J. Bécker, Historia de las relaciónes exteriores de España durante el siglo XIX, I (1800-1839), Madrid 1924, pp. 758, 761-764; Il carteggio Cavour-Nigra dal 1858 al 1861, III, Bologna 1928, pp. 18 s., 67; Cavour e l’Inghilterra, II (1856-61), Bologna 1933, ad ind.; Epistolario di Luigi Carlo Farini, a cura di L. Rava, IV (1852-59), Bologna 1935, pp. 851-853; I documenti diplomatici italiani, serie 1ª (1861-70), I, II, IV, X, Roma 1952-88, ad indices; Le relazioni diplomatiche fra la Gran Bretagna e il Regno di Sardegna, serie 3ª (1848-1860), VII, a cura di G. Giarrizzo, Roma 1962, ad ind.; G. Sand, Correspondance, a cura di G. Lubin, III (juillet 1835 - avril 1837), Paris 1967, ad ind.; IV (mai 1837 - mars 1840), ibid. 1968, ad ind.; E. Poggi, Memorie storiche del governo della Toscana nel 1859-60 (1867), Roma 1976, I, pp. 199-201, 274 s.; II, p. 17; III, pp. 206-208, 220-222; M. Mugnaini, Un esempio di circolazione delle élites: Italia e Spagna dal 1808 al 1860, in Españoles e Italianos en el mundo contemporáneo, a cura di F. García Sanz, Madrid 1990, pp. 22-24; C. Venza, Diplomazia, re Amedeo, movimento operaio: la Spagna dal 1860 al 1898 vista dagli storici italiani, ibid., p. 106; Epistolario di Camillo Cavour, a cura di C. Pischedda - R. Roccia, XVI, 2-3, Firenze 2000, ad ind.; I.M. Pascual Sastre, La Italia del «Risorgimento» y la España del sexenio democrático, Madrid 2001, ad ind.; A. Calani, Il Parlamento del Regno d’Italia, III, Milano 1860, ad nomen; T. Sarti, Il Parlamento subalpino e nazionale, Terni 1890, ad nomen; Diz. del Risorgimento nazionale, III, s.v. (G. Maioli); Enc. biografica e bibliogr. «Italiana», A. Malatesta, Ministri, deputati, senatori dal 1848 al 1922, II, p. 160.

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