ELVEZÎ

Enciclopedia Italiana (1932)

ELVEZÎ

Léopold Albert Constans

. Il nome di questo popolo è derivato da quello degli Elvii, altro popolo celtico. Gli Elvî, ai tempi di Cesare, erano accantonati nelle Cevenne, nell'alta valle dell'Ardèche. È probabile che gli Elvezî fossero un ramo distaccato dagli Elvî. Il loro nome viene trascritto da Cesare Helvetii e Helvitii; da Strabone ‛Ελουήττιοι; da Tolomeo 'Ελουήτιοι o 'Ελουίτιοι Pare che l'aspirazione sia stata aggiunta dai Romani sotto l'influenza di un'etimologia popolare (helvus "giallo", v. Dottin, La langue gauloise, p. 98 add.).

La più antica residenza degli Elvezî a noi nota è sulla riva destra del Reno, nel triangolo circoscritto dal Reno, dal Meno e dal Giura Svevo. Secondo gli antichi, vi sarebbero venuti dalla Gallia condotti da Segoveso nipote di Ambigato, re dei Biturigi; l'impero gallico di Ambigato va riportato alla seconda metà del secolo V (Jullian, Hist. de la Gaule, I, p. 253 e nota 3). Gli Elvezî, stabilitisi dunque verso il 400 a. C. nella Franconia e nella Svevia, vi rimasero per tre secoli. Sappiamo ben poco della loro vita. Posidonio racconta che essi raccoglievano l'oro nelle sabbie del Reno. L'industria del ferro doveva essere stata sviluppata presso gli Elvezî, come anche presso gli altri Celti; ma non possono essere attribuiti a loro prodotti i venuti alla luce negli scavi della Tène, sulle rive del lago di Neuchâtel, almeno quelli del primo e del secondo periodo (450 a 300, 300 a 100 a. C.), poiché, pare che a quell'epoca gli Elvezî non s'erano ancora trasferiti nella Svizzera.

Nell'ultimo quarto del sec. II una popolazione germanica - i Cimbri, che abitavano sulle rive del Mar del Nord e nello Jütland - lasciò il suo paese e si sparse verso l'ovest e il sud; nel 109 li troviamo sulle rive del Reno, nel paese degli Elvezî, fra Basilea e Mannheim. Con la complicità degli Elvezî traversarono il fiume traendo con sé una parte importante del popolo elvetico, il pagus dei Tigurini, i quali attaccarono il console romano L. Cassio Longino (nella regione di Agen?). L'esercito romano venne distrutto e il console ucciso (107 a. C.). Verso quei tempi gli Svevi, popolo germanico che abitava allora a nord del Meno, cominciarono a fare incursioni nel territorio degli Elvezî, i quali furono presto costretti a cedere loro il posto, e andarono a stabilirsi nel paese che da quel tempo porta il loro nome.

Secondo Cesare essi occupavano un territorio di 240 miglia in lunghezza (355 km.) su 180 miglia in larghezza (266 km.); quest'ultimo numero è esagerato. Erano divisi in 4 cantoni o pagi, dopo averne avuti nel passato solo tre. Cesare ne nomina solo due: il pagus Tigurinus e il pagus Verbigenus. Si sa da Strabone il nome di un terzo, il pagus Toygenus. Ognuno di questi cantoni doveva formare un raggruppamento sociale e militare, piuttosto che una circoscrizione territoriale. Fu trovata ad Avenches (Aventicum) una dedica: Genio pagi Tigurini (Corp. Inscr. Lat., XIII, 5076) dalla quale risulta essere Avenches centro di questo pagus.

Nel 61 un capo degli Elvezî, Orgetorige, concepì un piano ambizioso di conquista e di egemonia e convinse gli Elvezî ad abbandonare il loro paese per stabilirsi nella Gallia. Egli avviò trattative col Sequano Castrico e con l'Eduo Dumnorige. Gli Elvezî si trovavano ristretti sul loro territorio, ed erano anche sempre molestati dai loro vicini Germani. Orgetorige morì prima di aver finito i preparativi, ma nel 58 gli Elvezî si mossero per andare a stabilirsi nella Saintonge. Cesare, che inaugurava il suo proconsolato in Gallia, prese misure difensive per impedire agli Elvezî di varcare il Rodano e di attraversare la Provincia romana; essi passarono al nord, attraverso il paese dei Sequani, e penetrarono nel territorio degli Edui. Questi chiesero aiuto a Cesare, e il proconsole, che aspettava solo questo appello per penetrare nella Gallia indipendente, si lanciò con le sue legioni dietro agli Elvezî. Ne raggiunse e distrusse la retroguardia, formata dal pagus Tigurinus, al passaggio della Saône (a Trévoux), poi, dopo aver raggiunto il grosso dei popoli migranti presso Bibratte (v.; a Montmort) li massacrò e li disperse (Bell. Gall., I, 2-29). Cesare fece degli Elvezî una civitas foederata; il foedus conteneva una clausola speciale secondo la quale nessun Elvezio poteva diventare cittadino romano (Cic., Pro Balbo, 14, 32). Nel 52 essi si unirono alla cospirazione generale dei Galli contro Cesare e inviarono 8000 uomini in aiuto ad Alesia.

Quando Augusto organizzò le tre Gallie, l'Elvezia fu compresa nella Gallia Belgica. Il paese ebbe molto a soffrire dalle guerre civili che seguirono alla morte di Nerone. Gli Elvezî vollero opporsi al passaggio delle truppe che Cecina, il luogotenente di Vitellio, conduceva in Italia. Ne risultò una guerra terribile. Vespasiano dettò uno statuto nuovo ad Aventicum, capitale del paese. La città divenne Colonia Pia Flavia Constans emerita Helvetiorum foederata. Deve essere stata una colonia di diritto latino.

Presso gli Elvezî si trovava un certo numero di cittadini romani, per la maggior parte negozianti venuti dall'Italia, che erano organizzati in conventus, amministrato da un curatore dell'ordine equestre, senza dubbio uno straniero, nominato dall'imperatore. L'esistenza di questo conventus mostra che la massa degli Elvezî continuava a essere priva di diritto di cittadinanza. Questo viene dimostrato anche dal fatto che alcuni Elvezî prestarono servizio tra gli equites singulares, che non erano mai cittadini romani. D'altra parte esisteva nell'esercito romano una coorte ausiliaria, composta di Elvezî, cohors prima Helvetiorum; nel 148 la troviamo accantonata nel castellum di Rockingen sul Neckar. Le iscrizioni ci fanno conoscere alcuni Elvezî che ottennero la cittadinanza romana a titolo individuale. Si sa poi anche che, secondo il diritto latino, gli Elvezî che erano stati magistrati nella loro città acquistavano il diritto di cittadinanza romana.

Le iscrizioni parlano di duoviri ad Aventicum. Si trova pure menzione di un praefectus operum publicorum. Prima che fosse fondata la colonia, le iscrizioni attestano l'esistenza di un culto pubblico prestato ad Augusto; dopo Vespasiano troviamo un flamen Augusti sacerdos perpetuus, un flamen Augusti, una flaminica August(ae). La vita corporativa era in attività: vi erano ad Aventicum dei seviri Augustales, dei dendrophori, un corpus fabrum tignariorum, delle corporazioni di medici e di professori. Come presso gli altri popoli della Gallia, le vecchie divinità celtiche furono adorate sotto l'Impero insieme con le divinità greco-romane, ovvero furono fuse insieme: Aventia era la dea eponima di Aventicum; accanto a esse si trovano tracce di un culto ad Apollo e alla Vittoria; due dediche sono alle Biviae, Triviae, Quadriviae. A Eburodunum (Yverdon) furono trovate dediche a Mars Augustus, a Mars Caturix, una dedica a Mercurio, una ad Apollo e a Minerva.

La menzione dei pagi appare nell'epoca imperiale in una sola iscrizione, senza dubbio anteriore a Vespasiano (Corp. Inscr. Lat., XIII, 5110). Sembra quindi che da quando Vespasiano costituì la civitas degli Elvezî in colonia, la divisione in vici, di cui fanno menzione varie iscrizioni, sia stata sostituita a quella in pagi. La riorganizzazione delle provincie romane nel sec. IV portò con sé la riunione della colonia Helvetiorum con la Maxima Sequanorum.

Bibl.: A. Holder, Altkeltischer Sprachschatz, I, Lipsia 1893-96, s. v. Helvetii: Th. Mommsen, in Corp. Inscr. Lat., XIII, II, p. 5 segg.; id., Gesammelte Schriften, Hist. Schriften, II, pp. 330 segg., 352 segg.; P. Garofalo, Sugli Helvetii, Catania 1900; C. Jullian, Histoire de la Gaule, I, p. 297; II, pp. 520-521; Anzeiger für schweizerische Geschichte u. Altertumskunde, 1855 segg.; Bulletin de l'Association Pro Aventico, Losanna 1887 segg.; É. Espérandieu, Recueil général des bas-reliefs de la Gaule Romaine, VII, p. 89 segg. Per la popolazione, cfr. K. J. Beloch, Die Bevölkerung der griechisch-römischen Welt, Lipsia 1886, p. 450 segg.; E. Cavaignac, Population et capital dans le monde méditerranéen antique, in Publications de la Faculté des lettres de Strasbourg, fasc. 18, p. 138; E. Täubler, Bellum Helveticum, Zurigo 1924.

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