Elites

Enciclopedia del Novecento III Supplemento (2004)

Elites

Giorgio Sola

di Giorgio Sola

Élites

sommario: 1. Introduzione. 2. Chiarimenti e definizioni. 3. Come si individuano le élites. 4. Prospettive e temi di ricerca. 5. Le élites nella società. 6. Le élites politiche. □ Bibliografia.

1. Introduzione

Negli ultimi decenni del XX secolo la società contemporanea, nata dalla Rivoluzione francese e dalla rivoluzione industriale, è stata attraversata da una molteplicità di cambiamenti che si sono manifestati in tutti i settori e in tutti i livelli in cui essa è articolata. Questi mutamenti - che di volta in volta sono stati identificati con la diffusione della democrazia, il crollo del socialismo, il trionfo del capitalismo, l'avvento della globalizzazione - hanno trasformato il modo di vivere e di pensare di milioni di persone, hanno modificato le loro certezze e aspettative, hanno rimescolato le loro speranze e desideri. Tuttavia questi processi non hanno eliminato quello che è il carattere fondamentale di tutte le società che conosciamo: la presenza consolidata di un sistema di disuguaglianze sociali. Questo sistema presenta un aspetto distributivo, che riguarda il diverso ammontare delle risorse materiali e simboliche a disposizione degli individui e dei gruppi che compongono una società, e un aspetto relazionale che concerne i rapporti di potere esistenti fra essi.

Nel corso del tempo tre discipline scientifiche - la sociologia, la scienza economica e la scienza politica - si sono occupate in una prospettiva empirica della struttura della disuguaglianza, predisponendo elaborate strategie di indagine e più o meno accurati modelli interpretativi. A queste ricerche e a queste teorie si è peraltro accompagnato l'uso di un lessico comune, che ha cercato di identificare in maniera univoca i principali attori dei processi di differenziazione sociale. Gli studiosi di scienze sociali, nell'affrontare il tema della graduazione delle posizioni sociali rilevabili nella gerarchia sociale e nella gerarchia del potere, hanno generalmente fatto ricorso a tre concetti fondamentali: 'classe', 'strato' ed 'élite'.

Autori come Smith e Millar, Ricardo e Marx, Weber e Schumpeter, Veblen e Geiger hanno proposto una lettura della disuguaglianza in termini conflittuali, facendo ricorso al concetto di 'classe' per indicare le differenze che nascono dal possesso dei mezzi di produzione o dalla posizione che si occupa nel mercato del lavoro. Viceversa, il termine 'strato' è ricorrente nel lessico di studiosi - soprattutto sociologi americani - che hanno elaborato una visione funzionalista della differenziazione sociale. Questa prospettiva privilegia la dimensione dell'integrazione rispetto a quella del conflitto e definisce la disuguaglianza come un fenomeno inevitabile, se non indispensabile, alla sopravvivenza del sistema sociale: la collocazione delle persone nei diversi livelli della scala sociale dipenderebbe dalle capacità e dalle competenze che esse sono in grado di offrire alla società. Infine, ha utilizzato il termine 'élite' chi ha voluto evidenziare il carattere di perenne rinnovamento e di continua riproduzione dei processi di differenziazione sociale e mettere in evidenza come, in ogni classe e in ogni strato, sia sempre possibile individuare uno o più gruppi di persone, numericamente poco consistenti, che si distaccano dagli altri perché hanno più risorse, più ricompense, più opportunità e soprattutto più influenza e potere.

Per questa sua duttilità il concetto di élite è stato impiegato tanto in sociologia quanto in scienza politica, sia in una prospettiva di società conflittuale che in una prospettiva di società integrata.

Nella tradizione sociologica, autori come Vilfredo Pareto (e prima di lui Otto Ammon, Georges Vacher de Lapouge e Jacob Novicow) hanno proposto di considerare gli strati superiori della società come minoranze più o meno ampie che debbono la loro posizione al monopolio di qualità individuali e di risorse oggettive. Queste élites, che in ogni società sono molteplici ed eterogenee, costituiscono il reale motore della storia, dal momento che possono perpetuare l'ordine sociale esistente oppure diventare i principali artefici del cambiamento. Nella tradizione politologica, il concetto di élite, talvolta presentato nelle sue varianti di 'classe politica' e di 'oligarchia', è stato adottato da coloro che si proponevano soprattutto di studiare le disuguaglianze connesse alla distribuzione del potere, in particolare del potere politico concepito come una risorsa coercitiva di carattere asimmetrico. Autori come Mosca e Michels, Lasswell e Schumpeter, Mills e Aron, Dahl e Sartori hanno pertanto utilizzato la prospettiva elitistica per spiegare la natura antagonistica della vita politica, per interpretare realisticamente la contrapposizione tra governanti e governati, per classificare le differenti forme di governo e di Stato, per decifrare le ragioni del contrasto che oppone la forza al diritto, la subordinazione alla partecipazione, la costrizione alla libertà.

Per questi motivi, ancora oggi, il concetto di élite si presenta come lo strumento più efficace per decifrare la struttura di una società e per individuare i protagonisti delle principali trasformazioni che la riguardano. Infatti, mentre il concetto di classe può dare ragione delle grandi articolazioni sociali che si producono in una società in tempi più o meno lunghi (v. Crompton, 19982) e il concetto di strato accredita una lettura delle differenziazioni sociali in chiave eminentemente statica e descrittiva, il concetto di élite consente di distinguere analiticamente le molteplici figure dell'eterogeneità sociale nel momento stesso in cui esse si manifestano. Fissare l'attenzione sui gruppi di ridotte dimensioni che occupano le posizioni di vertice dei molteplici settori in cui è articolata una società equivale a trovare un efficace punto di partenza per ricostruire e interpretare la complessità e la frammentazione sociale all'alba del terzo millennio. Chi fa ricorso alla prospettiva elitistica cerca di spiegare, inoltre, come dalla differenziazione si passi alla disuguaglianza e come l'eterogeneità sociale tenda a ricomporsi in strutture gerarchiche in cui solo minime porzioni della popolazione riescono ad accaparrarsi ricompense, vantaggi e privilegi. Infine, uno schema di matrice elitistica ha il merito di porre al centro dell'analisi i fenomeni di distribuzione dell'influenza e del potere nel tentativo di risolvere gli interrogativi fondamentali della vita politica. Interrogativi che coinvolgono i rapporti fra individui, gruppi, associazioni e istituzioni, che riguardano il legame esistente tra le disuguaglianze sociali ed economiche e le disuguaglianze politiche e che cercano di scoprire le regolarità sottostanti ai processi di acquisizione, consolidamento, esercizio e perdita del potere.

2. Chiarimenti e definizioni

Prima di procedere alla identificazione delle élites nella società contemporanea, al fine di comprendere il ruolo che esse svolgono nei mutamenti sociali e politici, è necessario effettuare una sistemazione del materiale esistente: una mole impressionante di ipotesi, dati, osservazioni, interpretazioni e testimonianze non sempre cumulabili e talvolta in palese contraddizione tra loro.

Innanzitutto occorre fare ancora qualche osservazione sulla terminologia. Come è stato da più parti sottolineato, il termine élite presenta una varietà di significati che ne evidenziano un uso in senso lato e un uso in senso stretto, un uso apprezzativo e un uso neutro. In senso lato, élite si riferisce semplicemente a un livello elevato della gerarchia sociale e viene impiegato per indicare i titolari di una posizione eminente in qualsiasi settore di attività. In senso stretto, il termine diventa sinonimo di 'gruppo di potere' e come tale viene adoperato soprattutto nella scienza politica in riferimento ai titolari del potere di governo o per identificare coloro che assumono le decisioni fondamentali per la collettività. Il senso apprezzativo deriva dall'etimo eligere ed è privilegiato dagli studiosi che interpretano la disuguaglianza come il risultato di un processo di selezione sociale in cui ai portatori di qualità eccezionali vengono assegnati i ruoli di responsabilità e di comando. Il senso neutro, che attualmente è il più frequente, serve invece a connotare un mero stato di fatto: far parte della élite significa occupare le posizioni sovraordinate di una organizzazione, di una istituzione, di un settore di attività. Ne consegue che un'analisi realistica della società contemporanea deve impiegare il termine élite in senso lato e in una prospettiva neutra, in modo da poter identificare le persone che, in una data società e in una data epoca, concentrano quote straordinariamente elevate di risorse, ricompense, influenza e potere.

Come già detto, la teoria delle élites è stata utilizzata tanto in una prospettiva sociologica quanto in una prospetti-va politologica. Le ricerche condotte dai sociologi abitualmente mettono in luce l'esistenza di una pluralità di élites sociali, tante quante sono le aree di attività in cui si articola una società. Viceversa, le indagini politologiche individuano un numero ristretto di élites politiche, sia perché la politica costituisce solo uno dei molteplici settori di una società, sia perché spesso in questo campo si realizzano significative situazioni di concentrazione del potere. Nella prospettiva sociologica, uno dei problemi di fondo consiste nel verificare se esista o meno congruenza tra le qualità degli individui e le posizioni che essi occupano nella gerarchia sociale. Nella prospettiva politologica, l'attenzione del ricercatore si rivolge al grado di potere che l'élite è in condizione di concentrare rispetto al numero delle persone sottoposte a questo potere e all'ampiezza dei settori su cui esso si esercita.

Il richiamo al potere comporta alcune ulteriori precisazioni. Nel suo significato più generale, la parola 'potere' designa la capacità o possibilità di produrre effetti e può essere riferita sia a individui o gruppi, sia a oggetti o fenomeni naturali. Inteso in senso propriamente sociale, il potere è la possibilità di un soggetto di determinare la condotta di un altro soggetto, anche contro la sua volontà. Così definito il potere è una 'relazione' sociale che coinvolge tre elementi: l'attore o il gruppo che esercita potere, l'attore o il gruppo che sono sottoposti al potere, la sfera di attività alla quale il potere si riferisce. Ma il potere può essere concepito - in riferimento alle risorse che ne costituiscono il fondamento - anche come una 'sostanza', un patrimonio che si possiede, si consuma, si accumula ed eventualmente si perde. Seguendo questo modello si può parlare di distribuzione del potere in analogia con la distribuzione di qualunque altra risorsa, dalla ricchezza alla conoscenza. Abitualmente si distinguono tre tipi di potere: economico, ideologico, politico. Il potere economico si fonda sul possesso di beni e/o sul controllo di servizi, necessari o percepiti come tali, in una situazione di scarsità; il potere ideologico è legato alla padronanza di certe forme di sapere, dottrine, conoscenze e codici di condotta; il potere politico si localizza nelle posizioni da cui si esercita il governo su una collettività e trova il suo fondamento nel monopolio tendenziale degli strumenti della coercizione fisica legittima. Di conseguenza, si ipotizza che in ogni società esistano quantomeno tre élites, differenziate tra loro in relazione al tipo di potere di cui dispongono: l'élite economica, l'élite ideocratica e l'élite politica (v. Bobbio, 1985; v. Poggi, 1998; v. Stoppino, 2000).

Tuttavia, un attento osservatore dei processi di differenziazione sociale non può limitarsi all'identificazione di queste tre aggregazioni, ma deve procedere a un'indagine più dettagliata. Anche in questo caso il modello teorico di riferimento rimane Pareto. Impegnato a trovare la soluzione ai due problemi fondamentali della sociologia - la tipologia delle forme storiche dei sistemi sociali e la tipologia dei mutamenti sociali - Pareto riteneva indispensabile analizzare la composizione delle élites e la circolazione di persone o gruppi che si spostano all'interno di una stessa élite, da un'élite all'altra o dal mondo delle non-élites al mondo delle élites. Lo schema predisposto da Pareto articola il sistema sociale in quattro campi di attività - economico, intellettuale, politico e governativo - e ipotizza che ogni campo produca una élite corrispondente. Pareto chiama "classe eletta" l'insieme di queste élites e "classe non-eletta" il rimanente della popolazione. Ciascuna élite, a sua volta, risulta suddivisa in due categorie di persone: coloro che manifestano uno spiccato "istinto delle combinazioni", ossia una propensione al cambiamento, e coloro che favoriscono la "persistenza degli aggregati" e sono quindi orientati alla conservazione. A seconda che prevalga l'una o l'altra componente, le élites sono progressiste o conservatrici, innovative o tradizionali, tolleranti o autoritarie, aperte o chiuse. In mezzo si collocano le diverse possibili combinazioni che è compito del sociologo individuare e descrivere. Alla luce di queste argomentazioni, il mutamento e la continuità di una struttura sociale si spiegano sia sulla base del tipo di élites, sia in relazione alle diverse modalità di passaggio degli individui e dei gruppi da un'élite all'altra, e in particolare dalla classe non-eletta alla classe eletta. In linea generale, si osserva come l'equilibrio dinamico tra gradi di mutamento e gradi di continuità dipenda da due fattori: la presenza di élites eterogenee e una costante trasfusione di individui dalla massa della popolazione alle diverse élites. Là dove le élites sono omogenee, indipendentemente dalle attitudini e dalle propensioni dei gruppi che le compongono, la circolazione sociale tende ad arrestarsi e la società, bloccata, va incontro a crisi, sconvolgimenti e rivoluzioni. Col tempo il tema della circolazione delle élites si è ampliato e oggi comprende anche lo studio dei meccanismi di reclutamento che consentono a un'élite di perpetuarsi o, al contrario, di rinnovarsi (v. Suleiman e Mendras, 1995; v. Lane e Ross, 1998).

3. Come si individuano le élites

Un capitolo rilevante degli studi sulle élites riguarda i metodi di ricerca che sono stati proposti per individuarle e tracciarne una tipologia. Analogamente a quanto è accaduto in tema di classi sociali, sono stati impiegati tre diversi metodi: un metodo 'oggettivo', un metodo 'soggettivo', un metodo 'reputazionale'. A questi se ne è aggiunto un quarto, il metodo 'decisionale', adoperato soprattutto in relazione alle élites politiche.

Nel metodo 'oggettivo' il ricercatore assegna gli individui e i gruppi alle diverse élites che ha preliminarmente definito in base ai criteri e al modello interpretativo di riferimento. Anche in questo caso è illuminante il contributo di Pareto. Secondo tale studioso, se si suppone che in ogni ramo dell'umana attività si possa assegnare a ciascun individuo un indice che denoti la sua capacità, "all'incirca come si danno i punti negli esami delle varie materie in una scuola", si può arrivare alla identificazione dell'élite intesa come "la classe di coloro che hanno gli indici più elevati nel ramo della loro attività" (v. Pareto, 1916). Adottando una prospettiva simile, Lasswell e Kaplan (v., 1950) hanno proposto di considerare le élites come l'insieme di coloro che occupano le posizioni di vertice nelle principali piramidi di distribuzione dei valori salienti all'interno di una società. Nel tentativo di predisporre uno schema di analisi valido in ogni latitudine e in tutti i tempi, essi hanno distinto due gruppi di valori: i valori di "benessere" e i valori di "deferenza". Nel primo gruppo rientrano i valori necessari per la conservazione dell'attività fisica della persona (benessere fisico, ricchezza, abilità e sapere); nel secondo gruppo sono compresi i valori in base ai quali la persona è tenuta in considerazione (potere, rispetto, rettitudine e affetto). Ciascuno di questi valori segue un modello di distribuzione di tipo piramidale, in virtù del quale pochi individui ricevono una porzione relativamente elevata di ciascun valore, mentre i più ne trattengono una quota insignificante. Seguendo quindi l'andamento complessivo della distribuzione dei valori, si possono individuare otto élites, ciascuna delle quali, in base al valore di riferimento prevalente, può dare origine a una peculiare conformazione della struttura sociale e determinare una forma di dominio politico corrispondente: la plutocrazia, per esempio, è la forma di dominio espressa da una società in cui predomina la ricchezza, mentre la tecnocrazia si manifesta quando la competenza è il valore di base tanto della gerarchia sociale quanto della gerarchia politica.

Il sociologo C. Wright Mills (v., 1956) ha introdotto una variante del metodo 'oggettivo' che è conosciuta come prospettiva 'posizionale'. Mills definisce l'élite come l'insieme di coloro che occupano i posti di comando, ossia stanno a capo delle alte gerarchie e delle organizzazioni nelle quali si articola la società contemporanea. Chi utilizza questa prospettiva compie due distinte operazioni: una di natura arbitraria e l'altra fondata invece su evidenze empiriche e documentali. L'arbitrarietà riguarda la linea di demarcazione tracciata per separare l'élite dalla non-élite, mentre l'oggettività è connessa all'ufficialità dei documenti e delle fonti che vengono utilizzati per identificare i componenti dell'élite stessa. I metodi finora descritti presentano tre inconvenienti: il primo è che il ricercatore stabilisce a priori e a suo piacimento i criteri di appartenenza o di esclusione dall'élite; il secondo è la tendenza a sopravvalutare le gerarchie formali e le posizioni visibili; il terzo è che viene ignorata l'immagine che gli individui presenti in una società hanno del sistema delle disuguaglianze.

Per ovviare a quest'ultimo difetto, alcuni studiosi hanno fatto ricorso al metodo 'soggettivo', che prevede due strategie alternative di ricerca. La prima consiste nel chiedere a un campione rappresentativo dell'intera popolazione di tracciare una configurazione complessiva della mappa delle disuguaglianze sociali e di esprimere una valutazione in ordine alla gerarchia dei ruoli, delle posizioni e delle occupazioni ritenute più rilevanti (v. Rose, 1967). La seconda strategia si rivolge direttamente a una minoranza privilegiata di persone cui si chiede di delineare le ragioni del proprio successo e della propria preminenza, di ricostruire la rete di relazioni che le vede coinvolte, di mettere in rilievo le somiglianze negli atteggiamenti, nelle scelte, nei giudizi e nei comportamenti, di sottolineare sotto quali aspetti esse sono diverse e distinte dalle persone escluse dal gruppo (v. Lerner e altri, 1996; v. Panków, 1998).

Una variante del metodo precedente è il cosiddetto metodo 'reputazionale' (v. Hunter, 1953). In questo caso il ricercatore si rivolge a un certo numero di testimoni privilegiati - scelti sulla base delle posizioni occupate o del prestigio di cui godono - e chiede loro di collocare nei diversi livelli della gerarchia sociale alcune persone eminenti (di cui fornisce un elenco) che risiedono nella stessa comunità, per conoscere chi, a giudizio degli interpellati, componga effettivamente l'élite del potere. Successivamente, vengono intervistate le persone così individuate: a esse si chiede se concordano o meno in merito alle posizioni loro attribuite dai testimoni privilegiati, e di descrivere il grado di integrazione e il tipo e la natura dei rapporti reciproci.

Con particolare riguardo all'identificazione delle élites politiche è stato inoltre messo a punto un quarto metodo di indagine: il metodo 'decisionale' (v. Dahl, 1961). Tale metodo si basa sull'osservazione diretta del ricercatore e ha per oggetto la ricostruzione degli interventi e dei comportamenti che si manifestano nel corso di un processo decisionale pubblico. Per individuare i membri di un'élite, lo studioso esamina coloro che prendono parte alle decisioni relative ad alcuni problemi fondamentali, rileva il loro grado di coinvolgimento attivo, valuta in quale misura sia presa una decisione da essi sostenuta oppure la capacità che dimostrano nell'impedire l'adozione di una decisione sfavorevole. Anche questi metodi non sono esenti da inconvenienti. Il ricorso al metodo 'reputazionale' porta solitamente a confondere il potere potenziale con il potere effettivo, a sopravvalutare il potere che si esercita 'dietro le quinte', ad accentuare il carattere coeso e cospiratorio della minoranza dominante. Al contrario, il metodo 'decisionale' esalta l'importanza del potere che si esercita sulla scena e non tiene conto della suo lato nascosto, che si realizza nella soppressione delle decisioni che potrebbero dimostrarsi contrarie o sfavorevoli agli interessi di coloro che fanno parte dell'élite (v. Bachrach e Baratz, 1962 e 1970).

Ne consegue che una buona ricerca sulle élites dovrebbe fare ricorso simultaneamente a tutte le tecniche di indagine illustrate o, quanto meno, presentare i risultati ottenuti con la cautela necessaria e senza attribuirvi validità assoluta.

4. Prospettive e temi di ricerca

Negli ultimi cinquant'anni, da quando cioè si sono diffuse e consolidate le indagini empiriche sulle élites, si sono affermati almeno tre temi di ricerca, riguardanti rispettivamente la formazione, l'organizzazione e l'integrazione delle minoranze che sono al vertice della società e della politica. Per ciascuno di questi temi sono state ipotizzate e verificate alcune uniformità che si prestano a essere espresse sotto forma di generalizzazioni o di teorie aventi valore esplicativo e predittivo.

Il tema della formazione evidenzia il contrasto permanente tra due tendenze: quella alla perpetuazione delle posizioni di preminenza e di potere e quella opposta che spinge verso un loro rinnovamento. Gaetano Mosca (v., 19232) aveva chiamato la prima tendenza "aristocratica" e la seconda "democratica", sottolineando che quando prevale la propensione alla perpetuazione delle élites, i loro membri vengono scelti per nascita o per cooptazione. Se si impone la tendenza democratica, coloro che entrano a far parte delle élites provengono da ogni gruppo sociale e sono scelti attraverso procedimenti elettorali o altre tecniche di designazione che vanno dalla nomina temporanea al sorteggio. In anni più recenti la formazione delle élites è stata studiata come un processo di mobilità sociale e le ricerche hanno dimostrato come anche nella società postindustriale si manifestino abitualmente due tipi di reclutamento: un reclutamento aperto, ovvero accessibile a tutti i gruppi sociali, e un reclutamento chiuso, che seleziona i membri delle élites da gruppi sociali circoscritti.

Un secondo argomento di riflessione riguarda il rilievo dei fenomeni e dei processi organizzativi nella costituzione, nel consolidamento e nel ricambio delle élites (v. Domhoff e Dye, 1987). Gli elitisti distinguono tra organizzazione come 'contesto', ossia come campo strutturale che condiziona i comportamenti e le scelte degli attori, e organizzazione come 'prodotto', ovvero come risultato delle relazioni di potere, come conseguenza di una deliberata volontà di coordinamento.

Il primo studioso a mettere in evidenza come un'organizzazione possa favorire l'insorgenza di un'élite dirigente è stato Roberto Michels (v., 1911). Prendendo in esame i partiti politici, Michels ha dimostrato che un apparato organizzativo di grandi dimensioni produce necessariamente una minoranza che monopolizza le funzioni di coordinamento ed effettua le scelte strategiche. Anche se ispirati a ideologie democratiche e socialiste e costituiti sull'adesione volontaria, i partiti di massa studiati da Michels non sono esenti da processi di differenziazione interna che si traducono nell'istituzione di una gerarchia di comando. Le élites, che all'inizio vengono selezionate sulla base della competenza e della dedizione alla causa, tendono a trasformarsi in oligarchie chiuse e inamovibili che identificano la propria permanenza al potere con la sopravvivenza dell'organizzazione. Quando ciò accade, l'organizzazione da mezzo per raggiungere uno scopo diventa fine a se stessa, con la conseguenza che l'élite sviluppa comportamenti ispirati alla prudenza e all'immobilità, quando non addirittura alla conservazione. In conclusione, sostiene Michels, ogni organizzazione partitica tende a generare un'élite burocratica e professionale che progressivamente si distacca dai propri rappresentanti e si rinnova solo parzialmente attraverso la cooptazione degli avversari e dei dissidenti. Dopo Michels lo studioso che ha dato maggiore importanza all'organizzazione nel processo di formazione delle élites è stato Ralf Dahrendorf (v.,1959). Secondo questo autore, nella società industriale matura il fondamento della differenziazione sociale dipende non tanto dalla proprietà dei mezzi di produzione, quanto piuttosto dalla distribuzione dell'autorità nei diversi contesti organizzativi. In ciascuna delle molteplici organizzazioni nelle quali si articola la società contemporanea si individuano sempre due gruppi contrapposti: una minoranza di persone che occupa le posizioni di vertice e monopolizza i ruoli di comando e una più o meno estesa maggioranza che ricopre ruoli subordinati. Ciascuno di questi due raggruppamenti ha in comune determinate caratteristiche e differisce dall'altro per contrastanti orientamenti di interesse. L'élite del potere del capitalismo avanzato è quindi più estesa dell'élite delle società precedenti e generalmente risulta composita ed eterogenea, dal momento che comprende tutti coloro che hanno un ruolo eminente di autorità in una qualsiasi organizzazione.

Altri ricercatori hanno posto l'accento sul rapporto esistente tra l'organizzazione e il grado di compattezza di un'élite. In questo caso l'organizzazione è vista come un risultato deliberatamente perseguito dai membri di una minoranza che si propone di acquisire o conservare una posizione di preminenza sociale e politica. Studiosi come Mosca e Mills hanno messo in luce come i membri di un'élite possano decidere di coordinare la propria attività sia per conquistare il potere, sia per mantenerlo ed esercitarlo. La dinamica organizzativa in questo caso passa attraverso tre processi distinti. Il primo riguarda la manifestazione di un'esplicita volontà di agire di concerto e di intesa, superando gli eventuali contrasti e le divergenze. Il secondo fa riferimento all'istituzionalizzazione dei rapporti di potere per cui, all'interno della stessa élite, si stabilizza una gerarchia formale che disciplina il gruppo nella sua totalità, separando un nucleo più ristretto dalle componenti a esso subordinate. Il terzo processo, che è specifico delle élites politiche, si traduce nel controllo degli apparati amministrativi esterni mediante cui si esercita il potere. A questo livello l'élite politica stabilizza il proprio dominio scegliendo la forma di regime e di governo che ritiene più confacente al mantenimento della propria supremazia.

Un ulteriore aspetto della strutturazione di un'élite riguarda la coesione, intesa come integrazione fra le sue componenti. Questo attributo oscilla da un livello elevato a un livello minimo e dipende dall'omogeneità della provenienza sociale di coloro che fanno parte dell'élite, dal percorso formativo seguito, dalla frequenza e dalla natura dei contatti esistenti fra i membri dell'élite. Questi contatti possono assumere le forme più svariate: l'esistenza di legami associativi, unioni matrimoniali o altri vincoli di parentela, la prevalenza di rapporti personali di frequentazione o di amicizia. Se il livello di integrazione è elevato è anche probabile che l'élite sia caratterizzata da un'incidenza molto bassa di conflitti (latenti o manifesti) tra i suoi membri. Numerose ricerche hanno messo in luce il rilievo che il grado d'integrazione di un'élite assume rispetto ai comportamenti e alle scelte dei suoi membri. Alcuni studiosi hanno sottolineato che la coesione - intesa come identità di interessi, atteggiamenti e opinioni - scaturisce oggettivamente dalla comunanza delle situazioni di potere e di privilegio; altri hanno posto l'accento sulla coesione che deriva dall'intercambiabilità delle posizioni di vertice, per cui le stesse persone passano da un'organizzazione all'altra e da un settore all'altro occupando sempre le cariche di maggior rilievo. Altri ancora hanno evidenziato come un'élite dirigente possa accrescere la propria coesione quando al suo interno si diffonde la consapevolezza, avvertita da ciascun componente, che i propri interessi, le proprie aspirazioni e i propri valori sono sostanzialmente identici a quelli del gruppo considerato nel suo insieme, e differenziati o contrapposti rispetto agli altri gruppi sociali. Si forma in questo caso quella che si potrebbe chiamare una élite 'per sé' che è ben diversa dalla élite 'in sé', costituita invece da un mero aggregato di persone che si trovano nella stessa posizione sociale.

5. Le élites nella società

Il tema della presenza e dell'individuazione delle élites nella società può essere affrontato secondo tre prospettive. Si può predisporre una griglia di carattere astratto volta a ricostruire una tipologia valida per tutti i tempi e per ogni contesto; si può procedere a un'elencazione puntuale delle molteplici minoranze privilegiate nelle quali si articola uno specifico sistema sociale in una data epoca; si può decidere di studiare una sola élite in maniera approfondita, mettendone in luce gli elementi costitutivi, i meccanismi di selezione e di reclutamento, i rapporti tra le componenti interne, le relazioni con le altre élites e con la massa della popolazione.

Fra i tentativi di tracciare una mappa della costellazione dei gruppi privilegiati presenti in ogni società, la tipologia proposta da Pareto agli inizi del Novecento conserva tuttora una sua validità, dal momento che si fonda sulla ricognizione delle attitudini psicologiche costanti (residui) che sono alla base dell'azione umana: i residui che rimandano all'istinto delle combinazioni e i residui che sono connessi al mantenimento dello status quo. Dall'Atene di Pericle all'Italia di Giolitti, dalla Roma imperiale alla plutocrazia demagogica della moderna società di massa, dalla Germania di Bismarck alla Russia di Lenin, il multiforme mosaico dell'eterogeneità sociale evidenzia, con un andamento ondulatorio, la supremazia di quattro coppie di élites. Queste élites sono al vertice dei quattro settori in cui generalmente si articola un sistema sociale e risultano suddivise al proprio interno in ragione dei temperamenti che prevalgono tra i loro componenti. L'élite economica, secondo Pareto, è composta da due gruppi di persone che hanno spesso interessi diversi se non contrapposti: gli 'speculatori' e i 'redditieri'. I primi - imprenditori e banchieri - sono orientati ad accumulare ricchezza valendosi dell'intraprendenza e sfruttando le opportunità; i secondi - proprietari terrieri e risparmiatori - sono propensi all'acquisizione di un'entrata fissa sotto forma di rendite e obbligazioni. Analogamente l'élite intellettuale è contraddistinta da due gruppi di soggetti: gli 'scettici', che fondano i propri ragionamenti su deduzioni scientifiche, e i 'dogmatici', gli uomini di fede che basano le proprie conoscenze su credenze e pregiudizi. L'élite politica, che raccoglie tutti coloro che occupano una posizione eminente nelle attività di carattere pubblico, si suddivide a sua volta in due categorie: gli 'idealisti', che perseguono in maniera inflessibile valori e ideologie, e i 'materialisti', che invece hanno come scopo principale il proprio tornaconto e quello dei loro seguaci o clienti. Infine l'élite di governo, in cui Pareto fa confluire tutti coloro che direttamente o indirettamente hanno parte notevole nell'esercizio del potere politico, si ripartisce secondo la formula machiavelliana in due frazioni: le 'volpi' e i 'leoni'. La prima governa facendo ricorso all'astuzia, all'inganno e alla manipolazione; la seconda esercita il potere tramite la forza e la violenza. I governi dominati dalle 'volpi' tendono a essere molto costosi per la collettività, cui peraltro assicurano ampie opportunità di circolazione sociale. I governi dei 'leoni' sono generalmente propensi a intraprendere una politica di potenza e a bloccare o rallentare la circolazione sociale.

Più di mezzo secolo dopo, il sociologo inglese Anthony Giddens (v., 1973) ha suggerito una tipologia alternativa che nasce dalla combinazione di due aspetti fondamentali della strutturazione delle élites: il tipo di reclutamento e il grado di integrazione interna. Anche in questo caso si identificano quattro tipi di élites che sono preminenti nelle società industriali avanzate: quella 'solidale', che si manifesta quando il reclutamento è aperto ai differenti gruppi sociali e il grado di integrazione risulta elevato; quella 'uniforme', che è invece caratterizzata da un reclutamento ristretto e da una compattezza elevata; quella 'astratta', che si manifesta qualora il reclutamento sia aperto e il grado di integrazione basso; e quella 'consolidata', che dipende da un reclutamento chiuso e da un livello di integrazione poco consistente. Il primo tipo di élite, vale a dire quella 'solidale', era presente soprattutto nei paesi a socialismo di Stato, come dimostrano le ricerche condotte da Inkeles (v., 1971) e Matthews (v., 1978) in tema di intelligencija; d'altro canto l'esistenza di élites 'uniformi' e tendenzialmente esclusive è attestata anche nei paesi occidentali, ad esempio in Gran Bretagna, dove l'aver frequentato Oxford o Cambridge - e usufruire di una rete di contatti personali - costituisce l'elemento preferenziale per accedere all'establishment (v. Scott, 1991; v. Hobson, 1999). Il modello di élite più diffuso in Occidente resta comunque quello dell'élite 'astratta': un gruppo eterogeneo di persone che occupano temporaneamente posizioni d'influenza e di privilegio in conseguenza delle loro capacità e della loro specializzazione (v. Perkin, 1996). Infine le élites 'consolidate' - le quali si presentano come minoranze di persone che pur provenendo dallo stesso blocco sociale si dividono in un numero più o meno ampio di frazioni e gruppi concorrenti - sono particolarmente frequenti tanto nella sfera economica quanto sulla scena politica dei paesi a capitalismo maturo (v. Putnam, 1976).

L'opportunità di tracciare un quadro puntuale delle élites presenti in una società storicamente definita si è affermata negli anni cinquanta, quando sono apparse le prime ricerche di David Riesman (v., 1950), C. Wright Mills (v., 1956), Suzanne Keller (v., 1963) e Ralf Dahrendorf (v., 1965), incentrate sugli Stati Uniti e la Germania Occidentale. In particolare, l'indagine della Keller ha identificato una dozzina di élites strategiche - così definite per le funzioni indispensabili che esse esercitano per la sopravvivenza e lo sviluppo del sistema sociale - che sono state utilizzate come riferimento per le successive indagini sulla Francia (v. Howorth e Cerny, 1981; v. Charle, 1987), sulla Spagna (v. Lannon e Preston, 1990), sulla Germania (v. Bürklin e Rebenstorf, 1997), sulla Gran Bretagna (v. Stanworth e Giddens, 1974), sugli Stati Uniti (v. Lerner e altri, 1996), sull'Australia (v. Higley e altri, 1979). Fino alla metà degli anni ottanta, quando studiosi come Verba e Orren (v., 1985) hanno proposto di prendere in considerazione anche le élites espresse dai movimenti di protesta e dai gruppi di pressione e di opinione, la totalità dei sociologi, pur lavorando in differenti contesti, ha messo in evidenza come una società industriale avanzata comprendesse i seguenti tipi di élites: scientifica, religiosa, culturale, economica, sindacale, politica, di governo, burocratica, militare, delle celebrità, delle grandi famiglie, delle principali associazioni. Col tempo alcuni ricercatori hanno affiancato alle élites nazionali anche le élites locali (v. Verba e altri, 1987; v. Eldersveld e altri, 1995), suggerendo di tener conto non solo delle élites di primo livello, ma anche di quelle di secondo piano, composte dai titolari delle posizioni di potere intermedie nelle stesse organizzazioni o istituzioni di cui i membri delle élites sono a capo (v. Etzioni-Halevy, 1993).

La terza prospettiva ha alimentato una cospicua letteratura relativa a singole élites, ora analizzate in un preciso momento storico, ora studiate in chiave longitudinale oppure in un'ottica comparata. Con maggiore continuità sono state considerate le élites economiche, quelle intellettuali, quelle politiche e quelle burocratiche (v. Scott, 1990); mentre sono ancora poco diffusi gli studi su quei gruppi che stanno assumendo un peso sempre più rilevante nella società del terzo millennio, come le élites dei ricercatori scientifici (nei campi della genetica, della biochimica e delle biotecnologie), dei professionisti dell'informatica e del web, dei produttori e comunicatori di simboli, opinioni e valori (v. Page, 1996), dei managers delle multinazionali, della globalizzazione (v. Cathelat, 1997), della mondializzazione (v. Wagner, 1998).

6. Le élites politiche

Chiunque si avvicini al tema delle élites politiche non può non rimanere colpito dalla eccezionale quantità di materiale che si è accumulata sull'argomento. Questo materiale si ripartisce fondamentalmente in due settori: quello dei dati relativi a élites politiche concrete e quello delle conoscenze di carattere teorico.

Nel primo caso, a partire dalle pionieristiche ricerche di H. Lasswell e R. Sereno (v., 1937), H. Gerth (v., 1940), B. Moore (v., 1944) - che si sono occupati dell'élite politica rispettivamente nell'Italia fascista, nella Germania nazista e in Unione Sovietica -, si è venuta formando una vasta bibliografia che ha per oggetto le caratteristiche delle élites politiche di tutti i paesi del mondo. A queste centinaia di ricerche - che possono riguardare tanto una singola élite di un dato Stato in un certo momento storico, quanto successive élites di uno stesso paese analizzate in prospettiva diacronica - si aggiungono poi numerose indagini che, soprattutto dal 1960 al 1970, hanno concentrato l'attenzione sulle élites che esercitano il potere nelle città e nelle comunità locali (v. Aiken e Mott, 1970; v. Della Porta, 1999). Inoltre, il frequente ricorso alla prospettiva comparata consente di leggere i risultati di queste indagini non solo per acquisire conoscenze su coloro che esercitano il potere, ma anche per mettere a confronto le differenze o le somiglianze rilevabili nell'organizzazione e nel funzionamento dei diversi sistemi politici. Nel secondo caso, le conoscenze sulle uniformità relative alla formazione, all'organizzazione e al comportamento delle élites politiche costituiscono uno dei settori più consistenti e rilevanti della scienza politica contemporanea. Partendo dalla duplice, banale constatazione che in tutte le società esistono due classi di persone - quella dei governanti e quella dei governati - e che la prima costituisce sempre una minoranza della popolazione, autori classici come Mosca, Pareto, Michels e Weber, neoclassici come Lasswell, Burnham, Gramsci, Mannheim, Schumpeter, post-classici come Mills, Aron, Dahrendorf, hanno saputo sviluppare una formidabile gamma di concetti, ipotesi, tematiche e osservazioni che tuttora servono come indispensabili punti di riferimento al ricercatore di professione o al cittadino comune che abbiano interesse a districare la matassa della vita politica contemporanea (v. Sola, 2000).

Le nozioni accumulate sulle élites politiche si collocano lungo un'articolata scala di astrazione: alcune hanno un carattere generale, altre hanno una portata di medio raggio, altre ancora sono specifiche, dal momento che sono connesse al contesto e al periodo storico di riferimento. Le uniformità del primo tipo riguardano la peculiarità del potere politico e i tratti distintivi delle minoranze che ne detengono il monopolio e l'esercizio; quelle del secondo tipo si riferiscono ad alcuni elementi di fondo che hanno contraddistinto la composizione e il comportamento delle élites negli ultimi decenni; le uniformità del terzo tipo riguardano talune caratteristiche che separano le élites dei regimi democratici da quelle dei regimi autoritari.

Per gli elitisti il potere politico si distingue dagli altri fattori di differenziazione sociale sotto tre aspetti. Innanzi tutto, esso rappresenta la risorsa più scarsa e più difficile da ottenere all'interno di una società; in secondo luogo, è la risorsa che assicura ai suoi detentori la più ampia quantità di persone poste in condizione di subordinazione; infine, è la risorsa dotata di maggiore efficacia, dal momento che, accompagnandosi al ricorso della violenza legittima, accentua la capacità di influire sulla condotta degli altri e rende l'obbedienza dei governati pressoché immediata e corrispondente alle direttive dei governanti. La vita politica può quindi essere interpretata come una lotta incessante che ha per oggetto la conquista, il mantenimento e l'ampliamento delle posizioni e dei ruoli dai quali si detiene e si esercita il potere politico. L'acquisizione del potere politico, che nella maggior parte dei casi si traduce in potere di governo, consente inoltre all'élite che ne ha la titolarità di influire sulla ripartizione delle altre risorse, intervenendo così sui processi di differenziazione sociale e modificando significativamente la scala delle disuguaglianze.

Al di là delle ideologie dominanti e delle arene in cui si svolge la lotta politica, gli attori costituiscono sempre delle ristrette minoranze, talvolta aggregate attorno a una personalità eminente, a un leader carismatico, e comunque rappresentano interessi, aspettative e richieste di settori più o meno ampi della popolazione. Tutte le élites presenti in una società possono prendere parte alla competizione politica: alcune, poche, vincono; altre, molte, perdono. L'esito della competizione può assumere tre assetti differenti: 1) l'élite al potere può perpetuarsi senza rinnovarsi; 2) può perpetuarsi rinnovandosi parzialmente; 3) può rinnovarsi completamente. Le ricerche più recenti coordinate da M. Dogan e J. Higley (v., 1998) hanno tuttavia dimostrato che anche nel passaggio dai regimi autoritari ai regimi democratici le élites politiche e amministrative non si sono mai rinnovate totalmente, come dimostrano i casi della Germania nazista, del Giappone postbellico e dei paesi emersi in seguito al dissolvimento dell'Unione Sovietica. Di solito la conquista del potere non riguarda tanto singole élites nella loro completezza, bensì frazioni distinte di élites diverse, che si trovano pertanto a coabitare nella sfera politica. Ne consegue che un'élite politica deve essere sempre analizzata nelle sue articolazioni se si vuole misurare il grado di unione o divisione, di omogeneità o eterogeneità esistente tra le sue componenti (v. Dye, 19946; v. Rigby, 1990).

Per quanto concerne la composizione e il ruolo delle élites politiche contemporanee, le conoscenze acquisite suggeriscono di tener conto delle molteplici dimensioni che il potere politico ha assunto nel corso del Novecento. Innanzi tutto il potere può essere studiato in una prospettiva statica o istituzionale, oppure in una prospettiva dinamica o decisionale. Nel primo caso l'élite politica coincide con i titolari delle posizioni di vertice delle istituzioni in cui si articola uno Stato: governo, parlamento, partiti, burocrazia, magistratura, esercito e polizia. Nel secondo caso il ricercatore rivolge la sua attenzione al flusso di scelte, decisioni, provvedimenti che vengono prodotti dalle istituzioni politiche e individua come componenti dell'élite coloro che prendono parte al policy making, tanto nella fase dell'identificazione dei problemi quanto nelle fasi successive dell'adozione delle decisioni e della loro implementazione. Numerose ricerche condotte secondo queste impostazioni alternative dimostrano che non sempre si rileva una perfetta coincidenza tra l'élite delle istituzioni e l'élite delle decisioni, anche perché in quest'ultima svolgono un ruolo significativo i vertici della burocrazia e i leaders dei gruppi di interesse e di pressione che non necessariamente ricoprono cariche istituzionali (v. Jordan, 1981; v. Marsh e Rhodes, 1992). Un'analisi della composizione dell'élite può dirsi completa quando si effettuano tre ulteriori ricognizioni. La prima ricostruisce con precisione la distribuzione delle persone nelle molteplici configurazioni che assume il potere politico, distinguendo tra potere reale e apparente, tra potere visibile e occulto, tra potere attuale e potenziale (v. Pasquino, 1999). La seconda, tenendo conto delle indicazioni fornite originariamente da Weber (v., 1919), opera una distinzione tra politici occasionali e politici di professione; tra politici di professione che vivono 'di' politica e politici che vivono 'per' la politica; tra politici che debbono la loro carica a un processo elettivo e politici che invece provengono da una amministrazione e sono selezionati mediante designazione o cooptazione (v. Aberbach e altri, 1981; v. Page, 1997; v. Page e Wright, 1999). La terza si è imposta negli ultimi due decenni in seguito a quel processo che ha visto la diffusione dei media, soprattutto della televisione, nella vita politica. La politica è diventata sempre più spettacolo e il reclutamento dei politici ha finito per premiare le personalità più abili nel comunicare (v. Sartori, 1997). A una nuova élite di politici 'telegenici' si sono affiancate altre due élites di esperti: i commentatori di professione, nuovi 'sacerdoti' della società dell'immagine (v. Nimmo e Combs, 1992), e i consulenti, che curano il marketing elettorale e predispongono i sondaggi di opinione (v. Blumenthal, 1980; Thurber e Nelson, 2000).

Un terzo gruppo di conoscenze riguarda le élites politiche studiate in un contesto specifico. Per anni, dalla fine della seconda guerra mondiale alla caduta del muro di Berlino, i politologi hanno posto a confronto le élites dei paesi occidentali con quelle dei regimi comunisti e dell'Unione Sovietica in particolare. Anche in questo caso la documentazione accumulatasi è assai consistente. In linea generale, come ha sostenuto Raymond Aron (v., 1950), tra questi mondi si riscontravano due differenze sostanziali. Nei regimi occidentali la competizione tra una molteplicità di gruppi che aspiravano al potere era sempre aperta e le élites dialogavano continuamente tra loro, controllandosi a vicenda. Al contrario, nei regimi di tipo sovietico la competizione era chiusa o limitata, e una sola élite finiva per accentrare nelle proprie mani il controllo della politica, dell'amministrazione, dell'economia e dell'ideologia. In Occidente, l'élite dominante si presentava come un gruppo diviso, frammentato e comunque rispondente alle richieste dei governati; nei paesi dell'Est, invece, l'élite assumeva i tratti di un gruppo unitario, o quantomeno unificato, dotato di un potere illimitato e onnipervasivo. Per quanto numerose indagini abbiano dimostrato l'eccessiva semplificazione di queste configurazioni, descrivendo ora élites democratiche propense a trasformarsi in oligarchie coese ed esclusive (v. Domhoff, 1970 e 1979), ora élites autoritarie attraversate da processi di articolazione interna e costrette alla inclusività di molteplici gruppi presenti nella società (v. Hammer, 1974), la letteratura ha codificato l'esistenza di due tipi contrapposti di élite politica. La differenza fra democrazia e autoritarismo si manifesta attraverso la distinzione tra élites che si propongono ed élites che s'impongono, tra élites eterogenee e concorrenziali ed élites unitarie e monopolistiche, tra élites rappresentative e responsabili nei confronti dei propri amministrati ed élites separate dagli altri gruppi sociali e dalla maggioranza governata.

Negli ultimi anni un gruppo di studiosi di cui fanno parte John Higley, Michael Burton e Richard Gunther ha proposto una tipologia delle élites nazionali mettendola in correlazione con la stabilità dei regimi politici. La tipologia emersa dalle ricerche di questi studiosi - che hanno avuto per oggetto i paesi dell'Europa meridionale e dell'America Latina e successivamente i paesi dell'Europa orientale e l'Unione Sovietica - combina due aspetti diversi: il grado di unità e coesione presente in un'élite e il grado di differenziazione derivante dalla provenienza sociale dei suoi membri. L'unità riguarda la condivisione delle norme e dei valori e fa riferimento al tipo di interazioni che si instaurano fra le diverse componenti dell'élite; la differenziazione concerne l'omogeneità di origine e tiene conto del grado di autonomia dei membri dell'élite rispetto agli altri gruppi sociali. L'unità di un'élite può essere più o meno compatta, la differenziazione più o meno ampia. Nel caso in cui l'unità è forte e la differenziazione ampia si delinea un'élite 'consensuale'; se l'unità è forte, ma la differenziazione sociale è ristretta, l'élite assume una configurazione 'ideocratica'. Quando l'unità dell'élite è debole, se la differenziazione è elevata si è in presenza di un'élite 'frammentata', se la differenziazione è ristretta si manifesta un'élite 'divisa'. Ciascuna di queste élites è correlata a un tipo di regime politico: un'élite consensuale è in sintonia con una democrazia stabilizzata, mentre un'élite frammentata tende a produrre una democrazia instabile. Un'élite ideocratica è tipica di un regime totalitario, un'élite divisa trova corrispondenza in un regime autoritario (v. Higley e altri, 1998).

Questa tipologia completa uno schema elaborato precedentemente da Higley e Gunther (v., 1992) che individuava tre tipi di élites: 'disunita', contraddistinta da un basso livello di integrazione e da un minimo consenso su valori condivisi; 'unita', sulla base di un diffuso accordo sui principî e le regole della politica; 'unificata', sulla base della condivisione di una ideologia. Il primo modello, composto da frazioni in perpetua lotta tra loro, è altamente instabile e trova corrispondenza in molti paesi europei prima della seconda guerra mondiale, nell'America Latina e nella maggior parte dei paesi africani. Il modello dell'élite 'unita' si riscontra in Gran Bretagna, negli Stati Uniti e nei paesi scandinavi. Infine, il terzo tipo di élite corrisponde all'esperienza della Russia stalinista e della Germania nazista, dei paesi dell'Europa Orientale fino al 1989, della Cina, di Cuba e di molte nazioni del Medio Oriente. Generalmente, il passaggio dall'élite 'disunita' a quella 'unita' avviene secondo due modalità. Si può verificare una convergenza di alcune élites, o frazioni di élites, che si alleano fra loro superando i reciproci contrasti per costituire un cartello dominante, oppure si realizza un assestamento (settlement) che consente di appianare i conflitti tra forze politiche fino a quel momento contrapposte. In questo caso, l'accordo avviene tramite una serie di compromessi che portano alla condivisione delle regole del gioco e alla legittimazione di un particolare tipo di regime politico, con la conseguenza che la lotta politica, da scontro violento tra avversari, si trasforma in competizione pacifica tra concorrenti.

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