ELETTROSTATICA

Enciclopedia Italiana (1932)

ELETTROSTATICA

Gilberto Bernardini

. Gli antichi Greci sapevano che l'ambra strofinata con la mano acquista il potere di attrarre corpuscoli leggieri, ma l'elettrologia come scienza, così come ogni altro ramo della fisica, nacque solo nei tempi moderni con la scuola di Galileo e di Newton.

Storicamente e logicamente il primo capitolo dell'elettrologia è l'elettrostatica, che in modo un po' grossolano potrebbe dirsi lo studio dei fenomeni che dànno luogo all'elettrizzazione dei corpi materiali e di quelli che i corpi elettrizzati provocano e subiscono quando altri, elettrizzati o no, sono posti in una posizione determinata e invariabile rispetto ai primi. Ma in genere sono raccolti sotto questo nome anche altri fenomeni.

Esperienze e principî fondamentali. - a) Elettrizzazione. Conduttori e isolanti. - Il primo a osservare che non solo l'ambra ma anche altre sostanze come lo zolfo, le resine, ecc., quando sono strofinate acquistano la proprietà di attrarre i corpi leggieri, fu l'inglese W. Gilbert (1540-1603) che definì effetti elettrici (dal gr. ἤλεκτρον "ambra") questi fenomeni e chiamò stato elettrico o elettrizzazione lo stato particolare che quelle sostanze assumevano per lo strofinio. Pochi anni dopo S. Gray mise in evidenza che l'elettrizzazione poteva esser comunicata da un corpo a un altro non solo per diretto contatto fra i due (elettrizzazione per contatto) ma anche quando questi erano collegati fra loro con fili o sbarre di certe sostanze (cotone, metalli, legno, ecc.), mentre questo non avveniva per altre sostanze (ambra, ceralacca, seta e così via).

Associando allo stato elettrico un certo quid che fu chiamato elettricità o più specificamente carica elettrica, che ne era la causa e che lo determinava con la sua presenza, questa trasmissione venne spiegata come un fluire di questo quid da un corpo a un altro e in ragione di questa interpretazione furono, fino da allora, chiamati conduttori quei corpi attraverso i quali avviene più o meno facilmente il passaggio di elettricità e non conduttori gli altri. Questi ultimi, poiché servono nelle esperienze sull'elettricità a sostenere i corpi elettrizzati in modo che la loro carica non vada dispersa, si dicono anche isolanti. I metalli allo stato solido o liquido sono in genere buoni conduttori; i gas non iovizzati, il vetro, il quarzo, la paraffina, l'ambra, la seta sono buoni isolanti; mentre, p. es., il legno, il cotone, l'alcool etilico, ecc., possono esser considerati al tempo stesso, secondo le condizioni sperimentali, o come (cattivi) conduttori o come (cattivi) isolanti. In realtà tutte le sostanze oppongono una certa resistenza al passaggio dell'elettricità e tutte le lasciano passare benché in misura estremamente diversa. Una delle immediate conseguenze della scoperta di Gray e che Gray stesso comprese fu che proprio per questa loro proprietà i conduttori, a differenza dei non conduttori, erano sembrati inelettrizzabili. Al contrario tutti i corpi solidi e liquidi, conduttori o isolanti che siano, possono effettivamente elettrizzarsi per strofinio (Ch.-Fr. de Cisternay du Fay, 1699-1739), ma per i conduttori occorre aver prima cura d'impedire, isolandoli, che essi perdano la carica elettrica acquistata.

D'altra parte l'elettrizzazione per strofinio è solamente uno dei modi con cui si può provocare l'elettrizzazione d'un corpo. Uno di questi, che rientra nel quadro tradizionale dell'elettrostatica, è quello in cui si utilizza l'influenza esercitata da un corpo elettrizzato sui conduttori. In generale, poiché elettrizzare un corpo significa immagazzinare in esso una quantità più o meno grande di energia sotto forma di energia elettrica, si possono considerare come processi di elettrizzazione tutti quei fenomeni in cui una forma qualunque di energia si trasforma in energia elettrica. In particolare i cosiddetti generatori elettrostatici trasformano in energia elettrica l'energia meccanica (vedi elettrostatiche, macchine).

b) Le due specie di elettricità. Forze ponderomotrici. - Proseguendo le sue ricerche sull'elettrizzazione il Du Fay poté constatare che in realtà esistevano due specie ben distinte di elettricità e che proprio la natura di queste caratterizzava le azioni meccaniche (ponderomotrici) che si esercitano fra i corpi che ne sono carichi. Precisamente fra due corpi carichi di elettricità della stessa specie si manifesta una repulsione, fra due corpi carichi di elettricità di specie diversa un'attrazione. Conformemente a questo principio i corpi neutri subiscono invece sempre un'attrazione da parte di un corpo elettrizzato per le cariche che si creano in essi per induzione.

c) Elettroscopî. - Sul manifestarsi di queste forze ponderomotrici sono basati quegli apparecehi detti elettroscopî (di cui il primo è dovuto allo stesso Du Fay) che servono a rivelare l'elettrizzazione.

L'elettroscopio più semplice è costituito di due strisce sottili e molto leggiere di metallo (in generale oro o alluminio) dette foglie, pressoché di uguale lunghezza, pendenti all'estremità inferiore di un'asticciola metallica ben isolata da terra, che spesso per aumentarne la capacità termina in una piccola sfera. Se con un corpo elettrizzato si tocca l'asta dell'elettroscopio questo si carica e le sue foglie, cariche così di elettricità dello stesso nome, si respingono mutualmente e divergono finché non si stabilisce un equilibrio fra questa repulsione e il loro peso. In quel che segue accenneremo ad alcune classiche esperienze nella massima parte dovute a M. Faraday (1837), in cui si utilizza come rivelatore delle cariche il semplice elettroscopio ora descritto. Però per quanto si possa immaginare di aumentare notevolmente la sensibilità di questo apparecchio, le esperienze di cui parleremo, così condotte, hanno più un valore dimostrativo che un valore rigorosamente probativo. Tuttavia i principî generali che ne dedurremo sono da ritenersi rigorosamente validi, sia perché essi possono essere verificati con estrema esattezza usando apparecchi estremamente sensibili, sia perché essi sono verificati a posteriori in tutte le loro conseguenze. Inoltre ammetteremo, e questa assunzione verrà per così dire legittimata nel seguito, che la repulsione tra le foglie, repulsione misurata dalla divergenza di queste, sia più o meno grande in ragione della maggiore o minore carica che si è comunicata all'elettroscopio. Con questo introduciamo un senso quantitativo nel concetto di carica, mentre questo potrà essere chiaramente precisato solo più tardi, quando avremo passato in rassegna i fatti fondamentali dei fenomeni elettrici e in particolare il principio della conservazione dell'elettricità, ma non sarà difficile rendersi conto che a tutto rigore e in conformità della definizione quantitativa di carica che daremo nel seguito, sarebbe sufficiente ammettere che ogni volta che in uno stesso elettroscopio o in due elettroscopî identici le foglie divergono egualmente, le cariche, comunicate successivamente all'uno o contemporaneamente ai due, sono eguali.

d) La natura opposta delle due specie di elettricità. - Indipendentemente dal Du Fay, B. Franklin (1706-1790) giunse non solo ad ammettere l'esistenza di due specie di elettricità, ma anche a stabilire che esse avevano natura opposta nel senso che l'una tendeva a neutralizzare l'altra. Se difatti si collegano fra loro con un conduttore due elettroscopî eguali (il più possibile) carichi in egual misura di elettricità di specie diversa, i due elettroscopî si scaricano, ossia le loro cariche si neutralizzano l'una con l'altra. In realtà B. Franklin e indipendentemente da lui X. Watson si spinsero oltre e giunsero ad affermare che nei fenomeni di elettrizzazione ambedue le specie di elettricità si generavano sempre e contemporaneamente e in misura tale che data la loro opposta natura l'una poteva annullare completamente l'altra, ma questa affermazione, di fondamentale importanza, fu verificata con grande esattezza solo molto più tardi da Faraday (v. § g) al quale, appunto, si deve l'osservazione che conseguentemente, in ogni processo di elettrizzazione, le due cariche generate si comportano come due grandezze misurate da numeri eguali in valore assoluto ma di segno contrario. In base a questa considerazione egli attribuì all'una il nome di elettricità positiva e all'altra quello di elettricità negativa, nomi divenuti d'uso corrente e che si sostituirono a quelli dovuti al Du Fay di elettricità vetrosa e resinosa, ma che potevano indurre in errore poiché tutte le sostanze possono in generale assumere l'una o l'altra.

e) Conduttori in equilibrio, sede della carica elettrica. - Delle ricerche esatte sulla distribuzione delle cariche elettriche nei conduttori, in proseguimento di quelle già iniziate da G. B. Beccaria (1716-81) furono condotte già da H. Cavendish nel 1772 allo scopo di dedurre la legge fondamentale delle forze elettriche in quella forma classica in cui furono poi ripetute anche da C. Maxwell. Di queste esperienze parleremo più opportunamente in seguito, limitandoci per il momento a dire che esse, come quelle di B. Franklin, C. A. Coulomb e J.-B. Biot e specialmente quelle di M. Faraday, provarono nel modo più rigoroso che la carica di un conduttore è sempre situata alla sua superficie e non nel suo interno.

Così sono di Faraday le seguenti esperienze: un conduttore cavo isolato, con una piccola apertura di accesso all'interno (pozzo di Faraday), viene caricato. Una sfera di prova (sferetta metallica con un manico isolante) posta nell'interno, anche se in contatto con la parete, non mostra nessuna carica. Viceversa se la sfera, inizialmente carica, è portata in contatto con la parete interna del cilindro, si scarica completamente e il cilindro mostra non sulla parete interna ma su quella esterna una carica dello stesso nome di quella posseduta prima dalla sfera. Inoltre le azioni esterne di un conduttore pieno elettrizzato, sono, come era già noto a Gray, identiche a quelle di un conduttore cavo avente la stessa forma superficiale e sono le stesse anche qualunque sia la sostanza di cui è costituito il conduttore.

f) Influenza o induzione elettrica. - Due elettroscopî eguali siano collegati fra loro con un'asta conduttrice. Se avviciniamo a uno di essi un corpo carico, ambedue divergono le loro foglie; se lo allontaniamo, ambedue si scaricano completamente mostrando così che essi avevano acquistato cariche eguali, ma opposte. Se invece si toglie l'asta di collegamento quando ancora il corpo carico è presente, i due elettroscopî rimangono elettrizzati anche quando questo si allontana, e si osserva che l'elettroscopio più vicino si è caricato di elettricità di nome contrario, e quello lontano di elettricità dello stesso nome di quella del corpo elettrizzato che avevamo avvicinato. Questi semplici fenomeni s'interpretano immediatamente come una conseguenza della mobilità dell'elettricità nei conduttori, se si ammette che in un corpo allo stato neutro siano presenti ambedue le specie di cariche. Infatti si può pensare che avvicinando a un corpo neutro conduttore un corpo preventivamente elettrizzato, questo attira nelle parti del conduttore più vicine a sé l'elettricità contraria e respinge quella dello stesso nome in quelle più lontane.

Queste azioni esercitate da un corpo carico sui conduttori si chiamano di induzione o di influenza. Per influenza così sul conduttore si creano due zone, una prossima al corpo influenzante, dove predominano cariche di segno contrario a questo, e una nella parte più lontana, dove predominano cariche eguali a quelle del corpo influenzante. Le due zone sono separate da una linea neutra. La carica totale del conduttore resta rigorosamente nulla. Sull'induzione è basato un processo di elettrizzazione estremamente comodo. Riprendiamo il dispositivo di cui sopra e mentre il corpo carico è vicino a uno degli elettroscopî, fra loro collegati con l'asta conduttrice, con un dito o con un altro conduttore si faccia per un momento comunicare l'insieme con la terra (che come vedremo può considerarsi come un conduttore di grandissima capacità). Allora le foglie dell'elettroscopio più lontano cadono.Tornando ad allontanare il corpo elettrizzato ambedue gli elettroscopî manifestano una carica di nome contrario a quella di questo corpo. In questo modo abbiamo elettrizzato il conduttore, costituito dai due elettroscopî, per induzione o influenza. Mentre un corpo elettrizzato dà per contatto una carica dello stesso nome, per induzione dà una carica di nome contrario.

L'induzione ci rende poi ragione del perché i corpi neutri (conduttori) siano attratti dai corpi elettrizzati. Quando infatti uno di questi è posto vicino a un corpo neutro, in questo si creano le due cariche per induzione, ed essendo più vicina quella di nome contrario, l'attrazione predomina sulla repulsione. Il fenomeno d'influenza si manifesta solo nei conduttori, però se si avvicina un corpo carico a uno non conduttore anche questo viene attratto poiché, pur non avvenendo in esso un libero spostamento di cariche di tale entità da provocare una separazione macroscopica di queste, gli atomi e le molecole dell'isolatore vengono trasformati (polarizzati) in modo da comportarsi come se una separazione di cariche fosse avvenuta in ciascuno di essi. In conseguenza di questa separazione elementare l'isolatore si comporta come se anche in esso si avessero due cariche terminali, una opposta a quella del corpo carico nelle parti più vicine a questo, una dello stesso nome nelle parti più lontane così come per i conduttori. Però tali cariche sono sempre presenti contemporaneamente e non si possono isolare l'una dall'altra (né quindi si può elettrizzare un isolatore per induzione); inoltre, a differenza di quello che accade per i conduttori, dipendono dalla natura dell'isolatore che può essere più o meno polarizzabile; infine, il che è essenziale, la distribuzione delle forze elettriche è completamente diversa nei due casi anche se conduttore e isolatore hanno la stessa forma e il corpo influenzante è lo stesso e posto nella stessa posizione rispetto a quelli. Infatti nell'interno di un conduttore, come si può mostrare sperimentalmente e teoricamente, le forze elettriche sono costantemente nulle, mentre ciò non accade per un isolatore. Per questa proprietà i conduttori cavi sono (e sono usati) per i corpi situati nel loro interno, come schermi alle azioni elettriche esterne, mentre questo non è per gl'isolatori che, pur modificandole con la loro presenza, lasciano che tali azioni si manifestino anche attraverso di essi. Per questa ragione gl'isolatori si chiamano anche dielettrici.

g) Legge della conservazione dell'elettricità. - Introducendo nell'interno di un pozzo di Faraday, connesso con un elettroscopio, una sfera di prova elettrizzata, l'elettroscopio accusa una carica dello stesso nome, di grandezza indipendente dalla posizione della sfera nell'interno del pozzo e che evidentemente si forma per induzione nella parte esterna di questo. La divergenza delle foglie rimane però la stessa anche se la sfera di prova viene posta in contatto con la parete interna e contemporaneamente, così facendo, la sfera si scarica completamente. Questa semplice esperienza prova che una carica situata nell'interno d'un conduttore cavo chiuso induce su questo nel suo interno una carica di nome opposto e nel suo esterno una carica dello stesso nome, esattamente uguali a sé stessa (legge d'induzione di Faraday) e che questa carica, per contatto interno, passa integralmente al conduttore. (Per contatto esterno invece non si ha mai una cessione integrale della carica, e la parte di essa che viene ceduta dipende, oltre che dalle condizioni geometriche, anche dalla differenza di potenziale fra i due corpi). Come si può provare facilmente, il passaggio integrale della carica per contatto interno avviene sempre, anche se il cilindro è preventivamente comunque elettrizzato. Per queste sue proprietà atte a rivelare con precisione, comodamente ed eventualmente senza alterarla, la grandezza di una carica, l'elettroscopio descritto servì a Faraday per dimostrare con tutto il rigore desiderabile molti dei principî che abbiamo già enunciato e in particolare (come abbiamo già accennato al § d) quello dovuto a Franklin e Watson secondo il quale "in ogni processo di elettrizzazione si sviluppano quantità uguali di elettricità positiva e di elettricità negativa talché la loro somma rimane costantemente nulla come nei corpi allo stato neutro". Questo principio già evidente, dopo quello che abbiamo detto, nel processo di elettrizzazione per influenza, si dimostra infatti vero anche nel processo di elettrizzazione per strofinio per mezzo dell'elettroscopio ora descritto. Ponendo infatti, isolati fra loro, ambedue i corpi confricati nell'interno del cilindro l'elettroscopio non manifesta alcuna carica, mentre mettendo prima l'uno e poi l'altro segnala due cariche uguali in grandezza e di natura opposta. Analogamente accade se si ripete l'esperienza con le due cariche generate per induzione.

In modo ugualmente semplice, sempre con l'elettroscopio di Faraday, si può poi dimostrare che quando un corpo ne elettrizza un altro per conduzione, la carica totale dei due rimane la stessa. Più in generale si può dimostrare che la "carica totale di un sistema di corpi isolato da qualunque azione elettrica esterna, rimane rigorosamente costante qualunque siano le azioni che possono esercitare gli uni sugli altri i corpi che lo compongono". Questa proposizione, che evidentemente compendia in sé anche le due sopra enunciate, costituisce il principio della conservazione dell'elettricità, principio su cui si eleva la possibilità di un concetto e di una misura quantitativa delle cariche elettriche. A esso e alla legge di Coulomb si riducono, come vedremo, tutti i fenomeni dell'elettrostatica.

h) Teorie dei fluidi elettrici. - La legge della conservazione dell'elettricità ora enunciata, unita a quanto suggeriscono i processi di conduzione, conduce a pensare che se la quantità totale di elettricità compresa nell'interno di una superficie aumenta o diminuisce, ciò è dovuto al fatto che la quantità in più o in meno ha dovuto attraversare tale superficie per entrarne o per uscirne. È quello che accade per la materia e che si esprime con l'equazione, nota in idrodinamica, come equazione di continuità. È quindi naturale giungere a concepire l'elettricità come un fluido indistruttibile, di particolare natura, sempre presente nella materia. Ma in due modi distinti si può far questo, così da accordare con tale ipotesi i fatti sperimentali passati in rassegna. Si può infatti pensare che le due specie di elettricità, che vengono separate in ogni processo di elettrizzazione, siano due fluidi che esistono in tutti i corpi neutri in quantità esattamente uguali, così che questi in tali condizioni non hanno alcun effetto all'esterno, mentre nei corpi elettrizzati questi fluidi sono stati parzialmente separati durante i processi di elettrizzazione e la carica positiva o negativa di un corpo è l'eccesso di fluido positivo o negativo che questo conseguentemente possiede. Ma si può anche pensare che non entrambe le due specie di elettricità siano libere di scorrere da un corpo a un altro e che si abbia un solo fluido che può fluire indipendentemente dalla materia, naturalmente attribuendo a questa, quando è priva di esso, una carica, p. es. la positiva, e al fluido stesso la carica opposta, negativa.

L'elettrizzazione è determinata allora dal passaggio di un unico fluido negativo da un corpo a un altro. Di questi il primo si carica allora positivamente perché in esso non è più compensata la carica positiva della materia e il secondo si carica negativamente per l'eccesso che possiede di fluido negativo. Queste due ipotesi dal punto di vista applicativo perfettamente equivalenti, ma dal punto di vista interpretativo sostanzialmente diverse, furono per lungo tempo vanamente e sterilmente entrambe sostenute e combattute, finché nuovi fatti sperimentali non permisero di constatare che fra le due specie di elettricità esistevano effettivamente differenze sostanziali che le caratterizzavano in modo inequivocabile e che mentre l'elettricità positiva è veramente sempre connessa con la materia, l'elettricità negativa può in certe condizioni esser libera di muoversi indipendentemente da questa. Così questi fatti sperimentali, che sono quelli su cui venne edificata l'attuale teoria elettronica della materia, furono anche quelli che decisero evidentemente in favore della teoria di un fluido unico e precisamente di un fluido unico di elettricità negativa. Questi fatti sperimentali (fenomeni elettrolitici, scariche nei gas e fenomeno di ionizzazione in genere, effetti termoionico, fotoelettrico ecc. e a posteriori tutta la mirabile compagine della moderna spettroscopia) hanno anche precisato la natura di questo fluido mostrando che esso è costituito di corpuscoli aventi ciascuno una carica (invariabile ed eguale per tutti) e una massa (di natura elettromagnetica) estremamente piccola rispetto alle cariche e alle masse dei fenomeni macroscopici. Questi corpuscoli cui si diede il nome di elettroni (v.), altro non sono, insieme con le cariche elementari positive, o protoni, che gli ultimi costituenti della materia. Gli atomi di ciascun elemento sono infatti costituiti da un ugual numero (diverso da elemento a elemento) di elettroni e di protoni. Una delle differenze essenziali tra i due sta nel fatto che i primi hanno una massa molto più piccola dei secondi (circa 1800 volte) così che si può ritenere, il che è importante per noi, che la massa di un atomo sia quasi esclusivamente connessa ai suoi protoni. Con questa concezione moderna della materia è possibile interpretare tutti i fenomeni dell'elettrostatica considerandoli unicamente come le conseguenze macroscopiche delle azioni esercitantisi fra le cariche elementari. Basta infatti ammettere che fra due cariche elementari si esplica una forza che dipende unicamente dalla loro distanza e che precisamente varia in ragione inversa del quadrato di questa e che è una repulsione quando le due cariche elementari sono dello stesso nome (due elettroni o due protoni) e una attrazione quando le cariche hanno nome diverso (un protone e un elettrone), per trovare in generale una facile interpretazione a tutti i fenomeni passati in rassegna e anche per dedurre in modo rigoroso tutta l'elettrostatica per via matematica.

Con questo non si deve credere che la teoria matematica dei fenomeni elettrostatici si sia sviluppata in conseguenza della teoria elettronica della materia. Viceversa quella, opera dei fisici matematici più illustri del secolo passato, si formò e si svolse parallelamente alla teoria delle forze gravitazionali molto prima che la teoria elettronica ne rendesse comprensibile la sua intima natura. Ma i metodi e i risultati di questa teoria matematica dei fenomeni elettrostatici o teoria del potenziale - che partiva dall'ipotesi che la legge di Coulomb fosse valida per cariche distribuite in elementi di spazio infinitesimi rispetto alle loro distanze - sono senz'altro estendibili alla teoria elettronica qualora si considerino questi elementi di carica come costituiti da un numero molto grande di elettroni e di protoni considerati come cariche puntiformi. Questo passaggio è possibile perché, come in quasi tutte le trattazioni della fisica matematica, l'infinitamente piccolo fisico, cioè il piccolo di fronte alle grandezze da prendere in esame nelle misure, può esser sostituito entro i limiti di approssimazione che si richiedono, dall'infinitamente piccolo pensabile della matematica.

E nell'elettrostatica le grandezze che si prendono in considerazione, ossia le grandezze che vengono misurate, sono tali da poter pensare rispetto ad esse come infinitamente piccole nel senso fisico ora detto le dimensioni e le mutue distanze delle particelle elementari e render così possibile di concepire la carica come qualcosa avente una distribuzione continua. In questo modo si rende allora legittima la possibilità di considerare l'elemento di carica occupante uno spazio infinitamente piccolo come un elemento differenziale, ossia si rende legittima anche nel quadro della teoria elettronica della materia, per il concetto da cui si parte, la trattazione matematica della teoria del potenziale.

i) Potenziale; capacità. - Per ultimare questo esame sommario dei principali fatti sperimentali e dei concetti essenziali dell'elettrostatica, ci resta ancora da parlare di capacità e di potenziale. Abbiamo detto che riteniamo di aver comunicato una carica più o meno grande a un elettroscopio, secondo che le sue foglie sono più o meno divergenti. Ora questa espressione è assai impropria, poiche gli elettroscopî non misurano la carica, ma la differenza di potenziale (v. sotto) che in conseguenza di questa si stabilisce fra essi e l'involucro esterno, in generale metallico. Se infatti in luogo della consueta sfera terminale, in un elettroscopio a foglie d'oro, poniamo un piatto metallico (elettroscopio di Volta) e dopo avergli comunicato una carica ad esempio negativa, avviciniamo (parallelamente) un altro piatto metallico neutro, osserviamo che la divergenza delle foglie diminuisce sensibilmente, pur non avendo tolto niente alla carica dell'elettroscopio e la divergenza diminuisce ancora di più se s'elimina, mettendola a terra, la carica dello stesso nome negativa formatasi nel piatto avvicinato. Se disponiamo di un altro elettroscopio eguale e lo poniamo in contatto con il primo, eppoi li elettrizziamo, i due elettroscopî divergono e divergono ugualmente, benché in minore misura, anche se avviciniamo a uno di essi il piatto metallico. Ora, se tenendo vicino il piatto metallico togliamo il contatto, questa divergenza non cambia, ma allontanando il piatto metallico, in quello che lo aveva vicino, le foglie divergono fortemente. Noi possiamo spiegarci questi fenomeni pensando che le cariche elementari, p. es. positive, indotte sul piatto metallico, richiamano reciprocamente gli elettroni che costituiscono la carica dei due elettroscopî in maggiore quantità nel piatto dell'elettroscopio, a cui è stato avvicinato il piatto mobile, e qui rimangono anche quando è tolto il contatto, poiché i due elettroscopî, per l'influenza del piatto metallico, sono in equilibrio, hanno cioè una stessa intensità di elettrizzazione, pur non avendo un'eguale carica. Ma allontanando questo piatto non è più così, e l'elettroscopio cui l'avevamo avvicinato acquista una maggiore intensità di elettrizzazione, in quanto la sua carica negativa non è più, per così dire, trattenuta e neutralizzata da quella positiva del piatto. Ponendolo in contatto con l'altro, si può constatare che in conseguenza di questa sua maggiore intensità di elettrizzazione (non della sua carica, che è la stessa di quando era vicino il piatto influenzante) ora i due elettroscopî non sono più in equilibrio e il primo cede al secondo una parte della sua carica. Il passaggio di cariche da un conduttore a un altro è quindi determinato, non dalla maggiore o minore carica, ma dall'intensità di elettrizzazione, che è misurata dalla divergenza delle foglie dell'elettroscopio. Nel seguito preciseremo questo concetto d'intensità di elettrizzazione o potenziale di un conduttore; per ora ci basti aggiungere che carica e potenziale sono concetti molto analoghi ad esempio ai concetti di quantità di calore e temperatura della termologia. A completare questa analogia, diremo anche ciò che s'intende per capacità elettrica. Di due conduttori ha una maggior capacità elettrica quello che per una data carica assume una minore intensità di elettrizzazione. Per esempio, nell'esperienza di cui sopra, l'elettroscopio col piatto metallico vicino ha una maggiore capacità di quando il piatto è lontano. Questa esperienza ci dice anche, e l'interpretazione data ce ne dà ragione, che la capacità di un conduttore può essere aumentata per effetto d'induzione, dalla vicinanza di altri conduttori. Per questa proprietà di poter assumere forti cariche senza raggiungere un alto potenziale, quei sistemi formati di due conduttori (armature) in generale simili, affacciati l'uno all'altro si dicono condensatori (v.). La capacità dei condensatori è in generale resa più grande di quello che non sarebbe se le due armature fossero fra loro isolate dal vuoto o dall'aria, interponendo tra esse delle sostanze isolanti. La capacità ne risulta aumentata in conseguenza della polarizzazione che si manifesta in queste sostanze.

l) Energia elettrica. - Per caricare un conduttore occorre spendere dell'energia. Per rendersene conto, basta pensare di comunicare gradatamente (come in realtà avviene sempre) questa carica al conduttore. Infatti, appena il conduttore comincia a elettrizzarsi e ad assumere in conseguenza un certo potenziale, si può constatare che esso oppone una resistenza a ricevere cariche ulteriori, così che dobbiamo compiere un lavoro, cioè spendere un'energia, per proseguire nel nostro processo di elettrizzazione.

Concetto di carica; legge di Coulomb. - La carica come numero di elettroni. - Allo stato attuale delle nostre conoscenze sulla costituzione dell'elettricità, il modo più semplice e più rispondente al carattere del pensiero scientifico di definire il concetto di carica elettrica sarebbe quello di riferirsi al numero di elettroni in difetto o in eccesso nel corpo in cui ha sede, prendendo questo numero come misura di questa carica. Con questo noi verremmo ad assumere come unità di carica la carica dell'elettrone, ma per far questo dovremmo parlare per disteso, e qui non è il caso, di quelle esperienze che hanno dimostrato come questa unità di carica soddisfi alla condizione essenziale di essere una ed invariabile. Preferiamo quindi definire questo concetto di carica secondo la via consueta, ma mettendo bene in evidenza come proprio in questa definizione sia implicita la proporzionalità tra le cariche e le forze elettriche. In questo modo, per il principio della sovrapposizione delle forze, il fatto che la carica di un corpo sia determinata dal numero delle cariche elementari che la costituisce è la conseguenza della definizione di carica invece di esserne la definizione stessa.

La carica elettrica definita come causa delle sue azioni ponderomotrici. Unità di carica. - Sia A un corpo elettrizzato. Per studiare le azioni che esso è capace di provocare nello spazio circostante, usiamo di piccole sfere di prova anch'esse elettrizzate, tali che il loro diametro sia molto piccolo rispetto alle distanze di esse dal corpo A che si vogliono raggiungere nell'esperienza. Se poniamo una di queste sfere P1 in prossimità di A, si osserva che essa è sollecitata da una forza di una direzione ben determinata e di un'intensità ben definita f1 misurabile con i metodi consueti della meccanica, ad esempio con un sensibile dinamometro. Prendiamo ora una seconda sfera di prova P2 differentemente elettrizzata e poniamola al posto occupato precedentemente da P1. Si constaterà allora che anch'essa è sollecitata da una forza che ha la stessa direzione (non sempre lo stesso verso) di f1 ma la cui intensità f2 è diversa da f1. Situiamo le due sfere di saggio in un altro luogo in prossimità di A e misuriamo di nuovo le forze f1′e f2′ che agiscono sulle due sfere. Si constaterà ancora che f2′ ha la stessa direzione di f1′ e in più troveremo che i rapporti f1/f2 e f1′/f2′ sono uguali fra loro. Inoltre se assegniamo a questi rapporti anche un segno, positivo quando f1 e f2 (f1′ e f2′) hanno lo stesso verso, negativo nel caso contrario, constateremo che l'uguaglianza

è valida non solo in valore assoluto ma anche in segno. Se poi, invece di A, mettiamo al suo posto un altro corpo elettrizzato A′ e ripetiamo l'esperienza, troveremo ancora che il rapporto fra le forze che si esercitano sulle due sfere di prova è uguale a f1/f2 qualunque sia la posizione di queste rispetto ad A′.

Da queste esperienze si può concludere: che il rapporto fra le forze che si esercitano sulle sfere di prova dipende solo dal loro stato elettrico. Ammettiamo ora in modo del tutto arbitrario che la sfera P1 abbia una quantità di elettricità o carica unitaria e1 = 1. Noi definiamo allora come carica elettrica della sfera P2 il rapporto f2/f1 = e2 che, quando sia stata una volta per tutte scelta e fissata la carica unitaria e1, dipende solo dallo stato di elettrizzazione di P2.

Poiché si può anche scrivere f2 = e2f1, se riflettiamo che una volta fissata la carica unitaria positiva, la forza f1 ha (nel determinato punto ove si eseguiscono le misure) un valore costante, riguardando la f2 come la forza sollecitante la carica generica e2, vediamo stabilita in questa definizione di carica la proporzionalità fra la carica e la forza che su essa ne esercita un'altra (quella del corpo A) così come avevamo detto. Per completare la definizione rimane da fissare la scelta della carica unitaria. Ebbene: noi prenderemo come tale una carica (puntiforme) che situata alla distanza di 1 cm. da una carica uguale, la respinge con la forza di una dine (v.).

Legge di Coulomb. - Definita la dipendenza delle forze ponderomotrici dalle cariche, resta da stabilire in qual modo queste dipendono dalla distanza delle cariche stesse. L'idea che le forze elettriche dipendessero dalla distanza come le forze di gravitazione, fu espressa per la prima volta da J. Priestley (1767) e, indipendentemente da lui, da Cavendish (1771) che la dedusse logicamente dall'interpretazione di una sua esperienza nel modo che ancor oggi ha una forza dimostrativa più grande di tutte le misure dirette eseguite da Coulomb. Tuttavia questa legge delle forze elettriche porta il nome di questo fisico che la determinò senza conoscere i lavori di Cavendish, studiando le repulsioni che subiva una sfera di prova fissata a una leggiera sbarra orizzontale d'ebanite girevole intorno a un filo di sospensione verticale (bilancia da torsione) da parte di un'altra sfera di prova fissa. In conseguenza di queste repulsioni la sbarra ruotava intorno alla sospensione fino a che la torsione di questa non l'equilibrava. Dalla misura dell'angolo di torsione si poteva allora dedurre la misura di queste repulsioni. Peraltro le esperienze di Coulomb in conseguenza della dispersione delle cariche, dei fenomeni d'influenza esercitantesi fra queste e delle dimensioni delle sfere in cui queste risiedono, devono essere considerate più come esperienze verificative che probative. Altrimenti è per l'esperienza di Cavendish, che come abbiamo già detto fu ripetuta con grande esattezza da Maxwell. Una sfera conduttrice metallica è ricoperta da due semisfere cave conduttrici di spessore sottilissimo a essa aderenti, fra di loro combaciantisi e impugnabili con due manici isolanti. Se si dà a questo insieme una carica comunque elevata e poi si tolgono i due involucri, si trova che anche i più sensibili elettrometri non rivelano alcuna carica nella sfera interna. Ebbene: si dimostra analiticamente che il risultato di questa esperienza è spiegabile allorché e allorché soltanto si ammetta che gli elementi di carica si respingono con una forza che è inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza.

Dalla discussione dell'esperienza eseguita da Maxwell si può concludere che questa legge è valida con la precisione di 1/21600, ma d'altra parte che essa sia rigorosamente valida e che lo sia per le cariche elementari dimostrano con la loro validità tutte le conseguenze di questa ipotesi.

Si deve però ricordare che la forza coulombiana non è la sola che si eserciti fra le particelle elementari della materia e che nella fisica atomica è più proprio parlare di potenziale o meglio di campo di forze inteso nella sua totalità, anziché di singole forze.

A questo punto con un'ovvia generalizzazione alle forze di attrazione che si esercitano fra cariche di nome contrario possiamo riassumere nella seguente proposizione fondamentale nota come legge di Coulomb tutto il già detto. Se si attribuisce un segno positivo alle forze di repulsione e uno negativo a quelle di attrazione, la forza che due corpi di cariche e1 ed e2, prese col loro segno, esercitano l'uno sull'altro a una distanza r, è in grandezza e segno

se si suppone che le dimensioni dei due corpi siano così piccole rispetto alla loro distanza da poter considerare le due cariche come cariche puntiformi. Partendo da questa proposizione, come abbiamo già detto, l'elettrostatica si riduce a una scienza matematica. Il problema più importante che essa si propone di risolvere in questo modo è quello del calcolo della ripartizione delle cariche nei corpi conduttori, nelle condizioni di equilibrio e quello delle forze che esse determinano. Accenneremo ai fondamenti della trattazione di questo problema che ha raggiunto sviluppo enorme nel secolo passato e che oggi è completamente sistemata.

Campo elettrostatico. - a) Campo elettrico. - Si chiama campo elettrico lo spazio circostante una distribuzione di cariche elettriche nel quale sono sensibili le azioni di queste.

Se supponiamo di disporre di una sfera di prova la cui carica sia tanto piccola da non influenzare con la sua presenza in modo apprezzabile le cariche del campo e sia raccolta in una così piccola regione di spazio da poter individuare con approssimazione sufficiente la sua posizione dando le coordinate di un suo punto (per es., del baricentro), allora si può parlare della forza che si esercita su questa sfera di prova in seguito alla presenza di quelle cariche. Questa forza F si chiama forza elettrica del campo. Se ci riferiamo all'unità di carica, ossia dividiamo questa forza per la carica e della sfera, otteniamo una grandezza E = F/e che serve a definire punto per punto la forza elettrica che agisce su una carica qualunque situata in quel punto e che si chiama intensità del campo elettrico o brevemente campo elettrico. Nel sistema cui ci riferiamo le componenti del campo Ex, Ey, Ez, sono funzioni delle coordinate x, y, z di questo sistema.

b) Linee di forza. - In un campo elettrico si chiama linea di forza una linea la cui tangente in ogni suo punto è diretta nel senso della forza deì campo. Poiché in ogni punto questa ha una direzione ben determinata, per ogni punto dello spazio passa una e una sola di queste linee e queste sono una doppia infinità.

c) Potenziale. - Se la sfera di prova cui supponiamo per semplicità di aver dato una carica unitaria si sposta nel campo elettrico da un punto P1 a un punto P2 secondo una qualunque traiettoria, le forze del campo effettuano un lavoro che può essere positivo o negativo. L'espressione analitica di tale lavoro è secondo i principî della meccanica:

l'integrale essendo esteso sulla traiettoria dal punto P1 al punto P2. Ebbene: se, come accade nel caso delle forze elettriche (quando si rendano trascurabili le perdite di energia per irraggiamento), questo lavoro è indipendente dalla traiettoria percorsa per andare da P1 a P2, il campo di forze si dice conservativo, e fissato in esso un punto P0 il lavoro che si deve compiere per portare la carica unitaria positiva da un punto generico P del campo a questo punto P0 si chiama potenziale elettrico del punto P; la funzione di punto V(P) che viene così ad essere definita nello spazio del campo si chiama funzione potenziale.

Analiticamente scriviamo dunque

ponendo uguale a zero la costante addittiva, ossia il potenziale V(P0) in P0.

Generalmente per P0 viene assunto un punto a distanza infinita, dato che si può dimostrare che in tutti i punti a distanza infinita il potenziale elettrico ha un valore costante. Praticamente si prende come potenziale zero il potenziale praticamente costante di quel conduttore d'immensa capacità che è la Terra. Del resto nello studio dei fenomeni elettrici quelle che importano sono le differenze di potenziale da punto a punto e in particolare le differenze di potenziale da conduttore a conduttore, differenze in cui evidentemente non comparisce il valore della costante V(P0).

Dalla definizione di potenziale, si deduce reciprocamente:

Conformemente a questa definizione il potenziale in un punto di un campo creato da un insieme di n cariche puntiformi ei (che è poi il caso più generale) è dato dalla funzione

dove ri è la distanza del punto P da ei, quando si prenda, ripetiamo, V ∞ = 0 e le cariche col loro segno.

Sempre conformemente a questa definizione quando una carica e qualunque si sposta da un punto a potenziale V1 a un altro a potenziale V2, il lavoro eseguito in grandezza e segno è L = e (V1V2).

d) Superficie equipotenziali. Potenziale dei conduttori. - In un campo elettrico si dice equipotenziale una superficie i cui punti hanno tutti uno stesso potenziale. Le superficie equipotenziali sono ortogonali alle linee di forza, ossia sono tali che in ogni loro punto la forza ha la stessa direzione della normale a esse in quel punto. Viceversa ogni superficie ortogonale alle linee di forza è una superficie equipotenziale.

La semplice considerazione che, se sulla superficie di un conduttore la forza elettrica avesse una componente tangenziale, le cariche elettriche non sarebbero in equilibrio, ci conduce ad affermare che in condizioni di equilibrio la superficie di ogni conduttore è una superficie equipotenziale. Ma evidentemente, sempre perché vi sia equilibrio, il potenziale è costante anche nell'interno di un conduttore. Infatti, se così non fosse, nell'interno di questo la forza elettrica non sarebbe costantemente nulla. Per questa sua proprietà si usa parlare di potenziale di un conduttore anziché di potenziale in un punto di questo.

Il potenziale di un conduttore ne caratterizza il comportamento elettrico proprio perché in esso il potenziale deve essere rigorosamente eguale in tutti i suoi punti. Se si collegano fra loro due conduttori, questi sono in equilibrio solo se hanno lo stesso potenziale; se non lo sono, si manifesta un movimento di cariche dall'uno all'altro finché questa condizione non sia raggiunta. Se s'influenza un conduttore con una carica, avviene in questo uno spostamento di cariche finché questa condizione, inizialmente non verificata, sia raggiunta.

e) Capacità. Condensatori. - Si dice capacità di un conduttore isolato il rapporto c = e/V fra la sua carica e e il suo potenziale V. È facile dimostrare come la capacità di un conduttore sferico è misurata dal suo raggio; ne segue che la capacità unitaria è la capacità di una sfera che ha per raggio l'unità di lunghezza (1 cm. nel sistema C. G. S.). Come abbiamo già detto la capacità di un conduttore dipende, per il fenomeno d'induzione oltre che dalla sua forma e dimensioni, anche dall'influenza che possono esercitare su di esso altri conduttori a esso prossimi. Questa azione è ancora più forte se le cariche di ugual nome dei conduttori vicini sono eliminate per contatto a terra. Per questa influenza dei conduttori vicini la capacità di un conduttore aumenta, ossia, a parità di potenziale, è più grande la sua carica quando ha dei conduttori vicini. Perciò un conduttore posto molto vicino a un altro costituisce un condensatore. Si definisce capacità di un tale sistema il rapporto fra la carica e il potenziale di un'armatura (collettrice) quando l'altra (condensatrice) è la terra.

f) Energia di un sistema di conduttori. - Con l'aiuto del concetto di potenziale si può facilmente esprimere il valore dell'energia di un sistema di conduttori elettrizzati, ossia l'energia che essi sono capaci di cedere scaricandosi e quindi riducendo a zero il valore del loro potenziale (praticamente quando si scaricano a terra). Quest'energia misura anche il lavoro che occorre compiere per elettrizzare quei conduttori. Se questi sono n e le loro cariche sono e1 e2. .en i loro potenziali V1 V2. . .Vn l'energia ora detta è data dalla semisomma

dei prodotti delle cariche per i relativi potenziali.

In quello che precede abbiamo trattato più in particolare dell'equilibrio delle cariche nei conduttori. Spesso insieme a questo argomento s'includono nell'elettrostatica anche i fenomeni che le forze elettriche provocano nei corpi materiali non conduttori, ma per questi argomenti, che possono essere trattati in modo chiaro solo facendo largo uso della teoria elettronica della materia, rimandiamo alla voce elettricità. Diremo solo che quando fra due conduttori in luogo del vuoto o dell'aria come noi, salvo esplicita dichiarazione, abbiamo sempre ammesso, è interposta una materia isolante, questa, in conseguenza del fenomeno di polarizzazione cui abbiamo accennato, fa sì che le forze elettriche che in essa si misurano siano minori in determinato rapporto per ogni sostanza di quelle che si misurerebbero nel vuoto. In conseguenza di ciò si usa dare alla legge di Coulomb una forma tale da rendere conto di questa azione nel mezzo interposto fra le cariche dei conduttori. Precisamente si dice che "la forza che si esercita fra le due cariche puntiformi è proporzionale alla grandezza delle cariche e inversamente proporzionale al quadrato della distanza secondo un fattore di proporzionalità 1/k che dipende dalla natura del mezzo isolante interposto". Il numero k si chiama costante dielettrica di questo mezzo.

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