SPENSER, Edmund

Enciclopedia Italiana (1936)

SPENSER, Edmund

Piero Rebora

Poeta inglese, nato a Londra intorno all'anno 1552, secondo appare più attendibile dai dati ricavati dalla sua stessa opera. Suo padre, John, era un modesto mercante di tessuti originario del Lancashire, e mandò il figlio Edmund alla scuola dei Merchant Taylors poco prima fondata; donde procedette poi nel 1569, al Pembroke College di Cambridge, come sizar o pensionante semigratuito. A Cambridge si legò d'amicizia col dotto e pedante Gabriel Harvey e con altri intellettuali. Si dedicò agli studî classici e moderni, familiarizzandosi specialmente con Platone, nell'originale e attraverso gl'interpreti italiani, con Virgilio e con la poesia francese e italiana. Fin dal 1569 egli s'era provato in alcune traduzioni da una versione petrarchesca di Marot e in altre da Du Bellay, apparse nel Theatre for Worldlings di J. van der Noodt. Lasciata l'università di Cambridge nel 1576, lo S. si recò nel paterno Lancashire, dove s'innamorò d'una Rosalind, che alcuni vogliono identificare in quella o questa dama, mentre altri la considerano la convenzionale allegoria letteraria di moda. L'anno seguente lo troviamo a Londra dove l'amico Harvey lo presenta al potente conte di Leicester, favorito della regina, e a Sir Philip Sidney, il perfetto cortigiano, l'ideale dei cavalieri. Per Sidney sente devota amicizia basata sull'identità di ideali artistici e morali e specialmente sulla comunanza delle idee politiche e religiose. Come lui si rivela un tenace protestante tinto di misticismo platonico, accanito nemico dei cattolici, esaltatore della patria inglese da pochi anni indipendente da ogni autorità religiosa non nazionale.

Nel 1579 appare la prima opera dello S. dedicata appunto a Sidney, The Shepheards Calendar, con note a cura di un misterioso E. K. (forse Edward Kirke, amico dello S. e di Harvey); dodici egloghe pastorali, che sotto il convenzionalismo formale esprimono in realtà gl'intimi sentimenti del poeta che appare sotto l'allegorico personaggio di Colin Clout. L'elemento amoroso è solo una parte del motivo allegorico spenseriano, che si espande e si complica con allusioni morali e religiose, in cui vibra il tenace protestantesimo del poeta. Ma il fascino dell'opera sta nel mirabile virtuosismo stilistico e metrico, vera innovazione nella poesia inglese. Le migliori egloghe sono quella del mese di novembre, imitata dal Marot, e quella di ottobre che ha forma di dialogo fra due pastori che discorrono, con sentimento platonico, del valore e del significato della poesia. Nel primo periodo della sua attività letteraria lo S. compose alcuni lavori che non sopravvissero e che furono in parte incorporati, si può congetturare, nelle opere più tarde. Ma lo S. dopo il 1580 venne attratto dalla vita di corte e dalla politica e cercò una via di pratico successo, sollecitando la protezione del conte di Leicester e scrivendo satire, come Mother Hubberds Tale, di gusto e stile chauceriani, contro la politica opportunista del ministro Burghley e in difesa del più rigido protestantesimo. Ma pare che la corte non gli portasse fortuna. Passò in Irlanda come segretario privato di lord A. Grey of Wilton, il quale in due anni di inaudita repressione e di feroci massacri cercò di distruggere il risorgente cattolicismo nell'isola inquieta. Lo S. approvò l'operato di Grey, e dopo la sua partenza egli rimase nell'isola come funzionario inglese e finì per ottenere una proprietà, il castello di Kilcolman, nella contea di Cork. Nel 1590, ad istigazione di sir Walter Raleigh, lo S. si recò a Londra e venne presentato alla regina, alla quale dedicò i primi tre libri della Faerie Queene allora pubblicati; l'inizio del grande poema nazionale al quale aveva dedicato tutto il suo genio e che doveva lasciare incompiuto.

Lo S. trascorse qualche tempo nei circoli di corte, aspirando ad ottenere qualche posto eminente che gli permettesse di emergere nel servizio della patria e della religione alle quali si era votato. Compose varî componimenti poetici per alti personaggi, quali The Ruines of Times per la contessa di Pembroke, e la bella elegia Daphnaida per la marchesa di Northampton. Ma deluso nelle sue aspirazioni, disgustato dell'ambiente di corte poco favorevole ai poeti, lo S. nel 1591 tornò in Irlanda, non senza aver prima composto un volume di Complaints, nel quale sono raccolte poesie varie e satire, tra cui Mother Hubberds Tale, traduzioni da Petrarca, Marot e Du Bellay e una parafrasi del Culex di Virgilio.

Pure nei Complaints è raccolto un poemetto forse già prima pubblicato separatamente, Muiopotmos o il Fato della Farfalla, dove le descrizioni delle bellezze naturali, piante, fiori e animali in un giardino fantastico, raggiungono la raffinatezza di un perfetto lavoro di cesello. I suoi viaggi, il suo ritorno a Londra e le sue impressioni d'Irlanda sono raccontate in un poemetto Colin Clouts Come Home Againe, che apparve in stampa nel 1595 insieme ad Astrophel, a Pastorall Elegie, che contiene un'elegia in morte dell'amico sir Philip Sidney.

Nel giugno 1594 sposò Elisabeth Boyle dopo una lunga corte. La critica recentissima ritiene che questo fosse il secondo matrimonio dello S. Ad ogni modo tali nozze egli idealizzò in una collana di sonetti di casta e serena dolcezza: Amoretti, ispirati dal Petrarca e dal Tasso, e nell'ardente inno all'amore e alla bellezza, Epithalamion, che viene considerato la lirica più perfetta dello S. La squisitezza formale, pure offuscata come avviene in tutte le opere dello S. da prolissità e dal mellifluo tono pastorale, raggiunge l'eccellenza del più alto virtuosismo artistico in questo melodioso canto di sensuoso idealismo platonico. Nel 1596, dopo varie controversie private intorno ai suoi possedimenti in Irlanda, lo S. è di nuovo a Londra. Altri tre libri di Faerie Queene appaiono in quell'anno, e insieme l'altra sua lirica nuziale Prothalamion scritta in onore delle due figlie del conte di Worcester. Circa del 1598, ma pubblicato solo nel 1633, è il trattato View oj the Present State of Ireland, dove sono esposte le sue spietate teorìe di repressione delle libertà irlandesi, in difesa dell'opera reazionaria di lord Grey. Nel 1597 tornò al suo castello di Kilcolman; ma nell'anno seguente l'insurrezione anti-inglese esplose con rinnovata furia e la magione dello S. venne saccheggiata, incendiata, rasa al suolo. Il poeta con la moglie e quattro figli si rifugiò a Cork e poco più tardi egli fu mandato a Londra forse per invocare presso la corte una politica di forza in Irlanda. Ma poco dopo il suo arrivo a Londra, il 16 gennaio 1599, cadde malato e morì. La leggenda, del resto avvalorata da contemporanei quali Ben Jonson, ch'egli morisse in una soffitta di fame e di crepacuore per il crollo della sua fortuna in Irlanda, non è chiaramente provata. I dati che noi possediamo intorno alla sua morte e ai suoi funerali tendono anzi a scartare tale versione.

Lo S. venne sepolto in Westminster Abbey, presso la tomba di Chaucer.

Il capolavoro di S., The Faerie Queene, venne composto in gran parte nella solitudine della sua vita irlandese tra il 1580 e il 1595 col proposito di emulare, forse di superare (sono le sue stesse parole) l'Orlando Furioso. Ma al tempo stesso lo S. mirava a fare opera di esaltazione nazionale e religiosa, pur cogliendo a piene mani dai motivi poetici e dalle ispirazioni artistiche dell'Ariosto. L'ideale cavalleresco doveva costituire per lo S. un modello reale di perfezione morale, non di esaltazione artistica soltanto; e tale ideale doveva fondersi con un'altra creazione della mente italiana con il modello cioè del gentiluomo virtuoso, del cortigiano, di cui Baldassare Castiglione aveva disegnato la fisionomia perfetta. Il misticismo platonico dello S. non vede forse la sottile ironia ariostesca, onde tratta con gravità episodî dell'Orlando intesi puramente al diletto intellettuale accordandosi invece assai più, nel serio spirito informatore del poema, con gl'ideali religiosi che animano la Gerusalemme Liberata, la quale gli fu stimolo, con l'Orlando, alla composizione della Faerie Queene. Per l'anima religiosa dello S. Orlando è l'ideale del perfetto cavaliere che ha perso il senno perché troppo si è affidato alle passioni terrene e periture. Questo poema che doveva constare di dodici libri, ma del quale non ne restano che sei completi e frammenti di un settimo, è un romanzo d'avventure cavalleresche, disegnate secondo un piano di velate allegorie, religiose, morali e politiche.

Re Arturo ha visto in visione Gloriana, e, rapito dalla sua bellezza, si pone alla ricerca di lei recandosi nel paese delle fate. Nel tempo stesso Gloriana tien festa nella sua corte e per dodici giorni essa invia, ai postulanti che la invocano, un cavaliere che vendicherà i loro torti. Ciascun cavaliere rappresenta una virtù, e alla esaltazione di ognuna di esse i varî libri dell'opera sono dedicati. Nel primo libro il cavaliere della Rossa Croce, campione di Una o la Verità, rappresenta la Santità. Nel secondo, sir Guyon rappresenta la Temperanza, e nella narrazione della sua lotta contro tutte le seduzioni dei sensi noi troviamo alcune delle pagine più sincere ed efficaci del poeta. La descrizione del magico giardino d'Acrasia, culla di squisita sensualità, e della sua distruzione, rivela non già - come è stato detto - il sensuoso estetismo del poeta invano raffreddato dal suo incipiente puritanismo, ma, molto più semplicemente, lo sforzo intenso del suo idealismo morale consapevole delle seduzioni del paganesimo letterario ed etico del tempo. Il terzo libro svolge il tema della Castità; il quarto quello dell'Amicizia; e nella trattazione di queste virtù lo S. rivela le sue doti migliori di raffinato idealismo, specie là dove tempera gl'istinti sessuali della loro grossolana primitività e li eleva in una sfera di sentimento e di passione morale squisita. Nel quinto libro, della Giustizia, le allusioni politiche predominano; e tre fatti contemporanei, la ribellione cattolica in Irlanda, la guerra in Olanda e la condanna di Maria Stuarda ne formano la trama allegorica. Il bersaglio dello S. è sempre la chiesa cattolica (the Blatant Beast) e i suoi rappresentanti; i suoi peani sono per l'Inghilterra e il protestantesimo. Il sesto libro parla della Cortesia, e qui più che mai appare il principio etico della sua opera che era quello, come per il Castiglione nel Cortegiano, di foggiare un gentiluomo ("to fashion a gentleman"). La derivazione morale platonica dello S. dal Ficino, dal Bembo e dal Castiglione e forse da Giordano Bruno è altrettanto importante di quella formale poetica dall'Ariosto e dal Tasso, con i varî riferimenti verbali sporadici che vennero rintracciati nell'epica del Trissino e in altri minori.

Il poema appare privo di una vera unità, non solo esteriore ma anche artistica. Gli episodî si succedono senza intimo legame e le armoniose strofe, scorrenti con fluida melodiosità che traborda spesso nel prolisso, dànno l'impressione di smarrirsi in un mare di fantastiche divagazioni senza un filo conduttore visibile. In realtà l'unità è da trovarsi in parte nella sua stessa uniforme intensità di tensione poetica, quasi mare senza approdo, e anche nell'acceso nazionalismo politico e religioso che sottolinea allegoricamente tutte le sue creazioni artistiche. Sennonché tale allegoria, troppo spesso meccanicamente didattica secondo schemi di un medievalismo anacronistico, appesantisce la narrazione e tedia il lettore moderno. Che Gloriana rappresenti la Gloria e la regina Elisabetta, e che i varî cavalieri e le dame raffigurino diverse virtù e insieme particolari personaggi della corte inglese; e che invece i maghi e i ribaldi, Archimago, Orgoglio, Braggadoccio, Grandtorto, rappresentino il papa, Filippo II e così via, tutto ciò ha scarso interesse artistico e anche non eccessivo interesse culturale e documentario delle tendenze politiche dello S., che sono meglio espresse in altre opere.

Le sue fonti sono innumerevoli: dalla Bibbia ai romanzi medievali italiani, francesi e inglesi; dai poeti classici a Chaucer, ad Ariosto, a Tasso. Le reminiscenze ariostesche sono frequenti nelle similitudini, nelle descrizioni, nei tipi. Il castello di Venere ci richiama quello d'Alcina, l'episodio delle Amazzoni è comune ai due poemi, Britomarte e Bradamante sono sorelle, Rodomonte è il modello di Braggadoccio, e così via.

Ma le qualità più eminenti dello S. sono da ricercarsi nella sua tecnica poetica, che lo fece denominare "il poeta dei poeti". Il suo vocabolario è ricco, vario, raro, prezioso, pieno di coloriti arcaismi, fastoso come un bell'arazzo. S'intende come i poeti romantici inglesi, e specie Shelley e Keats, sentissero il fascino della sua ricca tavolozza, e più ancora della sua magica musicalità, ottenuta con raffinatezze metriche spesso da lui stesso inventate. La Faerie Queene è composta in una nuova strofa chiamata appunto spenserian stanza che, pur traendo dalla rhyme royal di Chaucer e ancor più dall'ottava italiana, possiede un'ef6cacia e una grazia sua propria. La spenserian stanza è costituita da otto pentametri giambici e da un alessandrino di chiusura, rimati come segue: a b a b b c b c C. Il poeta fa anche grande uso dell'allitterazione e dell'assonanza, e l'amore della musicalità tende non di rado a rallentare l'ispirazione nelle acque ferme del puro suono, dell'armonia senza sbocco, rendendo il corso della sua poesia lento e tedioso. Egli fu maestro di tecnica poetica, in parte ispirata dai modelli italiani, e insieme ardente patriota inglese, araldo idealistico del puritanismo e dell'imperialismo britannico.

Ediz.: I primi tre libri della Faerie Queene furono pubblicati nel 1590, e ancora con gli altri tre, nel 1596; il frammento del settimo nel 1609. Moderne edizioni delle opere complete dello S., a cura di F. J. Child (1855), e di J. P. Collier (1862); la grande edizione in dieci volumi di A. B. Grosart (1882-1884); la Globe Edition (1889), a cura di R. Morris; l'Aldine Edition (1902); The Oxford Spenser (1912), a cura di J. C. Smith e E. De Selincourt; The Works of S. a variorum Edition (Baltimora e Oxford, in continuazione).

Bibl.: R. W. Church, in English Men of Letters Series, Londra 1879; F. T. Carpenter, An Outline Guide to the Study of S., 1894; E. Legouis, E. S., Parigi 1923; W. L. Renwick, E. S.: an Essay on Renaissance Poetry, Londra 1925; E. Greenlaw, Studiers in S.s' historical allegory, Oxford 1932; B. E. C. Davis, E. S. A Critical Study, Londra 1933. Per le fonti italiane, cfr. A. Benedetti, L'Ariosto nella vita intellettuale del popolo inglese, 1914; O. Elton, Giordano Bruno in England, in Modern Studies, 1904; C. W. Lemmi, Influence of Trissino on the "Faerie Queene", in Philological Quarterly, luglio 1928, e molti articoli sparsi in riviste, specie americane.