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Nel diritto pubblico romano, atto con cui un magistrato munito di imperium dichiarava pubblicamente i criteri cui era ispirata la sua attività di governo. Particolare rilievo assunsero, nel corso dell’epoca repubblicana, gli e. dei cosiddetti magistrati giusdicenti, e specialmente quelli del pretore, in cui erano elaborati schemi astratti di azioni (➔ formula) ai quali il magistrato stesso si sarebbe attenuto durante l’anno di carica, al fine di individuare la tutela concreta da accordare al singolo cittadino che, nell’ambito di un processo privato, intendesse far valere le proprie ragioni contro un altro cittadino. Questi modelli di azione, se in parte si conformavano a quelli previsti dalla tradizione del ius civile romano, dall’altra risultavano frutto di una elaborazione del tutto nuova, di cui il pretore, consigliato in ciò dai giuristi, risultava formalmente l’autore. L’e. si atteggiò così, con il passare del tempo, a fonte di un ordinamento diverso (ius honorarium o praetorium) dallo stesso diritto civile, la cui applicazione veniva a essere talora adiuvata e integrata, talaltra invece paralizzata dalla giurisdizione del magistrato. Sul piano propriamente processuale, la fioritura degli e. formulari portò, a partire dalla fine del 3° sec., alla crisi del rito precedente (legis actiones), contrassegnato da eccessivi formalismi, e alla nascita di un processo nuovo, che all’inizio dell’impero sarebbe diventato quello ordinario in materia di controversie private. Fino ad allora il contenuto dell’e., opera del singolo pretore, tendeva a variare di anno in anno, sebbene già vi si individuasse una parte da ritenere consolidata, che veniva puntualmente ripresa dal magistrato eletto per l’anno successivo (cosiddetto edictum tralaticium), ferma restando la possibilità di apporti nuovi del tutto improvvisati (cosiddetto edictum repentinum). Durante il principato, tuttavia, la concorrenza dei funzionari imperiali – chiamati a sovrintendere sul nuovo processo della cognitio extra ordinem – portò ad attenuare la libertà dei pretori e l’e. cominciò a perdere la sua vitalità in quanto fonte autonoma del diritto. L’imperatore Adriano prese quindi atto della situazione e dette a Salvio Giuliano, massimo giurista del tempo, l’incarico di redigere una volta per tutte il testo dell’e., cui i singoli magistrati giusdicenti si sarebbero dovuti in futuro attenere (cosiddetto edictum perpetuum), senza poter introdurre modifiche che non fossero espressamente autorizzate. La sistematica interna all’e. fu oggetto di studio da parte dei giuristi, che secondo quella ordinarono parte delle loro opere giurisprudenziali; in particolare di quelle che specificamente commentavano il contenuto dell’e. non solo dei pretori, ma anche degli edili curuli e dei governatori provinciali.

In un’altra accezione, il termine passò a indicare la più ufficiale e importante delle costituzioni, o leggi, imperiali, l’unica munita di effetti veramente generali, in quanto formalmente indirizzata al senato o al popolo romano. La facoltà di emettere e. spettò inizialmente all’imperatore, perché munito anch’egli, al pari degli altri magistrati, di imperium (proconsulare maius et infinitum), tanto che inizialmente, in età augustea, l’e., diretto per lo più a comunità determinate (per es., agli abitanti di Cirene), restava in vigore soltanto per la durata della vita del principe. Con il passar del tempo, tuttavia, il provvedimento assunse il carattere di fonte autoritativa del diritto, destinata a produrre effetti finché un imperatore successivo non l’avesse come tale abrogata. Con il dominato, e specialmente con Costantino, il rilievo dell’e. divenne tale da oscurare quello di tutte, o quasi, le altre costituzioni imperiali, dette ‘particolari’ in quanto, fino ad allora, abitualmente emanate per regolare singole questioni giuridiche.

Tra gli e. più famosi, dei quali risulta evidente l’idoneità a disciplinare in modo universale materie d’importanza cruciale, si si ricordano: l’ E. di Caracalladel 212 d.C., che concedeva la cittadinanza romana a tutti i residenti nei confini dell’Impero; l’ E. di Milano del 313 d.C., con cui Costantino dichiarava ovunque lecita la professione della religione cristiana; l’ e. di Rotari, complesso di norme di diritto penale e privato emanato dal re Rotari nel 643; l’ E. longobardo (Edictum regum longobardorum), complesso di norme fondato sui 388 capitoli dell’E. di Rotari, integrati e modificati dai sovrani successivi; diversamente quello di Rotari, indirizzato soltanto alla popolazione longobarda, sembra che avesse valore territoriale, anche nei confronti dei cittadini romani.

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