EDEMA

Enciclopedia Italiana (1932)

EDEMA (dal gr. οἴδημα "tumefazione")

Guido Vernoni

S'intende per edema o idrope (dal gr. ὕδωρ "acqua") una soverchia raccolta di liquido trasudato dalle pareti vasali negl'interstizî dei tessuti o nelle cavità sierose del corpo, non accompagnata da fenomeni d'infiammazione. Questa definizione esclude dagli edemi in senso stretto quelli infiammatorî, poiché quando l'edema è conseguenza d'un processo infiammatorio (edema flogistico) assume per lo più caratteri speciali per cui, soprattutto dal punto di vista clinico, è meglio considerarlo separatamente (v. infiammazione). Il liquido trasudato può versarsi alla superficie libera delle mucose ed essere eliminato: così nell'edema polmonare s'ha sputo schiumoso, nell'edema dell'intestino s'ha diarrea sierosa, nell'asma da fieno s'ha abbondante eliminazione sierosa dal naso. Se il liquido si raccoglie nei tessuti si parla più propriamente di edema, se nelle cavità sierose, di idrope. Per le varie raccolte si hanno nomi speciali: idrotorace è l'idrope del cavo pleurico, idropericardio della sierosa pericardica, ascite del cavo peritoneale, idrocele della sierosa del testicolo, idrocefalo dei ventricoli cerebrali. Quando l'edema è generale di tutto il corpo, si parla di anasarca.

Composizione del liquido dell'edema. - A questo liquido si dà il nome di trasudato per distinguerlo dall'essudato sieroso che si forma in certi processi infiammatorî. Talora questi due liquidi sono pressoché identici, ma l'essudato ha sempre un maggiore contenuto in sostanze proteiche, che si mette facilmente in evidenza con una semplicissima reazione precipitante o prova del Rivalta. Il trasudato ha tutto l'aspetto d'un plasma sanguigno diluito. È per lo più limpido e trasparente dopo sedimentazione, di colore citrino, di sapore salato. Ha reazione alcalina. Contiene gli stessi costituenti chimici del plasma sanguigno, ma scarse proteine (2-3%) e scarsi elementi morfologici, e per lo più non coagula spontaneamente, mentre aggiungendovi sostanze contenenti il fermento fibrinogeno, p. es., del siero di sangue, si forma un lieve coagulo. Accidentalmente il trasudato può contenere mucina, notevoli quantità di grasso (trasudato chiloso nel peritoneo nelle fistole del dotto toracico), emoglobina, pigmenti biliari (itterizia), glucosio in eccesso (diabete), cellule speciali dei tessuti. I trasudati invecchiando possono concentrarsi notevolnente. Differenze notevoli, specie nel contenuto proteico, sono in rapporto alla sede del trasudato, poiché i capillari dei varî organi e tessuti hanno proprietà diverse e diverso potere filtrante.

Sintomatologia. - La parte edematosa presenta modificazioni nell'aspetto che variano secondo la sede, l'estensione, il grado dell'edema. La tumefazione dipende molto dalla distendibilità del tessuto: così è minima al cuoio capelluto e massima allo scroto, e manca nelle ossa. La cute è pallida, ma se è ostacolato anche il deflusso delle vene superficiali, può essere marmorizzata, o cianotica, o rosso bruna per diffusione d'emoglobina. Inoltre la parte è fredda. Si ha poi una speciale pastosità che si riconosce perché, comprimendo la parte con un dito, la depressione prodotta, anziché scomparire immediatamente come nella pelle normale, persiste un certo tempo. Gli edemi viscerali e le idropi si mettono facilmente in evidenza con le pesate frequenti del corpo: quando il peso aumenta sensibilmente in breve tempo, e non per ingrassamento, l'aumento è verosimilmente dovuto a ritenzione d'acqua, cioè a edemi nascosti. Le idropi delle cavità toracica e addominale, se raggiungono un certo grado, sono dimostrabili con la percussione e altri segni, e le punture esplorative (da farsi con le dovute cautele) confermano il reperto e definiscono la natura del versamento (essudato, trasudato).

Conseguenze per i tessuti. - Molte conseguenze dannose dipendono non tanto dall'edema, quanto da altre cause accessorie. In ogni caso però le parti edematose sono meno resistenti alle infezioni, traumi, ecc. La maggior parte dei tessuti tollerano abbastanza bene l'edema, ma naturalmente certi edemi sono particolarmente pericolosi, così quello della glottide (soffocazione), quello del polmone, del pericardio, quello acuto del cervello.

Il trasudato fisiologico e la circolazione interstiziale. - Per comprendere il meccanismo di formazione degli edemi, bisogna prima conoscere il meccanismo di formazione del trasudato normale o fisiologico e la sua circolazione nei tessuti. In condizioni normali la nutrizione delle cellule e delle sostanze intercellulari è assicurata mercè una continua trasudazione di plasma nutritivo, dal sangue, attraverso la parete dei capillari sanguiferi, nei tessuti. Questo liquido nutritizio permea il tessuto stesso fornisce alle cellule gli alimenti di cui abbisognano e si carica dei loro rifiuti; quindi, mantenendosi in continuo movimento, attraverso un perfetto sistema di drenaggio è riassorbito e asportato, sia dalle radici delle vene, sia dalle radici dei vasi linfatici, i quali ultimi si originano a fondo cieco in seno ai tessuti medesimi. Così la circolazione del plasma nutritivo s'inizia dal sangue arterioso, percorre un certo tratto nei tessuti e poi rientra nel sangue venoso, sia direttamente, attraverso i capillari venosi, sia indirettamente, per la via più lunga dei linfatici i quali sboccano nelle vene in prossimità del cuore. Normalmente v'è un equilibrio tra afflusso ed efflusso di trasudato. In condizioni patologiche questo equilibrio si può alterare: se l'afflusso prevale sull'afflusso si ha l'edema, se succede l'inverso si ha un prosciugamento di tessuti (nelle gravi perdite di liquido, come nelle emorragie, nelle diarree profuse da colera).

La circolazione interstiziale, o lacunare, del trasudato è condizionata e regolata da molteplici fattori, alcuni dei quali iene conosciuti, altri logicamente ammessi o presunti. Essi sono rappresentati:1. dalla pressione idraulica cui è sottoposto il sangue all'interno dei capillari; la quale essendo superiore a quella esterna, determina una corrente di filtrazione, cioè una fuoruscita di plasma attraverso la parete capillare. L'intensità di questa corrente è, per legge fisica, proporzionale alla differenza di pressione fra l'interno e l'esterno dei capillari; 2. dalla permeabilità della parete capillare. Trattandosi di membrana vivente, dobbiamo ammettere che le sue proprietà filtranti siano, non solo diverse da tessuto a tessuto, ma altresì variabili da momento a momento, secondo lo stato di funzione o di riposo del tessuto stesso. Variando la permeabilità d'una membrana filtrante varia non solo la quantità, ma anche la natura del filtrato; 3. dalla concentrazione molecolare o pressione osmotica dei liquidi interno ed esterno ai capillari, avendosi, com'è noto per le leggi di diflusione, una corrente d'acqua dalla soluzione meno concentrata verso quella più concentrata e un movimento inverso del materiale disciolto; 4. dalla pressione di rigonfiamento, o pressione oncotica, o, com'è più comunemente designata, pressione osmotica delle proteine del plasma, dovuta al fatto che le proteine, a differenza delle altre sostanze saline disciolte, essendo allo stato colloidale, non possono filtrare attraverso la parete dei capillari, e perciò trattengono nei vasi una certa quantità dell'acqua in cui sono disciolte, contrastando così la pressione idraulica che tende invece a espellere l'acqua dai vasi; questa pressione osm0tica delle proteine dipende da varî speciali fattori fisico-chimici di diversa interpretazione (v. colloidi); 5. oltre a tutti i fattori ora elencati, influenzanti in vario modo il movimento dei liquidi interstiziali, si può altresì supporre che intervengano attivamente le cellule endoteliali, che costituiscono la parete filtrante dei capillari, e non solo, come s'è già accennato, variando la permeabilità della membrana filtrante, ma anche funzionando come vere e proprie cellule ghiandolari, cioè prelevando elettivamente dal sangue determinati materiali o liquidi e riversandoli nei tessuti, e viceversa. A un simile processo di secrezione il fisiologo R. Heidenhain diede importanza fondamentale per il movimento dei liquidi interstiziali. Una simile attività secernente dell'endotelio vascolare non può escludersi a priori, ma non sembra necessaria per spiegare i fenomeni osservati, e neppure molto verosimile. Secondo l'importanza che si vuol dare all'uno più che all'altro di questi fattori, si hanno le varie teorie fisiologiche sulla formazione della linfa. La teoria di K. F. W. Ludwig dà la massima importanza al fattore meccanico della filtrazione; la teoria di Heidenhain all'attività secretoria dell'endotelio vasale; infine secondo la teoria eclettica di I. Cohnstein (teoria della trasudazione) intervengono fattori sia meccanici (pressione idraulica) sia fisico-chimici (differenze di pressione osmotica).

Per spiegare gli scambî normali di liquidi tra il sangue dei capillari e i tessuti, si può supporre, secondo A. Bayliss, che i capillari presentino nel loro decorso fra arterie e vene, tre zone fisiologicamente diverse. Nella prima, cioè all'inizio del capillare (capillare arterioso), la pressione sanguigna è forte e superiore alla pressione osmotica delle proteine: quindi, liquido plasmatico fuoresce dai capillari nei tessuti. Nella seconda, zona intermedia, le pressioni s'equilibrano e non v'è scambio di liquido. Nella terza (capillari venosi), la pressione endocapillare è caduta e divenuta inferiore alla pressione osmotica delle proteine, si verifica quindi un riassorbimento di liquido dai tessuti nel sangue. Si può immaginare che questo fenomeno si regoli automaticamente a mano a mano che la pressione idraulica s'abbassa, ciò che succede molto rapidamente nel passaggio tra arterie e vene, e contemporaneamente per la perdita d'acqua del sangue la pressione osmotica s'innalza. Quanto all'influenza della pressione osmotica dei sali, questa s'esercita nel senso d'attivare acqua nei tessuti ove la concentrazione molecolare è maggiore, data l'abbondanza di prodotti di scissione. Una parte del liquido interstiziale, anziché essere riassorbito nei capillari venosi, è spinto per filtrazione entro le radici dei vasi linfatici per mezzo dei quali rientra nel sangue.

Le varie forme di edemi e la loro patogenesi. - In condizioni normali l'equilibrio tra i varî fattori della circolazione interstiziale varia entro limiti piuttosto ristretti. Queste variazioni si rendono manifeste col maggiore o minor turgore della pelle, ciò che è particolarmente evidente nel volto. Oppure, dopo lunga permanenza nella stazione eretta, o la sera dopo una giornata faticosa, s'avverte un lieve gonfiore dei piedi, ciò che è più frequente nelle donne che portano calzature incongrue. Oscillazioni fisiologiche molto ampie nel contenuto acquoso dei tessuti si hanno in certi visceri, specialmente nel fegato, regolatore della distribuzione dell'acqua.

Passando alle condizioni nettamente patologiche, cominciamo col considerare una categoria di edemi estremamente frequenti, quelli da alterazioni primitive della meccanica circolatoria: edemi meccanici, edemi da stasi. Essi si formano tutte le volte che il circolo capillare è durevolmente rallentato, o perché la forza propulsiva del cuore è diminuita, oppure perché il deflusso dalle vene è ostacolato. A questa categoria appartengono gli edemi o idropisie dei malati di cuore. In questi malati gli edemi sono particolarmente accentuati nelle parti declivi del corpo, nelle quali, a parità d'altre condizioni, il circolo subisce un particolare aggravio per il fatto che il sangue venoso refluo deve vincere un maggiore dislivello per tornare al cuore. Onde gli edemi iniziali dei malleoli che poi si estendono a tutti gli arti inferiori, allo scroto, all'addome, al peritoneo, e anche al resto del corpo (idropisia cardiaca). Altri edemi da stasi sono quelli da occlusione d'impornmti tronchi venosi come la vena porta: così nell'indurimento atrofico del fegato detto cirrosi epatica vengono a chiudersi i rami intraepatici della vena porta che raccoglie il sangue di tutto l'apparato digerente addominale; ne segue un'ascite che può raggiungere dieci e più litri di liquido, che deve essere periodicamente evacuato con punture (paracentesi). Un'altra forma di tali edemi è la seguente: nelle vene femorali, che raccolgono il sangue degli arti inferiori, in certe malattie (infezioni delle puerpere, convalescenza di malattie infettive gravi, malattie croniche depauperanti come cancro, tubercolosi, ecc.) il sangue si rapprende nel loro lume, occludendolo (trombosi); allora tutto l'arto corrispondente diviene fortemente edematoso (così detta phlegmasia alba). Perché le occlusioni venose diano edemi, deve trattarsi dell'occlusione di tronchi venosi assai importanti, ché altrimenti il sangue si fa strada in quantità sufficiente per rami collaterali, i quali non mancano mai nel sistema venoso, e che facilmente si dilatano sino a bastare alle nuove condizioni di circolo.

Il meccanismo patogenetico degli edemi da stasi è abbastanza chiaro. Ricerche sperimentali ormai antiche (R. Lower 1860, J. B. Bouillanud 1823) indicavano l'importanza degli ostacoli venosi nella produzione degli edemi. Ma, con maggiore precisione, A. Ranvier mostrò (1869) che la sola legatura della vena femorale, e poi anche della vena cava, non bastavano a produrre l'edema dell'arto; ma questo compariva tosto, se s'aggiungeva il taglio del nervo sciatico contenente i nervi vasocostrittori. Analoga esperienza si poteva ripetere nell'orecchio del coniglio (R. B. Boddaert). Ciò dimostrava come il maggiore afflusso di sangue, conseguente alla vasodilatazione paralitica per il taglio dei nervi, verificandosi in un territorio con circolo refluo gravemente ostacolato dalla legatura delle vene, produceva un edema che uno solo dei due fattori non era bastato a produrre. Si deve però osservare che simili esperienze non dànno sempre lo stesso risultato, e che molte volte si possono produrre edemi con la sola occlusione venosa in certi territorî. La chiusura sperimentale, o da malattie spontanee, dei vasi linfatici d'una parte, non basta di regola per dare edemi: solo nel caso d'una compressione, p. es. da tumore, del grosso tronco del dotto toracico, che raccoglie la linfa di tutta la parte inferiore del corpo, si può avere ascite e anasarca. Ciò dipende dal fatto che nel drenaggio del liquido interstiziale ha molto maggiore importanza il circolo venoso che non quello linfatico, che può essere facilmente compensato.

Nell'interpretazione degli edemi da stasi bisogna invocare varî fattori. Le condizioni circolatorie nei capillari ove regna la stasi sono molto alterate, sia quando è primitivamente ostacolato il deflusso venoso, sia quando è primitivamente abbassata la pressione arteriosa, o vis a tergo, come nelle malattie di cuore. Nelle quali la diminuita efficienza del cuore si fa risentire tanto sulla pressione arteriosa, abbassata, quanto su quella venosa, aumentata. Nell'uno e nell'altro caso, dunque, la pressione aumenta nelle vene, e quindi nei capillari venosi, i quali si dilatano e poi si sfiancano, e il sangue, essendo diminuita la differenza di pressione artero-venosa, circola più lentamente, le pareti mal nutrite si alterano e conseguentemente, com'è dimostrato da molte esperienze sugli effetti delle alterazioni vasali, divengono più permeabili; il trasudato sanguigno aumenta e si raccoglie in maggior copia nei tessuti. Ma ciò non basterebbe a produrre l'edema se, contemporaneamente, l'alterato circolo venoso non ostacolasse il riassorbimento del liquido interstiziale, sia per via venosa, com'è evidente, sia anche per via linfatica. Infatti, i linfatici della parte, compressi dall'edema iniziale, e, per la diminuita elasticità dei tessuti diminuendo in essi la vis a tergo che fa circolare la linfa, funzionano male; in una parola il drenaggio dei liquidi interstiziali è inceppato e l'edema s'accresce. I tessuti edematosi perdono, come s'è detto, della loro elasticità, e non s'oppongono al progressivo sfiancamento, onde l'aumento ulteriore dell'edema sino a limiti che variano secondo la natura dei tessuti. In questo concorrere di condizioni anomale circolatorie, il fattore iniziale è dato dall'alterata meccanica circolatoria, onde rallentamento della corrente capillare e aumento della pressione venoso-capillare, dilatazione e sfiancamento delle pareti capillari, alterazione e conseguente aumento di permeabilità delle medesime; tutto ciò esagera l'alflusso di trasudato ai tessuti. Ora, questi stessi fattori, soprattutto la rallentata circolazione venosa e la diminuita elasticità dei tessuti, ostacolano il deflusso del trasudato, che ristagna e vi s'accumula a formare l'edema. In una parola troviamo alterati tutti quei meccanismi che promuovono la circolazione interstiziale normale.

Edemi discrasici, edemi nefritici. - In questa categoria possono includersi i cosiddetti edemi cachettici o marantici, che compaiono in malattie croniche depauperanti, come anemie, tumori, tubercolosi, beri-beri; gli edemi senili, e gli edemi da fame ben conosciuti durante e dopo la guerra. Ma i più importanti sono gli edemi che molto frequentemente accompagnano le malattie renali, edemi nefritici, i quali possono essere diffusi e intensi come quelli cardiaci; ma se ne distinguono perché compaiono anche nelle parti non declivi, specialmente al volto (edemi palpebrali dei nefritici).

Per lungo tempo si è data importanza nella genesi di questi edemi alla cosiddetta idremia, cioè alla diluizione, o diminuita concentrazione del sangue, la quale si manifesta non a carico dei composti salini, ma dell'albumina: si ha cioè ipoalbuminosi. Si spiegava questa ipoalbuminosi con le perdite d'albumina per le urine che sono quasi di regola nei nefritici. Il sangue ipoalbuminoso, cioè idremico, filtrerebbe l'eccesso di acqua nei tessuti, onde gli edemi. Questa interpretazione non è però sufficiente, perché se si diluisce il sangue nel cane, salassandolo e sostituendo il sangue asportato con soluzione salina, non si hanno edemi: quindi il semplice fattore idremico non sembra bastevole. Tuttavia la teoria ha un fondo di verità. Nei nefritici con edemi il sangue è idremico, cioè la concentrazione delle albumine nel sangue è abbassata. Quindi è anche abbassata la loro pressione osmotica (si sono trovati nei nefritici valori di 10 cm. di acqua, mentre i valori normali sono di circa 45-47; Govaerts ha trovato valori normali di 35-40 cm. d'acqua, mentre nei nefritici edematosi la pressione era inferiore a 30 e poteva scendere a 12 cm.). Ora pare che l'abbassamento della pressione osmotica negli edemi nefritici sia dovuto a due fattori:1. alla diminuita concentrazione proteica, cioè all'idremia che può attribuirsi a un'insufficiente eliminazione di acqua attraverso i reni malati; 2. a una modificata proprietà delle proteine per cui, a parità di peso, esercitano una minor pressione osmotica che non quelle del sangue normale. Queste differenze si riscontrano quasi esclusivamente negli edemi nefritici e non in quelli meccanici. Le albumine dei nefritici avrebbero dunque una pressione osmotica specificamente abbassata. Cercando la ragione di questo fatto Govaerts trovò che esisteva una relazione fra pressione osmotica delle proteine e la proporzione relativa di sieroalbumine e sieroglobuline del plasma sanguigno. E precisamente aumentando il contenuto relativo delle globuline s'abbassa la pressione osmotica. Ora appunto nelle nefriti con edemi (nefriti idrogene) si trova nel siero un aumento delle globuline oltre alla diminuzione totale delle proteine. Così si spiega come, nel sangue dei nefritici, la pressione osmotica delle proteine essendo abbassata, venga a rompersi l'equilibrio normale tra pressione idrostatica endovascolare e pressione osmotica proteica, a favore della prima e quindi una maggior quantità di liquido fuoriesca dai vasi stessi nei tessuti. Ma, come s'è rilevato parlando degli edemi da stasi, ciò non basterebbe a spiegare l'edema perché a una maggior quantita di liquido stravasato potrebbe facilmente corrispondere un aumentato riassorbimento di liquido dai tessuti. Perché ciò non succede e il liquido stravasato in eccesso ristagna nei tessuti a formare l'edema? S'è invocato a questo proposito un aumento della cosiddetta idrofilia dei tessuti, cioè un cambiamento delle proprietà fisico-chimiche dei colloidi istogeni nel senso che divengono più avidi di acqua, che trattengono in maggior copia. Per analogia coi risultati di ricerche sperimentali sulla idrofilia di un colloide organico, la gelatina, s'è pensato che vi sia nei tessuti edematosi dei nefritici un eccesso di acidità che aumenterebbe e l'idrofilia delle proteine (Fischer). Secondo altri l'idrofilia dei tessuti dipenderebbe dal loro contenuto in colesterina: s'è infatti dimostrato che mentre così gli acidi grassi come la colesterina non si sciolgono in acqua, un miscuglio di queste due sostanze assorbe acqua, e tanto più ne assorbe quanto maggiore è il contenuto relativo in colesterina. Ora questo rapporto, colesterina: acidi grassi, dovrebbe essere aumentato nei tessuti dei nefritici edematosi che pertanto attirerebbero maggior quantità di acqua. Ma di ciò mancano sinora attendibili dimostrazioni. In conclusione gli edemi discrasici (e quelli da fame) riconoscerebbero come fattori causali non solo delle alterazioni della crasi sanguigna (idremia, diminuita pressione osmotica delle proteine plasmatiche), ma anche delle modi- ficazioni locali dei tessuti (fattore locale degli edemi). Ma il problema è tutt'altro che esaurito. Aggiungiamo che secondo altri (P. Widal e collaboratori) l'edema nefritico sarebbe dovuto a una ritenzione di cloruro di sodio nell'organismo, per deficiente eliminazione urinaria. Questo eccesso di sale sarebbe tosto riversato nei tessuti, per evitare una pericolosa modificazione della concentrazione salina del plasma, e insieme col sale si riverserebbe naturalmente dell'acqua per mantenerlo in soluzione sufficientemente diluita. Questa teoria sembrava appoggiata dal fatto, di facile e comune constatazione clinica, che sopprimendo il sale dalla dieta degli edematosi gli edemi regrediscono e scompaiono, e risomministrandolo gli edemi ritornano. Ma questo significa solo che negli scambî umorali l'acqua e il sale vanno sempre insieme in determinati rapporti: non si può avere cioè nell'organismo, dell'acqua che non sia salata, né del sale che non sia disciolto a una data diluizione. Per cui se in un edematoso il sale che viene inevitabilmente perduto con le urine, non è sostituito dagli apporti alimentari, vi sarà una sottrazione di sale dal sangue e secondariamente dai tessuti: onde la regressione degli edemi. E, viceversa, ingerendo un eccesso di sale rispetto a quello che può essere eliminato con le urine dai reni malati, esso si accumulerà prima nel sangue e poi nei tessuti, provocandovi l'edema. Non pare in ogni modo che si possa ammettere nelle nefriti idropigene un ostacolo specifico all'eliminazione urinaria del cloruro di sodio. Sempre per spiegare gli edemi nefritici si sono avanzate diverse ipotesi. S'è invocata un'alterazione generale della parete dei capillari sanguiferi che diverrebbero molto permeabili. Cosi potrebbero passare proteine plasmatiche in eccesso che si accumulerebbero nei tessuti richiamandovi l'acqua. Altri autori pensano a influenze ormoniche di ghiandole a secrezione interna, specie della tiroide che, com'è noto, con la sua iperattività determina come un prosciugamento dei tessuti e con la sua insufficienza un'infiltrazione acquosa (morbo di Basedow, mixedema).

Edemi neurotici. - Sono in rapporto con disturbi vasomotorî e si verificano in soggetti neutopatici (edema angioneurotico). Si tratta di manifestazioni locali sulla cute o sulle mucose, che vanno dal semplice arrossamento al turgore, o alla formazione di vescicole a contenuto sieroso. L'edema può comparire nella laringe dov'è assai pericoloso. Possiamo intendere in qualche modo la genesi di questi edemi pensando alle influenze dei nervi vegetativi sui vasi periferici e particolarmente a quelle sui capillari. Tali influenze nervose possono forse accompagnarsi ad altre d'ordine tossico per liberazione di sostanze tipo istamina, che determinano paralisi e sfiancamento dei capillari con edemi. Ma non è possibile dare spiegazioni precise. In conclusione si può ritenere che il determinismo degli edemi sia, anche nei casi apparentemente più semplici, com'è quello degli edemi da stasi, piuttosto complesso. Molteplici fattori intervengono, che da soli non basterebbero alla produzione dell'edema. Sono alterazioni meccaniche, fisiche e fisico-chimiche del sangue, delle pareti capillari, dei tessuti e dei liquidi interstiziali, che quasi sempre s'associano con vari rapporti d'interdipendenza.

Cura. - Le cure palliative consistono nei varî procedimenti di eliminazione del trasudato, ciò che si fa facilmente nei casi di raccolte cavitarie. Le cure indirette consistono nella riduzione delle bevande e del sale. Col regime aclorurato in molti casi gli edemi, di qualsiasi natura, discrasici o meccanici, regrediscono e scompaiono. Gli effetti sono migliori all'inizio delle malattie. Le cure causali si rivolgono al cuore, ai reni, ai vasi.

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