Ecotossicologia

Enciclopedia della Scienza e della Tecnica (2007)

Ecotossicologia

David B. Peakall

L'ecotossicologia è l'area di studio che integra l'analisi degli effetti ecologici e tossicologici degli inquinanti chimici. Sebbene l'interesse degli ecotossicologi sia rivolto prevalentemente ai livelli di organizzazione superiori quali popolazione, struttura di comunità ed ecosistemi, man mano che si sale lungo i livelli organizzativi diventa sempre più difficile mettere in relazione un effetto riscontrato con una specifica sostanza chimica. Lo studio ecotossicologico deve quindi prendere in considerazione il movimento degli inquinanti nell'aria, nell'acqua e nel suolo, nonché lungo le reti trofiche con le biotrasformazioni e quindi il passaggio da specie a specie. Di conseguenza, deve porre attenzione agli effetti degli inquinanti sugli organismi viventi e a livello di popolazione, di struttura della comunità e, ove possibile, dell'intero ecosistema.

Disciplina relativamente recente, l'ecotossicologia combina quindi diversi approcci: lo studio dell'effetto di una sostanza sul singolo individuo è affiancato dalla ricerca sugli effetti su larga scala, sia spaziale che temporale. Proprio questo passaggio di scala è stato il problema principale che ha portato alla maturazione di tale ambito di ricerca. L'esempio più noto è probabilmente quello dei pesticidi che, dopo l'utilizzo massiccio in agricoltura, sono stati trovati in altissime dosi nelle popolazioni umane e animali in luoghi molto lontani da quelli della loro iniziale diffusione. Uno dei problemi principali legati all'imprevista permanenza degli inquinanti negli ecosistemi è sicuramente il progressivo cambiamento nella composizione delle specie nei diversi ecosistemi. La presenza di pesticidi può far diminuire la biodiversità degli Insetti e quindi influire sui loro predatori: l'introduzione da parte dell'uomo di sostanze chimiche nell'ambiente è di conseguenza una delle maggiori minacce per la biodiversità. Inoltre, l'uso massiccio di pesticidi e antibiotici ha finito per far evolvere nuovi ceppi di organismi resistenti alle sostanze utilizzate, rendendole inutili o facendo diventare necessario l'uso di quantità maggiori di inquinanti.

Lo sviluppo industriale nel Novecento ha provocato anche altri problemi. Le piogge acide, per esempio, che hanno messo a repentaglio la vita delle foreste europee, sono dovute alle emissioni inquinanti delle industrie. Tra i problemi più pressanti legati alle emissioni di gas vi è sicuramente il cosiddetto 'effetto serra', che sta causando l'innalzamento della temperatura del pianeta e ha ricadute imponenti sugli ecosistemi. Così come per la messa al bando di alcuni tipi di pesticidi rivelatisi particolarmente nocivi, sono necessari accordi internazionali che spingano a ridurre l'emissione di sostanze che potrebbero ulteriormente peggiorare la situazione. L'azione intergovernativa è stata alla base della messa al bando dei clorofluorocarburi (CFC) che, con l'accumulo negli strati più alti dell'atmosfera, hanno portato alla progressiva distruzione dello strato di ozono che protegge il pianeta dai raggi solari. Il pericolo che si ripeta un problema simile ‒ con sostanze chimiche 'dormienti', i cui danni vengono scoperti solo dopo molti anni ‒ è ciò che rende necessaria la valutazione ecotossicologica per ogni nuova sostanza che si intende immettere nell'ambiente, con la consapevolezza che conoscere in anticipo tutte le conseguenze è impossibile.

Gli inquinanti e la loro distribuzione negli ecosistemi

Metalli

I metalli, presenti in natura, possono avere effetti tossici quando, in seguito ad attività umane, vengono riversati in eccesso nell'ambiente. Il metallo a più elevato rapporto tra emissioni provocate dall'uomo ed emissioni naturali è il piombo, in gran parte per il suo utilizzo nella benzina; è stato calcolato che l'80-90% del piombo presente nell'aria negli anni Ottanta del Novecento proveniva da questa fonte. Nei Paesi occidentali questa fonte è diminuita considerevolmente, ma costituisce ancora un problema in molte zone del mondo. Mentre gli elementi metallici di per sé non possono essere creati o distrutti, quelli organometallici possono essere prodotti o decomposti. Accanto al tetraetilpiombo, utilizzato nella benzina, un altro composto organometallico di sintesi che viene disperso nell'ambiente è il tributilstagno (TBT), usato come antivegetativo per le imbarcazioni, che inibisce la riproduzione dei Molluschi. Pochi composti organometalli vengono sintetizzati in natura; il più importante è il metilmercurio. Il mercurio inorganico può essere metilato dai microrganismi; si forma il dimetilmercurio che viene assorbito molto più facilmente dagli organismi. Con la realizzazione di bacini idroelettrici, l'inondazione dei terreni può liberare mercurio dal suolo, che viene metilato e si accumula in tutte le forme viventi della zona.

Pesticidi

fig. 2

Benché alcuni composti organoclorurati (OC) siano presenti in natura, quelli d'importanza ecotossicologica sono composti sintetici prodotti come pesticidi o per scopi industriali. Tra i primi vi sono composti ben noti quali il DDT, diclorodifeniltricloroetano, e il dieldrin, tra i secondi i policlorobifenili (PCB) e le diossine policlorurate (PCCD). Gli organoclorurati sono composti stabili, poco solubili in acqua e molto solubili nei lipidi. Queste caratteristiche fanno sì che tali composti vengano bioaccumulati lungo la catena alimentare, in particolare al suo apice, come confermato da molti studi (fig. 2). Uno degli effetti a diffusione maggiore dei pesticidi a base di composti organoclorurati è la riduzione di molte specie di uccelli ittiofagi e rapaci in tutto l'emisfero settentrionale.

Un gruppo di OC usato per un'ampia gamma di scopi industriali e che ha causato gravi problemi ambientali è quello dei PCB. Usati per la prima volta in campo industriale agli inizi degli anni Trenta del XX sec., sono molto stabili ma non sono stati rinvenuti nell'ambiente fino alla metà degli anni Sessanta. La scoperta dei pesticidi a base di composti organoclorurati nella fauna del continente antartico, alla fine degli anni Sessanta, fu la prima preoccupante dimostrazione della natura globale della contaminazione ambientale dovuta a questi composti: infatti, nessuno di essi era mai stato utilizzato in quel continente. Nell'Artide vennero registrati livelli di PCB piuttosto elevati nella flora e nella fauna. Nella popolazione umana indigena dell'Artico canadese il livello di PCB risultava circa quattro volte superiore a quello degli abitanti della parte meridionale del Paese. Se confrontati con gli organoclorurati, i composti organofosforati (OP) e i carbammati vengono spesso considerati più tossici, meno persistenti e con effetti più transitori. Sono state avanzate preoccupazioni, riguardo alla salute umana, sugli effetti a lungo termine di questi composti, particolarmente in relazione alla sindrome della guerra del Golfo. L'effetto diretto sulla flora e la fauna è stato la mortalità, spesso su larga scala: sono noti numerosi casi di morie di uccelli causate dagli OP.

Altri composti utilizzati come pesticidi sono i derivati del piretro. Mentre quelli naturali vengono utilizzati dal 1820 circa, l'uso su vasta scala di quelli sintetici è iniziato negli anni Ottanta. Questi composti costituiscono un esempio della natura arbitraria della distinzione tra sostanze chimiche naturali e sintetiche. Essi vengono metabolizzati rapidamente e hanno una bassa tossicità per gli animali a sangue caldo, ma mostrano un'elevata tossicità per gli invertebrati acquatici. I diserbanti sono usati in grandi quantità e il loro uso va aumentando a una velocità maggiore rispetto a quella di altre categorie di pesticidi. Molti diserbanti, come quelli a base di acido fenossiacetico e urea, presentano una bassa tossicità per gli animali a sangue caldo, anche se alcuni, come il dipiridinio (per es., il paraquat), possono essere molto tossici. Comunque, il maggiore rischio ecosistemico nell'uso dei diserbanti è l'alterazione dell'habitat.

Idrocarburi del petrolio e derivati dalla produzione di energia

fig. 3
fig. 4

Si tratta di composti che si trovano in natura, ma la loro estrazione da parte dell'uomo e il successivo trasporto attraverso il globo hanno aumentato in modo significativo l'esposizione dell'ambiente a questo gruppo di sostanze. L'immissione di idrocarburi derivati dal petrolio negli oceani di tutto il mondo è stata stimata pari a 3,2 milioni di t/anno. Le due fonti principali sono lo smaltimento delle scorie e il trasporto (fig. 3). Gli sversamenti accidentali, nonostante l'attenzione che ricevono, sono responsabili solo di circa il 12% del totale. Le emissioni di biossido di carbonio dai combustibili fossili costituiscono un importante sottoprodotto della produzione di energia e da sole sono responsabili del cosiddetto effetto serra. Nella fig. 4 sono riportate le emissioni di biossido di carbonio da parte dei Paesi e delle regioni che ne producono in maggiore quantità. Vengono prodotti in notevole quantità anche ossidi di zolfo e di azoto; per i primi la fonte più importante è la combustione del carbone, per i secondi le emissioni gassose dei mezzi di trasporto. Gli ossidi di azoto e di zolfo si propagano per centinaia di chilometri nell'atmosfera.

Clorofluorocarburi e altre sostanze chimiche

Come i PCB, i clorofluorocarburi (CFC) furono sintetizzati nei primi anni Trenta e allora considerati innocui in quanto inerti e non tossici. Solo negli anni Settanta vennero intrapresi i primi studi che dimostravano l'accumulo di CFC negli strati più alti dell'atmosfera; ciò provoca la distruzione dello strato di ozono che protegge la Terra dalle radiazioni ultraviolette dannose, il cosiddetto buco dell'ozono. La natura globale del problema è dimostrata dal fatto che, nonostante la maggior parte dei CFC venga rilasciata nell'emisfero settentrionale, il danno maggiore è riscontrato sull'Antartide. Le categorie citate non comprendono tutte le classi di sostanze chimiche rinvenute nell'ambiente, ma solo quelle che suscitano le preoccupazioni maggiori. Il volume di sostanze chimiche introdotte nell'ambiente ogni anno è immenso: più di 6 miliardi di t di biossido di carbonio, 100 milioni di t di biossido di zolfo e 60 milioni di t di ossido di azoto. Ogni anno nell'ambiente vengono riversati 2,5 milioni di t di pesticidi e 300.000 t di piombo.

Gli effetti degli inquinanti sugli organismi

Benché in ecologia ci si occupi prevalentemente di popolazioni e di comunità piuttosto che di individui, la maggior parte dei test, specialmente quelli adottati ufficialmente, è effettuata su singole specie. Un'altra differenza fondamentale tra la tossicologia umana e l'ecotossicologia è che negli studi sull'uomo si fa un'estrapolazione da molte specie a una specie, quella umana, mentre in ecotossicologia ci si occupa dell'estrapolazione da poche specie a un vasto numero di specie.

I test ecotossicologici ufficiali

La sperimentazione delle sostanze chimiche industriali nell'Unione Europea (UE) si basa su un approccio a più livelli: livello 0, per tutte le nuove sostanze chimiche industriali; livello 1, quando la produzione supera le 100 t/anno; livello 2, quando la produzione supera le 1000 t/anno. I test europei di livello 0 vengono spesso chiamati 'test MPD' (Minimum premarket data) ed è importante che a essi vengano sottoposte tutte le nuove sostanze chimiche. La responsabilità di presentare questi dati può essere conferita al produttore, ma con i prodotti chimici già esistenti ciò è più difficile. Perciò i test ecotossicologici per una nuova sostanza chimica dipendono dalla risposta di solo due tra milioni di specie presenti nell'ambiente. Questo problema di estrapolazione è essenzialmente difficile da risolvere dal momento che, non essendo possibile saggiare che poche specie, non si può sapere se queste siano le più sensibili. Inoltre vi è ormai una notevole pressione affinché diminuisca il numero di animali utilizzati in queste determinazioni.

I biomarker e gli indicatori

Il biomarker è definito come una risposta biologica a una o più sostanze chimiche che dia una misura dell'esposizione e, talvolta, anche dell'effetto tossico su un organismo. La specificità dei biomarker per le sostanze chimiche è molto variabile: sia i biomarker specifici, sia quelli non specifici hanno il loro ruolo nella valutazione ambientale. Un biomarker non specifico può indicare che un qualche inquinante è presente in concentrazioni significative, ma non chiarisce quale sia presente, mentre un biomarker specifico rileva quale sostanza chimica è presente, ma non dà alcuna informazione sulla presenza di altri composti. Le ossidasi a funzione mista (MFO) sono i biomarker non specifici studiati in modo più dettagliato. Questa grande famiglia di enzimi costituisce una delle principali componenti di difesa degli organismi contro le sostanze chimiche tossiche presenti nell'ambiente. Evolutisi per oltre 2 miliardi di anni per far fronte ai composti tossici rinvenibili in natura, ora questi enzimi giocano un ruolo importante nella detossificazione dai prodotti sintetizzati dall'uomo. Per questo la misura dell'attività delle MFO nei Pesci, per esempio, può essere usata come controllo dell'inquinamento dell'ambiente marino da parte del petrolio.

Al contrario, l'inibizione della acido-D-amminolevulinicodeidratasi (ALAD) è un indicatore sensibile e specifico di esposizione al piombo. L'inibizione dell'ALAD riduce la capacità del sangue di trasportare ossigeno: la determinazione del tasso di attività dell'ALAD può individuare un'esposizione al piombo prima che insorgano altre risposte tossicologiche e quindi agire come un sensibile campanello d'allarme per l'esposizione a questo metallo. I biomarker hanno il vantaggio, rispetto alle analisi chimiche, di poter dimostrare se un organismo è esposto o meno in modo significativo. Con i biomarker è possibile determinare se la fisiologia dell'organismo esposto si distacchi in modo rilevante da quella normale. Se si verifica questa condizione, allora si può considerare l'organismo come significativamente esposto ma, cosa altrettanto importante, se la fisiologia non risulta alterata in modo sostanziale, allora l'organismo non si può considerare esposto in modo efficace anche se vi sono state rinvenute la sostanza o le sostanze. La capacità di determinare se un organismo sia stato esposto o meno in modo significativo è importante per processi decisionali, come intraprendere o meno un'azione riparatrice o definire se questa abbia avuto successo.

Per far ciò, si devono necessariamente estendere a molte specie i risultati ottenuti su poche. Ovviamente il numero di specie che possono essere studiate è estremamente piccolo in confronto ai molti milioni esistenti, per cui deve essere posta molta attenzione nella loro scelta. I criteri di selezione delle specie che fungono da indicatori negli studi ecotossicologici sono i seguenti: la specie dovrebbe essere ampiamente distribuita e relativamente abbondante e facile da campionare; dovrebbe essere possibile accertare agevolmente l'età dell'animale; deve essere nota la diffusione della specie 'indicatore', per conoscere la zona di influenza di una sostanza; dovrebbero essere conosciute la dieta e la posizione di tale specie all'interno della catena alimentare. Sebbene la considerazione più importante sia quella di scegliere la specie giusta per ciascuno studio, è utile, per quanto possibile, utilizzare specie per le quali siano disponibili numerosi dati di riferimento.

Bibliografia

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Walker 2006: Principles of ecotoxicology, 3. ed., edited by Colin H. Walker e altri, London, CRC Taylor & Francis, 2006.

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