Droghe

Dizionario di Medicina (2010)

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Francesco Clementi

L’uso delle droghe risale agli inizi della civiltà, anche se l’uso collettivo e di massa è un fenomeno sorto nel 20° secolo. Nel corso degli anni si è abbassata, in modo preoccupante, la soglia di età a cui ha inizio l’uso di stupefacenti. Solitamente le droghe si classificano sulla base dei loro effetti sull’organismo: droghe con effetto deprimente sul sistema nervoso centrale (alcol, benzodiazepine, barbiturici), i narcotici (morfina, eroina), gli stimolanti (cocaina, anfetamine, derivati della cannabis, nicotina), gli allucinogeni (LSD, MDMA). [➔ alcolismo; dipendenza, tolleranza, sensibilizzazione; dolore; endocannabinoidi; neurotrasmettitori; oppiacei] Nell’accezione comune per d. si intende una sostanza, di origine naturale o ottenuta per sintesi chimica, che introdotta nell’organismo produce modificazioni fisiche o psichiche (o entrambe) nella percezione, nel pensiero e nell’umore, tali da suscitare, un impellente desiderio di ripeterne a più riprese l’assunzione (➔ dipendenza, tolleranza, sensibilizzazione). Inoltre, per d. si intende anche una sostanza che aumenta le prestazioni fisiche di un individuo. Nell’uso più scientifico il termine indica un farmaco di origine vegetale o animale e deriva probabilmente dall’olandese droog, con cui si indicavano i barili contenenti vegetali e spezie secche, importati dalle Indie, dai quali si estraevano i farmaci.

Diffusione dell’uso delle droghe

L’uso di d. per scopi sportivi, per diminuire la sensazione di dolore sia fisico sia psichico, per aumentare la resistenza al lavoro, per provare piacere, per aumentare le prestazioni psicoaffettive, sessuali o intellettuali è stato diffuso fin dall’inizio della civiltà.

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Si può ricordare l’uso della canapa nell’antica Cina per combattere la malaria e come analgesico, dell’oppio con il vino nei banchetti descritto da Omero nell’Odissea, l’uso delle foglie di coca da parte dei messaggeri Incas, l’uso di sostanze allucinogene in molte culture per rendere vaticini o durante celebrazioni rituali religiose, il fumo di tabacco nelle popolazioni dell’America Latina.

La trasformazione dell’uso di d. da individuale o di piccoli gruppi a uno più collettivo è avvenuto nel 20° sec. con l’uso della siringa e quindi con la possibilità di somministrarsi la d. direttamente in vena, e con l’evolversi della conoscenze chimiche che hanno permesso la sintesi di sostanze a basso costo. L’uso della d. è pervasivo: dati ONU del 2005 indicavano che circa 200 milioni di persone (il 5% di tutta la popolazione mondiale) avevano fatto uso di d. almeno una volta negli ultimi 12 mesi, e secondo dati del ministero della Sanità statunitense negli USA, nel 2004, ca. 22,5 milioni di individui sopra i 12 anni (9,4% della popolazione) avevano abusato o erano dipendenti da d., con un costo complessivo di 246 miliardi di dollari dovuti ai costi sanitari, alla criminalità, agli incidenti automobilistici, alla perdita di lavoro e alla diminuita resa nel lavoro causati dalle droghe. Negli USA 3,6 milioni di persone consumano cronicamente cocaina e più di 650.000 la consumano saltuariamente. Il 15% degli studenti sopra i 15 anni degli stati dell’UE dichiara di usare marijuana più di 40 volte all’anno. Di particolare preoccupazione è l’uso sempre più diffuso di d., singole o in associazione, da parte di adolescenti, in quanto queste sostanze, usate cronicamente, hanno un effetto negativo sulla plasticità sinaptica e sul modellamento dei circuiti nervosi, che si formano proprio durante l’età giovanile, con conseguenze deleterie che si ripercuotono poi sull’adulto.

Classificazione

Le d. appartengono a classi chimiche molto diverse e una loro classificazione in tal senso è impossibile: è perciò più conveniente raggrupparle a seconda del loro effetto prevalente sull’organismo. Questo tipo di classificazione ha il merito di legare l’effetto al meccanismo d’azione e di poter essere applicata alle nuove d., che vengono introdotte sul mercato a ritmo incalzante.

Sostanze deprimenti l’SNC

Alcol. L’alcol è la d. più usata e abusata. In Italia il 75% della popolazione fa uso continuo di bevande alcoliche e circa il 10% dei bevitori negli USA progredisce fino a livelli di consumo dannosi. La concentrazione di alcol nel sangue dipende da vari fattori farmacocinetici (capacità metabolica, massa corporea, quantità di acqua nell’organismo), genetici e ambientali. Una concentrazione ematica di 20÷30 mg/dl è sufficiente a dare i primi segni di intossicazione dell’SNC, che diventano conclamati a 150 mg/dl, con aumento del tempo di reazione, diminuzione del controllo motorio fine, tremori, impulsività e diminuzione delle capacità di giudizio. L’alcol è un potente depressivo dell’SNC, anche se all’inizio è percepito come stimolante, in quanto inibisce i neuroni inibitori e ha una modesta azione ansiolitica. L’alcol potenzia in modo drammatico l’azione di altre sostanze deprimenti l’SNC come le benzodiazepine e i barbiturici. L’uso cronico di alcol (➔ alcolismo) porta a una modifica della funzionalità neuronale e soprattutto alla morte delle cellule nervose con degenerazione di aree cerebrali, specialmente della corteccia frontale. L’alcol passa la barriera placentare e produce una sindrome gravissima per il feto, con alterazioni nel sistema nervoso e di molti altri organi. I nati da madri alcolizzate, anche se non affetti da sindrome alcolica fetale, hanno più facilità a divenire alcolisti da adulti. L’alcolismo è quindi una malattia sociale grave, complessa, assai difficile da controllare e da guarire. L’assunzione di alcol porta a tolleranza, sviluppa un comportamento compulsivo nella ricerca della bevanda alcolica e una chiara sindrome da astinenza. Spesso il paziente non ammette il grado di dipendenza sia per convenienza sociale sia per una distorta percezione della realtà e, quindi, anche gli interventi terapeutici sono assai difficili. La disintossicazione dalla dipendenza è molto delicata e spesso ottiene scarsi risultati per quanto riguarda l’astinenza a lungo termine. Si basa essenzialmente su interventi di tipo comportamentale sul paziente e sui componenti della famiglia. Questo approccio può essere aiutato dall’uso di farmaci che però sono raramente risolutivi. Il disulfiran, un inibitore dell’aldeide deidrogenasi, porta ad accumulo di acetaldeide dopo l’assunzione di alcol, provocando forti reazioni vasomotorie, nausea e quindi lo stabilirsi di un riflesso negativo all’alcol; è di complesso uso clinico al di fuori dell’ospedale. Il naltrexone, un inibitore dei recettori per gli oppioidi, sembra ridurre il rinforzo mostrato dall’alcol e anche le ricadute cliniche, soprattutto con preparazioni a lunga durata. Il baclofen, agonista dei recettori GABAB, ha pure un effetto importante nella disintossicazione. L’acamprosato, un inibitore dei recettori per il glutammato, sembra essere utile per ridurre la degenerazione neuronale e promuovere l’astinenza.

Benzodiazepine. Le benzodiazepine (➔) sono farmaci di largo impiego per le loro proprietà ansiolitiche, ipnogene e antiepilettiche. Questi farmaci sono usati come d. da una ridotta popolazione di individui, che trova piacevole lo stato di rilassamento e di mancanza di ansia. Spesso però fanno parte dei cocktail di d. (alcol, oppioidi, cocaina) per mitigare gli effetti eccitatori e disforici di molte d. di tipo eccitatorio, e in questo caso vi può essere un potenziamento crociato con altre d. (alcol). L’intossicazione acuta da benzodiazepine può essere curata sia con antidoti (flumazenil) sia con terapie di supporto sintomatico. La desensibilizzazione dopo trattamento cronico esige più cautela per evitare la sindrome da astinenza.

Barbiturici. I barbiturici (➔) sono sostanze molto pericolose che danno tolleranza, dipendenza e sono molto tossici per l’SNC, portando facilmente a coma e morte. Essi agiscono aprendo i recettoricanale GABAA e provocando un’iperpolarizzazione dei neuroni che diventano difficilmente eccitabili. La sensazione di ansiolisi e di parziale ubriacatura e sonnolenza con diminuito controllo delle funzioni motorie sembra dia in alcuni individui una particolare impressione di piacere. La perdita di senso critico e di memoria a breve fa venir meno la cognizione di quante dosi di barbiturico si siano prese e quindi si va facilmente incontro a overdose. Se i barbiturici sono assunti assieme alle benzodiazepine o all’alcol la loro tossicità viene fortemente potenziata e può portare alla morte.

Narcotici. A questa famiglia appartengono l’oppio, le sostanze estratte dall’oppio e le loro ulteriori modificazioni chimiche, come morfina, eroina, codeina, denominati in genere oppiacei (➔). L’industria farmaceutica ha prodotto molti oppiacei per uso terapeutico (fentanil, buprenorfina, estromotamide, metadone) e alcuni di essi sono anche oggetto di abuso. Gli oppiacei sono farmaci analgesici molto potenti e ancora oggi insostituibili nella terapia del dolore (➔). Essi danno facilmente tolleranza e dipendenza; oltre all’effetto analgesico, provocano effetti sull’umore con intensa euforia iniziale alla quale segue uno stato di tranquillità e sedazione. Dosi alte producono blocco respiratorio, forte depressione, coma e morte. Questi farmaci agiscono come stimolatori dei diversi tipi di recettori oppioidi endogeni (μ, κ, δ) responsabili del controllo del dolore ma anche del controllo dell’umore.

Morfina ed eroina. Nel secolo scorso la morfina (➔) è stata la prima d. diffusasi in Occidente. Essa era iniettata endovena ed era utilizzata soprattutto dai medici e dagli strati più alti della società. Ben presto è stata soppiantata dall’eroina (➔), sostanza molto più liposolubile che passa con facilità la barriera ematoencefalica e che quindi raggiunge il cervello molto più rapidamente. Questa proprietà modifica in parte anche gli effetti sull’organismo: la prima euforia è molto intensa, si raggiunge in pochi minuti e dura circa 45 minuti, mimando in qualche modo le sensazioni dell’orgasmo. Dopo l’euforia, per 3÷5 ore compare sedazione e tranquillità. Anche il carattere è modificato, infatti coloro che dipendono da eroina sono in genere docili ma molto irritabili e aggressivi quando sono vicini alla crisi di astinenza e solitamente poco produttivi sul lavoro. L’eroina produce facilmente tolleranza, e si tende ad aumentarne molto e rapidamente le dosi fino a raggiungere tossicità e dipendenza. La sindrome da astinenza è molto grave, mai letale, e si manifesta con craving (ricerca spasmodica della sostanza), irrequietezza, ansia, insonnia, crampi, dolori muscolari, nausea, piloerezione, sudorazione, tachicardia. L’assunzione cronica di oppiacei non è pericolosa di per sé quoad vitam ma gli eroinomani hanno una mortalità elevata in conseguenza di incidenti criminali, sovradosaggi, trasmissione di malattie attraverso siringhe infette, specialmente epatite e AIDS. L’intossicazione acuta da oppiacei si risolve attraverso la somministrazione di naloxone, un antagonista dei recettori oppiacei.

La terapia di disintossicazione da oppiacei. La disintossicazione si basa sull’astinenza, ottenuta sopprimendo la d. improvvisamente o per gradi, e su terapie comportamentali associate o meno a farmaci, come la clonidina, per diminuire i sintomi della sindrome da astinenza. La terapia per la risoluzione della tossicodipendenza è lunga e delicata poiché il trattamento con oppiacei induce modificazioni durature comportamentali e fisiche dell’SNC che spingono il paziente a ricadere nell’uso della droga. Le terapie comportamentali sono condotte in luogo protetto, le comunità, che hanno lo scopo di reinserire l’individuo lentamente nella società e di allontanarlo per il periodo di convalescenza dall’ambiente e dagli stimoli che rinforzano l’uso di eroina. La sostituzione dell’eroina con il metadone per via orale, oppiaceo a lunga durata d’azione che provoca modeste sensazioni di euforia, è un comodo cortocircuito per evitare la sindrome di astinenza e per aiutare l’eroinomane a non assumere droga. Dopo le prime esperienze positive, nelle quali la terapia metadonica era sostenuta da appropriato supporto psicologico, c’è ora un ripensamento critico su questa prassi terapeutica; i risultati non sono infatti quelli sperati: il supporto psicologico nei servizi pubblici per tossicodipendenti (SERT) è scarso o nullo, e i soggetti assumono nella quasi totalità metadone e contemporaneamente altre d., in quantità minore per la contemporanea, comoda e gratuita assunzione dell’oppiaceo per bocca.

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Sostanze stimolanti l’SNC

A questa categoria appartengono le d. che aumentano, con diversi meccanismi, la funzionalità della via dopamminergica mesolimbica, la via che fisiologicamente controlla la sensazione del piacere. Esse modificano quindi una zona assai rilevante del cervello evolutivamente più antico e responsabile delle sensazioni basilari per la vita. I principali composti di questa categoria sono la cocaina, le amfetamine e i loro derivati di sintesi, la nicotina.

Cocaina. La cocaina (➔), una volta utilizzata come anestetico locale, inibisce il trasportatore della dopammina e, a dosi maggiori, anche quelli per la noradrenalina e per la serotonina, e aumenta la liberazione della dopammina aumentando la disponibilità dei neurotrasmettitori nelle sinapsi, che rimangono quindi più attive. Essa è disponibile come base da fumare e come polvere da inalare (‘sniffare’) o da iniettare endovena. È forse la d. più usata tra la popolazione attiva, senza differenze tra i ceti sociali. La disintossicazione non richiede uso di farmaci ma solo di una terapia comportamentale di supporto.

Amfetamine. Amfetamine e amfetaminici (destroamfetamina, metamfetamina, fenmetrazina, metilfenidato, dietilpropione, metil-diossi-amfetamina, conosciuta come MDMA o ecstasy, ecc.), agiscono liberando dopammina e, a dosi maggiori, anche noradrenalina, adrenalina e serotonina. Gli effetti comportamentali sono simili a quelli della cocaina, meno intensi all’inizio ma più durevoli. Il metilfenidato, unica sostanza usata in terapia nei bambini affetti da iperattività, è stato proposto recentemente, anche su riviste scientifiche accreditate, come mezzo utile per aumentare la resa scolastica in bambini sani e con normale sviluppo dell’apprendimento: si tratta comunque di un doping del cervello in individui nei quali l’SNC è in via di formazione ed è perciò improponibile eticamente e probabilmente dannoso per il futuro degli individui trattati.

Derivati della cannabis. L’uso della canapa (o marijuana) per usi medicinali e psicoattivi si perde nei secoli. In Europa compare agli inizi del Novecento ed è attualmente la d. forse più diffusa nel mondo. Viene utilizzata fumando le foglie o altre parti della pianta. A dosi elevate può dare episodi di panico, ansia, allucinazioni o psicosi. Gli utilizzatori cronici lamentano una sindrome amotivazionale, con perdita di interessi, ambizione, attenzione ridotta, distraibilità, minor capacità di giudizio e di decisione. Spesso questa d. è assunta assieme ad altre, complicando il quadro clinico, e costituisce la porta d’entrata all’uso di d. più ‘pesanti’. Secondo evidenze epidemiologiche l’uso cronico della marijuana comporta un aumento del rischio di sviluppare sindromi schizofreniche. La marijuana produce tolleranza ed è per questo che sul mercato illegale le concentrazioni di principi attivi presenti nelle d. stanno aumentando pericolosamente, con corrispondente aumento di fenomeni tossici. È stato dibattuto per molto tempo se la marijuana dia dipendenza e sindrome da astinenza. Nell’uomo non è ancora dimostrato, ma negli animali si induce facilmente la sindrome da astinenza da deprivazione acuta. Da un punto di vista sociale la marijuana è più tollerata di altre d., forse per i minori effetti sull’organismo e per la minore dipendenza.

Nicotina. Il fumo di tabacco è una delle prime cause di morte prevenibile. Solo negli USA si stima che nel 2005 ci siano state 400.000 morti dovute a fumo di sigaretta, con una spesa complessiva di 50 miliardi di dollari in costi sanitari. Le complicazioni del fumo di sigaretta sono l’infarto, il tumore polmonare e l’invecchiamento cutaneo. Nel fumo ci sono circa 3.000 componenti attivi e tra questi la nicotina, ossia la sostanza che dà tossicodipendenza. La dipendenza (➔ tabagismo) indotta è molto forte e sostenuta anche da rinforzi condizionanti collaterali di tipo sociale e di costume. Il 25% dei fumatori adolescenti diviene dipendente in pochi mesi. Solo il 10÷20% dei fumatori riesce a smettere, pur utilizzando il supporto di farmaci. L’uso cronico della nicotina produce complesse modifiche plastiche dell’SNC ed è per questo che può essere ancora più pericolosa nell’adolescente. La nicotina agisce stimolando la liberazione di dopammina nel circuito mesolimbico del piacere. Essa ha notevoli effetti sull’SNC: aumenta l’attenzione e la memoria breve, diminuisce la fatica e la percezione del rischio. Ci sono evidenze epidemiologiche che essa protegge dalla degenerazione delle cellule nervose, ritardando la comparsa delle malattie di Alzheimer (➔) e di Parkinson (➔). La terapia per la disintossicazione è poco efficace e fa leva su terapie comportamentali e sull’uso di farmaci adiuvanti, come l’ansiolitico buspirone, e di agenti attivi sui recettori nicotinici, come la veraniclidina.

Allucinogeni o psichedelici

Gli allucinogeni (➔) sono sostanze che producono alterazioni della percezione del pensiero e dell’umore e, alcuni di essi, allucinazioni. Possono essere raggruppati in due categorie: le indolammine (dietilammide dell’acido lisergico o LSD, fenilciclidina, psilocibina, N,N-dimetiltriptammina) e le feniletilammine (mescalina, dimetossimetilamfetamina o MDMA, e metilendiossiamfetamina o MDA).

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Queste sostanze agiscono interferendo con il sistema serotoninergico e in partic. con i recettori 5-HT2A. L’LSD è l’allucinogeno più potente: 25÷50 mg sono sufficienti per un ‘viaggio’. Molto in voga negli ambienti underground degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, viene assunto per via orale, produce distorsioni percettive, soprattutto visive, con immagini vivamente colorate e distorte spesso sollecitate da stimoli auditivi, irritabilità, ansia, paranoia o depressione; inoltre induce ipertensione, vasodilatazione, tachicardia, iperriflessia e lacrimazione. In alcune persone la sensazione provocata è di grande ansietà, depressione e pensieri di suicidio (‘viaggio cattivo’). Inoltre nei consumatori abituali si può manifestare, anche molto tempo dopo la sospensione dell’assunzione, la sindrome da disordine percettivo persistente da allucinogeni, che consiste in alterazione della percezione, pseudoallucinazioni, lampi di colori, secondo una specie di rivisitazione degli effetti a suo tempo provati durante un viaggio con la droga. L’LSD è di solito utilizzato saltuariamente a causa dell’intensità delle sensazioni prodotte e, quindi, raramente dà origine a tossicodipendenza. L’MDMA e l’MDA sono allucinogeni solo ad alte dosi e normalmente vengono utilizzate per il loro effetto stimolante. L’MDA sembra avere anche un particolare effetto afrodisiaco. Tutti questi composti producono molto facilmente tolleranza.

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