Droga

Enciclopedia del Novecento (1977)

Droga

AAmedeo Limentani

di Amedeo Limentani

Droga

sommario: 1. Introduzione e note storiche. 2. Definizioni preliminari. 3. Epidemiologia della dipendenza dalla droga. 4. Eziologia. a) Fattori psicologici. b) Fattori sociali. 5. Psicodinamica. 6. Farmacologia e fisiologia della dipendenza fisica dalle droghe. 7. Caratteristiche delle singole droghe: manifestazioni e sintomi dell'abuso. a) Anfetammine. b) Ansiolitici: barbiturici. c) Ansiolitici: tranquillanti. d) Canapa indiana (Cannabis sativa var. indica; sin. Cannabis indica). e) Allucinogeni (peyotl, mescalina, acido lisergico). f) Oppiacei (oppio, morfina, eroina), metadone, cocaina. 8. Trattamento. 9. Ruolo della legislazione relativa alla prevenzione della dipendenza dalla droga. 10. Note conclusive. □ Bibliografia.

1. Introduzione e note storiche

Gli ultimi cento anni hanno visto grandissimi progressi nella prevenzione e cura delle malattie fisiche e mentali. È senza dubbio vero che la scoperta di innumerevoli farmaci ha avuto un ruolo determinante in questo successo, ma il loro impiego indiscriminato ha spesso suscitato anche problemi e complicazioni sociali di immensa portata. La storia della medicina non manca di casi di farmaci che hanno perduto ogni loro utilità terapeutica come risultato dello sfruttamento commerciale o dell'abuso. Una volta che l'oppio divenne disponibile per il consumo da parte dei fumatori, cessò di essere il più prezioso degli anestetici di cui si erano venuti servendo per secoli i medici. Pochi all'inizio avrebbero sospettato che l'importante scoperta e la conseguente produzione dell'acido lisergico, che inaugurarono una nuova fase nello studio delle malattie mentali, avrebbero costituito nel giro di pochi anni una fonte di grave pericolo per tanti individui alla ricerca di esperienze psichedeliche.

Il caso dell'eroina figura in una categoria diversa, in quanto tale sostanza venne in un primo tempo considerata come l'antidoto, a lungo ricercato, al morfinismo. Ma, curiosamente, fu proprio la rapida diffusione dell'eroina che portò al primo congresso internazionale sulla droga (la sostanza al centro dell'attenzione in questa assise internazionale fu tuttavia l'oppio) nel 1909 a Shanghai, che fu seguito dal Congresso dell'Aia del 1912, in conseguenza del quale fu introdotto un certo controllo a livello internazionale.

Nel 1961 la maggior parte dei paesi del mondo aveva aderito alla Convenzione unica sui narcotici delle Nazioni Unite, che li obbliga a fare un rapporto annuale sull'incidenza dell'uso di droghe e a rispettare i termini del trattato. La Convenzione comprende una ‛lista delle droghe soggette a controllo', cui vengono aggiunte via via nuove voci. I provvedimenti legislativi dei singoli Stati presentano invece ancora caratteristiche assai diverse a seconda della situazione interna dei vari paesi e del periodo di tempo in cui sono stati adottati; in questa chiave sono da considerare esemplari e vengono perciò qui ricordati lo Harrison narcotic act del 1914 (Stati Uniti) e il Dangerous drugs act del 1920 (Regno Unito).

La storia legislativa del controllo della droga nel Regno Unito è indicativa dell'aggravarsi del problema negli anni recenti. Nel 1958 il governo britannico nominò una commissione speciale per studiare l'incidenza dell'uso di droghe pericolose, e si credette di poterne riscontrare la scarsa diffusione. Ma, prima che potessero presentare il loro rapporto nel 1961, i membri della Commisione mutarono atteggiamento e alla successiva riunione del 1965 riferirono che: a) si era verificato un preoccupante aumento dei casi di uso di eroina e cocaina, specialmente tra i giovani; b) la fonte maggiore era rappresentata da un piccolo gruppo di medici che prescriveva farmaci in quantità eccessiva; c) erano necessarie ulteriori misure per limitare la prescrizione di eroina e cocaina. Questo rapporto non prestò molta attenzione al nuovo problema dell'abuso e dell'assuefazione a un gran numero di sostanze chimiche, egualmente capaci di agire sul sistema nervoso centrale in modo da alterare lo stato psichico dell'individuo. Tale problema, invece, non era sfuggito all'attenzione della Commissione degli Esperti della World Health Organization (W.H.O.) nel 1964, quando venne introdotta l'espressione comprensiva ‛dipendenza dalla droga'.

2. Definizioni preliminari

La dipendenza dalla droga viene così definita: ‛'Uno stato a volte psichico e a volte anche fisico che risulta dalla interazione tra organismi viventi e una droga, caratterizzato da reazioni comportamentali e di altro genere, che comprendono sempre la coazione a prendere la droga in modo continuato ovvero periodico per esperirne gli effetti psichici e a volte per evitare il disagio della sua privazione. Può non verificarsi assuefazione. Una persona può essere dipendente da più di una droga" (v. W.H.O., 1964).

La Commissione suddetta stabilì che esistevano vari tipi di dipendenza dalla droga: a) tipo morfina; b) tipo barbiturici (tipo alcool); c) tipo anfetammina; d) tipo cocaina; e) tipo canapa indiana; f) tipo Khat (simile alla canapa indiana e forse all'anfetammina, usato soprattutto nello Yemen Meridionale). L'espressione ‛dipendenza dalla droga' non ha incontrato successo dappertutto, tanto che la Commissione della Nazioni Unite per i narcotici decise nel 1965 di ritornare alla vecchia terminologia, cioè ‛abuso di droga e assuefazione'. L'obiezione maggiore è che l'espressione ‛dipendenza dalla droga' copre uno spettro troppo vasto di fenomeni; che vanno da un leggero grado di intossicazione dovuto all'uso occasionale di uno stimolante, al desiderio intenso che porta a un uso coatto e alla dipendenza fisica; e mentre sottolinea il pericolo che nasce da un gran numero di sostanze nocive, non permette una distinzione immediata quanto al tipo, alla qualità e alla gravità della condizione. Il valore di tale distinzione è ovvio nel caso della raccolta di dati statistici o quando si intraprendano studi psicopatologici.

Nel corso del presente articolo si intenderà per ‛droga' una sostanza ‟che altera il rapporto dell'individuo con la realtà e che è generalmente presa per piacere o per evitare il disagio della sua assenza" (v. Office of Health Economics, 1967).

La commissione della W.H.O., già citata, definisce l'assuefazione (tolerance) come il ‟fenomeno dell'aumento della dose per mantenere l'effetto della droga"; la dipendenza fisica come ‟una condizione di adattamento che si manifesta con un'intensa sofferenza fisica quando la somministrazione della droga viene sospesa o quando i suoi effetti siano avversati dalla somministrazione di un antidodo specifico"; la dipendenza psichica come ‟il desiderio intenso e il prolungamento coatto dell'abuso per ottenere la ripetizione dell'effetto desiderato di una droga psicotropica". L'abuso di droga è stato definito come ‟l'uso eccessivo di droga, continuo o sporadico, incompatibile o irrelato rispetto all'uso medico accettato" (v. W.H.O., 1964 e 1965).

Altre espressioni di uso frequente sono: abitudine (habituation), usato generalmente per indicare uno stato in cui non esiste tendenza ad usare quantità progressivamente maggiori del tossico (l'uso regolare di un sonnifero alla sera rientra in questa categoria); ‛sindrome da privazione o astinenza' per indicare l'improvvisa comparsa di sintomi fisici e mentali di allarmante intensità quando l'uso della droga viene sospeso.

La precisa comprensione dell'azione di ogni singola so- stanza chimica sul soggetto ha un valore ben più che accademico (per esempio, le droghe estratte dalla canapa indiana portano a dipendenza psichica ma non fisica, mentre l'eroina dà sempre luogo ad ambedue), specie se si considera che qualsiasi discussione sugli aspetti psicologici e sociologici della dipendenza dalla droga è spesso venata da reazioni emotive personali, da una conoscenza imprecisa dei fattori psicodinamici in gioco, nonché dalla natura e dalla portata del problema stesso.

3. Epidemiologia della dipendenza dalla droga

L'incidenza della dipendenza dalla droga non è nota. Nel 1885 la percentuale dei drogati negli Stati Uniti si diceva si aggirasse attorno all'1-4% della popolazione e si trattava probabilmente soprattutto di consumatori di oppio. Si verificò una diminuzione del numero dei casi a seguito delle leggi del 1914 intese a limitare la vendita e la prescrizione di narcotici. Questa tendenza favorevole rimase relativamente statica durante il primo quarto del secolo. Nel 1923 E. Tanzi e E. Lugaro, scrivendo sul cannabismo, osservarono la sua rarità nei paesi occidentali, aggiungendo che Th. Gautier e Ch. Baudelaire, che avevano preso droga per provare nuove sensazioni e esperienze, non erano riusciti a trovare seguaci, poiché un paradiso artificiale raramente corrisponde alle promesse.

Tabella 1

Oggi sembra di assistere a una crisi di grandi proporzioni se dobbiamo accettare come esatta l'attuale stima, secondo cui nel 1973 150.000 abitanti di New York erano drogati con droghe ‛pesanti', mentre altri 600.000 erano consumatori abituali di droga, i cui problemi apparivano gravi ma non ancora irresolubili (v. Feiffer, 1973). I rapporti sensazionali sulle presunte proporzioni epidemiche dell'uso della droga tra gli adolescenti possono essere messi in dubbio considerando la generale scarsezza di statistiche attendibili ed esaurienti. La registrazione dei casi noti che perviene alle Nazioni Unite ogni anno si è dimostrata, entro certi limiti, utile, ma è ancora impossibile paragonare in modo corretto dati provenienti da diversi paesi, poiché non esiste un metodo unico per raccoglierli e le fonti di informazione variano considerevolmente. Per esempio, non esistono disposizioni relative alla registrazione dei drogati in Italia, dove, secondo il Bollettino del Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite, nel 1970 vi sarebbero stati soltanto 91 morfinomani, probabilmente di origine terapeutica. Tra i paesi europei, il Regno Unito ha una posizione speciale, in quanto, a seguito dell'introduzione del Dangerous drugs act del 1967, i medici sono tenuti a comunicare il numero di drogati a loro noti al Home Office, dove si tiene uno schedario. Questo schedario ricava i suoi dati da svariate fonti, che comprendono medici, ospedali, centri specializzati, polizia, farmacisti, ecc. I risultati così ottenuti sono stati moltiplicati per tre, perché non forniscono indicazioni sul gran numero di individui che si riforniscono attraverso il mercato nero (v. Office of Health Economics, 1967). Ciò nonostante queste statistiche, seppure imperfette, ci danno qualche indicazione sull'andamento dell'uso sistematico della droga nel corso degli anni. Per esempio i dati della tab. I ci mostrano un notevole incremento: da 442 drogati registrati nel 1958 a 2.944 nel 1972.

Il calo nel numero dei consumatori di eroina da 2.240 nel 1968 a 868 nel 1972 assume un preciso significato se paragonato col numero dei consumatori di metadone, che è salito da 486 nel 1968 a 2.171 nel 1972. Questa è la prova tangibile che l'assuefazione al metadone si è gradualmente imposta nel corso degli anni, confermando così tutte le precedenti osservazioni empiriche secondo cui i giovani in particolare cominciavano a preferirlo all'eroina. Anche i dati che riguardano l'origine dell'assuefazione rivestono un certo interesse in quanto dimostrano il prevalere della tendenza rappresentata da individui che ricercano narcotici per ragioni diverse da quelle terapeutiche. Quanto al sesso dei tossicomani, il rapporto negli Stati Uniti era un tempo di tre donne per ogni uomo, ma questa tendenza si è quasi esattamente capovolta negli ultimi anni e l'incidenza nel Regno Unito sembra seguire approssimativamente l'andamento americano.

La posizione delle persone sotto i vent'anni richiede particolare attenzione (v. tab. II).

Tabella 2

Raggiunto l'acme nel 1968, vi fu un calo costante, ma gli esperti pensano che i dati siano approssimati per difetto, in quanto molti giovani hanno pochi incentivi a frequentare dei centri specializzati nel trattamento, ovvero dei medici. In ogni caso si può muovere una critica anche più seria, cioè che le statistiche ufficiali, concentrandosi sugli oppiacei, non riflettono l'abuso, assai comune da parte di adolescenti, di barbiturici, LSD e altre droghe ‛leggere', che deve essere considerato forse tanto pericoloso quanto la dipendenza da eroina o da metadone (v. Boyd, 1972; v. Limentani, 1968).

P. Boyd ha formulato l'ipotesi che le statistiche criminali relative ai reati legati all'uso della droga offrano un'indicazione indiretta dell'abuso di altre droghe oltre agli oppiacei. La tab. III mostra l'incidenza totale di condanne per effetto del Dangerous drugs act.

Tabella 3

La tab. IV offre uno schema diviso in gruppi di età di persone condannate per tali reati. Metà del totale è costituita da individui di età inferiore ai ventuno anni; nella tab. V, l'incidenza di reati legati all'uso delle droghe derivate dalla canapa indiana e dell'LSD è davvero imponente.

Tabella 4
Tabella 5

È stata formulata l'ipotesi che l'impressionante aumento progressivo del numero delle condanne - che divenne cospicuo nei primi anni sessanta - fosse dovuto all'accresciuta vigilanza della polizia piuttosto che a un aumentato uso della droga. Ma tale ipotesi non prende in considerazione i dati empirici fornitici dalla maggioranza di coloro che si occupano di questi problemi, non solo nel Regno Unito, ma anche nella maggioranza dei paesi europei. Rapporti provenienti dalle fonti più disparate (psichiatri praticanti in reparti di medicina generale o specializzati, assistenti sociali, organizzazioni assistenziali, mezzi di informazione, ecc.) hanno dimostrato indiscutibilmente che si è verificato un continuo peggioramento della situazione nel periodo immediatamente post-bellico. Gli studi epidemiologici non sono riusciti a dare ragione di tale peggioramento. Sono stati fatti alcuni tentativi di interpretazione - peraltro non suffragati da alcuna prova - tra cui uno interessante, che attribuirebbe a soldati americani e canadesi la diffusione dell'abuso di droga nell'Europa occidentale. Comunque, vale la pena di ricordare alcune caratteristiche dell'andamento epidemiologico.

1. Il numero di persone che ricorre a dosi moderate ma regolari di barbiturici per ottenere il sonno desiderato ha toccato l'acme, dall'epoca della scoperta di tali droghe, nei primi anni del secolo. La maggioranza di questi consumatori possono essere considerati come casi di abitudine, vittime del ritmo sempre più accelerato e della tensione sempre più forte della vita moderna.

2. In questi ultimi anni l'abuso di droghe ansiolitiche (meglio note come ‛tranquillanti') è diventato una caratteristica scontata della vita attuale in persone di tutte le età. Si dice che un cittadino degli Stati Uniti su tre prenda un qualche tranquillante quando viene sottoposto al minimo stress.

3. Nella prima metà del secolo, l'abitudine seguiva di solito la prescrizione per uso medico o per far scomparire occasionalmente un dolore fisico. Negli ultimi venticinque anni, invece, un numero sempre più alto di persone è disposto a procurarsi droghe da fonti illegali per un uso occasionale ovvero regolare. Ciò potrebbe essere in sè un fattore complementare serio e anzi di importanza primaria, poiché si possono guadagnare forti somme di denaro grazie alla vendita di narcotici e di stimolanti, aumentando così la possibilità che a molte persone venga offerta o prospettata l'opportunità di provare qualcosa di nuovo o di diverso, ‛per vedere un po' che effetto fa'.

4. L'aumento dell'uso di stimolanti è ancora incontrastato. Al V Congresso mondiale di psichiatria tenuto nel 1971, la maggioranza dei relatori sottolineò che era sorto un problema molto serio, costituito dal fatto che gli adolescenti sembravano particolarmente esposti a questo rischio.

5. Qualsiasi istituto di istruzione superiore è al corrente dell'uso di droga tra gli studenti in coincidenza con gli esami o persino al di fuori di qualsiasi situazione stressante. Un gran numero di studenti fuma la canapa indiana in gruppi o nel corso di feste, ascoltando la musica o la lettura di poesie. Questa abitudine è oggi così diffusa che è difficile rendersi conto che fino a pochi anni fa la canapa indiana non costituiva un problema e nemmeno attirava molto l'attenzione.

6. L'epidemiologia dell'acido lisergico (LSD) è interessante: il suo uso, dopo aver raggiunto un livello notevole, sembra ora diminuire. In ogni caso, la popolarità da esso raggiunta tra i giovani americani non aveva confronto in altre parti del mondo. Secondo alcuni rapporti, in un campus degli Stati Uniti ben 10.000 studenti su una popolazione di 70.000 avevano preso LSD. Alcuni di questi ‛acid parties' (l'acido lisergico viene comunemente chiamato senz'altro ‛acid') erano degli avvenimenti collettivi, cui partecipavano fino a cinquecento studenti sotto l'attiva direzione delle cosiddette ‛guide' (v. sotto, cap. 7, È e; v. Lucas, 1968). In generale, l'acido lisergico viene preso solo occasionalmente e di rado il suo uso viene ripetuto oltre un certo numero limitato di volte. Quando l'andamento dell'abuso indica un grado di assuefazione, gravi disturbi psicopatologici sono in genere riscontrabili nel drogato.

7. La nuova tendenza a iniettarsi uno stupefacente per via endovenosa ha aggiunto un grave rischio alla lista dei pericoli delle tossicomanie. Le ragioni di questo nuovo fenomeno sono poco chiare, benché si debba presumere che sia collegato al desiderio di un effetto più forte e più immediato della droga. Futuri studi indicheranno probabilmente che si tratta del risultato di un passaggio progressivo da droghe ‛leggere' (anfetammina, canapa indiana, tranquillanti) a droghe ‛pesanti' (eroina, cocaina, ecc.), nel contesto di serie turbe della personalità e di disadattamento sociale.

8. Negli ultimi anni l'abuso di oppiacei non è stato limitato alle grandi città o ai ghetti urbani. Tutte le classi sociali e tutti i livelli intellettuali ne sono stati toccati. Il numero degli intossicati da eroina con prognosi infausta sta salendo. Soltanto il 5% dei soggetti sopravvissuti dall'epoca di uno studio eseguito negli anni cinquanta sono ora disintossicati (v. Jaffe, 1970). Al capo opposto del diagramma, abbiamo un numero sorprendentemente alto di adolescenti che hanno preso l'eroina per brevi periodi senza che si sviluppasse una dipendenza psichica o fisica. Questa è probabilmente la più convincente prova indiretta che i casi più gravi di tossicomania si verificano solo in individui predisposti. La molto discussa ‛personalità da drogato' può forse dimostrarsi una realtà.

L'epidemiologia studia, tra l'altro, le tendenze e le cause della malattia e contribuisce così a prevenirla. È opinione generalmente accettata che la diagnosi precoce dell'abuso di eroina sia di importanza vitale. R. D'Alarcon e N.H. Rathod nel 1968 usarono cinque metodi selettivi distinti per scoprire i giovani eroinomani in una cittadina rurale inglese. Le cinque tecniche impiegate si basavano sui servizi di rieducazione (propriamente, probation), sulla polizia, su un rapporto medico su ogni paziente dai 15 ai 25 anni che avesse sofferto di epatite nei due anni precedenti (l'epatite è una complicazione frequente quando le iniezioni vengono praticate in condizione non asettica), sulle informazioni fornite da eroinomani conosciuti e infine sulle schede di accettazione presso ospedali per eccesso di dosaggio. I dati ricavati da queste cinque fonti dimostrarono che le informazioni provenienti da eroinomani e l'incidenza dell'epatite rappresentavano le indicazioni più preziose; nel loro studio sull'argomento, gli autori conclusero che il 14,8‰ dei giovani fra i 15 e i 20 anni erano consumatori inveterati e che il 27,2‰ erano probabili o sospetti consumatori. Questa inchiesta si rivela particolarmente significativa se si considera che la popolazione proveniva da una cittadina rurale relativamente nuova, e conferma l'importanza dell'identificazione precoce. Pochi però dissentirebbero dall'affermazione che l'unico modo soddisfacente di trattare il problema della dipendenza dalla droga sia anzitutto una completa ed esauriente ricerca delle sue cause.

4. Eziologia

Le cause della dipendenza dalla droga sono multiformi e complesse; fattori psicologici spesso si sovrappongono a fattori sociologici e la farmacologia specifica di certe droghe gioca un ruolo determinante nel creare e mantenere la dipendenza fisica. Quando l'assuefazione era limitata alla frangia più disturbata della società, si potevano riconoscere modi di comportamento ben definiti e venivano grandemente evidenziate le turbe della personalità e del carattere che rimanevano ben discernibili fra la massa di sintomi e manifestazioni riconducibili all'intossicazione vera e propria. Ma l'epidemia che ha afflitto il mondo verso la metà del secolo - e che non sembra finora dar segni di diminuzione - solleva parecchi problemi che lasciano ben poco spazio a generalizzazioni riguardanti l'eziologia. Per esempio, la conoscenza della personalità premorbosa dell'eroinomane aggiunge ben poco alla comprensione dell'abuso di droga presso i ragazzi in età scolare o dell'epidemia acuta che scoppiò in Giappone immediatamente dopo la guerra, a seguito della diffusione di grandi quantità di metanfetammina tra la popolazione (quasi un milione di persone furono colpite; v. Brill e Hirose, 1969).

a) Fattori psicologici

Scrivendo sulla morfinomania L. Bianchi (v., 19152) espresse così il suo pensiero: ‟L'abuso di morfina e - potrei dire - di quasi tutte le droghe che vengono usate per una coazione ossessiva, mette semplicemente in luce un carattere anomalo preesistente, psicopatico entro un certo grado, ma occultato dalle capacità di controllo, che sono - entro una certa misura - attive, prima di essere indebolite da qualche difficoltà od ostacolo nella vita". Questa descrizione è ammirevole non solo per la sua elegante concisione, ma anche per l'affermazione in essa implicita che i disturbi della personalità avrebbero potuto comparire anche in assenza dell'abuso di droga.

La corrente opinione medica riconosce che non è insolito per le forme più propriamente croniche di abuso il loro verificarsi nel contesto di una malattia mentale ben definita. È in questi casi che la personalità e il carattere premorbosi manifestano la loro patologia, ben diversamente da quei casi in cui un individuo altrimenti normale diventa temporaneamente dipendente da droghe in seguito a stress fisico o mentale. Bisogna altresì notare che i medici hanno sempre avuto ben presente che è solo in un piccolo numero di casi che l'uso terapeutico delle droghe si accrescerà fino all'abuso.

Se una precisa ‛personalità da drogato' esista o no, non è affatto certo. Coloro che credono nella sua esistenza affermeranno che i drogati sono persone che hanno assoluto bisogno di soddisfare un desiderio orale arcaico, che è desiderio sessuale, un bisogno di sicurezza e un bisogno di mantenere la stima di sè al tempo stesso. Per queste persone la droga rappresenta la piena soddisfazione di un profondo desiderio primario, sentito con urgenza maggiore che non il desiderio sessuale o altro desiderio istintivo (v. Fenichel, 1945). Come che sia, gli osservatori esperti ben conoscono in individui simili la ricorrenza di tratti caratteriali quale il desiderio di uno stato irreale di felicità perpetua, libero da preoccupazioni e responsabilità, con intolleranza di tensioni e frustrazioni, combinato con una incapacità quasi totale di posporre la ricerca del piacere o di attenderne la soddisfazione. I rapporti umani sono particolarmente tenui e si è colpiti fin dall'inizio dalla facilità con cui a essi si sostituisce una pillola o l'iniezione che porterà l'agognato stato di nirvana. L'atteggiamento verso la sessualità e l'aggressività mostra una grave situazione di conflitti consci e inconsci che saranno esaminati più oltre nel capitolo sulla psicodinamica. Altri tratti notevoli sono la propensione verso l'incoerenza e l'autocritica. Una volta radicatasi l'abitudine, la tendenza a dire il falso su azioni, sentimenti e desideri diventa parte integrante della personalità, ma è opinione generale che tale spiacevole tratto derivi da un conflitto interno fra il desiderio di ricevere aiuto e persino di seguire una terapia e la riluttanza a rinunciare all'uso della droga.

La stessa scelta dello stupefacente è spesso una guida per identificare il disturbo psichiatrico che sta alla base. L'ansioso cronico, per esempio, tenderà a usare qualunque prodotto che allevi specificamente la sua condizione e si rivolgerà quindi probabilmente agli ansiolitici. La canapa indiana sarà spesso la sua ancora di salvezza. Lo psicopatico disadattato si volgerà invece a qualsiasi droga che intensifichi il ritmo della sua esistenza (nel gergo della sottocultura della droga l'anfetammina è nota come speed, ‛velocità') o che allevi la depressione superficiale per lui così penosa. D'altro canto, l'uso costante di eroina, morfina, ecc., fa presumere in modo quasi assiomatico l'esistenza di un processo psicotico che agisce dietro la coazione e la motiva. L'atteggiamento legato all'uso degli allucinogeni (mescalina, LSD) è più complesso, in particolare se motivato dal proposito cosciente di esplorare e potenziare la mente. Al culmine dell'epidemia nel 1968, quando masse di adolescenti si diedero a sperimentare gli allucinogeni, fu evidente che la loro motivazione doveva essere diversa da quella di artisti, scrittori e intellettuali che ricercavano nuove sensazioni ed esperienze che potessero influenzare la loro creatività. Era come se questi giovani fossero spesso motivati da un sincero desiderio di conoscere esattamente che cosa era nascosto nella loro mente.

Considerando l'eziologia della dipendenza dalla droga, la maggioranza degli autori concorda che essa è associata in genere con stati depressivi. Qui è neccessario distinguere tra la psicosi maniaco-depressiva e la ‛depressione' che è immediatamente evidente in ogni caso di dipendenza dalla droga, prescindendo dalla sua intensità, durata ed evoluzione. Dopo tutto, la depressione è parte dello sviluppo umano e invero la storia dell'umanità offre molti esempi della sua lotta contro di essa. V'è poca differenza tra un Platone che auspica l'induzione della ‛follia giusta' attraverso la danza (su questo argomento v. Linforth, 1966) e la tendenza della psichiatria moderna a basarsi su euforizzanti per il trattamento degli stati depressivi più seri o sull'uso di tranquillanti praticamente per ogni turba psicologica, quale che sia la sua origine. Se la grande maggioranza degli psichiatri nella società contemporanea mostra una tendenza a ignorare le fonti interne di conflitti nell'individuo, non c'è da meravigliarsi che questi inclini a trascurare la psichiatria e ricorra all'autoterapia. Tuttavia, è improbabile che la depressione come tale sia responsabile delle tendenze attuali, a meno che essa non sia vista nel contesto di fattori psicodinamici individuali e di gruppo più delicati e complessi, che saranno trattati più avanti (v. sotto, cap. 5).

Speciali fattori eziologici debbono avere un ruolo nell'abuso endemico di droga da parte di adolescenti. Il disaccordo regna non solo nell'opinione pubblica, ma anche tra coloro che si occupano direttamente di questo problema (funzionari dei servizi di rieducazione, assistenti sociali, psichiatri, ecc.), divisi come sono sul significato e sulle cause del fenomeno. Vi sono coloro i quali credono che l'uso di droga tra i giovani sia semplicemente una delle tante forme di esuberanza giovanile e di desiderio di nuove esperienze e che nel caso peggiore si tratti solo di una crisi o di un problema tipico dell'adolescenza che - scomparirà probabilmente col sopraggiungere dell'età adulta. Questa valutazione, anche se forse corretta nella maggioranza dei casi, non mette a fuoco quei fattori che inducono un adolescente ad affrontare i suoi problemi interni ed esterni con le droghe, mentre un altro non farà altrettanto. L'adolescenza è uno stadio di sviluppo estremamente delicato, che può essere superato attraverso un processo naturale, ma non senza turbare l'equilibrio interno in un modo che varia da persona a persona. Reazioni di introversione, letargia e apatia sono comuni, ma ciò che è ancora più comune è un senso d'isolamento impenetrabile. La fanciullezza si trova alle spalle, ma l'età adulta non è ancora in vista. Ben poco aiuto si può attendere dagli adulti che sono a volte indisponibili, inaccessibili o senz'altro identificati con l'autorità e di conseguenza immediatamente associati a un mondo interno di conflitti, paure e ribellioni. L'uso della droga è spesso praticato nel tentativo di rompere lo stato di isolamento che può esistere persino all'interno di un gruppo di adolescenti. Il fatto che tale azione sia disapprovata da quanti rappresentano l'autorità costituita rinsalda e accresce la coesione del gruppo, ma il passo dal consueto atteggiamento adolescenziale di sfida - che la maggioranza degli adulti è pronta ad accettare - al rifiuto dei modi di vita conformistici è fin troppo breve. Ed è sotto questo profilo che l'osservatore può rendersi conto che lo spartiacque tra fattori psicologici e fattori sociali nell'eziologia della dipendenza dalla droga è impercettibile se non del tutto artificiale.

b) Fattori sociali

In questo paragrafo prenderemo in considerazione quei fattori sociali che hanno un ruolo diretto nella dipendenza dalla droga (per es., le condizioni di ghetto in cui vivono certe minoranze) oppure quei fenomeni che insorgono dall'interazione tra individui e società e che tendono ad aggravare una condizione di difficoltà o a creare problemi sociali specifici (un esempio di ciò potrebbero essere le situazioni di stress, le crisi degli adolescenti, ecc.).

Fattori culturali, ambientali e costituzionali interagenti col mondo personale interno dell'individuo contribuiscono tutti al costituirsi del terreno adatto all'insorgere e allo svilupparsi dell'abuso di droga. Dati questi fattori egualmente importanti, gli studi sulle cause potranno esprimere pregiudizi ovvero risulteranno inconcludenti. Tuttavia, la maggioranza degli osservatori concordano che, ove si consideri la dinamica individuale e di gruppo, l'età degli individui è di importanza determinante. Quando noi sappiamo che il 10% della popolazione scolastica ha provato la droga e che il 2,5% continua a prendere droghe regolarmente (v. Wiener, 1972), dobbiamo abbandonare l'ipotesi di lavoro che ci è servita così bene quando i casi di abuso in tutto il mondo non superavano poche migliaia, poiché allora avevamo a che fare chiaramente con degli emarginati sociali, con vittime di turbe psichiche o della personalità. Attualmente, siamo costretti a postulare l'esistenza di uno o più denominatori comuni e tale principio sarebbe valido anche quando trattassimo con un numero alto di casi di assuefazione, uso erroneo, abuso o uso periodico in persone di tutte le età. Ciò nondimeno, resta fermo che, man mano che il soggetto invecchia, la sua condizione si radica nella sua personalità e nel suo carattere e che egli contribuirà all'aumento del gruppo dei drogati cronici, che recluta i suoi membri in tutti gli strati sociali. Mentre scriviamo, la situazione appare particolarmente critica nelle grandi città, dove gli individui sono sottoposti a pressioni più pesanti del normale ed essi ‟semplicemente non possono sopportare una routine continua di affaticamento, competizione, tensione emotiva e nervosa" (v. Feiffer, 1973, p. 29). Le condizioni urbane moderne di sovraffollamento e di lavoro monotono indubbiamente non danno all'uomo alcuna possibilità di esercitare il suo sistema muscolare. Questa situazione di per sé porta a improvvise esplosioni di violenza o per lo meno ad una tensione legata all'aggressività, che viene allora alleviata da droghe. Ma nelle condizioni di ghetto e all'interno del milieu sottoculturale della droga, la riduzione iniziale dell'aggressività e della violenza viene sostituita da un loro aumento. Gran parte della violenza può naturalmente essere ricondotta al drogato cronico o occasionale che non ha un lavoro regolare, che ha bisogno di denaro per acquistare la sua prossima dose e che sarà pronto a commettere rapine, furti con scasso e latrocini. Nel 1973 un Servizio di Assistenza per drogati di New York riferiva che un solo eroinomane ha bisogno di circa trenta dollari al giorno. Siccome è necessario rubare merce per circa cento dollari per realizzare la somma richiesta, il danno legato all'uso della droga è enorme (v. Feiffer, 1973). Ci si renderà conto dunque che le implicazioni dell'uso regolare di stupefacenti da parte di un settore della popolazione mondiale non devono essere sottovalutate; forse sono le stesse dimensioni del problema che spiegano il generale pessimismo che pervade gli enti sociali e l'atteggiamento mentale di chi lavora in questo campo.

La ricerca di un nesso tra droga e crimine può essere fruttuosa. Uno studio recente su sessanta pazienti consecutivamente esaminati presso una clinica specializzata di Londra mostra che essi avevano cominciato a usare droghe prima dei ventun anni. L'inchiesta tendeva a identificare dei moduli delinquenziali tra i consumatori adolescenti che erano stati i protagonisti del recente aumento epidemico dell'abuso. Alcuni risultati erano di notevole interesse in quanto confermavano studi precedenti e osservazioni empiriche. Il 41% dei soggetti era stato separato da uno dei genitori per almeno un anno prima dei sedici anni. Il 58% aveva commesso dei reati prima di diventare consumatore di droga e aveva subito la perdita di uno dei genitori, contro un 26% che aveva commesso reati solo dopo l'assuefazione. La perdita del padre supera statisticamente la perdita della madre in tutti i gruppi.

L'inchiesta rivelò il manifestarsi di violenza nel 40% dei casi e un'alta incidenza di comparizioni di fronte a una corte giudiziaria (92%). Tutti i pazienti consumavano varie droghe e la loro dipendenza sembrava emergere da uno sfondo di disturbi mentali, perdita dei genitori, vagabondaggio, furto impunito e criminalità nella famiglia - un dato, questo, forse sorprendente. I dati presentati dall'inchiesta sono particolarmente significativi in quanto il campione non era stato prescelto in base alla delinquenza e i soggetti provenivano da una vasta area all'interno e al di fuori di Londra. Il rapporto rileva che, una volta formatasi la dipendenza, ne seguiva l'incapacità lavorativa. Un altro elemento che emerge da questo rapporto è degno di nota: benché le famiglie dei soggetti non fossero da considerarsi povere da un punto di vista socio-economico, ciò nondimeno provenivano dagli strati sociali più bassi. Presso la maggioranza dei giovani drogati non si ritrovano né un simile modulo di delinquenza né retroterra ambientali così disturbati.

Psichiatri e assistenti sociali hanno sottolineato il particolare significato che le droghe possono avere per i giovani non solo come fonte di piacere e soddisfazione immediata, ma anche come ‟un perfetto mezzo per realizzare ed esplicare la ribellione dell'adolescenza con tutto quel campionario di congiure, segreti, nemici esterni (poliziotti) da battere" (v. Boyd, 1972, p. 540).

È fin troppo evidente che il rapporto che si determina nel gruppo di adolescenti, descritto nel precedente paragrafo, tende ad assumere tutte le apparenze di una società segreta. E come tutte le società del genere, la cosiddetta cultura (o subcultura) della droga si compiace della creazione di un sistema persecutorio, in cui persone reali, come la polizia, i presidi di scuola e spesso i genitori, appaiono eminentemente come elementi anti-piacere, anti-gioia e infine anti-gioventù, che devono essere combattuti con entusiasmo - attivamente o passivamente, a seconda dei casi - ma sempre con tenacia. La società e i suoi rappresentanti si trovano allora in una posizione di estrema difficoltà, poiché permettere l'abuso della droga quando certi limiti sono stati superati è visto come una debolezza, e d'altro canto scoraggiarne l'uso e imporre l'applicazione di regole sociali di condotta intese a proteggere la salute fisica e mentale è visto come un atteggiamento autoritario, ostile e ingiustificato.

Si è detto spesso che nella società moderna lo scadimento del ruolo dei genitori visti come guida e autorità accettabile rappresenta un grave fattore che contribuisce allo stato di cose raggiunto nella seconda metà del secolo. Esistono anche elementi che fanno pensare che i genitori abbiano mostrato la tendenza a correggere troppo la loro precedente inclinazione a mantenere i loro figli in uno stadio infantile. Una conferma di ciò viene dall'osservazione che l'abuso della droga nei giovani si accompagna anche con una irregolare o mancata frequenza della scuola, che nei casi più gravi era già iniziata nella pubertà. Ma forse il maggiore influsso sociale proviene dalla trasformazione dei costumi tradizionali, che ebbe inizio nel periodo immediatamente post-bellico e raggiunse il culmine con la società permissiva dei tardi anni sessanta. Le sottili, impercettibili alterazioni del nostro atteggiamento verso il sesso e la violenza e delle relazioni personali all'interno della famiglia o della società hanno colto la maggioranza degli adolescenti in uno stato di impreparazione che ha aggravato la consueta confusione del loro mondo interiore.

È altresì interessante notare che, benché ai giovani sia stata concessa maggiore libertà e possibilità di seguire i loro impulsi istintivi, ciò non è stato seguito da una maggiore tolleranza della dipendenza dai genitori, la quale sussiste inevitabilmente fino all'età adulta. Vi è chi arriva a dire che la frustrazione e l'intolleranza di quella dipendenza da parte degli adolescenti siano ora maggiori di quanto non fossero prima. Ciò risulta in modo particolarmente evidente nei casi di dipendenza da droga nella borghesia medio-alta. Il rifiuto dell'ipocrisia del loro ambiente sociale e di un'esistenza ovattata e iperprotetta sembra seguire un corso particolarmente distruttivo. Un esame sociologico completo di questo fenomeno interessante e di non facile spiegazione si sarebbe dovuto fare da tempo e dovrebbe essere forse collegato a uno studio della violenza nel nostro tempo. Lo strato più giovane della popolazione mondiale sembra essere comprensibilmente preoccupato del costante aumento della violenza nella società contemporanea, sia che essa si manifesti sotto forma di guerre o conflitti razziali, sia come repressione da parte degli organi esecutivi; eppure gli stessi giovani sembrano pronti a usare la violenza per combattere la violenza stessa. Il fattore determinante sembra essere qui il ben noto meccanismo difensivo di identificazione con l'aggressore.

Ma l'uomo della strada tende persino a sentirsi minacciato dalle esibizioni, riguardate come aggressive, di passività e disimpegno fatte proprie da certi giovani membri della comunità - indubbiamente una minoranza - i quali tendono a identificarsi con i cosiddetti drug-movements. È pertanto possibile formulare l'ipotesi che tale comportamento contraddittorio indichi il persistere di corrispondenti conflitti interni irrisolti riguardo all'aggressività, conflitti che sono parte essenziale dello sviluppo umano. I membri più anziani della società, e particolarmente le sue classi dominanti, fanno ben poco per rassicurare i membri più giovani circa la propria volontà e capacità di controllare la violenza.

Un'ulteriore, possibile conclusione da trarre dalla precedente disamina è che in assenza di una rinascita dei valori morali, sociali e della famiglia, l'ultimo quarto del secolo potrebbe ben assistere all'inesorabile affermarsi di ciò che un esperto studioso del campo ha definito come la ‛'triade comportamentale": l'uso endemico di certe droghe, una sessualità promiscua, e la violenza, che al momento sembra aver fatto il suo ingresso nel mondo dell'adolescenza (v. Boyd, 1972). Questo quadro non sarebbe completo senza un riferimento all'espansione della pubblicità e dei mass media. Il loro ruolo nel presentare un incessante confronto fra realtà piacevoli e spiacevoli - che non può non influenzare i giovani - è molto difficile da valutare. In questo contesto è impossibile dare il giusto peso al significativo declino delle credenze religiose e dell'influenza delle chiese ufficiali in tutto il mondo. Questo problema è troppo complesso per essere affrontato qui e in ogni caso è stata finora raccolta una documentazione troppo limitata per affermare categoricamente che tale decadenza sia causalmente connessa con l'inconsistenza della vita familiare contemporanea e con la mancanza di ideali dominante ora tra i giovani. L'attuale moda delle religioni orientali e dei rituali mistici non deve essere confusa con una rinascita di autentici interessi religiosi.

5. Psicodinamica

Nelle Confessioni di un mangiatore inglese d'oppio (1822), Thomas De Quincey (v., 1890, p. 210) scrive: ‟Io vagheggio troppo intensamente uno stato di felicità per me e per gli altri; non posso affrontare l'infelicità mia o altrui con sufficiente fermezza; e sono pressoché incapace di superare un dolore attuale per godere di qualsiasi beneficio di là da venire". In questa affermazione del più famoso drogato che il mondo conosca troviamo gli elementi fondamentali della psicopatologia della dipendenza dalla droga: la ricerca incessante di un'esistenza ideale non dissimile da un nirvana, la negazione di qualsiasi cosa possa interferire con la credenza che tale stato esista e infine un'intrinseca debolezza dell'Io.

Non c'è dubbio che solo una mentalità magica può far credere che una sostanza chimica riesca ad aggiustare tutto e a risolvere i più complessi problemi personali, compreso quello dell'esistenza. In realtà, il drogato soffre di una grave frattura interna nella misura in cui riesce a credere di essere tranquillo e imperturbato da ciò che accade intorno a lui; poiché è evidente che tutto ciò può verificarsi solo quando egli stesso dorme o non è completamente cosciente. Questo tipo di contraddizione pervade tutta la psicopatologia del drogato. La sua pretesa che le sue difficoltà sorgano al di fuori di lui e i suoi tentativi di localizzarle nel mondo esterno spesso riescono a procacciargli la simpatia e perfino l'aiuto di parenti, amici e centri assistenziali. Ma tutto ciò è smentito dal suo desiderio di alterare il suo stato interiore con gli stupefacenti; e verrà dimostrato ulteriormente che l'uso di droga comporta ben più della creazione di euforia e oblio. Man mano che le condizioni peggiorano, i tentativi di esteriorizzare o proiettare all'esterno uno stato interno di disperazione si intensificano. Il drogato si ritira allora dal contatto con la società nel gruppo subculturale della droga, che ha i suoi costumi, il suo linguaggio, e le sue tendenze antisociali, del tutto accettabili dai suoi membri. In uno stadio avanzato e spesso finale, lo squallore dell'ambiente, il sudiciume e la miseria in cui il drogato spesso si trova, sono una riproduzione abbastanza precisa del mondo interiore di cui egli è prigioniero. Cause ed effetti quasi non si possono distinguere. Ma la nozione ormai acquisita che questa condizione non conosce barriere, delimitazioni sociali o culturali e che l'età, il colore o la religione rivestono poca importanza, comincia a gettare una nuova luce su questo problema.

In una trattazione di psicodinamica, l'azione specifica dello stupefacente non deve essere sottovalutata. Freud riassumeva la situazione molto chiaramente in Il disagio della civiltà: ‟[...] Dopo tutto, ogni dolore non è che sensazione [...]. Il più rozzo, ma anche il più efficace metodo per influire sull'organismo è quello chimico: l'intossicazione. Non credo che qualcuno sia in grado di penetrarne il meccanismo, ma è un fatto che esistono sostanze estranee al corpo la cui presenza nel sangue e nei tessuti ci procura immediatamente sensazioni piacevoli, alterando in pari tempo le condizioni della nostra vita senziente al punto da renderci incapaci di accogliere moti spiacevoli" (v. Freud, 1930; tr. it., p. 213). Freud continua, notando come il servizio reso dagli stupefacenti nella lotta per la felicità e contro la sofferenza venga riguardato come un beneficio così grande che individui, nonché interi popoli, hanno assegnato alla droga un ruolo ufficiale nell'economia della loro libido.

Si riconosce a Freud il merito di aver scoperto l'anello più importante nella catena dei fatti che stanno alla base della dipendenza dalla droga. Nei Tre saggi sulla teoria della sessualità, egli aveva connesso l'erotismo orale nell'uomo al suo desiderio di fumare e di bere (v. Freud, 1905). Questa scoperta doveva diventare il nucleo di molte successive ricerche psicanalitiche, che dimostrarono chiaramente come l'abuso grave di droga sia associato non solo alla fissazione orale, ma anche a turbe degli altri stadi di sviluppo e a una varietà di condizioni, specie l'omosessualità e la psicosi maniaco-depressiva (v. Abraham, 1926; v. Bychowski, 1952; v. Benedek, 1936; v. Glover, 1932). Il contributo di S. Rado fu determinante, in quanto chiarì il meccanismo per cui l'erotismo orale è ancora presente e viene soddisfatto anche quando lo stupefacente è introdotto nell'organismo per vie che non siano quella orale. Lo stupefacente agisce provocando una situazione di benessere del tutto simile a quella prodotta dal mangiare e dal bere a sazietà. Questo autore notò anche la connessione con l'eccitamento sessuale, e commentò con acutezza ancora maggiore che ‟una volta che lo stupefacente diventa un fine sessuale, allora il soggetto cade vittima del desiderio" (v. Rado, 1926, p. 401). Rado sottolineò questa sua affermazione, osservando che l'eliminazione degli interessi genitali mina la potenza genitale e conduce infine a un rifiuto degli oggetti affettivi reali che non presentano più interesse. O. Fenichel, aderendo alla tesi di Rado, notò come con la dissoluzione dell'organizzazione genitale ‛cominci una straordinaria regressione'. I vari punti di fissazione determinano quali campi di sessualità infantile (cioè, complesso d'Edipo, conflitti legati alla masturbazione e specialmente impulsi orali o anali) verranno a imporsi, e alla fine ‟la libido permane nella forma di una energia amorfa derivante dalla tensione erotica" (v. Fenichel, 1945, p. 377). Fenichel riteneva che l'effetto di una droga si fondasse sul fatto che essa è sentita come cibo e calore sicché alla fine tutta la realtà può trasferirsi e risiedere nell'ago ipodermico. Perciò quello che Fenichel ha descritto ha le sue radici nella dipendenza orale e rappresenta l'essenza della condizione del drogato, mentre tutte le altre caratteristiche sono incidentali.

Pur non rifiutando i punti di vista finora esposti, gli psicanalisti attuali tendono a considerarli incompleti, in quanto essi non prendono adeguatamente in esame i meccanismi psicodinamici, assai complessi, che si riscontrano frequentemente nel corso della terapia psicanalitica, e in particolare l'atteggiamento ambivalente verso la droga stessa manifestato da coloro che ne abusano. Ciò risulta in modo evidente nel linguaggio subculturale, là dove lo spacciatore o pusher è spesso noto come ‛madre', e ‛ci si riferisce a ciò che egli vende come a shit o crap (merda), junk (robaccia), weed (erbaccia), grass (erba), mud (fango), ecc. Messi alla prova, pochi drogati considererebbero l'oggetto del loro intenso desiderio come cibo, anche se rifiuterebbero per esso il termine ‛veleno'. L'esplorazione psicanalitica degli strati più profondi della vita mentale del drogato rivela invariabilmente una complessa situazione, dominata da un rapporto sadico del paziente con i suoi oggetti interiorizzati (= una rappresentazione di un oggetto o immagine che ha assunto il significato di un oggetto esterno), fonte di acuta angoscia di persecuzione. Come E. Glover (v., 1932) ha così chiaramente dimostrato, gli stessi impulsi d'odio dell'individuo, combinati con l'identificazione con l'oggetto verso cui ha un atteggiamento ambivalente, costituiscono uno stato psichico pericoloso. La sostanza chimica simbolizza un oggetto ideale, magico e onnipotente, che può essere usato, attraverso il suo assorbimento, per controllare e lenire rapporti interni gravemente turbati. Il contributo di Glover segnò un notevole passo avanti nella nostra comprensione di tale condizione, in quanto egli fu il primo a mettere in luce come la sostanza che intontisce e ottunde i sensi ‛deve' in realtà curare attraverso una distruzione. Essa ha peraltro una funzione difensiva, diretta al controllo degli impulsi sadici riscontrati negli stati ossessivi. Questa teoria porrebbe la condizione del drogato tra le psicosi e le psiconeurosi: sarebbe possibile, in ultima analisi, riguardare tale condizione come una forma di difesa contro una reazione decisamente psicotica. Glover scopri altresì che nei suoi pazienti si verificavano certe specifiche funzioni, che egli divise in due sistemi primari. Uno in cui il bambino ferisce-annienta (poi ripara-ripristina) organi nel corpo della madre e uno in cui la madre ferisce-annienta (poi ripara-ripristina) organi nel corpo del bambino. I sistemi di fantasie omosessuali inconsce sono parimenti visti come meccanismo difensivo o restitutivo. La ricerca psicanalitica già nel passato aveva identificato nel fattore psicodinamico dell'omosessualità una difesa contro l'odio e l'aggressività e si è notata la sua connessione con l'abuso della droga (v. Hartman, 1925). Glover andò ben oltre, poiché riuscì non solo a provare le componenti libidiche del simbolismo della droga, ma anche a stabilire che fra gli attributi degli stupefacenti figura una combinazione di componenti libidiche e aggressive (sadistiche), finora insospettate. Glover fonda la sua teoria sul principio per cui anche il cibo più innocuo può diventare dannoso e distruttivo in caso di abuso, e a questo proposito cita l'esempio del paziente che rifiuta di seguire una dieta. Ciò indica che nella scelta di un'abitudine dannosa l'elemento sadico è determinante. La droga diventa una sostanza (inconsciamente un oggetto parziale equiparato col seno materno) con proprietà sadistiche che possono esistere sia nel mondo esterno che all'interno del corpo, ma che esercita i suoi poteri sadistici solo all'interno. La dipendenza, dunque, secondo Glover, rappresenta una peculiare combinazione di pericolo psichico e di rassicurazione. L'elemento masochistico nell'assetto mentale del drogato diviene ora evidente, in quanto egli non è ignaro del pericolo cui si espone; un tale elemento è altresì inerente alla prassi di alternare l'abuso con l'autoprivazione e l'astinenza.

Gli psicanalisti che appartengono alla scuola kleiniana hanno tentato di spiegare questa situazione sottolineando fortemente i meccanismi maniacali usati dal drogato per controllare ansietà paranoidi, quali l'idealizzazione, l'identificazione con un oggetto ideale e il controllo onnipotente degli oggetti. Nella psicologia kleiniana, il bambino è costituzionalmente ambivalente verso il seno materno e prova sia invidia che aggressività. I suoi sospetti e la sua paura del seno si ‛esprimono' durante la fase paranoide-schizoide, che è seguita dalla fase depressiva, quando egli scopre che il seno che egli odia e il seno che egli ama sono identici. Le difese maniacali vengono modificate nella ‛posizione depressiva'. H. Rosenfeld ha messo in luce come, sotto l'influenza dei meccanismi maniacali, tutte le frustrazioni e le angosce, in particolare l'angoscia paranoide, sono negate, e la parte cattiva, aggressiva dell'individuo è tagliata fuori. L'effetto farmaco-tossico della droga è usato per rafforzare l'onnipotenza e i meccanismi di negazione e separazione. Rosenfeld pensa che il drogato regredisca alla fase infantile in cui il bambino fa uso di fantasie allucinatorie di appagamento nel fronteggiare l'angoscia, e non allo stadio dell'allattamento del bambino, come suggerito in precedenza da altri studiosi. La sostanza è usata come mezzo artificiale complementare nella produzione di fantasie allucinatorie, proprio come l'infante usa il pollice per rappresentarsi illusoriamente un seno ideale. Ma esiste un altro importante aspetto della droga, che è legato ad ansietà paranoidi e a impulsi sadistici, quando essa è sentita come una sostanza cattiva e distruttrice. In tali casi, l'effetto farmaco-tossico è usato per aumentare gli illimitati poteri dell'istinto di distruzione. Nel corso delle analisi, questi pazienti rivelano un mondo interiore totalmente guasto e disgregato, sotto il dominio di forze distruttive. Il veleno esterno è necessario per combattere il veleno interno; si crea un senso di impotenza, che ben presto si comunica all'analista. Quanto al rapporto tra dipendenza dalla droga e depressione, Rosenfeld ritiene che un fattore centrale sia l'identificazione con un oggetto morto o malato. La droga rappresenterebbe dunque tale oggetto, che viene poi incorporato. Nell'esperienza di chi scrive, questa è una generalizzazione di un fenomeno che può essere osservato solo in un piccolo numero di casi nei quali prevalgono stati e atteggiamenti depressivi.

Non si può non menzionare qui un altro fattore psicodinamico, cioè l'estrema tendenza alla disintegrazione dell'Io dovuta alla sua intrinseca debolezza. La conseguenza più inquietante e diretta di questa tendenza è l'impulso a proiettare sia i lati positivi che negativi di sé sulla gente e sull'ambiente circostante in generale, il che conduce a un eccesso di azione impulsiva e a rapporti esterni disastrosi. Le implicazioni e gli effetti di tali manovre sulla posizione dell'individuo all'interno della società sono stati esposti nel capitolo sull'eziologia (v. sopra, cap. 4).

Finora abbiamo descritto i fattori psicodinamici che s'incontrano con maggiori probabilità nei casi più gravi di dipendenza dalla droga. Naturalmente, non ci si può aspettare di trovare una tale congerie di fenomeni psicopatologici in un caso lieve di abitudine, in cui una persona ha bisogno di un sonnifero al momento di andare a letto, ovvero nel drogato della domenica che può usare droghe magari soltanto per un breve periodo della vita.

D'altro canto, certe angosce di base (quali conflitti legati a impulsi aggressivi, mete sessuali confuse, ecc.) si riscontrano in tutti i casi, e sarà allora una questione di grado, o di qualità, o persino di puro caso, se insorgeranno specifici disturbi psicologici. Il tipo di sostanza tossica usata gioca un ruolo importante, e in pratica anche il più esperto psichiatra si trova in una posizione difficile, poiché è quasi impossibile distinguere tra una condizione psicopatologica soggiacente e i sintomi originati dagli effetti farmaco-tossici. Un caso tipico caratterizzato da un'angoscia indefinibile, da timori vaghi e inibizioni si incontra spesso in rapporto all'abuso di LSD da parte di individui di precarie condizioni mentali. L'euforia che accompagna l'uso dell'LSD può essere interpretata come la difesa maniacale contro l'emergere di angosce di persecuzione, a volte davvero terrificanti, portate alla luce dall'allucinogeno stesso. Provare un'altra sostanza chimica per rimediare agli effetti di una turba psicologica chimicamente indotta, è una facile scappatoia. In questo caso, la scelta sarà probabilmente la canapa indiana o un tranquillante al posto delle anfetammine. Si crea così un circolo vizioso nel tentativo di scongiurare il crollo (o la disintegrazione) mentale incombente: tale situazione ben presto diviene l'elemento psicodinamico centrale nel quadro complessivo della dipendenza, non sempre chiaramente visibile all'osservatore.

Nel caso di individui giovani, la posizione è assai ingannevole e confusa, in quanto le trasformazioni psicologiche, conscie e inconscie, attribuibili all'adolescenza, possono trovarsi ancora nella fase evolutiva, ovvero essere ancora presenti come inquietanti residui e non essere evidenziate dall'esposizione a effetti farmaco-tossici. L'adolescenza è anche un periodo della vita in cui la curiosità per le funzioni del corpo e della mente è accompagnata da paure e angosce intense e a volte schiaccianti. L'energia incontrollata si confonde con l'aggressività, e, piuttosto che tentare di affrontarla, la soluzione di soffocarla con un sedativo apparirà infinitamente più attraente e sicura. Se i primi tentativi di liberarsi da impulsi sessuali attraverso contatti casuali si riveleranno insoddisfacenti, il risultato sarà una marea di disperazione, desolazione e senso di vuoto, che potranno essere temporaneamente - ma istantaneamente - alleviati dall'ingestione di una pillola o dall'iniezione di una droga che porterà un sonno beato. Ma questo non è tutto. Il riapparire di conffitti bisessuali è affrontato o con la promiscuità o con un ritiro quasi completo, che viene mantenuto a prezzo della perdita degli impulsi e dell'incapacità di comunicare. Ciò conduce facilmente al desiderio di ricercare altre persone che si trovino in una simile situazione, nella speranza di rendere meno gravosa l'esperienza attraverso la partecipazione. Non è infrequente che l'uso della droga diventi l'unico legame significativo e quindi l'unica esperienza da condividere. La comunicazione tra i membri del gruppo non migliora affatto, ma contravvenire alle leggi fumando la canapa indiana, o fare qualcosa di temerario mobilitando le forze dell'inconscio con una dose di LSD, o sfidare la propria coscienza con l'aiuto delle anfetammine, tutto questo diventa forza di coesione all'interno del gruppo, infondendo un coraggio e una rinnovata speranza, seppure illusori (v. sopra, cap. 4). Nonostante la sua artificiosità, il gruppo tende a fungere da scudo e da forza protettiva, soprattutto perché è capace di assorbire molte cose che sarebbero insopportabili per il singolo membro. In queste condizioni, meccanismi di identificazione proiettiva sono molto comuni, poiché permettono a ciascun individuo del gruppo di proiettare se stesso o i suoi problemi su qualcun altro, il che spiega l'insolita combinazione di chi vende la droga e ne abusa allo stesso tempo. Forse è questa la ragione per cui una vera comunicazione non si verifica, ma d'altro canto il meccanismo dà in effetti un qualche sollievo immediato dalle pressioni interne.

Una volta presi in considerazione tutti questi elementi, è necessario sottolineare che la dipendenza dalla droga nella prima o nella tarda adolescenza ha le sue radici nella depressione che è così comune e generalizzata durante questa fase di sviluppo. Ancora una volta ci rendiamo conto di come la linea di demarcazione tra il normale e l'anormale sia indeterminata. In quei casi in cui la depressione adolescenziale è basata su un legame simbiotico con la madre onnipotente e provvidente (la madre preedipica della psicologia freudiana) troviamo anche vergogna, inadeguatezza e un Io debole e incapace, con rapporti oggettuali narcisistici, e uno spiccato elemento di dipendenza orale che contribuisce alla gravità del quadro psicopatologico (v. Anthony, 1970). Questa sindrome s'incontra molto frequentemente in quel piccolo gruppo di adolescenti dediti alla droga, che sono esposti ai pericoli dell'escalation una volta che comincino a ‛provare' sostanze tossiche (v. Limentani, 1973). Più vicina allo sviluppo normale è la depressione adolescenziale che è legata a una reviviscenza del complesso di colpa edipico. Altre caratteristiche parallele saranno un desiderio di distruggere l'immagine adolescenziale dei genitori; la sfida all'autorità; l'aggressività verso il sé, in cui sia il sé che gli oggetti incorporati vengono annientati. La natura stessa della turba è tale che la comunicazione col mondo degli adulti va perduta. Turbe del comportamento, atti più o meno rilevanti di delinquenza e un certo grado di promiscuità sessuale sono sempre stati caratteristici dell'adolescenza e tanto più in tempi recenti, ma, disgraziatamente, proprio negli ultimi anni l'abuso della droga è diventato uno dei suoi tratti più tipici. Gli adulti, nel nostro mondo attuale, sembrano del tutto incapaci di dare un aiuto, ma si deve anche notare che i giovani non si rivolgono a loro per ottenerlo. Forse abbiamo raggiunto un punto in cui gli adolescenti affermano in termini inequivocabili di non avere alcuna speranza o fiducia nella capacità del mondo degli adulti a dar loro l'aiuto e il sostegno di cui hanno bisogno. L'uso diffuso della droga è la loro risposta; la disperazione, la sfiducia e l'urgenza di questo messaggio non dovrebbero cadere nel vuoto.

6. Farmacologia e fisiologia della dipendenza fisica dalle droghe

La dipendenza fisica implica cambiamenti fisiologici. Benché si possa affermare con certezza che la maggior parte delle droghe esercitano qualche influenza attraverso l'ipotalamo, in realtà noi sappiamo ben poco del ruolo svolto dalle sostanze chimiche nel produrre assuefazione e dipendenza fisica, ma siamo in grado di affermare categoricamente che la prima non conduce sempre alla seconda. Noi sappiamo anche che, quando appaiono i sintomi di privazione, si verifica un aumento dell'eccitabilità di quelle stesse aree che vengono normalmente depresse da una data droga. I. Oswald, in una recente nota, ha sottolineato come la comune assuefazione agli ipnotici più correnti sia da intendersi in riferimento al fegato e al cervello. Il fegato fa uno sforzo per far fronte alla sostanza chimica estranea, aumentando la sua capacità di distruzione della droga attraverso l'induzione di enzimi microsomiali. Oswald ne deduce che simili modificazioni compensatorie devono verificarsi per contrastare gli effetti della droga sui neuroni, ma che nel cervello questi meccanismi compensatori provocheranno a loro volta sintomi e manifestazioni se non saranno contrastati dalla presenza dello stupefacente. Quando questo viene sottratto, il cervello non può più funzionare normalmente. Gli studi sulla turba del sonno e sulla dipendenza dai barbiturici sembrano confermare questa osservazione. Per esempio, i barbiturici sono anticonvulsivanti. Il cervello si adatta ai barbiturici, ma quando cessa l'uso, seguono delle convulsioni. I barbiturici riducono l'attività onirica, sopprimendo o diminuendo l'intensità del sonno-REM (rapid eye movements). Sospendendo l'uso, questa reazione fisiologica viene invertita. Altre interessanti ipotesi suggeriscono che, somministrando morfina, si verifica un incremento del grado di sintesi delle catecolammine, e che il grado di eccitazione osservato durante lo stadio della privazione è direttamente collegato al rapporto d'emissione di queste sostanze. È stata considerata anche la possibilità che l'assuefazione e la dipendenza fisica dagli oppiacei siano legate al meccanismo comune, responsabile dell'aumento della sintesi di 5-idrossitriptammina (v. Jaffe, 1970). Benché gran parte delle ricerche sembrino aver rispettato un criterio rigorosamente scientifico, poche conclusioni possono essere tratte sulla base dei dati disponibili e dobbiamo concordare con Jaffe, il quale afferma che attualmente non esiste un modello unico che possa spiegare tutti i complessi fenomeni riscontrati in rapporto all'uso delle varie classi di droga che producono assuefazione e dipendenza fisica. È probabile che ogni modello rifletta un solo significativo aspetto del problema totale e che l'unica reale conclusione da trarsi sia che questo è un campo ancora del tutto aperto alla ricerca.

7. Caratteristiche delle singole droghe: manifestazioni e sintomi dell'abuso

a) Anfetamine

L'anfetammina, o (fenilisopropil)ammina racemica, provoca dei potenti stimoli centrali, oltre a quelli periferici comuni alle droghe simpatico-mimetiche. È raramente usata nella forma originale, mentre il suo derivato, la desanfetammina, è la droga tipica dell'abuso, ed è anche disponibile in combinazioni con barbiturici. La metanfetammina iniettata per via endovenosa sembra essere limitata a casi di grave assuefazione, caratterizzati dall'uso di più di una sostanza. La sua azione stimolante sul sistema nervoso centrale si è dimostrata assai valida inizialmente nel trattamento della narcolessia e in seguito in una varietà di condizioni che comprendono l'astenia e il parkinsonismo, nonché come antidoto nei casi di intossicazione da depressori del sistema nervoso centrale. Le sue eccezionali capacità anoressizzanti la rendevano un tempo farmaco di elezione per il trattamento dell'obesità. Presa in dosi moderate, aumenta l'energia, la prontezza di riflessi e la fiducia in se stessi; può anche provocare uno stato di esaltazione euforica. L'anfetammina favorisce la veglia riducendo il sonno-REM al 9%; dosi anche piccole provocano comunemente l'insonnia. Non è raro prendere anfetammina occasionalmente o per brevi periodi: l'assuefazione si sviluppa piuttosto rapidamente. Il quadro clinico della dipendenza si presenta dopo un uso prolungato e in dosi massicce, ed è caratterizzato da iperattività, loquacità ed euforia che sfiora la mania, seguita da improvvisi sbalzi di umore e da depressione. In certi casi si nota tensione, agitazione e un certo grado di aggressività. Gli individui che hanno preso dosi progressivamente più alte e che hanno rivelato anche tratti caratteriali pre-psicotici, possono sviluppare una psicosi paranoide, con gravi stati allucinatori e comportamento aggressivo pericoloso (v. Connell, 1958). Esistono anche degli studi che dimostrano che dal 18 al 38% dei pazienti che hanno usato anfetammina o droghe affini sono psicologicamente dipendenti (v. Jaffe, 1970). I sintomi di privazione sono generalmente associati a depressione, apatia, spossatezza e ansietà. Vi sono due tipi di consumatori: l'individuo cui l'anfetammina è stata prescritta da un medico per il trattamento dell'obesità o della depressione, e l'individuo che ha preso questa droga esclusivamente per i suoi effetti euforizzanti, donde, con ogni probabilità, la sua popolarità tra i giovani. In questo caso, l'adolescente crede di prendere la droga ‛per esperimento', ma ben presto si rende conto che la cerca per altre ragioni, tra cui non è da trascurare l'effetto, inizialmente positivo, sul rendimento sessuale. Ciò può essere dovuto a un'azione fisiologica, che provoca un prolungamento dell'erezione, ovvero alla riduzione dell'angoscia collegata all'atto sessuale. È ragionevole supporre che in virtù dei suoi effetti anti-inibitori e della sua capacità di indurre reazioni maniacali, l'anfetammina sia molto simile, sotto vari rispetti, all'alcool nel dissolvere o stordire la coscienza dell'individuo. La grande diffusione dell'uso di questa sostanza indiscutibilmente dannosa - i cui effetti benefici un tempo non venivano messi in dubbio - è dimostrata da un recente studio dove campioni di urina con reazione positiva per l'anfetammina sono stati ottenuti in ragione dell'8% fino al 18% degli internati nei reparti per forme psicopatiche acute e tra i detenuti di carceri giudiziarie e mandamentali in varie parti del mondo (v. Jaffe, 1970).

Le anfetammine fino a qualche tempo fa potevano essere ottenute con normale ricetta medica, spesso con eccessiva facilità, ma in tutti questi anni è stato quasi altrettanto facile ottenerle da fonti illegali. I furti a danno degli stabilimenti farmaceutici e delle farmacie sono molto comuni.

b) Ansiolitici: barbiturici

Il primo barbiturico, il Veronal, fu prodotto nel 1903. Da allora ne s0no stati prodotti centinaia, ma pochi ne sono rimasti in circolazione. Tra questi uno dei più diffusi è l'amobarbitale di sodio. I barbiturici sono derivati dell'acido barbiturico, un composto organico cristallino bianco, e sotto forma di sale di sodio sono facilmente assorbiti. I barbiturici deprimono il sistema nervoso centrale e, in forti dosi, i centri midollari e il midollo spinale, fino a provocarne la paralisi. I vari gradi di depressione del sistema nervoso centrale presentano quadri clinici varianti da una blanda azione sedativa al coma. I barbiturici sono impiegati essenzialmente come sonniferi, grazie alla loro capacità di ridurre la durata del sonno-REM. Quando la droga viene sottratta, si verifica un aumento riflesso del sonno-REM durante il sonno notturno, ma in cicli irregolari, accompagnati da incubi e dalla sensazione di aver dormito male. Ciò può creare l'esigenza di riprendere l'uso e l'abuso della droga (v. Oswald e Priest, 1965).

A parte il loro valore nel trattamento dell'insonnia, i barbiturici hanno uno specifico effetto nel trattamento dell'ansia e della tensione. Sono innocui se usati propriamente, ma il bisogno di aumentare la dose può insorgere molto rapidamente in individui predisposti, con turbe della personalità. Man mano che la dose viene aumentata, si assiste a una tendenza verso una menomazione delle funzioni psichiche, con disturbi paralleli della coordinazione muscolare. Un gruppo di sintomi frequente, che si presenta facilmente anche in casi di leggera intossicazione cronica, comprende un evidente stato di eccitazione e turbe dell'umore. La dipendenza fisica può essere indotta con dosi limitate a mg 400 al dì, e dosi di mg 600-800 al dì provocano una leggera intossicazione con pregiudizio delle funzioni psichiche, labilità emotiva, disartria, atassia, nistagmo, diplopia e, occasionalmente, eruzioni cutanee (v. Lader, 1973).

In fase di privazione relativa, si riscontra irrequietezza e ansia, mentre 48 ore dopo la cessazione della somministrazione di dosi massicce, compaiono insonnia, ansia, tremore, agitazione con nausee e delirio, durante il quale il paziente può soffrire di allucinazioni. Nei casi più gravi, si presentano attacchi di tipo epilettico, con confusione mentale e disorientamento nel tempo e nello spazio.

L'incidenza dell'abitudine e della dipendenza grave dai barbiturici non può essere accertata con esattezza, ma supera quella degli oppiacei. Esiste una notevole somiglianza tra l'intossicazione da barbiturici e quella alcolica. L'alcool ha peraltro un effetto potenziatore sui barbiturici, donde l'alto numero di morti accidentali. Nel Regno Unito le morti per suicidio attribuibili a dosi eccessive di barbiturici sono aumentate, nel corso degli ultimi anni, da 515 nel 1956 a 1.490 nel 1965 (v. Glatt, 1967). Si dice che praticamente non esiste alcun traffico illegale di queste droghe, perché vengono liberamente prescritte dai medici; ma, negli ultimi tempi, coloro che abusano di anfetammina si sono rivolti ai barbiturici per controllare l'insonnia e sono stati costretti a procurarseli attraverso canali illeciti.

c) Ansiolitici: tranquillanti

Il trattamento dell'angoscia e della tensione con farmaci che non inducano lentezza, pesantezza e sonnolenza, ha costituito un problema di un certo interesse per gli psichiatri, che trovano insoddisfacenti i barbiturici a causa della preponderanza di effetti indesiderabili. Il criterio personale di chi lo prescrive determinerà la scelta di un tranquillante, tra le parecchie migliaia che sono ora disponibili sul mercato mondiale. Le benzodiazepine (clordiazepossido, diazepam, medazepam) si distinguono per la loro innocuità ed efficacia, specie se combinate con i barbiturici. Questi composti vengono inattivati nel fegato, ma l'induzione dei necessari enzimi epatici si verifica in misura assai minore che non coi barbiturici. Negli animali, gli effetti farmacologici principali sono rappresentati da depressione del sistema nervoso centrale e da rilasciamento muscolare. Viene interessato principalmente il sistema limbico, che è coinvolto nell'integrazione del comportamento, mentre la corteccia cerebrale e la formazione reticolare lo sono di meno (v. Lader, 1973). Esperimenti clinici hanno dimostrato l'efficacia delle benzodiazepine nel trattamento della tensione somatica, dell'astenia e nel controllo degli stati di panico. Con dosi più alte, possono presentarsi sonnolenza e stanchezza e, meno frequentemente, vertigini, confusione mentale, atassia e mal di testa. Lader (v., 1973, p. 81), in un suo esame assai esauriente della materia, afferma che ‟la dipendenza fisica può essere indotta con tutte le benzodiazepine, e la privazione dopo la somministrazione in dosi massicce può dar luogo ad accessi epilettici, ma i pericoli dell'abuso sono minori di quelli dei barbiturici". Morti dovute a un dosaggio eccessivo, intenzionale o accidentale, non vengono riportate nella letteratura relativa. Si tratta dunque di valide sostanze chimiche, che possono creare uno stato di tranquillità ma non senza un notevole effetto sedativo o una menomazione delle funzioni mentali; il farmaco ideale deve ancora essere scoperto.

Tra gli ipnotici spesso arbitrariamente usati come tranquillanti, il metaqualone cloridrato combinato con difenidrammina cloridrato (Mandrax) occupa un posto speciale a causa della sua straordinaria popolarità tra i giovani. Il Mandrax potenzia l'effetto dell'alcool; ne risulta la possibilità di raggiungere uno stato di ebbrezza rapidamente e con poca spesa. È probabile che la suggestione giochi un ruolo negli adolescenti degli ambienti sottosviluppati, i quali attribuiscono subito il proprio comportamento all'effetto combinato del Mandrax e dell'alcool. È anche provato che durante gli ultimi anni questo ipnotico, che non è affatto così innocuo come si è affermato, è stato usato in combinazione con l'eroina.

d) Canapa indiana (Cannabis sativa var. indica; sin. Cannabis indica)

Pianta erbacea annuale con steli angolari e foglie profondamente lobate. In generale, il termine canapa indiana viene usato per indicare tutti i prodotti naturali e derivati della pianta, tra i quali noteremo in particolare l'essudato resinoso delle infiorescenze (éashêsh) e il prodotto delle foglie e degli steli trinciati (marijuana). La composizione della droga non è stata ancora perfettamente descritta, forse perché varia tanto da un campione all'altro e anche perché le sue sostanze componenti si trasformano facilmente con le variazioni di temperatura, ovvero si modificano nel corso della loro biosintesi a causa di elementi presenti in quantità variabile (v. Joyce, 1970). La droga contiene, fra l'altro, i due alcaloidi cannabinolo e cannabidiolo, ma è probabile che il più importante principio attivo sia il Δ1-tetraidrocannabinolo, che può essere ora prodotto sinteticamente. Questa sostanza si ritiene responsabile dei caratteristici effetti psicologici della marijuana e dello éashêsh, il quale ultimo contiene tale principio attivo in quantità da 5 a 10 volte maggiore. La droga è presa talvolta per via orale nel Medio e nell'Estremo Oriente, ma in Occidente di solito viene fumata sotto forma di sigarette. L'uso medicinale e dietetico della canapa indiana era diffuso in India, in Persia e in Arabia nel Medioevo, ma nell'epoca moderna questa utilizzazione viene considerata trascurabile. Quando la droga viene inalata, gli effetti seguono rapidamente, ma se viene ingerita possono tardare anche un'ora. Pochi effetti fisiologici precisi possono essere attribuiti alla canapa indiana e sono per giunta difficili da valutare, perché la droga viene spesso mescolata al tabacco. Finora le analisi di laboratorio non si sono rivelate di alcuna utilità nello scoprire la presenza della droga nelle secrezioni organiche. Sono stati osservati congestione vascolare e congiuntivale, bocca secca e attacchi di tosse, oltre a vertigini e, occasionalmente, vomito. La canapa indiana agisce sul sistema nervoso centrale; ogni descrizione dei suoi effetti sull'uomo deve tener conto della personalità del soggetto, nonché delle esperienze e delle condizioni psicologiche immediatamente precedenti l'assunzione della drdga. Benché i rapporti sugli effetti psicologici dell'uso della canapa indiana siano estremamente contraddittori, alcuni fatti sono ciò nonostante ben noti. Tra questi figura uno stato crepuscolare di coscienza alterata, con leggera eccitazione. I discorsi sono spesso sconnessi e il flusso delle idee e dei pensieri è incoerente. Tutti i tipi di percezione vengono interessati e la perdita del senso del tempo può essere molto spiccata. Si può riscontrare una loquacità obiettivamente eccessiva ovvero la tendenza a ridere senza motivo. La capacità della canapa indiana di ridurre l'ansietà è generalmente riconosciuta, ma il suo uso eccessivo porta all'apatia o alla letargia. Non si sviluppa assuefazione e non esistono sintomi di privazione, il che sembrerebbe indicare un'assenza di dipendenza fisica, ma d'altro canto la dipendenza psichica può essere assai grave e difficile da sradicare. A dosi massicce, turbe dell'identità e della percezione sono assai comuni, con allentamento di certe inibizioni e intensificazione della maggior parte degli stimoli. A dosi ancora maggiori e prese per lunghi periodi, si possono verificare allucinazioni, con forti sbalzi d'umore, che variano dalla depressione all'eccitazione. In questi casi, il desiderio e il rendimento sessuale, che possono aumentare in un primo tempo, alla fine tendono a diminuire o a scomparire del tutto. Secondo alcuni resoconti, atti di perversione sessuale diventano accettabili durante lo stato di intossicazione (v. Charen e Perelman, 1946).

Reiterati esperimenti di laboratorio, citati da C.R.B. Joyce (v., 1970, p. 163), indicherebbero che ‟individui che in precedenza non avevano fatto uso di marijuana hanno ottenuto risultati meno soddisfacenti, in semplici esperimenti intellettuali e psicomotori, dopo aver fumato [...], mentre i risultati di soggetti più esperti, cioè di regolari consumatori, non di rado migliorarono dopo aver fumato canapa indiana [...]". Il comportamento in un test di guida simulata era meno alterato dalla canapa indiana che dall'alcool, e questo sembrerebbe dare qualche attendibilità alla credenza, tipica del folclore della marijuana, che afferma che la guida è più sicura dopo aver fumato, perché il guidatore è meno aggressivo. Joyce fa notare che in questi esperimenti non si erano potute stabilire con sufficiente approssimazione dosi equivalenti di canapa indiana e di alcool e che quindi i risultati ne erano in parte invalidati. D'altra parte, non c'è dubbio che le due sostanze siano in qualche modo simili nei loro effetti sull'umore, in quanto sono capaci di trasformare l'euforia in esaltazione e il cattivo umore in depressione. Questa somiglianza è spesso invocata da coloro che si battono per una liberalizzazione della vendita della canapa indiana, richiamando l'attenzione sull'esistenza di milioni di alcolizzati cronici. La fallacia di tale argomento è troppo ovvia per meritare più di un cenno. Ma tutto ciò non implica che i dati che sembrano indicare la pericolosità della canapa indiana siano indiscutibili.

Poche controversie hanno suscitato tanto interesse quanto quella che ha riguardato questa droga negli ultimi anni, non solo a causa dello sbalorditivo aumento della sua popolarità in tutte le classi, ma anche a causa della difficoltà in cui ha posto i periti del campo, che, chiamati a pronunciarsi pro o contro questa droga, sono stati costretti a farlo sulla base di prove insufficienti. Un'altra importante ragione del diffuso interesse è rappresentata dall'affermazione, proveniente da determinati ambienti, secondo cui il divieto dell'uso di questa droga costituirebbe una violazione dei diritti civili; e qui sorge un'ulteriore complicazione, in quanto l'abitudine di fumare la marijuana è particolarmente popolare tra quei giovani turbolenti che hanno una spiccata antipatia per ogni convenzione sociale. Questo fatto non ha certamente giovato alla chiarezza e alla serenità del dibattito, che è molto spesso influenzato da un lato da pregiudizi personali, atteggiamenti moralistici e paternalismi, e dall'altro da complessi di persecuzione, spesso legati a problemi non pertinenti, ovvero da credenze arbitrarie o del tutto mistiche nei magici effetti di una sostanza chimica.

Per valutare la situazione disponiamo di uno studio del 1965 dell'Organizzazione delle Nazioni Unite che indica come la canapa indiana nelle sue varie forme continui a essere quantitativamente il narcotico più importante nel quadro del traffico degli stupefacenti; questo dato ha indotto molte nazioni a introdurre restrizioni mediche e legali, che portano all'incriminazione e all'arresto dei consumatori e dei trafficanti. Dall'altro lato ci sono persone, medici compresi, che sottolineano la bassa tossicità della marijuana, nonché il fatto che la sua pur facile disponibilità, come nel Libano (uno dei maggiori produttori di questa droga, dove si calcola siano 180.000 i consumatori abituali), non comporta la dipendenza di massa (v. Soueif, 1967).

Benché sia vero che esiste un gran numero di fumatori di éashêsh e marijuana che non ricercano assistenza medica a meno che non siano insorte complicazioni, pure esistono dati sufficienti che dimostrano come - se l'abuso è stato protratto per anni - ne consegua una condizione psicotica accompagnata da menomazioni intellettuali. Inoltre ripetute osservazioni chimiche dimostrano che anche nel caso di piccole dosi prese con regolarità si riscontra un certo grado di passività, associato con introversione e una diminuita capacità e motivazione a portare a compimento piani complessi e a lungo termine (v. Jaffe, 1970). Tuttavia, bisogna ammettere che le inibizioni vengono allentate e che la comunicazione tra individui è più facile durante lo stato di intossicazione. È cosa ben nota che si è verificato abuso su larga scala tra le truppe americane in servizio attivo, ma, come alcuni commentatori hanno osservato, il fatto che le autorità non se ne siano preoccupate sembrerebbe indicare che la canapa indiana favorisce l'aggressività o, perlomeno, non la diminuisce (v. Joyce, 1970). Reazioni diverse possono verificarsi nella stessa persona in tempi diversi, poiché questa droga sembrerebbe avere un'azione specifica sulle funzioni dell'Io attraverso processi di dissociazione o scissione, col risultato che emozioni e sentimenti sono a volte rafforzati e a volte indeboliti.

H. Kolansky e W.T. Moore (v., 1972) hanno studiato i fumatori di marijuana per sette anni, e in una loro recente indagine hanno ripreso l'opinione secondo cui questa droga sarebbe pericolosa. Secondo questi studiosi, certi sintomi sarebbero dovuti a cambiamenti strutturali della corteccia cerebrale. In un gruppo di tredici pazienti, tutti i sintomi scomparvero entro due anni dalla cessazione dell'uso, ma alcuni pazienti avevano perduto il lavoro, dei matrimoni erano falliti, delle relazioni si erano interrotte e in un piccolo gruppo erano comparse psicosi vere e proprie, con fantasie patologiche, allucinazioni e credenze mistiche. Gli autori pensano che la droga provochi una specifica sindrome clinica, che deve essere distinta dalle consuete, più gravi turbe del comportamento durante l'adolescenza. Essi sostengono altresì che l'uso prolungato della marijuana condiziona il funzionamento cerebrale di qualsiasi individuo, in modo pressoché identico da un punto di vista biochimico; indipendentemente dall'età o dalla maturità psicologica. Questo studio, come del resto altri consimili, presta il fianco alle critiche di coloro che ritengono che la campionatura prescelta comprendesse con ogni probabilità casi in cui esisteva già una personalità morbosa predisposta e che la droga avesse solo contribuito a portare pienamente alla luce una situazione patologica preesistente. In effetti, molti elementi nella serie di casi presentati da Kolansky e Moore contengono indicazioni in questo senso. È augurabile, tuttavia, che futuri studi gettino più luce su questo argomento.

I dati presentati dall'una o dall'altra parte in questo affascinante dibattito sono spesso del tutto insufficienti, ma ciò nonostante questi studi contengono spesso quel grano di verità che sprona a ricerche ulteriori.

e) Allucinogeni (peyotl, mescalina, acido lisergico)

Il peyotl è un piccolo cactus con una radice marrone a forma di carota. Contiene una combinazione di alcaloidi interagenti, tra cui la mescalina. Tra le droghe psichedeliche il peyotl ha una storia che si può far risalire al 300 a.C., allorché era già usato a fini magici e religiosi. Il peyotlismo è tuttora una delle religioni viventi. I suoi seguaci credono che Dio abbia ‛messo un po' del suo Spirito Santo' nel peyotl; gli Indiani lo mangiano nel corso di un rito che non è dissimile dalla comunione col pane e col vino nella religione cristiana.

La mescalina, ben nota per le vivide immagini e le visioni che può provocare, continua ad affascinare l'uomo comune, ma ancor più l'intellettuale, l'artista e lo scrittore (v. Huxley, 1956). Per quanto tossica, il margine di sicurezza è ampio e avvelenamenti gravi in pratica non si verificano. Quando alla fine del XIX secolo i ricercatori cominciarono a pensare alla possibilità di studiare psicosi indotte con la droga, poiché gli effetti psicologici causati dalla mescalina somigliavano fortemente alla schizofrenia e alla psicosi maniaco-depressiva, questa divenne ben presto la droga preferita nelle ricerche sui rapporti tra i fenomeni psichici e il cervello.

Ulteriori progressi in questo campo furono fatti con la scoperta degli allucinogeni sintetici, che comprendono l'LSD-25 (dietilammide dell'acido lisergico), la DET (dietiltriptammina), la DMT (dimetiltriptammina), ecc. L'allucinogeno più popolare è l'LSD, che si prende oralmente, di solito su una zolletta di zucchero. Occasionalmente, ma solo a fini scientifici, viene somministrato per iniezione. 1/3 di miliardesimo del peso corporeo di un uomo normale, ovvero 25 microgrammi, sono sufficienti e provocare mutamenti fisiologici e psicologici. 100 microgrammi è la dose comunemente presa dal consumatore occasionale. Soggetti con disturbi psichici precedenti tendono a prenderne dosi massicce, fino a 500 microgrammi o più (v. Masters e Houston, 1967). La droga fu prodotta per la prima volta dalla Sandoz (Svizzera) nel 1938. Siccome la sua produzione in laboratorio non presenta particolari difficoltà, è quasi impossibile controllarne il traffico illegale. Un tempo l'LSD era usato quasi esclusivamente per la ricerca e per fini terapeutici, nella convinzione che la liberazione da parte del soggetto di pensieri inconsci comprendenti fantasie, sotto lo stretto controllo e l'osservazione del medico, portasse dei giovamenti. Il lasso di tempo in cui la droga è attiva è conosciuto come il ‛viaggio' (trip) e dura 12 ore circa. Con la diffusione dell'abuso, il controllo medico è quasi cessato. I medici sono stati sostituiti da ‛guide', che non di rado sono a loro volta sotto l'influenza di uno stupefacente, sicché aumentano i pericoli insiti nell'uso di una sostanza chimica così potente.

L'LSD è un alcaloide che esercita un'azione diretta sul sistema nervoso centrale. Gli effetti sono molto spiccati, con iperreflessia e tremito delle membra. Per quanto riguarda il meccanismo intimo dell'azione di questa droga, si possono soltanto fare congetture: è presumibile che sia il mesencefalo a essere interessato in modo più spiccato. Quasi ogni funzione del corpo e della mente viene condizionata dall'allucinogeno. Gli effetti psichici ad esso riconducibili sono i seguenti: alterazioni della percezione - riguardanti tutti i sensi - e autoestesia degli organi interni; alterazioni dell'esperienza del tempo e dello spazio; deformazioni dell'immagine del proprio corpo; allucinazioni con ricchezza e vivacità d'immagini e intensificate percezioni cromatiche; memoria e capacità di ricordare accresciute; spersonalizzazione e disintegrazione dell'Io; dilagare di materiale inconscio nella coscienza; migliorate capacità di comunicare. Le funzioni intellettuali vengono menomate, con forti turbe delle facoltà psichiche, che possono bloccarsi. R.E.L. Masters e J. Houston riferiscono altresì come i processi psicodinamici vengano messi a nudo, così che appare evidente l'interazione di ideazione, emozione e percezione, tra loro e con processi inconsci indotti. Tutto ciò si associa spesso alla propensione per tematiche filosofiche, cosmologiche e religiose (v. Masters e Houston, 1967, cap. I). Tale osservazione sembrerebbe confermare le affermazioni secondo cui gli allucinogeni sarebbero capaci di alterare e dilatare la coscienza umana, ma esperti ricercatori, magari meno vicini ai cosiddetti drug-movements, tendono a considerare esagerate altre affermazioni, come quando si sostiene che un solo ‛viaggio' psichedelico sarebbe capace di provocare cambiamenti in direzioni positive di nevrotici, psicotici, criminali, ecc. L'autosuggestione chiaramente gioca un suo ruolo in certi tangibili miglioramenti, ma in ogni caso questi sono di regola assai effimeri, se non sono seguiti da un'adeguata psicoterapia. Disgraziatamente, il solo dato sicuro sugli effetti dell'LSD è costituito dalla loro imprevedibilità. Alcuni individui, per esempio, proveranno ben poche sensazioni ed emozioni soggettive nel corso di parecchi ‛viaggi', finché, improvvisamente, sperimenteranno un'ansia intollerabile e allucinazioni terrificanti. Vi sono dei giovani che continuano a prendere l'LSD indefinitamente, finché hanno un bad trip, un ‛brutto viaggio'. Ma se ciò dovesse verificarsi la prima volta che prendono una droga, le conseguenze potrebbero essere gravi e durature. Sono stati registrati atti pericolosi, compreso il suicidio, aggressioni a persone, a animali e danni alle proprietà. È un fatto noto che mesi o anni dopo può verificarsi un'improvvisa ripetizione dell'esperienza originale (flash-back). L'insorgenza di una condizione psicotica acuta, che può durare per alcuni anni, è frequentemente associata a turbe del carattere e della personalità con tratti pre-psicotici. Se dovessero nascere complicazioni, sarebbe difficile distinguere questa particolare condizione da altri stati psicotici. Si manifesterà irrequietezza, con euforia o depressione; durevoli idee di persecuzione sono molto comuni e in certi casi l'incapacità a distinguere tra realtà e fantasia rappresenta il tratto dominante. Una valida traccia ai fini dell'isolamento della sindrome da LSD dalla schizofrenia è la presenza di una coscienza intuitiva, che porterà spesso il malato a ricercare la terapia. I tranquillanti del gruppo delle fenotiazine (come la clorpromazina) sono efficaci per controllare le crisi, ma un'attenta e prolungata discussione dei sintomi e dell'esperienza del ‛viaggio' è d'importanza essenziale. La peculiare e cogente attrazione esercitata dall'LSD sui giovani merita qualche ulteriore osservazione. È di solito un soggetto disturbato che si sente attratto da questa droga, e questo è tanto più vero in quanto oggi non è più alla moda fra gli adolescenti sperimentare questa potente sostanza. La motivazione sembra risiedere essenzialmente nel desiderio di scoprire la portata del proprio disturbo psichico. Molto spesso l'LSD conferma le proprie peggiori aspettative con risultati disastrosi (v. Limentani, 1968). In termini psicanalitici, l'LSD sembra attaccare l'Es, mentre la canapa indiana sconvolge le funzioni dell'Io e l'anfetammina dissolve il Super-io.

Esperti ricercatori tendono a considerare gli allucinogeni come non producenti assuefazione; ciò è vero nella misura in cui finora nei drogati non si sono presentati sintomi di privazione. Ma sono stati riportati dei casi, nella letteratura scientifica, che sono suscettibili di essere classificati come rivelatori di una notevole dipendenza psichica (v. Masters e Houston, 1967).

Non c'è che da rammaricarsi che l'acido lisergico sia stato perduto come strumento di ricerca, ma la maggioranza degli psichiatri sono sempre stati riluttanti a usarlo, specie perché era praticamente impossibile controllare e regolare la quantità di materiale inconscio che veniva liberato. Probabilmente vi saranno sempre coloro che sosterranno che un ‛viaggio' è preferibile al lungo e lento metodo psicanalitico, ma i pericoli legati all'analisi istantanea sono troppo grandi per renderlo attraente agli psicanalisti più cauti ed esperti.

f) Oppiacei (oppio, morfina, eroina), metadone, cocaina

L'oppio si ricava dai frutti del Papaver somniferum, incidendoli leggermente e raccogliendo e facendo essiccare il latice essudato. La resina indurita è oppio grezzo, e da questo vengono prodotte la morfina e l'eroina. Sarebbe impossibile enumerare tutti i composti del tipo morfina capaci di produrre dipendenza. Negli ultimi anni, nella linea di una deliberata politica adottata da molti ospedali e cliniche nel trattamento dell'intossicazione cronica da eroina e che consiste nel sostituirla con il metadone, questo è diventato la droga preferita della maggior parte degli intossicati.

L'eroina, o diacetilmorfina, ha la massima probabilità di produrre dipendenza, essenzialmente a causa della sua capacità di indurre uno stato euforico e di alleviare il dolore fisico e psichico. L'assuefazione si sviluppa rapidamente, con relativo immediato bisogno di aumentare la dose. La sintomatologia classica è ben nota: pupille contratte, sonnolenza, instabilità, ritmo respiratorio rallentato, ipotensione. Fotofobia, forte prurito e anoressia sono comuni. I sintomi di privazione sono molto spiacevoli: dolori muscolo-scheletrici diffusi, rinorree, sudorazione, tremito delle mani, crampi allo stomaco e diarrea. Le cure mediche alleviano rapidamente i sintomi da privazione, ma la percentuale delle ricadute è molto alta se non si adottano adeguate misure.

Il metadone fu scoperto in Germania all'inizio degli anni quaranta, e solo molto più tardi si scoprì che causava dipendenza. La sua proprietà fondamentale è analgesica, mentre l'assuefazione si sviluppa più lentamente, donde il suo valore nella prima fase del processo di disintossicazione del drogato.

La cocaina viene spesso presa come stimolante in combinazione con gli oppiacei. Un tempo molto diffusa, ora assai meno, la cocaina si ricava dalle foglie di coca; il suo abuso dà luogo a un grado molto alto di dipendenza psichica, che non è accompagnata da dipendenza fisica, benché sia noto che al momento della privazione possono presentarsi sintomi psicotici, come idee deliranti e gravi stati di depressione.

Sembra opportuno dissipare un pregiudizio basato sulla credenza popolare che un drogato sia una persona di cui si può dire a un primo sguardo che si trova sotto l'influenza di uno stupefacente. Ciò è semmai più verosimile nel caso di una persona di bassa classe sociale. Man mano che saliamo negli strati più alti della società, riconoscere i drogati è difficile, se non a volte impossibile. È un fatto generalmente noto che queste persone possono mantenersi in buona salute per tutta la vita, e che possono svolgere utilmente un lavoro (v. Jaffe, 1970). Bisogna aggiungere che quasi ogni psichiatra si è imbattuto in casi di assuefazione durati quarant'anni o più. La diagnosi di dipendenza da ‛droghe pesanti' non è più soltanto una questione di accertamento clinico: in laboratorio, la cromatografia su strato sottile di campioni di urine, con l'ausilio della gascromatografia, è di grande aiuto nel formulare la diagnosi.

Nel caso degli oppiacei esistono due fonti di traffico illecito, di cui una è costituita da droghe che, in quanto tali, sono state ottenute in modo lecito. In ogni paese può esistere un numero molto ristretto di medici che prescrivono droghe in dosi eccessive: ciò può accadere per una quantità di ragioni, che vanno dal profitto personale a una malriposta compassione per i disadattati che li consultano. Esiste anche il caso del drogato che ottiene ricette da diverse fonti, così da potersi mantenere ben fornito. Tuttavia, questo particolare tipo di traffico è ben poca cosa rispetto a quello praticato dalla malavita organizzata a livelli internazionali.

8. Trattamento

Il fine del trattamento sarà la privazione della droga da cui il paziente è dipendente e qui troviamo grandi differenze nelle attrezzature dei vari paesi e nei metodi adottati, e ciò rivela serie divergenze d'opinione tra i medici. Negli Stati Uniti, per esempio, un trattamento accettabile comprende: a) l'ospedalizzazione obbligatoria; b) regolamenti che vietano il trattamento ambulatoriale finché il paziente non è disintossicato; c) divieto di autosomministrazione, sia pure sotto il controllo del medico (v. Nyswander, 1959).

Nel Regno Unito, il trattamento può aver luogo presso ospedali o può avere carattere ambulatoriale: nel caso dell'eroina, la privazione graduale è la pratica più corrente. Come alternativa, si può usare il metadone, particolarmente consigliabile se preso per iniezione. Il metadone è preferito anche perché più difficilmente induce euforia. L'esperienza della disintossicazione con questo metodo è molto meno dolorosa e shockizzante di quella seguita negli Stati Uniti, dove la somministrazione di droghe per la perpetuazione della dipendenza viene considerata come un tentativo di trattamento non in bona fide e come una prassi esecrabile e immorale (v. il rapporto dell'American Medical Association e altri, 1967).

Mentre ciascuno di questi metodi ha i suoi vantaggi e i suoi svantaggi, sembra che si ottenga ben poco imprigionando individui gravemente intossicati, come accade tuttora in molti paesi, compresi gli Stati Uniti. Ci si deve certo rammaricare che, sebbene i medici si siano orientati preferibilmente verso una graduale sottrazione, le misure pratiche adottate per far fronte alle complicazioni che ne derivano non siano state finora del tutto soddisfacenti. In Inghilterra è stato fatto negli ultimi anni un tentativo di creare parecchi centri speciali, dove il drogato è tenuto a presentarsi quotidianamente per avere la sua dose e per usufruire di qualsiasi altro provvedimento tendente alla sua riabilitazione. Disgraziatamente, il trattamento è sempre stato condizionato negativamente dalla scarsa cooperazione dei pazienti combinata col loro desiderio di non essere considerati come dei malati. La percentuale di pazienti dimessi prima del compimento della terapia è molto alta, così come quella delle ricadute. In effetti, si deve ammettere che tutti i metodi di trattamento sono validi soltanto in un numero limitato di casi.

Da tempo si sente la necessità di una valutazione scientifica di ogni tipo di trattamento, ma può darsi che tale necessità non possa essere soddisfatta, in quanto si ha a che fare con una popolazione mobile e che ha per giunta la tendenza a passare da uno stupefacente all'altro. In ogni caso, si tratta di individui che non apprezzano affatto di essere oggetto di ricerche da parte di chi è incline a considerarli dei malati o dei disadattati. Vi può essere anche una qualche giustificazione della loro riluttanza a sottomettersi al trattamento o alle ricerche, dal momento che a quanto sembra molti dei drogati fanno del male a se stessi più che agli altri. Essi insistono sul fatto che il loro uso di stimolanti o di allucinogeni è motivato solo dalla ricerca del piacere o del divertimento: questa è una tesi invero assai difficile da refutare sulla base delle conoscenze attuali. Da queste osservazioni è facile dedurre che questo è un campo in cui l'ardore terapeutico o lo zelo missionario possono essere messi a dura prova e che coloro che s'impegnano nel trattamento quotidiano dei drogati devono essere pronti a far fronte a molte delusioni. È veramente demoralizzante per lo staff di un ospedale scoprire che i suoi pazienti contrabbandano droghe fin dentro un centro specializzato, ed è altrettanto frustrante per uno psicoterapista passare ore e ore in attesa di un paziente che probabilmente non si presenterà all'appuntamento; ma in ogni caso la pazienza e l'accettazione di un assai scarso spirito di collaborazione si dimostrano più efficaci degli atteggiamenti moralistici e legalistici nel combattere gli impulsi di autodistruzione.

Una volta che l'abuso di stupefacenti si è radicato in una persona giovane, la situazione è molto più complessa di quella appena descritta, dato il senso di responsabilità destato nei medici o negli assistenti sociali verso quell'individuo e la sua famiglia. La possibilità di sottrarlo alla dipendenza dalla droga esiste, ma è difficile da valutare e può essere rischiosa (v. Zimmering e altri, 1952). Per il medico di famiglia a volte può essere duro non prescrivere una droga, trovandosi di fronte un caso di depressione e di comportamento aggressivo, e aggravare così uno stato di cose che provoca già delle difficoltà; e d'altro canto altre misure - quali la psicoterapia di gruppo, individuale e familiare - non sono facilmente applicabili. In ogni caso, questa è una fonte di notevoli controversie nei circoli medici, dove la maggioranza ritiene che la dipendenza dalla droga non possa essere combattuta solo con mezzi psicoterapeutici. Benché non si possa negare che la psicanalisi abbia dato qualche valido contributo alla comprensione di questa forma patologica e che possa anche vantare qualche successo terapeutico (v. Glover, 1932; v. Limentani, 1973; v. Rosenfeld, 1960), in pratica, e in termini di numero di pazienti trattati con successo, si è rivelata deludente. Gran parte delle difficoltà consiste nei limiti del metodo psicanalitico dovuti alla sua durata e al suo costo finanziario, specie in una situazione psichiatrica dove si lotta contro il tempo. Lo psicanalista si trova anche svantaggiato, in quanto non può occuparsi delle complicazioni sociali che sorgono dalla dipendenza dalla droga. Viceversa, lo psichiatra orientato in senso sociale spesso fallisce nei suoi sforzi perché non è in condizione di analizzare adeguatamente alcuni fra i più profondi e gravi disturbi intrapsichici. Questo è dunque un campo dove è estremamente urgente realizzare una combinazione di varie misure mediche e psicoterapeutiche e di attività socialmente reintegranti. Studiando questo problema, ci rendiamo conto anche della necessità di un training adeguato del personale impegnato nel trattamento dei pazienti con disturbi psichici, e in particolare della necessità di favorire una maggior comprensione dei fattori psicodinamici.

9. Ruolo della legislazione relativa alla prevenzione della dipendenza dalla droga

Ovviamente la prevenzione di una malattia è da preferirsi al suo trattamento, specie quando questo si dimostra deludente. Evitare prescrizioni di droga non necessarie o eccessive e prevenire la ricaduta sono fattori di primaria importanza per combattere una condizione patologica che, se lasciata a se stessa, potrebbe diventare una minaccia non solo per l'Occidente, ma forse per tutta la civiltà. Finora, le organizzazioni volontarie hanno sostenuto un peso troppo gravoso in questa lotta; le autorità sanitarie dovrebbero provvedere alla creazione di centri speciali per il trattamento ambulatoriale e di attrezzature dove la riabilitazione possa essere diretta o seguita. Trasformare quelle condizioni sociali che rappresentano il terreno su cui prosperano l'uso improprio e l'abuso delle droghe è assolutamente necessario e deve costituire la base di un programma ottimale, che abbracci tutti gli aspetti dell'igiene mentale della comunità; un tale programma può essere realizzato soltanto nel corso di parecchi anni. Nel frattempo, è essenziale indirizzare i nostri sforzi verso le autorità e verso il pubblico, così che diventino più coscienti della natura e delle origini del problema.

Le misure legislative, che costringono gli individui a subire un trattamento che essi non desiderano, hanno i loro fautori. Il valore e l'efficacia di tali misure sono alquanto discutibili, e forse questo è un settore in cui i diritti civili vengono effettivamente minacciati. La soluzione legislativa è di poca o nessuna utilità per la prevenzione della ricaduta, e può anzi spingere delle persone che sono già nei guai in una situazione in cui sarà affatto impossibile aiutarle. Ciò nonostante, i governi continuano a ricorrere a tale legislazione, considerata come l'unica misura preventiva realmente efficace.

Naturalmente, esiste una concordanza generale di opinioni sulla necessità di leggi severe che regolino la prescrizione e la vendita di sostanze che risultano indiscutibilmente tossiche se usate impropriamente: ciò vale per le anfetammine, i barbiturici, gli oppiacei e gli allucinogeni. Un caso particolare potrebbe essere quello della canapa indiana. Attualmente, la maggior parte dei governi non è incline a liberalizzare le leggi o a permettere la vendita della canapa indiana in nessuna circostanza, e ciò per ragioni assai valide. Troppe caratteristiche di questa droga sono ancora ignote: non ultima, la possibilità che abbia effetti teratogeni. La liberalizzazione delle leggi deve essere rinviata a quando sarà scientificamente e irrefutabilmente provato che la canapa indiana è innocua. L'ipotesi che coloro che la ottengono da fonti illecite siano esposti a ulteriori pericoli, in quanto entrano in contatto con spacciatori di droghe ‛pesanti', continuerà ad avere scarsa influenza sui legislatori e sulla maggioranza dei medici finché non si dimostrerà che la canapa indiana non è pericolosa in se stessa. Tuttavia, considerando il grado di confusione che circonda tante questioni importanti, sembrerebbe essere possibile e opportuno un cambiamento nell'interpretazione e nell'applicazione delle leggi concernenti la canapa indiana, così che esse non divengano oggetto di ridicolo e di disprezzo. È cosa ben nota che un gran numero di persone viola queste leggi e che soltanto una minoranza è scoperta: e tra questi vi saranno con ogni probabilità alcuni che sfrutteranno fino in fondo la possibilità di lamentarsi di persecuzioni e di caccia alle streghe. Le pene per la detenzione di una piccola quantità di canapa indiana non dovrebbero essere - come sono attualmente - eccessive. È altresì augurabile che una piccola modifica degli atteggiamenti pratici e morali nell'applicazione della legge possa contribuire a eliminare l'attrazione del proibito e il fascino connesso con la sfida all'autorità.

10. Note conclusive

Come ha detto A. Wikler (v., 1953, p. 618), ‟l'azione specifica dei narcotici è basata sui ‛bisogni primari dell'uomo: la fame, gli impulsi sessuali, l'aggressività e la soppressione dell'angoscia e del dolore". Non c'è da meravigliarsi che questo articolo si sia dovuto occupare di tante cose che sono non solo complesse, ma anche oscure. Imponenti ricerche sono necessarie e urgenti per accertare i veri effetti dei narcotici e degli stimolanti. Solo così si avranno buone probabilità di giungere alla scoperta degli antidoti appropriati; e, con una ridistribuzione organica delle nostre energie, ciò dovrebbe essere a portata di mano dell'attuale generazione di ricercatori. Ma per quel che concerne l'immediato futuro, noi dovremmo provvedere alla raccolta di dati adeguati e attendibili. Una proiezione statistica completa e soddisfacente del problema sarà un gran passo in avanti verso una sua totale chiarificazione.

(Per alcuni argomenti trattati in questo articolo si veda anche psicofarmacologia).

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