SATIRESCO, DRAMMA

Enciclopedia Italiana (1936)

SATIRESCO, DRAMMA

Augusto Mancini

. Con Σάτυροι o, tecnicamente, con σαρυρικὸν δρᾶμα gli antichi designarono un componimento drammatico il coro del quale era composto di satiri: ne possediamo due esempî, il Ciclope di Euripide, che per il singolare valore artistico può dirsi un modello del genere, e gli 'Ιχξευταί (i Bracchi) di Sofocle, mutilo in fine e di assai scarso valore. I due drammi superstiti, i frammenti non trascurabili di altri; i numerosi titoli, testimonianze epigrafiche, rappresentazioni vascolari, notizie di eruditi antichi ci consentono di renderci nelle linee generali esatto conto di quel che fosse il dramma satiresco, del suo sviluppo e della sua storia. Ma sono d'incerta soluzione i problemi varî e complessi che riguardano insieme l'origine della tragedia e i primordî del dramma satiresco e per i quali si sono proposte le ipotesi più disparate. Aristotele, che nei capp. 4-5 della Poetica afferma di poter seguire i varî mutamenti (μεταβάσεις) della tragedia, ne riconosce lo sviluppo da una forma satiresca (ἐκ σατυρικοῦ); ed è, fra le varie ipotesi, sempre preferibile che si accenni così a una lontana origine non già, s'intende, dal dramma satiresco, che sorge dopo, ma da forme embrionali lirico-drammatiche con cori di satiri (τάγοι) quali per primo, secondo il senso naturale e ovvio di famose testimonianze di Erodoto (I, 23; V, 67), avrebbe disciplinate in Corinto Arione di Metimna; ma l'indirizzo nuovo dato da Arione non esclude la persistenza di forme più rudimentali legate al culto e capaci di diverso sviluppo. È del pari da ammettersi che con σάτυροι e σατυρικόν non si accenni solo ai satiri semicaprini, che finirono con prevalere, ma che tali espressioni abbiano un valore più comprensivo, di tutti i demoni semiferini, e tanto più è da ammettersi, per varie testimonianze, che elementi dionisiaci ed eroici, satireschi e non satireschi, si siano contesi il campo sia in relazione al culto, ciò che mette in valore le tradizioni sul culto degli eroi, sia nelle forme d'arte che gli sono connesse, e che tutto questo possa essere avvenuto in varia misura a seconda dei luoghi. Ad ogni modo noi non conosciamo che il dramma satiresco attico, successivo al sorgere della tragedia, ma delle origini possiamo parlare solo per ipotesi, e soltanto da iscrizioni assai tarde abbiamo notizie del fenomeno di σάτυροι, in Beozia, in Tessaglia, a Magnesia, che fanno l'impressione di un irrigidimento di forme anteriori.

Demetrio (De eloc., 169) definisce il dramma satiresco τραγῳδία παίξουσα, una tragedia giocosa. Di fatto la struttura del dramma satiresco è quella stessa della tragedia, e non solo, qualunque ne sia l'impostazione e l'argomento, la conclusione del dramma è lieta, ma l'effetto burlesco e grottesco deriva soprattutto dalla condizione in cui si trovano i Satiri, costretti spesso ad uffici repugnanti alla loro indole, in condizioni di vita e di ambiente che contrastano con la letizia per essi sospirata del tiaso dionisiaco, mentre i personaggi tragici cercano di mantenere la dignità del loro costume fra i mostri e i briganti, di tradizione e di gusto popolare, che frequentemente offrono materia al dramma, e la petulanza gioiosa dei Satiri. I personaggi tragici compaiono sulla scena con le vesti e gli ornamenti della loro condizione, il loro linguaggio dovrebbe essere grave e solenne, e fino nell'uso delle libertà metriche sembra che si tenesse varia misura a seconda dei personaggi. La composizione del dramma, la sua tecnica, la distribuzione delle parti fra i personaggi, s'intende del dramma satiresco attico, si modellava sulla tragedia: la materia era mitica, non realistica, e faceva larga parte a tradizioni popolari, non tutte già elaborate letterariamente. Il coro aveva una sua danza caratteristica, la σίκιννις; la scena era di regola agreste, ma non mancano titoli e notizie di drammi che presuppongono una scena, e anche, per il resto, un'impostazione diversa.

Autore fortunato di drammi satireschi sembra sia stato anche Cherilo, la cui prima vittoria cade fra il 523 e il 524, celebrato come vincitore, ἡνικα μὲν βασιλεὺς ἦν Χοιρίλος ἐ̑ν Σατύροις (Mar. Plot., in Gramm. Lat., ed. Keil, VI, 508), ma nulla di più ne sappiamo: e inventore del dramma satiresco, nel senso che gli abbia dato la forma letteraria che prevalse e che fu definita secondo il modello scenico della tragedia, è Pratinas, nativo di Fliunte, città del Peloponneso, che aveva per eponimo Flias figliolo del dio Dioniso e che era centro del culto bacchico. È verosimile che la riforma di Pratinas sia in rapporto col contrasto tra i fautori dei soggetti dionisiaci e di carattere satiresco, e quello dei soggetti eroici, rappresentato dal grido degli spettatori, comunque lo si interpreti, οὐδὲν πρὸς τὸν Διόνυσον (Zenob., V, 40; Suida s. v.). Con Eschilo le gare drammatiche sono ordinate in modo che ciascun poeta concorre con una trilogia tragica e con un dramma satiresco che compie la tetralogia; ma se si accetti la testimonianza di Suida che Pratinas scrisse 50 drammi e di questi 32 satireschi, è logico pensare a rappresentazioni e gare di soli drammi satireschi o, comunque, di essi in prevalenza: anche la costituzione della tetralogia che compare con Eschilo, è dunque una forma di conciliazione.

Dai titoli e dagli scarsi frammenti che possediamo, spesso non è lecito argomentare con sufficiente probabilità quali drammi fossero tragedie e quali satireschi, ma non mancano testimonianze esplicite o, a ogni modo, sicure, sebbene male si riesca a porre in rapporto il numero dei drammi satireschi attribuiti a un poeta e la sua attività come autore di tragedie. Così abbiamo certe notizie di dieci drammi satireschi di Eschilo, ma verosimilmente il numero può salire a quindici, e testimonianze attendibili (Menedemo ap. Diog. Laert., II, 133 e Suida s. v. Μενέδημος) informano del pregio in cui era tenuta anche questa produzione minore eschilea. Maggiori dubbî sull'elenco dei drammi di Sofocle, forse una ventina di titoli, e la scoperta degli 'Ιχνευται non dimostra nel poeta le attitudini a trattare il dramma satiresco che avrebbe avute Eschilo e che ebbe indubbiamente Euripide, del quale possediamo il Ciclope e si ricordano altri sei drammi. Dei tragici minori quello che ebbe maggior fama nel genere satiresco è Acheo, di poco più giovane di Sofocle: si ricordano di lui 10 titoli satireschi e solo 9 tragici. Testimonianze della vitalità del genere non mancano fino al sec. II d. C., ma ne è in pari tempo accertato il vario carattere e il vario riconoscimento che ebbe la produzione satiresca. Non è intanto da dimenticare che si deve a Sofocle l'uso delle tragedie di esito lieto (tali: ‛Ηρακλῆς ἐπὶ Ταινάρῳ, Ποιμένες, Σύνδειπνοι di Sofocle, e, solo esempio conservatoci, "Αλκηστις di Euripide) come quarte in tetralogia, ciò che sta forse in rapporto con la soluzione della unità trilogica eschilea e con un diverso ordinamento delle gare, e si può ritenere che con la fine del sec. V nelle Grandi Dionisie i drammi satireschi comparissero raramente. Nel sec. IV iscrizioni attiche accertano che, mutatesi anche le norme per le gare tragiche, un solo dramma satiresco apriva la serie delle rappresentazioni (Inscr. Graecae, II, 977): fuori d'Atene neppure si citano nomi di drammi satireschi, ma si parla solo indeterminatamente di σάτυρα, di ποιηταὶ σατύτων, ciò che fa pensare al permanere o al ritorno di forme satiresche che potremmo dire primitive. Che il dramma satiresco fosse accetto alla società colta romana dell'età augustea e coltivato per amore di preziosismo e di novità è dimostrato dall'Arte poetica di Orazio (vv. 220-50).

Alla conoscenza del dramma satiresco offrono notevoli e talora preziosi contributi rappresentazioni figurate, particolarmente nella pittura vascolare, non solo in quanto vi si riproducano miti a cui si associano satiri spesso in diretta dipendenza da drammi satireschi, ma anche per le testimonianze che vi occorrano di grande interesse per le antichità sceniche: basti per questo ricordare il vaso di Ruvo, ora in Napoli, e il musaico di Pompei con la rappresentazione dell'allestimento di un coro di satiri.

Bibl.: I. Casaubon, De satyrica Graecorum poesi et Romanorum satyra libri II, ediz. Rambach, Halle 1774; Fr. Th. Welcker, Nachtrag zu der Schrift üb. die Aesch. Trilogie nebst einer Abhandlung über das Satyrspiel, Francoforte 1828; F. Wieseler, Das Satyrspiel nach Massgabe eines Vasenbildes dargestellt, in Götting. Studien, II (1847); id., Theatergebäude und Denkm. des Bühnenwesens, Gottinga 1851; A. Mancini, in Annali della R. Scuola norm. sup. di Pisa, Pisa 1895: L. Levi, in Riv. di storia antica, n. s., XII (1908) in Atti del R. Istituto veneto, LXIX, 2 (1910); E. Kuhnert, in Roscher, Ausf. Lex. der griech. und röm. Myth., IV, col. 444 segg.; W. Aly, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., II A, col 235 segg.; i frammenti dei satirografi, in Friebel, Satyrographorum Graecorum Fragmenta, Berlino 1837 e in Fr. Nauck, Tragic. Graec. Fragmenta, Lipsia 1889. Per le rappresentazioni figurate, H. Prott, in Schedae philol. H. Usener oblatae, Bonn 1891; M. Bieber, Die Denkmäler z. Theaterwsen, Berlino 1920.