Doping

Il Libro dell'Anno 2004

Silvio Garattini

Doping

Giocare sporco

Doping e medicalizzazione nello sport: alcune considerazioni

di Silvio Garattini

19 gennaio

Nel corso di un convegno organizzato a Roma dal Ministero della Salute e dedicato alla tutela dell'integrità fisica nelle attività sportive vengono esposti i risultati del primo anno di attività della Commissione ministeriale di vigilanza sul doping. Controlli a sorpresa effettuati su atleti di tutte le discipline hanno rilevato una percentuale di positività pari al 3%, cinque volte superiore a quella denunciata dal CONI. L'uso di sostanze dopanti risulta più diffuso negli sport minori.

premessa

La società in cui viviamo è 'farmacocentrica' nel senso che va sempre più affermandosi il concetto che tutto possa essere risolto attraverso l'assunzione di una pillola. Nostro figlio va male a scuola? Il problema non è suo o del suo insegnante, certamente il rendimento scolastico del ragazzo può migliorare con la prescrizione dell'ultimo preparato polivitaminico. Abbiamo problemi nell'affrontare un esame importante o un colloquio di lavoro? La soluzione non può che essere la prescrizione di un ansiolitico. Sempre di più, il farmaco è utilizzato in ambiti che non gli sono propri e al di fuori di precise e giustificate indicazioni mediche.

Non è quindi sorprendente che il trattamento farmacologico stia prendendo sempre più piede anche nell'ambito della pratica sportiva allo scopo di migliorare la prestazione individuale. Qualche anno fa ci si ripeteva che il problema era limitato ad alcune pratiche sportive caratterizzate da sforzi prolungati, a un limitato numero di paesi ben individuati - ricordate le atlete della ex Germania Est e le nuotatrici della Repubblica Popolare Cinese? - e soltanto allo sport agonistico, fosse esso di tipo professionistico o dilettantistico ad alto livello. Appare invece sempre più evidente che, in ambito sportivo, l'utilizzo di farmaci e/o del supporto di sostanze e preparati di diverso tipo è piuttosto generale e generalizzato. Ancora più grave e allarmante è il fatto che tale fenomeno interessi anche ampi settori dello sport amatoriale se non giovanile. Tutto ciò è probabilmente anche figlio di quella cultura farmacocentrica di cui si parlava più sopra e che può spingere il giovane a imboccare la via del doping che appare più semplice e più rapida di quella dell'allenamento e del sacrificio atletico quotidiano. Il parere di chi scrive è che il problema possa essere combattuto in maniera efficace soltanto attraverso il cambiamento della cultura imperante, che non può che passare attraverso la conoscenza scientifica di alcuni fatti.

Nello sport come in altri settori della vita è importante ricordare che il farmaco non rappresenta la soluzione di tutti i problemi e non è il surrogato delle nostre insufficienze. I farmaci hanno indicazioni terapeutiche specifiche che ne limitano l'ambito di utilizzo a precise condizioni di malattia. Utilizzare farmaci per scopi diversi da quelli per i quali sono stati sviluppati è molto spesso dannoso per la salute a breve e/o lungo termine, specie nell'organismo in fase di crescita. Questo è un concetto che deve essere chiaro al giovane che intraprende l'attività sportiva ma anche al genitore che a tale attività avvia il proprio figlio in sempre più tenera età.

le sostanze dopanti e i rischi associati

Per prima cosa è importante precisare che cosa si intende per doping. In termini generali, si può affermare che doping è l'utilizzo di farmaci, di combinazioni farmacologiche o di pratiche mediche allo scopo di migliorare la performance sportiva. Da un punto di vista strettamente tecnico, doping è l'impiego in ambito sportivo, e in assenza di precise indicazioni mediche, di una serie di sostanze farmacologiche vietate dal Comitato internazionale olimpico (CIO) e contenute in apposite liste che vengono aggiornate periodicamente. La dimostrazione, attraverso test appositi (antidoping), dell'assunzione di tali sostanze da parte di un atleta affiliato a una federazione sportiva porta automaticamente lo stesso alla sospensione dall'attività. Nella maggior parte dei casi le sostanze facenti parte della lista del CIO sono farmaci assumibili soltanto mediante prescrizione medica. L'elenco comprende, però, anche una serie di metodi proibiti quali l'emotrasfusione e la manipolazione farmacologica, fisica o chimica delle urine.

La lista dei prodotti e delle pratiche proibiti dal CIO non è immutabile, ma è in continua evoluzione e si propone di essere aggiornata rispetto ai progressi della chimica farmaceutica. Peraltro è opinione comune tra gli addetti ai lavori che essa non sia una lista comprensiva di tutte le possibili pratiche dopanti e che alla stessa sfugga una frazione non indifferente di più o meno nuove molecole e manipolazioni mediche illecite. Va tenuto presente che la lista non è redatta sulla base di criteri quali l'efficacia farmacologica e la pericolosità o tossicità, ma per lo più sulla base della tracciabilità delle sostanze prese in considerazione. In altri termini, il principale criterio che ispira la redazione della lista è la disponibilità di un metodo analitico sensibile e specifico in grado di misurare la sostanza in questione in liquidi organici quali l'urina e il sangue.

Se ciò è assolutamente comprensibile da un punto di vista operativo, in quanto la lista è stata sostanzialmente sviluppata per la lotta al doping e quindi alla frode sportiva, è altrettanto evidente che astenersi dall'assumere i farmaci inclusi nella lista stessa non rappresenta garanzia assoluta di protezione per l'atleta. Dal punto di vista della salvaguardia della salute dello sportivo, questo è un punto importante, in quanto esiste un certo numero di farmaci che, per la ragione di cui sopra o per altre ragioni, non sono inclusi nella lista CIO ma il cui utilizzo durante la pratica sportiva può essere pericoloso. Sotto questo punto di vista, va infatti ricordato che, molto spesso, l'organismo dello sportivo che svolge attività agonistica va incontro a sollecitazioni al limite del fisiologico, quali forte disidratazione conseguente alla sudorazione, impegno quasi massimale della funzione cardiocircolatoria e ipoventilazione relativa. In queste condizioni estreme, gli effetti farmacologici e collaterali di una sostanza possono essere fortemente modificati con possibili conseguenze anche molto gravi. In particolare, è importante sottolineare quanto l'azione farmacologica e gli effetti tossici non siano soltanto funzione del tipo di farmaco ma anche del suo dosaggio, ovvero della quantità assunta. Per es., dosaggi efficaci e poco tossici nell'individuo normale possono divenire fortemente tossici nell'atleta disidratato e con relativa diminuita funzione renale. Ancora, dosi assolutamente sicure di farmaci ad azione cardioattiva nell'individuo normale possono produrre fenomeni di tossicità inattesa nell'atleta sotto sforzo. Da queste constatazioni emerge come il trattamento farmacologico anche lecito di un atleta abbia una propria specificità non riscontrabile nell'individuo comune, specificità di cui il medico sportivo e l'atleta stesso devono essere consapevoli. In ambito medico-sportivo, il principio generale della cautela deve quindi sempre prevalere anche al di fuori del ristretto contesto del doping. Molta oculatezza deve essere, per es., esercitata anche nell'utilizzo di sostanze assolutamente lecite. Pensiamo agli integratori salini e alimentari di cui l'atleta fa comunque spesso uso e abuso.

Prendendo in considerazione più nel dettaglio le caratteristiche di alcuni dei farmaci, delle sostanze e delle pratiche contenuti nella lista di proscrizione del CIO, si può osservare come essi siano molto vari. Da un punto di vista generale, le voci contenute nella lista del CIO sono raggruppate in tre grandi categorie: sostanze proibite, sostanze soggette a restrizioni nel loro uso e, infine, metodi proibiti. Le sostanze proibite sono a loro volta catalogate in classi farmacologiche relativamente omogenee. Pur non avendo la pretesa di fornire una lista esaustiva possiamo citare alcune classi farmacologiche di particolare importanza tra le quali gli stimolanti, i narcotici, gli agenti anabolizzanti, i diuretici, gli ormoni peptidici (v. tabella).

Tabella

Gli stimolanti sono forse i farmaci utilizzati da più tempo nell'ambito del doping sportivo (Prendergast et al. 2003). A scopo puramente esemplificativo si ricorda che fanno parte di questa classe le anfetamine, la caffeina, la cocaina e composti dai nomi più complicati e meno conosciuti quali l'efedrina e la fenilpropanolamina (Goodman and Gilman's 2001). Le sostanze ricordate non sono state nominate in ordine di pericolosità in quanto, come tutti sanno, caffeina e cocaina sono molto diverse dal punto di vista dei loro effetti e dell'accettazione sociale del loro uso. Gli stimolanti vengono utilizzati dagli sportivi nella speranza di aumentare la prestazione soprattutto nell'ambito di discipline che prevedono sforzi atletici prolungati quali, per esempio, il ciclismo. A livello periferico, hanno funzione cardioattiva: farmaci come la fenilpropanolamina aumentano il ritmo cardiaco e la forza di contrazione e hanno generalmente un effetto vasodilatatorio. A livello del sistema nervoso centrale hanno effetto euforizzante e tendono a innalzare la soglia della fatica. Va notato che praticamente tutti gli stimolanti diminuiscono in maniera significativa la capacità di eseguire movimenti volontari fini e forse per questa ragione sono generalmente meno considerati in discipline che richiedono abilità tecnica. In condizioni di sforzo, gli stimolanti sono sostanze molto pericolose in quanto aumentano fortemente la possibilità di sviluppo di aritmie cardiache e di insufficienza cardiocircolatoria acuta, condizioni che possono addirittura provocare la morte. Certamente il caso più famoso di morte conseguente a ipertermia e successivo shock cardiocircolatorio acuto da assunzione di stimolanti è quello di Tommy Simpson, ciclista inglese morto in gara al Tour de France sul Mont Ventoux nel 1967. Probabilmente molto meno pubblicizzata è la casistica riguardante le morti da insufficienza cardiaca acuta conseguente all'utilizzo di cocaina, che pure sono descritte nella letteratura scientifica internazionale (Om et al 1992). Rimanendo alla cocaina è importante ricordare che ci troviamo di fronte a una sostanza d'abuso utilizzata a scopo ricreazionale e proibita anche dalla legge italiana; la sua assunzione cronica è associata a importanti effetti tossici a livello della corteccia cerebrale che portano, a lungo termine, a cambiamento della personalità, instabilità psichica, psicosi e possibilmente demenza (Goodman and Gilman's 2001).

Alla classe dei narcotici appartengono gli oppioidi e derivati (morfina, eroina, metadone), sostanze che svolgono un'azione analgesica centrale e calmante (Prendergast 2003). Vengono utilizzati per spegnere la sensazione dolorifica per es. nel pugilato e, per contrastarne in parte l'effetto di ottundimento dell'attenzione, possono essere assunti in combinazione con sostanze stimolanti. Non ci si soffermerà oltre su questa classe di composti che inducono tossicodipendenza e i cui effetti farmacologici, di grande rilevanza da un punto di vista sociale, sono molto noti.

Gli steroidi anabolizzanti sono un'altra classe molto conosciuta di sostanze d'abuso in ambito sportivo (Prendergast 2003). Ne fanno parte i derivati del testosterone, quali il famoso e famigerato nandrolone di recente introduzione. Il numero di derivati sintetici degli steroidi ad azione anabolizzante è molto elevato e in crescita proprio a causa del tentativo di superamento dei metodi di controllo antidoping. I derivati del testosterone sono oggetto di un mercato clandestino e illegale di proporzioni ancora poco conosciute ma di potenziale grande pericolosità. In ambito medico hanno indicazioni estremamente limitate e il loro uso è indicato soprattutto nel trattamento di forme di ipogonadismo da deficienza funzionale del testicolo (Goodman and Gilman's 2001). Gli steroidi anabolizzanti hanno struttura chimica generale simile a quella degli estrogeni, dei progestinici, dei mineralcorticoidi (aldosterone) e degli antinfiammatori corticosteroidei (cortisone). La caratteristica essenziale, che li differenzia da tutti gli altri steroidi, è rappresentata dal loro marcato effetto trofico sulla muscolatura scheletrica, a causa del quale vengono richiesti in ambito sportivo per aumentare la massa, la forza e la potenza muscolare. L'uso illegale di queste sostanze è particolarmente frequente nelle palestre, in ambito di atletica pesante. Nel caso dell'atletica leggera, sono diffuse soprattutto fra gli scattisti e i lanciatori. Peraltro, praticamente, non esiste disciplina in cui la componente atletica è rilevante che sia immune dal problema. Gli steroidi anabolizzanti sono molecole molto attive che vengono assunte in maniera cronica e spesso assai prolungata. L'utilizzo è molto pericoloso e associato a diversi tipi di tossicità. In ambo i sessi, l'assunzione cronica di steroidi anabolizzanti presenta effetti collaterali a carico dell'apparato genitale e delle funzioni a esso connesse. Negli uomini sono riportate riduzione delle dimensioni dei testicoli e del numero degli spermatozoi (azoospermia; Pena-Thornton-Sauer 2003) e ipofunzionalità degli stessi; si possono anche osservare effetti di femminilizzazione, quali l'ingrossamento della ghiandola mammaria (ginecomastia). Nelle donne, sono evidenti alterazioni dei caratteri sessuali secondari quali mascolinizzazione ed eccesso di peluria e sono, inoltre, sempre presenti alterazioni del ciclo mestruale. Sia nei maschi sia nelle femmine, la letteratura scientifica riporta effetti indesiderati anche a livello della sfera psichica con diminuzione della libido, aumento dell'aggressività e veri e propri stati di psicosi. La sospensione dell'assunzione di steroidi anabolizzanti può produrre una situazione molto simile a quella della crisi di astinenza osservabile nel caso di altri farmaci d'abuso. Ulteriori importanti effetti indesiderati sono la tossicità epatica che può portare a ittero, il possibile sviluppo di carcinomi (Creagh-Rubin-Evans 1988) sempre a livello del fegato e la ritenzione idrica con possibile sviluppo di edema. La somministrazione di steroidi anabolizzanti negli adolescenti, e comunque nell'organismo in fase di sviluppo, è particolarmente pericolosa, portando alla saldatura prematura delle ipofisi delle ossa lunghe con conseguente arresto della crescita (Goodman and Gilman's 2001).

I diuretici, utilizzati per aumentare la funzionalità renale e favorire la diuresi (Goodman and Gilman's 2001), sono normalmente indicati nel trattamento di alcune forme di ipertensione arteriosa in associazione ad altri farmaci. In ambito sportivo vengono generalmente impiegati per ottenere un rapido calo ponderale nelle discipline che prevedono categorie di peso quali il pugilato e l'atletica pesante (Caldwell 1987). Vengono inoltre assunti per mascherare la somministrazione di altre sostanze dopanti che vengono eliminate attraverso le urine. La pericolosità di tali farmaci in pazienti che si sottopongono a sforzo prolungato è prevalentemente legata agli effetti ipotensivi che possono essere notevolmente esacerbati da stati di forte disidratazione. La perdita di liquidi può indurre shock cardiocircolatorio acuto.

Probabilmente, l'ultima frontiera del doping è rappresentata dai prodotti di natura peptidica quali l'eritropoietina (EPO), l'ormone della crescita (hGH, human Growth Hormone) e la gonadotropina corionica (hCG, human Corionic Gonadotropin). Queste sostanze hanno preso particolarmente piede negli ultimi anni grazie all'avvento dei cosiddetti 'prodotti ricombinanti': sino a circa un decennio fa prodotti come l'hGH e l'hCG erano di natura estrattiva ed erano disponibili solo in piccole quantità, mentre l'avvento delle tecniche di ingegneria genetica ne ha permesso la produzione su larga scala, rendendoli largamente disponibili, anche a prezzi accessibili. Un'ulteriore ragione alla base del loro utilizzo sta nel fatto che per essere misurati nel sangue e nelle urine richiedono tecniche sofisticate. Si tratta di sostanze certamente molto attive da un punto di vista farmacologico, la cui assunzione può essere, però, causa di importanti effetti tossici indesiderati.

L'EPO è in grado di stimolare la crescita e la maturazione dei precursori cellulari del globulo rosso e determina l'espansione della massa sanguigna, facilitando il trasporto dell'ossigeno a livello degli organi periferici. In ambito medico, ha indicazione nel trattamento di alcune forme di anemia, soprattutto di origine renale, e deve essere somministrata sotto stretto controllo medico. In ambito sportivo viene utilizzata per aumentare la massa sanguigna in modo da facilitare il lavoro aerobico del muscolo. Per certi versi surroga l'allenamento in altitudine agendo però in maniera più imponente e spesso più rapida. La massa di globuli rossi presente nel sangue periferico può essere facilmente misurata attraverso la determinazione dell'ematocrito, che in condizioni fisiologiche e nell'individuo sano non supera, di solito, il 45%. Valori superiori al 50% risultano molto pericolosi per la salute, sicché questo è il limite considerato critico e al di sopra del quale si stabilisce la positività di un test antidoping (Wilber 2002). Infatti un ematocrito superiore al 50% è associato al cosiddetto fenomeno della inspissatio sanguinis o aumento della viscosità del sangue, che rallenta il flusso sanguigno e fa innalzare il rischio dello sviluppo di trombi (Lage et al. 2002). Anche in questo caso il fenomeno può essere esacerbato dalla disidratazione tipica dell'atleta sotto sforzo. Lo stato trombofilico indotto accresce in maniera notevole il rischio di trombosi acute a livello sia del circolo arterioso sia di quello venoso e può portare, per es., a infarto miocardico e trombosi cerebrale.

L'hGH è un altro ormone peptidico che regola diversi aspetti del metabolismo cellulare ed è sostanza di particolare importanza nel bambino e nell'adolescente durante la fase dell'accrescimento. Carenze specifiche di questo ormone, quali quelle osservabili nel raro disordine genetico del nanismo ipofisario, determinano forti deficit nella crescita e quindi bassa statura; questa condizione rappresenta l'unica indicazione terapeutica specifica all'utilizzo dell'hGH. Nell'atleta l'hGH viene utilizzato in sostituzione degli steroidi anabolizzanti con lo stesso scopo di aumentare la massa muscolare. Sono riportati anche casi di utilizzo in giovanissimi atleti sulla base dell'idea sbagliata che l'hGH permetta un aumento staturale nei bambini e nei ragazzi in crescita, in cui i livelli di hGH sono nella norma. I principali effetti collaterali associati all'utilizzo cronico di hGH sono lo sviluppo di possibili allergie, diabete (Kostyo-Gennick-Sauder 1984) e sintomi di acromegalia, con abnorme rimodellamento osseo, soprattutto se l'ormone viene assunto ad alte dosi.

L'hCG è un ormone peptidico prodotto fisiologicamente durante la gravidanza da parte del tessuto placentare. La sua somministrazione nel maschio stimola il rilascio di testosterone da parte del testicolo. Data la difficoltà di dimostrare la presenza e l'assunzione di hCG, in ambito di doping sportivo, l'ormone viene utilizzato in sostituzione del testosterone stesso e dei suoi analoghi, gli steroidi anabolizzanti, di cui presenta sostanzialmente gli stessi effetti e i medesimi rischi, tra i quali spicca la tendenza alla ginecomastia nei maschi.

Accanto alle sostanze proibite, la lista di proscrizione del CIO elenca un certo numero di farmaci e di sostanze soggetti a restrizioni d'uso. Tra i farmaci spiccano i beta-bloccanti, gli anestetici locali e i corticosteroidi. I primi vengono utilizzati nel trattamento di certe forme di ipertensione arteriosa e hanno importanti effetti a livello del sistema cardiocircolatorio; così come l'alcool (altra sostanza soggetta a restrizione d'uso), hanno effetto ansiolitico e antitremore e sono di conseguenza vietati in alcuni sport che richiedono precisione, quali il tiro con carabina o pistola. Gli anestetici locali hanno effetto antidolorifico locale, mentre i corticosteroidi hanno effetto sia antinfiammatorio sia antidolorifico di tipo sistemico. In ambito sportivo, queste due classi di composti sono consentite soltanto in situazioni patologiche preventivamente documentate e in regime di autorizzazione. Poiché si tende a fare abuso degli antinfiammatori steroidei, va precisato che questo tipo di sostanze ha un effetto necrotizzante a livello muscolare (Geusens-Dequeker 1991); inoltre la somministrazione può diminuire il dolore tipico dei traumi di carattere muscolare ma può aggravare notevolmente il danno associato ed è quindi importante fare molta attenzione al loro utilizzo nell'atleta afflitto da infortuni a carico del muscolo e dell'apparato scheletrico.

Da ultimo resta da accennare che accanto ai farmaci esistono anche metodologie che vengono considerate illecite in ambito sportivo. Fra queste figurano l'emotrasfusione, ovviamente di grande pericolosità per i rischi di infezione e di trombosi sempre associati a questo tipo di pratica, e la manipolazione farmacologica fisica o chimica delle urine che ha, evidentemente, come unico fine il mascheramento dell'assunzione di altre sostanze dopanti e non richiede ulteriore commento.

etica sportiva e tutela della salute

Sulla base di quanto si è detto, pare logico affermare che esistono almeno due ordini di ragioni per cui il doping è inaccettabile: mediche ed etiche. Le prime sono strettamente legate alle seconde, in quanto non esiste atto medico che possa porsi al di fuori dell'etica in senso generale. Vi è però anche un ambito di etica sportiva propriamente detta contro la quale il doping si pone: basti ricordare che lo sport si fonda sul principio della lealtà nella competizione e che tale principio viene meno quando si ricorra alla medicina nel tentativo di mettere il proprio concorrente in condizioni iniziali di inferiorità obiettiva o presunta. Il solo sospetto che l'utilizzo del doping da parte dell'atleta possa falsare il risultato di una gara rende l'uso di farmaci inammissibile.

Allorché il calcio o qualsivoglia altra disciplina smetta di essere sport e diventi spettacolo allora tutto potrebbe essere rimesso in discussione, se non giustificato. A questo proposito va ricordato che nello sport professionistico americano non esiste l'obbligo di sottostare ai divieti del CIO riguardanti l'utilizzo di sostanze farmacologiche da parte degli atleti. Sulla base di questa considerazione, esiste anche da noi una corrente di pensiero che è contro le restrizioni e sostiene il principio della libertà individuale anche a proposito dell'utilizzo di farmaci nel tentativo di migliorare le performance sportive. Secondo chi scrive, tale posizione non è accettabile soprattutto sulla base di considerazioni di ordine strettamente medico che devono sempre essere tenute presenti sia da parte dell'atleta sia, anche e soprattutto, da parte del medico prescrittore. Si tratta, in ultima analisi, di stabilire se la salute dell'atleta è un valore che va tutelato e che si pone al di sopra del risultato sportivo sempre e comunque.

Per ciò che concerne gli aspetti più propriamente medici è importante ribadire che il farmaco è un presidio terapeutico spesso essenziale nel trattamento e nella cura di alcune malattie. Da questo punto di vista, possiamo pensare, per es., alla mortalità legata alle malattie infettive in era pre-antibiotico e quanto il quadro sia cambiato dopo la scoperta della penicillina nel 1928. Gli effetti terapeutici, talvolta spettacolari, fanno però spesso dimenticare che l'assunzione di un farmaco è associata non soltanto a conseguenze di tipo curativo ma anche a tossicità, sotto forma dei cosiddetti effetti collaterali. Va quindi sottolineato che nella scelta di un qualsiasi trattamento per una determinata malattia deve essere sempre attentamente soppesato il rapporto beneficio/rischio.

In altri termini, il medico prescrittore deve sempre valutare se il beneficio che si presume il paziente abbia è superiore al rischio cui è sottoposto a seguito di un determinato trattamento farmacologico. In quest'ottica è chiaro che un farmaco risulta tanto più efficace quanto più il rapporto beneficio/rischio è elevato. Tale principio è alla base degli studi clinici controllati, utilizzati per definire l'attività terapeutica di un qualsiasi farmaco in una qualsivoglia situazione patologica. In linea del tutto generale il beneficio può essere determinato in una popolazione di pazienti affetti da una data malattia in termini di diminuita mortalità, miglioramento o scomparsa dei sintomi e/o miglioramento della qualità di vita. Di contro, il rischio può essere valutato in termini di tossicità acuta o cronica, che nei casi più seri può portare addirittura alla morte.

Partendo da questo assunto, si può mostrare quanto l'utilizzo di un farmaco allo scopo di migliorare la prestazione sportiva rappresenti una contraddizione in termini. Infatti, lo sportivo nell'atto di compiere uno sforzo agonistico è, per definizione, un individuo sano. Quindi, nell'atleta, mancando la componente 'malattia', manca l'indicazione all'uso del farmaco e viene meno il concetto di beneficio terapeutico. A fronte di ciò, tuttavia, persiste il rischio associato. È chiaro che, in queste condizioni, il numeratore del rapporto beneficio/rischio è uguale a zero. La logica conclusione cui si perviene, dunque, è che da un punto di vista medico è inaccettabile sottoporre un individuo a rischi inutili e non giustificati da benefici terapeutici evidenziabili. L'atleta che si sottopone a trattamenti farmacologici nella speranza o nell'illusione di migliorare le proprie prestazioni affronta rischi inutili che spesso sono esacerbati dal fatto che lo sforzo fisico può aumentare gli effetti collaterali di un farmaco, come già visto in precedenza. Per tutte queste ragioni, il medico sportivo che prescrive farmaci a un atleta al di fuori delle indicazioni terapeutiche è doppiamente colpevole e compie un atto contrario all'etica professionale.

A questo punto del discorso, avendo cercato di mettere in evidenza gli svantaggi e i pericoli legati all'utilizzo dei farmaci in ambito sportivo, ci si può chiedere quanto l'assunzione di sostanze proibite sia effettivamente associata a un reale miglioramento delle prestazioni. In tal senso, è fondamentale ricordare che, nella maggior parte dei casi, non esistono prove solide riguardo l'asserito vantaggio che si ottiene attraverso l'assunzione di una sostanza dopante. Per la maggior parte dei farmaci non esistono e, per ragioni di etica medica, non possono di fatto esistere, studi controllati e condotti in maniera scientifica mirati a dimostrare l'efficacia nel miglioramento della performance sportiva. Sarebbe infatti eticamente inaccettabile sottoporre individui sani ai rischi associati alla somministrazione di un determinato farmaco al solo scopo di valutarne l'effetto sulla prestazione sportiva. I vantaggi associati al doping sono quindi prevalentemente indotti o presunti, anche se teoricamente e biologicamente spesso plausibili, mancando studi scientifici controllati ad hoc.

A scopo puramente esemplificativo e tanto per prendere in considerazione una situazione limite, è certamente provato che gli steroidi anabolizzanti fanno crescere la massa muscolare in un tempo inferiore a quello necessario per ottenere lo stesso effetto con l'allenamento costante. Non esistono peraltro studi comparativi che dimostrino che, a parità di massa muscolare sviluppata, l'atleta che fa uso di steroidi abbia performance superiori all'atleta che non fa uso di queste sostanze. Ancora, è lecito chiedersi quale sia l'impatto a breve e lungo termine dell'utilizzo degli steroidi sull'incidenza degli infortuni di tipo muscolare e articolare. Pur non esistendo casistiche valide in questo settore, è ragionevole pensare che l'utilizzo degli steroidi possa, di fatto, essere associato a un incremento di tale incidenza, proprio in conseguenza del fatto che gli steroidi hanno la proprietà di aumentare la ritenzione idrica e quindi di accrescere la componente fluida o extracellulare di diversi tessuti, tra i quali muscoli e articolazioni. Discorsi analoghi potrebbero essere fatti per altre classi di farmaci. Quali sono, per es., le evidenze che l'assunzione di stimolanti migliori la prestazione sportiva in virtù di un innalzamento della soglia di fatica? Possiamo quantificare il vantaggio atletico associato all'utilizzo di EPO nel ciclista?

È evidente che tutte queste domande non hanno risposte precise, mancando studi scientifici controllati. Sulla base di quanto detto e in ultima analisi è tuttavia ragionevole affermare che i rischi del doping sono sempre reali, mentre i vantaggi sono spesso del tutto ipotetici e probabilmente non commisurati ai rischi stessi.

Il problema del supporto medico allo sport è molto complesso e va al di là del ristretto ambito del doping. L'illusione di poter migliorare le proprie prestazioni attraverso interventi medici riguarda anche l'utilizzo, probabilmente immotivato, di una quantità di altre sostanze. Si fa, infatti, sempre più largo uso da parte dello sportivo, anche amatoriale, di una varietà di composti che non sono farmaci in senso stretto, ma piuttosto integratori alimentari, che, certamente, non rappresentano doping, ma la cui assunzione è spesso ingiustificata. A questa categoria appartengono i complessi polivitaminici, gli antiossidanti, gli aminoacidi ramificati, la carnitina, il creatinfosfato o più generalmente altre classi di integratori salini e alimentari. Anche se indubbiamente meno pericolosi delle sostanze catalogate come doping, il loro uso è largamente da scoraggiare e sconsigliare, poiché tali preparati da nessun punto di vista possono essere considerati necessari. Essi inoltre alimentano il 'mercato delle illusioni' e rafforzano, soprattutto nel giovane, l'opinione errata che qualsiasi problema possa essere superato attraverso il supporto medico. Il tutto può risultare più dannoso di quanto si pensi, perché i prodotti di questo tipo non richiedono prescrizione medica e sono liberamente disponibili.

Spesso i preparati appartenenti alla tipologia appena descritta possono essere evitati o sostituiti da una più corretta alimentazione o da un migliore stile di vita. In questo senso, la carenza specifica di vitamine anche nell'atleta è condizione affatto rara e, in assenza di carenze specifiche, l'assunzione di vitamine esogene non ha alcun significato. In maniera del tutto similare, non esistono studi seri che dimostrino l'efficacia, da un punto di vista medico, di un supplemento di antiossidanti non soltanto nell'atleta ma anche nell'individuo comune. Così gli aminoacidi ramificati, la carnitina e il creatinfosfato sono sostanze prive di significato nel miglioramento della funzionalità muscolare. Nel caso degli aminoacidi ramificati è addirittura importante notare che sono stati segnalati casi di danno renale associato alla loro assunzione in grandi quantità. La carnitina, divenuta famosa negli anni Ottanta a causa dell'utilizzo che ne fece la nazionale italiana di calcio in occasione dei Mondiali del 1982 in Spagna, favorirebbe il metabolismo mitocondriale e funzionerebbe da 'energizzante'. Proprietà simili sono attribuite al creatinfosfato. Anche per queste due sostanze, tuttavia, ci troviamo di fronte ad affermazioni che hanno, al limite, la valenza di ipotesi di lavoro, peraltro non suffragate da studi scientifici adeguati. Che dire poi degli integratori salini, se non che essi possono essere facilmente sostituiti da un maggior consumo di frutta (ricca di potassio e di altri sali minerali) prima e dopo uno sforzo fisico?

conclusioni

Sia il doping sia l'eccessiva medicalizzazione dello sport sono dunque fenomeni che vanno studiati con grande attenzione. Infatti, lo sport è attività sempre più importante e diffusa nella società moderna, in grado di condizionare il comportamento di un sempre maggior numero di persone con riflessi importanti sulla loro salute. Se praticato in maniera corretta, lo sport amatoriale e non agonistico è sicuramente fonte di beneficio dal punto di vista medico e della salute. Più contraddittori sono i vantaggi di ordine fisico e medico associati alla pratica sportiva agonistica a livello dilettantistico e soprattutto professionistico. Comunque sia, e in entrambi i casi, la pratica sportiva trae giovamento dall'accurato controllo medico, a patto che lo stesso non si ponga come obiettivo il miglioramento della prestazione. Sotto questo punto di vista è opinione di chi scrive che, al di là del doping, qualsiasi intervento medico diverso dalla supervisione delle pratiche di allenamento, dal recupero fisico dell'infortunio e dalla corretta alimentazione dell'atleta sia da evitare. Atteggiamenti che si discostino da tali semplici regole, soprattutto in ambito professionistico, rischiano di rappresentare modelli negativi. Infatti, la pratica amatoriale dello sport è fortemente influenzata dai modelli di comportamento rappresentati dal professionismo e dal dilettantismo ad alto livello nelle diverse discipline. Il ruolo di modello comportamentale rappresentato dal campione e dal medico sportivo che lo segue deve essere evidenziato e può costituire un'opportunità unica da sfruttare in senso positivo.

repertorio

cenni di storia

L'origine della parola doping è controversa. L'ipotesi più accreditata è quella che ne fa risalire la radice a dopo, termine kafir usato da una tribù dell'Africa sudorientale per indicare un infuso eccitante somministrato durante le cerimonie religiose. Il termine, passato poi nell'afrikaans, la lingua dei boeri, si diffuse in Europa, dove era usato in generale per designare le bevande stimolanti.

Il termine doping appare per la prima volta in un dizionario inglese nel 1889 e si riferisce a una mistura di oppio e narcotici usata durante competizioni ippiche. Già i romani nelle corse con i cocchi somministravano ai cavalli una sostanza chiamata idromele, composta di miele e acqua, che si supponeva ne aumentasse la vigoria. Il moderno doping dei cavalli e dei cani si diffuse alla fine del 19° secolo per esaltare le prestazioni degli animali nelle competizioni, con conseguente frode. Solo a partire dal 1910 l'elaborazione dei metodi antidoping permise di combattere efficacemente questo abuso.

Nel campo delle competizioni sportive umane si registrano esempi di vero doping a partire dalla seconda metà del 19° secolo. Tuttavia sappiamo che già gli atleti antichi cercavano di accrescere le proprie prestazioni in modo artificiale. Secondo quanto riportato in molte fonti, in Cina si utilizzavano estratti di efedra, pianta che contiene l'alcaloide efedrina. In Europa l'uso di sostanze stimolanti, paragonabili ai moderni mezzi di doping, è per la prima volta attestato in relazione ai leggendari 'Berserkers' della mitologia norvegese, che si tramanda aumentassero la loro forza combattiva usando la bufoteina, un farmaco ottenuto dal fungo Amanita muscaria, i cui effetti duravano per un giorno ed erano seguiti da un forte senso di stanchezza e di debolezza.

Gli atleti greci tentavano di migliorare i loro risultati ai Giochi Olimpici con tutti i mezzi possibili. Galeno di Pergamo, il più insigne medico dell'antichità classica, intraprese lunghi viaggi per conoscere le droghe d'Oriente e tramandò notizie di vari stimolanti usati dagli antichi atleti e dai gladiatori. Rapporti dettagliati sono giunti dai territori latini e sudamericani, dove diversi stimolanti, dall'innocuo matè, al tè, al caffè, fino alle foglie di coca (Erythroxylon coca), furono usati per aumentare il rendimento e calmare la fame nel corso delle lunghe marce. Analogamente in America del Nord veniva assunto il peyotl, contenente l'alcaloide mescalina, che permetteva di correre fino a 72 ore consecutive. Gli abitanti di alcune regioni dell'Africa tropicale hanno usato sin dall'antichità Cola acuminata e Cola nitida durante le competizioni di marcia e di corsa. Il pituri per gli aborigeni australiani e il grande consumo di caffè per l'esercito del Potomac durante la Guerra civile nordamericana rappresentano ancora altri tentativi di potenziamento della capacità fisica.

La letteratura sull'argomento è sterminata e, per certi versi, molto fantasiosa. Si ha notizia, addirittura, di uso di nitroglicerina in virtù della sua azione coronario-dilatatrice e della supposizione che tale farmaco aumentasse la portata cardiaca. Il leggendario pugile inglese Daniel Mendoza racconta nelle sue memorie che, per affrontare il terribile Richard Humphries, nel 1791, bevve piccole dosi di sherry arricchito con stricnina.

Il primo caso di morte per presunto doping si registrò nel 1886: Arthur Lindon, un ciclista del Galles, morì pochi mesi dopo aver partecipato alla Parigi-Bordeaux, probabilmente per aver ingerito sostanze che a quei tempi si utilizzavano per aumentare potenza e resistenza (dalle zollette di zucchero imbevute di etere o di bevande alcoliche, fino alla nitroglicerina, cocaina, eroina, trimetilene, ossigeno, stricnina). Nel 1904 l'americano Thomas Hicks, vincitore della maratona olimpica di St. Louis, quando entrò in crisi durante la gara fu soccorso con solfato di stricnina. Anche Dorando Pietri - lo sfortunato maratoneta italiano che cadde poco prima del traguardo alle Olimpiadi di Londra nel 1908, si rialzò aiutato da un giudice e vinse, ma fu squalificato - aveva assunto stricnina.

Un decennio più tardi la purificazione dell'efedrina forniva agli sportivi una sostanza efficace e maneggevole. Nel 1933 il termine doping era talmente entrato nel linguaggio parlato da essere incluso nei dizionari specializzati (per es. lo Sportlexikon di O. Beckmann). Le anfetamine con i loro derivati (desanfetamina e metanfetamina), sintetizzate negli anni Trenta, ebbero grandissima diffusione durante la Seconda guerra mondiale, quando in particolare gli aviatori le utilizzavano per resistere più giorni senza riposare. Oltre 72 milioni di compresse sarebbero state distribuite ai soldati inglesi. Le 'pillole di Göring', nome di un preparato a base di anfetamine distribuito alle truppe del Terzo Reich, erano già state ampiamente 'testate' durante i Giochi Olimpici di Berlino del 1936.

Nel dopoguerra la diffusione e la popolarità raggiunte dallo sport agonistico, in particolare calcio e ciclismo, spinsero la medicina dello sport a occuparsi con sempre maggiore interesse dei principali aspetti di tipo fisiologico e fisiopatologico legati a tali attività, e dell'uso e abuso di farmaci in generale e di sostanze ad azione ergogenica in particolare. Si fecero sempre più numerosi i casi di emergenze mediche da doping e gli episodi mortali. Suscitò forte impressione la morte del ciclista Alfredo Falzini, a causa dell'ingestione di simpamina e steanina, avvenuta nel 1949 al termine della Milano-Rapallo. Nel 1955 la Federazione medico sportiva italiana (FMSI), di fronte al dilagare dell'uso di farmaci ad attività ergogenica, cercò di intervenire con informative alle varie federazioni e istituì specifici accordi con l'Unione velocipedistica italiana per indagini ed eventuali esami clinici e di laboratorio sui corridori. Sempre nel 1955 iniziarono in Francia i primi controlli antidoping nel ciclismo, che portarono al riscontro di circa il 20% di casi di positività. Nello stesso periodo anche la Federazione internazionale di atletica leggera manifestò analoghe preoccupazioni e la medesima volontà di opporsi al doping emanando un regolamento che "condanna il drogaggio quando venga attuato con sostanze che non sono di uso comune e che hanno il potere di aumentare il rendimento fisiologico dell'atleta". Il primo passo significativo nella lotta al doping fu mosso nel 1960, quando un Concilio Europeo, comprendente oltre 20 nazioni, emanò una risoluzione contraria all'uso delle sostanze dopanti nello sport. In quell'anno alle Olimpiadi di Roma, il danese Knut Enemark Jensen, atleta della 100 km a squadre di ciclismo, era caduto improvvisamente a terra per spirare un'ora più tardi all'ospedale: inizialmente era stata imputata al caldo torrido la responsabilità dell'accaduto; dopo l'autopsia, però, venne riscontrato che Jensen aveva fatto abuso di stimolanti.

Uno dei primi casi di sanzioni conseguenti a doping in Italia riguardò il calcio: quattro giocatori del Napoli furono squalificati per un mese in seguito ai risultati dei prelievi effettuati dopo la partita contro il Milan del 27 gennaio 1963. Nella stagione 1963-64 cinque calciatori del Bologna furono accusati di avere fatto uso di anfetamine nella partita Bologna-Torino: dopo la sospensione dei giocatori, furono sanzionati la squadra, l'allenatore e il medico sociale; in seguito, però, ulteriori accertamenti rivelarono che i campioni esaminati erano stati manomessi da personaggi esterni, non identificati. Nel 1964 il Consiglio federale della FIGC (Federazione italiana giuoco calcio) decise una serie di innovazioni, tra cui il sorteggio al termine della gara, in presenza dell'arbitro, per stabilire l'effettuazione o meno del controllo antidoping, e il deferimento alle Commissioni disciplinari solo dopo il risultato delle seconde analisi.

Alla fine degli anni Sessanta l'attenzione cominciò a spostarsi sugli eventuali effetti collaterali dannosi che l'assunzione di sostanze dopanti poteva determinare. La morte del ciclista inglese Tommy Simpson al Tour de France del 1967, in seguito all'assunzione di anfetamine, fu probabilmente ascrivibile all'elevata produzione di calore e al notevole incremento della temperatura corporea durante la gara. L'anno seguente il doping mieteva una vittima nel calcio francese: il diciottenne Jean-Louis Quadri, che collassò dopo un dribbling e morì mentre veniva trasportato in ospedale, rappresenta uno degli ultimi casi di morte per abuso di anfetamine, in quanto la pratica del doping stava lentamente mutando volto.

Negli anni della cosiddetta 'guerra fredda', anche lo sport divenne un terreno di confronto tra i due blocchi ideologici facenti capo agli Stati Uniti e all'URSS e, in questo ambito, l'affermazione della propria superiorità fu perseguita anche attraverso l'applicazione scientifica e sistematica di pratiche dopanti. Nel caso della Germania democratica, per es., in un libro pubblicato dopo la caduta del Muro di Berlino, Doping di Brigitte Berendonk, sono state ampiamente documentate, attraverso ricerche condotte dall'Istituto di medicina sportiva di Kreischa presso Dresda, le dosi di anabolizzanti e di altri farmaci somministrate a suo tempo a tutti i campioni di quel paese. Uno dei casi più clamorosi è quello di Heidi Krieger, ex campionessa europea nel peso, diventata un uomo per l'assunzione sistematica di steroidi a cui venne sottoposta.

Per quanto riguarda l'atletica, la prima squalifica in assoluto si ebbe ai Campionati Europei del 1969, per uso di stimolanti, a carico dell'atleta olandese di decathlon Eduard de Noorlander, classificatosi sesto. A mano a mano che i controlli venivano effettuati, il numero degli atleti trovati positivi andava rapidamente crescendo. A Roma, nel 1974, per la prima volta un atleta fu squalificato per accertata positività al controllo antidoping, dopo aver vinto una medaglia: si trattò del marciatore sovietico Vladimir Zhaloshik, arrivato terzo nella gara dei 20 km. Alle Olimpiadi del 1976 la discobola polacca Danuta Rosani venne esclusa dalla finale dopo che, al termine delle qualificazioni, le furono trovate nelle urine tracce di anabolizzanti. Nel 1977 la squalifica colpì la tedesca dell'Est Ilona Slupianek, vincitrice del lancio del peso nella finale di Coppa Europa, che poi tornò all'agonismo e vinse, un anno e sedici giorni più tardi, il titolo europeo (e, nel 1980, quello olimpico).

In realtà, sia i metodi di accertamento della positività sia le procedure di controllo erano, a quei tempi, ancora approssimativi e offrivano ampio margine alle contestazioni. Il grande passo in avanti nell'accertamento dell'uso di anabolizzanti si ebbe nel 1983 quando Manfred Donicke mise a punto il metodo della cromatografia e spettrometria di massa, che consentiva di accertare in un piccolo campione di urina dell'atleta la presenza di molecole di azoto o fosforo proprie delle sostanze proibite. Il sistema, utilizzato per la prima volta in occasione dei Pan American Games di quello stesso anno, in seguito è stato perfezionato, fino a raggiungere un altissimo grado di precisione e di sensibilità.

Il caso forse più noto di doping nell'atletica si registrò ai Giochi Olimpici di Seul del 1988, quando il canadese Ben Johnson fu trovato positivo a uno steroide anabolizzante, lo stanozololo, e quindi squalificato, dopo aver vinto i 100 metri a tempo di primato mondiale (9,79″). Carl Lewis, giunto secondo, poté così fregiarsi della medaglia d'oro. Il 'caso Johnson' ebbe il potere di dare una scossa all'ambiente dell'atletica. La IAAF (International association of athletics federations) riconobbe la necessità di rendere più frequenti e severi gli esami antidoping e all'inizio del 1989 introdusse novità nelle regole previste in materia, con la possibilità di condurre esami di controllo a sorpresa, in qualunque luogo e momento. Nacquero i cosiddetti random tests eseguibili anche presso i campi di allenamento. Negli anni che seguirono affiorarono solo sporadici casi d'infrazione, ma sul finire degli anni Novanta e al principio del 21° secolo divennero anche più rari i nuovi primati, soprattutto nei lanci. È probabile che questo sia dovuto, almeno in parte, alla maggior frequenza ed efficienza degli esami antidoping.

Parallelamente però andavano aumentando i casi di doping registrati nel ciclismo e nel calcio. Nel 1998 due episodi significativi contribuirono a sensibilizzare autorità e opinione pubblica in questo settore: primo, il 'caso Festina', che interessò il Tour de France 1998 e che portò all'arresto del massaggiatore Willy Voet, che aveva l'auto ammiraglia carica di prodotti dopanti destinati ai corridori, oggetto di una 'terapia' continua e organizzata a base di sostanze dannose, somministrate con l'unico obiettivo della prestazione migliore.

Nel luglio di quell'anno l'allenatore della Roma, Zdenek Zeman, rilasciò un'intervista in cui dichiarò che nell'ambiente del calcio circolavano troppi farmaci. La dichiarazione suscitò grande scalpore e determinò l'apertura sia di un'inchiesta conoscitiva da parte del CONI (Comitato olimpico nazionale italiano) sia di vari procedimenti giudiziari. Un'indagine in relazione a presunte irregolarità nei test antidoping condotti nel calcio portò fra l'altro alle dimissioni del Presidente del CONI, Mario Pescante, al commissariamento della FMSI e alla sospensione per tre mesi dell'attività del laboratorio antidoping dell'Acqua Acetosa a Roma. Le inchieste svolte dalla magistratura successivamente scagionarono da ogni accusa i responsabili della FMSI al riguardo di irregolarità nel laboratorio antidoping, che venne riaccreditato dal CIO e riprese la sua attività a pieno ritmo. Parallelamente al procedere delle inchieste della magistratura, le istituzioni sportive misero in atto iniziative tese a divulgare la conoscenza del pericolo doping e a combatterne la diffusione.

Nella stagione 2000-01 il calcio fu interessato da un nuovo caso: l'improvviso aumento delle positività a un agente anabolizzante, il nandrolone. Risultarono coinvolti nove giocatori di serie A e B che furono prima sospesi e successivamente squalificati. Sul fenomeno furono aperte numerose indagini, a opera della Commissione antidoping del CONI, per valutare la possibilità di un'eventuale contaminazione di integratori assunti dagli atleti. Agli inizi della stagione sportiva 2001-02 fu redatto un 'Codice di comportamento in materia di lotta al doping', sottoscritto da tutte le componenti del mondo del calcio rappresentate dalla Federazione italiana giuoco calcio, dalla Lega nazionale professionisti, dalla Lega professionisti di serie C, dalla Lega nazionale dilettanti, dall'Associazione italiana calciatori, dall'Associazione italiana allenatori di calcio, dalla Libera associazione medici del calcio e dall'Associazione preparatori atletici del calcio.

Nel frattempo nuovi casi di doping si registravano nel ciclismo, fra cui quello clamoroso di Marco Pantani, estromesso dal Giro d'Italia 1999, alla penultima tappa, quando era in testa alla classifica, perché il suo tasso di ematocrito risultò superiore alla norma. Dal punto di vista penale, accusato di 'frode sportiva', Pantani fu assolto nell'ottobre 2003 perché al momento delle rilevazioni "il fatto non era previsto dalla legge come reato".

Sostanza dopante di recente introduzione è lo steroide sintetico THG (tetraidrogestrinone), la cui presenza è stata rilevata, tra l'altro, nelle urine del campione europeo dei 100 m Dwaine Chambers, alla vigilia dei Mondiali di atletica di Parigi 2003, causando la sua squalifica per due anni. Nell'ambito della stessa manifestazione un altro caso di doping ha avuto una risonanza notevole: la sprinter statunitense Kelli White dovette restituire le medaglie d'oro conquistate sui 100 e i 200 m, perché risultata positiva al test stimolante anabolico Modafinil. Da questo episodio è scaturita un'indagine della USADA (United States antidoping agency), durante la quale sono stati coinvolti atleti come Marion Jones, Tim Montgomery e la nuotatrice Amy Van Dyken e che ha visto tra i principali imputati Victor Conte, proprietario della società BALCO (Bay-Area laboratory co-operative), che avrebbe prodotto la sostanza.

Oltre ad atletica, ciclismo e calcio, la pratica del doping investe molti altri ambiti sportivi. Secondo i dati diffusi dal Ministero della Salute nel febbraio 2004, il 3% dei 735 atleti appartenenti a 34 federazioni sportive esaminati nel 2003 è risultato positivo al controllo antidoping. Da queste verifiche sono emersi due aspetti sorprendenti: innanzitutto una crescita del fenomeno (in contrasto con i controlli del CONI e delle federazioni sportive nazionali che per gli anni 2000, 2001 e 2002 avevano dato percentuali di positività rispettivamente dello 0,9%, 0,8% e 0,6%); inoltre, il dato rilevante che a fare uso di sostanze dopanti siano anche e soprattutto atleti dei cosiddetti 'sport minori'. Infatti, partendo dall'assunto che il doping fosse diffuso in tutte le discipline, i controlli sono stati fatti su federazioni che negli ultimi cinque anni avevano avuto pochi o nessun controllo, per es.: la Federazione italiana triathlon, dove il 50% del campione è risultato positivo; la Federazione italiana pesistica e cultura fisica, con il 25% di positività; la Federazione italiana tiro a volo, con il 12,5%; la Federazione italiana gioco squash, anch'essa con il 12,5% di positività.

repertorio

Regolamenti e aspetti legislativi

Le fasi più recenti della lotta contro il doping sono state precedute da una lenta evoluzione durante la quale sono state emanate regole sempre più precise. Soltanto verso la fine degli anni Cinquanta, infatti, le autorità sportive di alcuni paesi si sono rese conto della gravità del problema. Per quanto riguarda l'Italia, la FMSI ha iniziato a raccogliere dati sui casi sospetti o accertati dal 1949 in poi. Per interessamento del CONI e della stessa FMSI, l'Italia, dopo Francia e Belgio, ha emanato una legge sulla tutela sanitaria delle attività sportive (l. 26 ottobre 1971, nr. 1099), comprendente l'obbligo del controllo antidoping per gli atleti secondo il metodo adottato dal Comitato sanitario del CIO.

In ambito internazionale, in occasione della Conferenza mondiale sul doping nello sport, tenuta a Losanna nel febbraio 1999, si definì l'istituzione di un'Agenzia internazionale antidoping (WADA, World anti-doping agency), con lo scopo di promuovere e coordinare la lotta contro il doping nello sport internazionale. Fondata nel novembre dello stesso anno e costituita da rappresentanti del Movimento olimpico e dell'Autorità pubblica in parti uguali, l'Agenzia divenne pienamente operativa in occasione delle Olimpiadi di Sydney del 2000. La WADA, cui spetta il compito di emanare e aggiornare l'elenco delle sostanze vietate, rilasciò la prima lista, in collaborazione con il CIO, il 1° giugno 2001, con validità dal 1° settembre 2001 al 31 dicembre 2002.

Su questa linea l'Italia ha aggiornato la propria legislazione con la l. 14 dicembre 2000, nr. 376 "Disciplina della tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping" e con il DM 15 ottobre 2002 "Approvazione della Lista dei farmaci, sostanze biologicamente e farmacologicamente attive e delle pratiche mediche, il cui impiego è considerato doping, ai sensi della legge 14 dicembre 2000, nr. 376" (la lista viene aggiornata periodicamente). In base a tale normativa sono considerati reati penali "la somministrazione o l'assunzione di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e l'adozione o la sottoposizione a pratiche mediche non giustificate da condizioni patologiche e idonee a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell'organismo al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti". Sono inoltre equiparate al doping la somministrazione di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e l'adozione di pratiche mediche non giustificate da condizioni patologiche, che siano finalizzate e comunque idonee a modificare i risultati dei controlli sull'uso del doping. Sono state anche introdotte ipotesi delittuose, punite con la pena della reclusione da tre mesi a tre anni e della multa, per colpire la somministrazione e l'assunzione di farmaci o sostanze costituenti doping ovvero l'adozione o l'assoggettamento a pratiche mediche rientranti nelle classi specificamente previste, che siano commesse al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti ovvero dirette a modificare i risultati dei controlli.

Per un'adeguata azione di contrasto alla pratica del doping la legge ha previsto l'istituzione, presso il Ministero della Salute, di una Commissione per la vigilanza e il controllo sul doping e per la tutela delle attività sportive. Tale organo ha, in primo luogo, il compito di predisporre le classi di farmaci, sostanze e pratiche mediche, le quali sono approvate con decreto del ministro della Salute; determina inoltre casi, criteri e metodologie dei controlli antidoping, individuando le competizioni e le attività sportive per le quali essi devono essere effettuati da laboratori per il controllo sanitario sull'attività sportiva accreditati dal Comitato internazionale olimpico o da altro organismo internazionale riconosciuto.

Durante il primo anno di attività la Commissione ha stilato la lista delle sostanze e pratiche dopanti, approvata con decreto firmato congiuntamente dal ministro della Salute e dal ministro delle Attività e dei beni culturali il 15 ottobre 2002 e aggiornata il 10 luglio 2003. La Commissione ha predisposto anche le norme procedurali per l'effettuazione dei controlli antidoping e per la tutela della salute che, assunte dal ministro della Salute sotto forma di decreto e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale in data 24 ottobre 2002, costituiscono un punto di riferimento tanto per l'autorità giudiziaria quanto per gli atleti.

I regolamenti del CONI e degli altri enti sportivi si sono adeguati alle disposizioni della legge, prevedendo sanzioni e procedure disciplinari nei confronti dei tesserati in casi di doping o di rifiuto di sottoporsi a controllo. All'interno del CONI, dopo l'approvazione del Regolamento antidoping del 2000, sono stati istituiti alcuni organismi appositamente destinati all'attività di controllo: la Commissione antidoping, che elabora e attua programmi educativi e campagne di informazione sui rischi connessi con la pratica del doping; la Commissione scientifica antidoping, che ordina le necessarie ricerche scientifiche; l'Ufficio di procura antidoping, che effettua le indagini sulle violazioni al regolamento antidoping.

A livello internazionale un ulteriore passo nella lotta al doping è rappresentato dal nuovo Codice antidoping della WADA, approvato dai rappresentanti di circa 80 paesi durante la Conferenza di Copenaghen del marzo 2003 ed entrato in vigore il 1° gennaio 2004. Il Codice fissa le regole e i principi dell'antidoping, che devono essere seguiti da WADA, CIO, federazioni internazionali e nazionali, e stabilisce standard internazionali uguali per tutti i laboratori, relativamente a modalità di controllo e sostanze soggette a restrizione a fine terapeutico. Il Codice contiene anche una nuova definizione di doping, che è relativa non solo alla presenza di una sostanza vietata, ma anche a quella dei suoi metaboliti e dei suoi marker. Inoltre, non si parla più di sangue o urina ma di 'prelievi corporali'. Per essere aggiornato sulle sostanze proibite l'atleta può sottoscrivere un 'passaporto' personale, mediante il quale ottiene, collegandosi in Internet, dati relativi alle sostanze vietate o a qualsiasi altro quesito relativo al doping. Le sostanze dopanti sono vietate sia in competizione sia al di fuori di essa; è considerato doping anche il semplice possesso da parte dell'atleta (o di membri del personale della squadra o dell'organismo di cui l'atleta fa parte) di sostanze o strumenti che servono per pratiche proibite. Ogni federazione internazionale e ogni organizzazione di controllo nazionale dovrà stilare un elenco preciso di sportivi di livello internazionale e nazionale da sottoporre a esami mirati che saranno accuratamente pianificati, tenendo presente che la priorità va sempre data ai controlli a sorpresa. La presenza nel fisico di una sostanza proibita, dei suoi metaboliti o dei suoi marker, l'uso o il tentativo d'uso di sostanze o metodi proibiti, il rifiuto di sottoporsi alle analisi, la falsificazione o il tentativo di falsificazione dei controlli comportano due anni di sospensione alla prima infrazione; sospensione a vita alla seconda. Il Codice prevede sanzioni anche per le squadre: se due elementi verranno trovati positivi nel corso dello stesso turno di prelievi, l'intera squadra dovrà superare una sorta di 'routine' di riqualificazione sottoponendosi a ripetuti test a sorpresa. Il tribunale di appello per atleti, dirigenti, federazioni internazionali e nazionali, nonché per la stessa WADA, è il TAS (Tribunale di arbitrato sportivo) di Losanna.

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