Donazioni indirette

Il libro dell anno del diritto 2019 (2019)

Donazioni indirette

Marco Martino

Le Sezioni Unite hanno ritenuto che il trasferimento per spirito di liberalità di strumenti finanziari dal conto di deposito titoli del beneficiante a quello del beneficiario realizzato a mezzo banca, attraverso l’esecuzione di un ordine di bancogiro impartito dal disponente, non rientri tra le donazioni indirette, ma configuri una «donazione tipica ad esecuzione indiretta»; ne deriva che la stabilità dell’attribuzione patrimoniale presuppone la stipulazione dell’atto pubblico di donazione tra beneficiante e beneficiario, salvo che ricorra l’ipotesi della donazione di modico valore.

La ricognizione

La Corte di cassazione a sezioni unite1, muovendo da un’ordinanza interlocutoria della Seconda Sezione civile2, ha aggiunto un nuovo capitolo alla vicenda teorica della donazione, rubricato «donazione a esecuzione indiretta»: vale a dire una donazione tipica, ma attuata indirettamente mediante un rapporto ulteriore e “terzo”. Fattispecie da tenersi distinta rispetto alla donazione o liberalità cd. indiretta. Nel far ciò le S.U. hanno compendiato gli argomenti in forza dei quali la giurisprudenza tenta da tempo di delineare i contorni della donazione indiretta, con particolare riferimento alla struttura in cui detta figura si sostanzia al fine, in particolare, di decidere se un atto non negoziale3, o se addirittura «qualunque mezzo utile allo scopo» possa ricondursi al perimetro applicativo dell’art. 809 c.c., sol che colui che lo realizzi persegua uno scopo di liberalità4.

La focalizzazione

La vicenda dalla quale trae spunto la giurisprudenza richiamata consiste nell’ordine impartito da un soggetto alla propria banca5 di disporre un trasferimento di titoli in favore della donna, a lui legata affettivamente, che nel corso di una malattia fatale si era presa cura della sua persona e aveva infine affrontato le necessarie spese funerarie. L’alternativa, in punto di qualificazione ed efficacia, era stata risolta in prime cure nel senso della nullità dell’atto per difetto di forma solenne, in quanto integrante donazione diretta. L’argomento del tribunale, in particolare, faceva leva sulla qualificazione dell’ordine alla banca in termini di negozio astratto, autonomo rispetto ai rapporti inter partes; di modo che il negozio tra le parti sarebbe quello che rileva e che deve essere qualificato come donazione vera e propria: donazione (remuneratoria, in particolare) nulla per difetto di forma. In appello, era invece prevalsa la qualificazione come donazione indiretta, attuata con un solo negozio (l’ordine impartito alla banca). La Corte d’appello di Trieste, in particolare, si era curata di precisare che la donazione indiretta di cui all’art. 809 c.c. non necessiterebbe «di due negozi, uno fra donante e donatario, e l’altro fra donante e terzo che realizza lo scopo-donazione, ma basta anche un solo negozio»; ed è di detto negozio, per l’appunto, che occorrerebbe rispettare i requisiti di forma (in questo caso, non necessariamente solenne). La questione concerne la necessità o meno che la donazione indiretta consti del compimento di un negozio – e non di un mero atto giuridico o, addirittura, di un fatto – il quale sia caratterizzato da “scopo tipico diverso dalla liberalità” e, dunque, sia dotato di un’autonoma causa, rispetto alla quale la liberalità si ponga come “conseguenza secondaria ed ulteriore”. Le S.U. hanno invero valorizzato il profilo concernente la causa dell’operazione, finendo per accogliere la tesi della nullità per difetto di forma in ragione di una considerazione per così dire “globale” dell’operazione realizzata: lungi dall’arrestarsi all’astrattezza (“neutralità”, secondo l’espressione prediletta dalle S.U.) del trasferimento dei titoli sul conto del beneficiario (con cui la banca ha dato esecuzione all’ordine ricevuto), hanno ritenuto decisiva la iusta causa sottesa al negozio (la cui esistenza è stata di fatto così postulata ab ovo) tra beneficiante e beneficiario: iusta causa donandi e, dunque, qualificazione del negozio come donazione tipica, nulla per difetto di forma solenne, solo destinata ad essere indirettamente eseguita (tramite l’adempimento della banca all’ordine del correntista).

La donazione indiretta nella giurisprudenza

Le pronunce in materia6 affrontano sovente tre interrogativi: se sia sufficiente, perché si abbia donazione indiretta, porre in essere un solo negozio ovvero la combinazione di due negozi; se, una volta accolta la prima soluzione (un solo negozio, per il quale occorre per così dire misurare la divergenza dallo scopo tipico), negozi causalmente astratti possano o meno integrare una donazione indiretta, stante l’impossibilità di parlare di una divergenza sul piano della causa là dove la causa si ritiene (accogliendo una certa concezione dell’astrazione) assente; se, infine, gli atti non negoziali possano essere riguardati come donazione indiretta, allorquando quest’ultima sia presa in considerazione non più come categoria giuridica, ma “economica”7. La dazione di una somma di denaro è stata ritenuta in alcuni casi donazione diretta della somma di denaro (nulla, in mancanza del requisito formale, e salvo il caso dell’art. 783 c.c.)8 e, in altri, donazione indiretta del bene che, con il medesimo, l’accipiens abbia acquistato9. Viene in questione un solo negozio10, e ciò che si vuole a ben vedere indicare, per il tramite del binomio diretto/indiretto, è che l’oggetto della donazione deve considerarsi, al fine di applicare determinate norme concernenti l’efficacia (segnatamente, quelle sul valore da considerare in sede di riduzione), un bene diverso da quello effettivamente attribuito dal donante11. Diverso schema, ma analogo modo di considerare il carattere indiretto della donazione, è quello che va sotto l’etichetta della intestazione di beni in nome altrui12, in cui il denaro non viene donato al beneficiario con la finalità di precostituire la provvista per l’acquisto del bene, ma senz’altro corrisposto al terzo, in adempimento dell’obbligazione di pagamento derivante dal contratto con il quale si realizza l’attribuzione al beneficiario, e con la possibile variabile costituita dalla strutturazione dell’operazione nelle forme di un contratto a favore del terzo (beneficiario) ovvero di un contratto di vendita con successivo adempimento ex art. 1180 c.c. (su cui v. infra). In entrambe le ipotesi, il donatario acquista il bene dal patrimonio del terzo; la dazione del denaro da parte del donante “indiretto” (avvenga essa in adempimento dell’obbligazione propria, sorta con la vendita, ovvero ex art. 1180 c.c.) impone una considerazione più articolata del risultato effettuale complessivo della combinazione delle fattispecie. Di contro, sono state efficacemente sottolineate le aporìe sottese al tentativo di rinvenire una liberalità nell’operazione negoziale risultante dal collegamento volontario di più negozi, giusta la ricognizione di un interesse – ulteriore e per così dire superiore rispetto a quello sotteso ai singoli negozi collegati – che ne diverrebbe il fulcro, in luogo del dato oggettivo della diminuzione patrimoniale priva di contropartita, ad esclusivo vantaggio dell’altro13. Ancora, parrebbe liberalità indiretta l’assenso del coniuge che prenda parte all’atto di acquisto di un bene compiuto dall’altro coniuge, giusta l’art. 179, co. 2, c.c., in difetto dei requisiti affinché il bene sia oggettivamente in grado di rientrare nel novero dei beni personali (il cd. rifiuto del coacquisto)14. E ciò a fronte della realizzazione di un effetto non rientrante nel contenuto tipico della donazione (atteso che la rinuncia ad un diritto non vale automaticamente disposizione del medesimo con l’intento di arricchire altri, come emerge dall’art. 478 c.c.), ma piuttosto consistente nella omissio adquirendi cui consegue l’acquisto per intero in favore del coniuge che aspira a far proprio il bene quale personale ex art. 179 c.c.; effetto, questo, di una fattispecie legale perfezionata in maniera incompleta e rispetto alla quale l’accertamento circa l’improduttività dell’effetto suo proprio sarebbe comunque possibile. Qui di donazione indiretta si parla in senso ancora diverso, quale risultato giuridico (l’arricchimento) determinato da un’inattività del soggetto legittimato a contestarne il perfezionamento. Situazione ancora diversa è quella in cui viene a trovarsi la persona nominata ai sensi degli artt. 1401 ss. c.c., in forza di riserva di nomina apposta al preliminare di compravendita (in favore del promissario acquirente), allorquando il soggetto nominato non sia tenuto ad alcuna esecuzione dell’obbligazione di pagare il corrispettivo pattuito per essere stata quest’ultima interamente adempiuta dall’originario contraente del preliminare15. In questo caso, infatti, il contraente originario vanterebbe sicuramente un diritto di regresso nei confronti del contraente nominato, di modo che si finisce per impingere nel tema – invero complesso – della natura di donazione indiretta da attribuire, ancora una volta, a un atto abdicativo, quale la rinunzia al regresso medesimo, e non già al pagamento delle somme (che può essere avvenuto interamente prima ancora della nomina). La figura del contratto a favore di terzo è stata più volte presa in considerazione interrogandosi sulla sua idoneità a realizzare una donazione indiretta16. La combinazione degli effetti giuridici del negozio (non donativo) realizzato tra promittente e stipulante con la deviazione della prestazione, dovuta dal promittente allo stipulante, in favore del terzo, per effetto della stipulazione medesima, si presta ad essere riguardata come paradigmatica rappresentazione di una pluralità di operazioni trilatere in cui la giustificazione dell’attribuzione al terzo e dell’impoverimento dello stipulante non è evincibile dal negozio produttivo dell’effetto attributivo, bensì nel rapporto di provvista che lega colui che dispone, ovvero che si obbliga, ovvero che assume su di sé l’obbligazione altrui, e il terzo, e in cui emerge quell’«interesse» cui fa riferimento lo stesso art. 1411 c.c. Da questo punto di vista, ben si prestano a essere riguardate, nel prisma dell’art. 809 c.c., la delegazione, l’espromissione e l’accollo, come anche la fideiussione, la cambiale di favore e l’avallo. Alla stipulazione in favore di terzo va anche ricondotto il mandato ad amministrare con obbligo di versare la rendita al beneficiario (quest’ultimo terzo, mentre al mandante e al mandatario sarebbe pertinente la qualificazione di stipulante e di promittente)17. Particolare importanza pratica assumono inoltre il fenomeno della cointestazione di beni18 e quello, ancor più specifico, della cd. cointestazione del conto corrente19, che altro non è se non la indiretta attribuzione, per il tramite della conclusione di un contratto con parte plurisoggettiva, del credito avente ad oggetto il saldo del conto, alimentato mediante provvista riconducibile a uno solo dei cointestatari. Nel caso della cointestazione di beni, si può fare riferimento alla scelta di attribuire quote di diritti nel contesto di negozi familiari e segnatamente, nel caso della costituzione del fondo patrimoniale20 con beni in proprietà esclusiva di uno dei due coniugi, ovvero di un terzo, senza riserva alcuna: in questi casi, invero, è arduo ipotizzare che il negozio di attribuzione sfugga alla qualificazione di donazione diretta, peraltro assistita dalla solennità formale già richiesta dall’art. 162 c.c.; mentre non può assumere alcuna valenza donativa, nemmeno indiretta, il mutamento di regime conseguente al fatto che in pendenza di una pregressa contitolarità nelle forme della comunione legale i coniugi dispongano, con atto di straordinaria amministrazione ex art. 184 c.c., della propria quota, costituendo con i beni già in comunione legale un fondo patrimoniale. Nel caso della cointestazione del conto corrente, ancora, si è di fronte ad un uso del concetto di donazione indiretta che chiama in causa effettivamente la combinazione di due negozi, le cui caratteristiche sono, per la dottrina che attribuisce al conto corrente autonoma dignità di fattispecie negoziale a causa mista, compresenti nella medesima operazione: il contratto di conto corrente di corrispondenza, che attribuisce la legittimazione ai cointestatari a pretendere il saldo, eventualmente per l’intero (giusta l’art. 1854 c.c.), e il contratto di deposito delle somme in conto corrente21, che costituisce la provvista. L’effetto liberale, in questa ipotesi, consegue all’effetto tipico del secondo negozio, per quel che riguarda l’impoverimento di colui che fornisce la provvista, e del primo, per quel che riguarda l’arricchimento dell’altro contitolare, il quale diviene anche egli (disgiuntamente ovvero congiuntamente, a seconda della disciplina prescelta per la “firma”) creditore legittimato a pretendere l’intero saldo. Nel caso del negozio mixtum cum donatione si assiste infine alla qualificazione in termini di donazione indiretta22 avuto riguardo alla circostanza per cui il contratto di vendita produce un arricchimento, nel patrimonio del compratore che si obblighi a corrispondere un prezzo vile, pari al valore del bene acquistato, senza alcun correlativo arricchimento del venditore23. Si tratta, qui, della considerazione dell’effetto finale liberale (arricchimento e impoverimento del donante), di modo che non può a rigore dirsi che ad essere indiretta sia la donazione (che, in quanto negozio, non è stato perfezionato, atteso che non si è di fronte a simulazione relativa e che appare artificioso supporre la coesistenza di due autonomi negozi), ma più precisamente che lo schema effettuale essenziale e tipico della donazione (la liberalità, come si esprime il codice civile) viene conseguito mediante una diversa fattispecie, non donativa.

I tentativi di sistemazione da parte della dottrina

La questione dogmatica sottostante al profilo sollevato dall’ordinanza interlocutoria che ha dato la stura alla pronuncia delle Sezioni Unite è stata a più riprese toccata dalla dottrina. Non sono mancate voci sicuramente orientate a considerare sullo stesso piano atti (e, più specificamente, negozi) giuridici e, del pari, fatti giuridici, in quanto ritenuti, gli uni e gli altri, in grado di integrare donazioni indirette, potendo entrambi determinare liberalità «nel loro effetto remoto e anche se, ad essi, non partecipi colui che se ne avvantaggia»24. Anzi, a ben vedere, la constatazione della peculiarità della donazione indiretta – non soltanto attuabile mediante negozi, ma altresì rinvenibile là ove, pur disconoscendo ogni rilevanza alla volontà della parte impoverita, l’arricchimento fosse conseguito a un mero fatto materiale – consentiva di superare in maniera netta le perplessità che sarebbero potute derivare dall’accostamento del concetto a quello di negozio indiretto, presto condotto di fronte ad aporìe e difficoltà superate solo con espedienti non riproponibili nel caso della donazione. Ci si riferisce in particolare all’obiezione, gravissima, in forza della quale il negozio indiretto, se ritenuto un negozio tipico, orientato tuttavia alla realizzazione di scopi ulteriori rispetto a quelli suoi propri25, finirebbe per attribuire ai motivi – ché tali sarebbero questi ultimi – una indebita rilevanza giuridica. La ricostruzione di Salvatore Pugliatti26, vòlta a colmare la discrasia tra scopo tipico e scopo ulteriore per il tramite di un distinto accordo tra le parti, produttivo di obbligazioni finalizzate a coprire quella distanza, parrebbe difficilmente riproducibile in materia di donazione, mentre si attaglia con maggiore agilità a fenomeni in cui il collegamento tra i due negozi restituisce effettivamente un programmanegoziale complesso e completo. È il caso, in particolare, dell’intestazione fiduciaria realizzata mediante vendita e correlativo pactum fiduciae, quantunque proprio detta fattispecie risulti per certi versi snaturata da consimile ricostruzione, che soccorre a ben vedere all’esigenza di eludere la ricostruzione classica del fenomeno per il tramite del concetto di trasferimento fiduciae causa. Invero, si potrebbe ricercare nelle singole ipotesi di donazione indiretta una consimile duplicità di negozi: si pensi al caso dell’adempimento del terzo seguito dalla remissione del debito di regresso, nel qual caso potrebbe ben dirsi che l’arricchimento dovrebbe correttamente ricondursi a quest’ultima, e non all’attività solutoria precedente. Occorre allora verificare se il dato fenomenico che si è ricostruito supra, si possa semplificare sempre e comunque costringendolo in un simile schema e, dunque, risolvendo la pluralità delle fonti dell’arricchimento (negozi, atti o fatti) semplicemente individuando quale produttivo della liberalità sempre e solo il negozio che definitivamente determina l’assetto patrimoniale vantaggioso per l’uno e svantaggioso per l’altro: vale a dire la rinunzia27. Questa assumerebbe carattere decisivo, nell’ottica della qualificazione in termini di “indiretta liberalità”, sia se considerata come ultimo momento negoziale di una più ampia operazione (coinvolgente negozi, atti e/o fatti: paradigmatici i casi della rinuncia all’indennità di cui all’art. 936 c.c., per i casi di satio, plantatio o inaedificatio effettuati su suolo altrui), sia che essa costituisca un unico negozio, orientato a quello scopo: è il caso della rinuncia al diritto reale su cosa altrui, ovvero della rinuncia al diritto di credito, quando si presentino del tutto isolati e appaiano non economicamente interessati; ancora, il caso del riconoscimento del diritto altrui, contro di sé, effettuato con la convinzione della falsità di ciò che riconosce28.

I profili problematici

Pare di poter dire che il panorama delle fattispecie analizzate dalla giurisprudenza e prese in considerazione dalla dottrina vada certamente nel senso di fare emergere un concetto di liberalità indiretta in cui convivono atti ablativi (rinunce) singolarmente considerati e fenomeni più complessi, in cui l’atto ablativo si pone all’esito di una sequenza che origina dal compimento anche di un mero fatto giuridico.

Le possibili variabili ermeneutiche

Occorre chiedersi cosa legittimi la sottrazione alla prescrizione formale e come si spieghi, dunque, che sia esplicitamente ammessa dal legislatore «una liberalità sostanziale il cui contenuto negoziale sfugge alla sacralità della forma pubblica»29, tenuto conto di come non vi possa essere dubbio circa il fatto che rinunciare a un diritto significhi, in forza di una volontà abdicativa, disporne, di modo che non si ravvisano ragioni, prima facie, per parlare di donazioni, mancando un effetto attributivo che, in senso proprio, dovrebbe avere ad oggetto un diritto reale, ovvero un diritto di credito e che, invece, assume al più i connotati di un vantaggio economico indiretto e mediato, pur desiderato con animo liberale. Per chi predilige una ricostruzione che fa leva sul concetto di causa, commista all’idea di “funzione” del negozio, non dovrebbe emergere infatti differenza alcuna. E, tuttavia, la peculiarità della donazione indiretta – sufficiente ad escludere la prescrizione formale a pena di nullità – viene individuata nella circostanza per cui, se come detto sopra è innegabile che il negozio da cui deriva l’attribuzione patrimoniale o comunque la disposizione del diritto sia sempre e solo uno, l’arricchimento che quella attribuzione o quella disposizione realizza nel patrimonio del beneficiario rappresenta un quid pluris, derivante da circostanze concrete e non tipiche. Così, nel caso della rinuncia all’usufrutto, nella circostanza per cui il beneficiario della liberalità (indiretta) sia proprio il titolare della nuda proprietà candidata a riespandersi; ovvero il terzo beneficiario della stipulazione in suo favore, un soggetto non legittimato a ritenerla in quanto non titolare di un credito nei confronti dello stipulante (di modo che la stipulazione non avviene solvendi causa). In quest’ottica, l’identificazione della donazione indiretta con il negozio indiretto riemerge – consapevolmente – nella misura in cui si parla comunque di una «disfunzione tra l’intento e la causa»30. Tirando le fila del discorso, può dirsi che un atto ovvero un fatto è, in un certo contesto, perfezionato: e quale conseguenza di quell’evento storicamente determinato risulta – ma come conseguenza non diretta, ulteriore e mediata pur sempre da un negozio (il più delle volte ad effetto ablativo, come la rinuncia) – un vantaggio in favore di una certa persona, motivato unicamente dall’intento di determinare un risultato finale consistente nell’arricchimento, a fronte di un depauperamento. Risultato, dunque, avente per ciò solo i caratteri propri della liberalità. Si attribuisce così la denominazione “donazione” ad un qualcosa che non è donazione e, potenzialmente, non è nemmeno atto giuridico (ma mero fatto giuridico), in considerazione dell’effetto che indirettamente – vale a dire per il tramite di un diverso medio – si produce. Di modo che, più correttamente dovrebbe forse dirsi che ad essere indiretto è l’effetto realizzato, così che sarebbe più chiaro ed efficace parlarsi unicamente di liberalità (intesa come effetto) indiretta, quale costante finalistica potenzialmente riconducibile a più antecedenti (negozio, atto, fatto), secondo l’ottica propria delle cd. norme materiali, prescindendo dall’analisi della natura “indiretta” della fattispecie (il che appare, a ben vedere, una confusione di piani: un fatto storico è o non è, e non se ne può logicamente predicare la natura “diretta” o “indiretta”). Di fronte a siffatta situazione, l’ordinamento reagisce tutelando i limiti fondamentali che, nell’interesse generale, sono posti all’attribuzione patrimoniale a titolo gratuito; e che la reazione non giunga a colpire il negozio per mancanza di forma solenne si spiega considerando che la complessità della fattispecie che determina la liberalità è tale da dover far ritenere ampiamente meditata la deliberazione di arricchire animus donandi e, dunque, superfluo il surrogato del vestimentum che, in luogo della controprestazione ovvero della traditio del bene, la forma incarna.

La soluzione delle Sezioni Unite

Ad avviso delle Sezioni Unite occorre in conclusione distinguere due ipotesi. Da un lato v’è la donazione indiretta, o liberalità non donativa che dir si voglia, caratterizzata dalla circostanza per cui «l’arricchimento del beneficiario non si realizza con l’attribuzione di un diritto o con l’assunzione di un obbligo da parte del disponente, ma in modo diverso», dal fatto che si attuano «in via mediata effetti economici equivalenti a quelli prodotti dal contratto di donazione» e dal fatto che essa si realizza: «a) con atti diversi dal contratto (ad esempio, con negozi unilaterali come l’adempimento del terzo o le rinunce abdicative); b) con contratti (non tra donante e donatario) rispetto ai quali il beneficiario è terzo; c) con contratti caratterizzati dalla presenza di un nesso di corrispettivi tra attribuzioni patrimoniali; d) con la combinazione di più negozi (come nel caso dell’intestazione di beni a nome altrui)». Siffatto tentativo di definire cosa sia “donazione indiretta” appare subito minato dalle stesse difficoltà segnalate nei precedenti paragrafi, cui si rinvia.

All’esito, la pronuncia formula una definizione (per vero classicamente in nulla rispondente a ciò che “definizione” deve essere) di tal guisa, tutto sommato inutile e innocua: «donazione attuata indirettamente in ragione della realizzazione indiretta della causa donandi».

Dall’altro lato – ed è questa, per quanto detto, la novità introdotta dalle Sezioni Unite sul piano della tassonomia del negozio – v’è l’enucleazione di una diversa categoria, cui ricondurre l’ipotesi della liberalità attuata a mezzo banca e avente ad oggetto valori mobiliari, definita «donazione tipica ad esecuzione indiretta». Qui la donazione, per come ricostruita, è dunque tipica, si discosta dalla (ben più semplice, a ben vedere) donazione del credito avente ad oggetto la restituzione delle somme o dei valori depositati – atteso che il beneficiario non acquista alcuna pretesa nei confronti della banca – e consta del negozio tacitamente concluso tra beneficiante e beneficiario, rispetto al quale avrebbe funzione meramente esecutiva (solvendi) il bancogiro (e, dunque, l’intermediazione gestoria dell’ente creditizio, a sua volta tenuto verso il disponente ad eseguire l’ordine ricevuto): il trasferimento di ricchezza dal donante al donatario è dunque effetto mediato del negozio sottostante, quantunque direttamente conseguito mediante il bancogiro. Così facendo, in sostanza, la Suprema Corte ha ricostruito l’operazione in termini bifasici, con le forme di quella che finisce per divenire una donazione obbligatoria ad effetto mediato da un atto del terzo: la prima titulus, il secondo modus adquirendi. La neutralità dell’accredito – sotto il profilo dell’emersione della giustificazione ultima della disposizione che esso realizza rispetto al patrimonio del disponente, vale a dire dell’expressio causae – ha dunque indotto le Sezioni Unite a indagare quale fosse la causa, rinvenendola nel rapporto tra ordinante-disponente e beneficiario, ricostruito senz’altro come rapporto contrattuale, a questo punto a forma vincolata.

Note

1 Cass., S.U., 27.7.2017, n. 18725, in Corr. giur., 2017, 1216 ss., con nota di M. Martino.

2 Cass., sez. II, 4.1.2017, n. 106, in Nuova giur. civ. comm., 2017, I, 636 ss., con nota di E. Tomat.

3 Cfr. Gatt, L., La liberalità, II, Torino, 2005, 239 ss.; sul punto già, ex multis, Biondi, B., Le donazioni, in Tratt. Vassalli, XII, Torino, 1961, 1010 ss. Un riferimento al mero fatto materiale come fonte di liberalità è in Cass., 3.5.1969, n. 1465; si v. anche Cass., 27.7.2000, n. 9872, in Giust. civ. Mass., 2000, 1642 (ma, per esteso, in Pluris).

4 Sullo spirito di liberalità v. Checchini, A., Liberalità (atti di), in Enc. giur. Treccani, Roma, 1990, ad vocem, 1 ss.; Carnevali, U., Le donazioni, in Tratt. Rescigno, 6, t. II, 2008, 485 ss.; Caredda, V., Le liberalità diverse dalla donazione, Torino, 1996, 13 ss. e 195 ss.; Carnevali, U., Liberalità (atti di), in Enc. dir., XXIV, Milano, 1974, 214 ss.

5 Sulle operazioni a mezzo banca come ipotesi di liberalità indiretta Gatt, L., La liberalità, cit., 132 ss.

6 Per una ricognizione v. Caredda, V., Donazioni indirette, in I contratti gratuiti, a cura di A. Palazzo e S. Mazzarese, Torino, 2008, 202 ss., che ritiene possibile ricondurre la congerie di fattispecie a due ipotesi di fondo: l’intestazione di beni a nome altrui e i negotia mixta cum donatione.

7 Sottolinea l’impossibilità di registrare un concetto unitario di donazione indiretta Palazzo, A., Atti gratuiti e donazioni, in Tratt. dir. civ. Sacco, Torino, 2000, 349.

8 Cass., 19.10.1978, n. 4711, in Giur. it. Mass., 1978, 1124.

9 Sul punto v. Torrente, A., La donazione, in Tratt. Cicu-Messineo-Mengoni-Schlesinger, XXII, II ed. curata da U. Carnevali e A. Mora, Milano, 2006, 67 ss.

10 Cass., 15.11.1997, n. 11327, in Foro it., 1999, I, 994 e in Contratti, 1998, 242, con nota di G.F. Basini; Cass., 7.12.1989, n. 5410, in Giur. it., 1990, I, 1, 1590 ss., con nota di U. Perfetti.

11 Lo nota Torrente, A., La donazione, cit., 23, sulla scorta di Cesaroni, P., Le cosiddette donazioni indirette, in Temi, 1948, 1 ss.; v. di recente, Caredda, V., Donazioni indirette, cit., 283 s.

12 Un arresto fondamentale in materia è la nota Cass., S.U., 5.8.1992, n. 9282, in Nuova giur. civ. comm., 1993, I, 372 ss., con nota di F. Regine, in Giust. civ., 1992, I, 2991, con nota di G. Azzariti, in Rass. dir. civ., 1994, 612, con nota di V.M. Cesaro e in Giur it., 1993, I, 1, 1548 ss. (seguita subito da Cass., 8.2.1994, n. 1257, in Foro it., 1995, I, 614, con nota di C. De Lorenzo); Cass., 31.1.1989, n. 596, in Giur. it., 1989, I, 1, 1726; Cass., 23.12.1992, n. 13630, in Riv. fam., 1994, 112. E si v. già il problema in Carnelutti, F., Donazione di immobili o donazione di denaro?, in Foro it., 1956, IV, 185 ss.; di recente v. Cass., 2.9.2014, n. 18541, in Notariato, 2014, 637; Cass., 6.11.2008, n. 26746, in Fam. pers. e succ., 2009, 410, con nota di M. Massella Ducci Teri.

13 Gatt, L., La liberalità, cit.,105 ss.

14 Cass., 9.11.2012, n. 19513, in Giust. civ. Mass., 2012, 1287 e, per esteso, in Pluris; Cass., 8.5.1998, n. 4680 in Riv. not., 1999, 1218, e in Giust. civ. 1999, I, 3120.

15 Cass., 15.12.1984, n. 6581, in Riv. not., 1985, 724 ss.

16 Gatt, L., La liberalità, cit., 3 ss.; Caredda, V., Donazioni indirette, cit., 268 ss.; Palazzo, A., Atti gratuiti e donazioni, cit., 360 ss.; Cass., 29.7.1968, n. 2727, in Foro pad., 1970, I, 46.

17 Cass., 6.6.1969, n. 1987, in Giur. it., 1970, I, 1, 1232, con nota di A. Checchini.

18 Palazzo, A., Atti gratuiti e donazioni, cit., 365 ss.

19 Palazzo, A., Atti gratuiti e donazioni, cit., 386 ss.

20 Sul fondo patrimoniale come ipotesi di liberalità non donativa: Palazzo, A., Atti gratuiti e donazioni, cit. 369 ss.

21 Sulla cointestazione del deposito bancario si v. Cass., 12.11.2008, n. 26983; Cass., 14.1.2010, n. 468; Cass., 10.4.1999, n. 2499. La cointestazione di buoni fruttiferi postali è invece esaminata da Cass., 9.5.2013, n. 10991.

22 Cass., 30.1.2007, n. 1955; Cass., 7.6.2006, n. 589816; Cass., 10.2.1997, n. 1214.

23 Torrente, A., La donazione, cit., 43 ss.

24 Cfr. Messineo, F., Manuale di diritto civile e commerciale, III, 2, VIII ed., Milano, 1952, 428.

25 Ex multis, Cariota Ferrara, L., Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, Napoli, s.d. (ma 1948), 256 s.

26 Pugliatti, S., Precisazioni in tema di vendita a scopo di garanzia, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1950, 299 s.; cfr. inoltre Santoro Passarelli, F., Interposizione di persona, negozio indiretto, in Foro it., 1931, I, 176 (e Id., Dottrine generali del diritto civile, IX ed., rist., Napoli, 1997, 182 s., e ivi ulteriori riferimenti).

27 Spunti in tal senso in Torrente, A., La donazione, cit., 22 s.; Cariota Ferrara, L., Il negozio giuridico, cit., 267; Casulli, V.R., Donazioni indirette e rinunzie ad eredità o legati, Roma, 1950, 86 ss.

28 Cariota Ferrara, L., Il negozio giuridico, cit., 261.

29 Palazzo, A., Atti gratuiti e donazioni, cit., 349.

30 Torrente, A., La donazione, cit., 30.

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