DOMICILIO

Enciclopedia Italiana (1932)

DOMICILIO

Gaetano DE RUBEIS
Gino SOLAZZI
Leonida RAGNISCO

. Interessa all'ordinamento giuridico determinare la sede legale delle persone, fisiche o giuridiche, nel territorio, non solo ai fini politici ed amministrativi e tributarî, ma anche ai fini dell'esplicazione dei diritti civili, come ad es., per le esecuzioni delle obbligazioni, i rapporti di famiglia, le aperture delle successioni e specialmente l'esercizio delle azioni giuridiche. La sede legale delle persone fisiche si chiama appunto domicilio, ed è il luogo dove la persona stessa ha la sede principale dei proprî affari e interessi (art. 15 cod. civ.). Si chiama dimora il luogo dove la persona si trova in atto: alla nozione di dimora non è annesso altro requisito che quello dell'attualità, non quello della permanenza; ma l'attualità deve intendersi accompagnata almeno dal concetto dell'abitazione. Si chiama residenza infine (art. 16, cap. cod. civ.) il luogo in cui la persona ha la dimora abituale, cioè lo stabilimento della persona, come si esprimevano i codici già vigenti nelle varie regioni prima dell'unificazione legislativa del regno d'Italia.

Avendo riguardo alla relazione effettiva dell'uomo col determinato luogo dove egli ha residenza, varie legislazioni contemporanee (cod. civ. germanico § 7, cod. svizzero art. 23) pongono la sede legale della persona appunto nel luogo di residenza, identificando così questa col domicilio definitivo come luogo in cui si ha la dimora permanente e presumendo quindi che la persona abbia il centro dei suoi affari e rapporti giuridici proprio nel luogo ove trascorre abitualmente la vita; ma questo concetto, che eliminerebbe in verità molte incertezze nella pratica, non è stato accolto nella legge italiana la quale ha tenuto conto precipuamente del centro dei rapporti anziché del luogo di permanenza, ha presunto che nel luogo dove è la sede principale degli affari proprî la persona sia da ritenersi sempre presente, e ha distinto nettamente la nozione di residenza da quella di domicilio. Così il domicilio risulta come la sede costante e indipendente da ogni cambiamento di residenza, dove la persona si presume trovarsi dal punto di vista del diritto e per l'esplicazione di esso; tale concetto, che per sé stesso è astrazione, poggia tuttavia sulla reale tendenza dell'uomo a fermarsi in modo duraturo nel luogo dove l'avvince la somma dei suoi interessi.

Secondo il nostro diritto, a differenza del diritto romano, si presume che nessun cittadino sia sfornito del domicilio, perocché ad ognuno (art. 18 cod. civ.) è attribuito fin dalla nascita il domicilio cosiddetto di origine, che si conserva fin dopo la maggiore età e dopo l'emancipazione e finché non si sia acquistato un nuovo domicilio; ma nella pratica poco giova far ricorso al domicilio di origine quando si siano perdute le vestigia di esso e manchi la prova dell'acquisto del nuovo; in certi casi la legge (art. 90 c. p. civ.) soccorre richiamandosi alla residenza o dimora, in altri occorre ricercare dove realmente fu posto dalla persona il centro dei rapporti giuridici.

L'acquisto di un domicilio diverso da quello precedente, sia questo originario o anche acquisito, non può avvenire se non in concorso di determinate condizioni che sono: la capacità di contrattare, il trasferimento della residenza nel luogo nuovo, e la manifestazione dell'intenzione di fissare ivi il centro dei proprî affari (art. 17 cod. civ.): le prime condizioni possono provarsi con tutti i mezzi ammessi dalla legge; l'ultima, l'elemento intenzionale, si prova ordinariamente con la doppia dichiarazione all'ufficiale di stato civile del vecchio domicilio e all'ufficiale del nuovo e sussidiariamente con l'accertamento di tutti i fatti che valgono a indurre tale intenzione, a sovrano apprezzamento del magistrato. A questo punto è bene avvertire come di fronte al fenomeno economico e sociale dell'impiego pubblico e privato con annessa remunerazione, che impone all'impiegato di abbandonare il luogo del domicilio e stabilirsi altrove, sia stato autorevolmente ritenuto, sebbene manchi una precisa disposizione, che nei casi d'impieghi o uffici permanenti si verifichino di regola le condizioni materiali e intenzionali del cambiamento di domicilio per l'impiegato o funzionario, salvo prova contraria da fornirsi dagl'interessati. Il cambiamento di domicilio opera verso i terzi, senza bisogno di notifica o pubblicità.

Il domicilio civile che ha importanza per l'esercizio dei diritti civili si distingue in varie specie: domicilio volontario o necessario; domicilio reale o elettivo. È volontario quello che si ha nel luogo dove è la sede principale dei proprî interessi, né la legge considera la possibilità di più domicilî; è necessario quello che ha per causa la disposizione di legge e si fonda solo sul rapporto di dipendenza che lega talune persone ad altre. Il domicilio necessario si ha nei casi tassativamente stabiliti dalla legge; es. la moglie ha il domicilio del marito se non sia legalmente separata; il figlio minore ha quello del padre legittimo o del genitore che l'ha riconosciuto o del tutore se manchino i genitori che esercitano la patria potestà o la tutela legale; l'interdetto ha il domicilio del tutore. Il domicilio necessario muta soltanto col mutarsi del domicilio del padre, del marito, del tutore e cessa col cessare dei rapporti che ne sono causa, rimanendo libertà al figlio maggiorenne e alla donna separata di fissare dove credano il loro domicilio volontario.

Il domicilio è detto reale, sede effettiva della somma dei proprî affari, a differenza di quello elettivo che non s'identifica con quella sede, in quanto è il luogo specialmente indicato per riguardo a un determinato rapporto giuridico: questo speciale domicilio, che spesso è volontario ma molte volte è imposto dalla legge per necessità giuridiche, ad es. l'elezione di domicilio del precettante nell'atto di precetto, si ha col mezzo dell'elezione di domicilio, cioè con dichiarazione apposita in forma scritta (art. 19 cod. civ.) indicando il comune o una casa sita in un luogo o un ufficio o una persona: l'elezione tacita di domicilio non è ammessa.

Gli effetti del domicilio sono varî, e di essi alcuni sono comuni anche alla residenza. Esclusivamente in base al domicilio si determina il luogo di apertura della tutela (art. 249 cod. civ.), l'ufficio che deve procedere o registrare certi atti dello stato civile (art. 363, 379, 384 cod. civ.), il luogo di apertura delle successioni (art. 923 cod. civ.), il luogo dove è da farsi il pagamento (art. 1249 cod. civ.), ecc.: al concetto di domicilio e a quello di residenza si richiama il legislatore in altri casi e precipuamente per la determinazione della competenza dei magistrati circa le azioni personali e le reali su beni mobili (art. 90 cod. proc. civ.), del luogo in cui devono notificarsi gli atti giudiziarî (art. 39 e 139 cod. civ.) del luogo dell'ultima dimora dell'assente (art. 20), della competenza dei varî ufficiali dello stato civile circa la celebrazione del matrimonio (art. 93 cod. civ.), ecc. Gli effetti del domieilio eletto sono non solo processuali ma anche civili, in quanto l'elezione di domicilio determina il luogo di notificazione degli atti relativi all'affare per cui vi fu l'elezione, la competenza dell'autorità giudiziaria del luogo dove è eletto domicilio, il luogo per la perfezione del contratto tra persone lontane e in genere può produrre effetti similari a quelli d'una convenzione.

Anche gli stranieri possono avere domicilio, residenza o dimora nel territorio italiano: essi possono comprovare l'acquisto e il cambiamento del domicilio in Italia con le stesse forme e gli stessi mezzi ammessi per i regnicoli e accertare le condizioni necessarie per l'acquisto del domicilio come sopra è detto: e siccome gli stranieri sono ammessi all'esercizio dei diritti civili come i cittadini secondo la dottrina liberale italiana (art. 3 cod. civ.), il rapporto di domieilio o residenza o dimora di essi nel regno vale non soltanto a determinare la loro sede legale di fronte all'ordine giuridico italiano ma costituisce il più delle volte la causa sufficiente perché la giurisdizione dei magistrati italiani sia estesa a essi e sia loro resa giustizia, applicando loro a seconda dei casi le disposizioni delle loro leggi nazionali o altre ma nelle forme dei procedimenti del rito italiano (v. articoli 105-107 cod. proc. civ.).

Il domicilio delle persone giuridiche di diritto privato è la sede in cui è localizzata la loro attività giuridica: poiché manca ad esse la capacità di agire senza l'opera intellettuale e materiale delle persone fisiche preposte all'amministrazione e che a rigore non s'identificano con l'ente qui non trovano applicazione i concetti di residenza o dimora; la legge non detta norme fisse, ma dal sistema si può desumere che il domicilio per gli enti sia nel luogo dove sta il centro amministrativo degli affari e che le singole sedi di rappresentanza di uno stesso ente siano da equipararsi al domicilio eletto pei il gruppo di affari relativi alle singole sedi di rappresentanza. Il luogo dove è posta la sede legale dell'ente o delle sue rappresentanze è determinato dall'atto costitutivo debitamente reso noto ai terzi nelle forme di pubblicità, come avviene sempre per le società commerciali: ogni cambiamento del centro di amministrazione o delle sedi di rappresentanza deve essre fatto nelle forme dell'atto costitutivo e reso noto ai terzi con le stesse pubblicità. Non si concepisce un domicilio necessario per le persone giuridiche che pur non avendo capacità di agire senza organi fisici sono tuttavia soggetti di diritto sui iuris, è possibile per gli enti l'elezione di un domicilio speciale per determinati atti e con effetti simili a quelli dell'elezione di domicilio fatta dalle persone fisiche.

Gli effetti nascenti dal domicilio riguardo alle persone fisiche sono in genere gli stessi che derivano alle persone giuridiche dalla loro sede legale come sopra intesa, salvo le speciali situazioni compatibili con l'indole stessa degli enti che sono pura astrazione giuridica. Anche le persone giuridiche straniere, possono eleggere uno speciale domicilio nel regno per determinati affari ovvero aprire nel regno una sede per lo sviluppo del loro commercio o avere addirittura nel regno l'oggetto principale della loro impresa; in questi ultimi casi esse si considerano domiciliate nel regno e analogamente alle società nazionali sono tenute a pubblicare i loro statuti nella giurisdizione del tribunale in cui intendono collocare il loro principale stabilimento e nel luogo designato sta il loro domicilio (v. art. 230 segg. cod. comm.).

L'inviolabilità del domicilio. - Il principio dell'inviolabilità del domicilio si collega a quello della libertà individuale (v. libertà), perciò che esso è diretto a rendere possibile la libera esplicazione della personalità umana nel luogo in cui la persona fissa, stabilmente o anche solo temporaneamente, la sua dimora. L'espressione domicilio è pertanto adoperata, in questo caso, con significato diverso da quello che essa ha nel diritto civile (cod. civ., art. 16 segg.). Essa sta infatti a designare qualsiasi luogo (casa, villa, stanza d'albergo, tenda, capanna, ecc.) adibito da una persona sola, o da una convivenza di più persone (famiglia, collegio, ospedale, ricovero di vecchi, ecc.), a luogo di stabile od occasionale dimora.

L'esigenza di accordare una tutela giuridica al luogo di abitazione o dimora delle persone, punendo le illecite introduzioni in esso, è stata accolta, fin dai tempi antichi, nelle legislazioni dei varî popoli. I Romani compresero la violazione di domicilio nel largo concetto di iniuria (Dig., XXXXVII, 10, de iniuriis, 5, pr.). Anche il diritto germanico protesse il domicilio privato delle persone con sanzioni contro la violazione della pace domestica (Hausfriedsbruch). E, analogamente, il nostro diritto intermedio. Le moderne costituzioni, a cominciare da quella francese del 1791 (tit. XI, art. 9), hanno sancito il principio dell'inviolabilità del domicilio al fine principalmente di tutelarlo contro l'arbitrio dei funzionarî, comprendendolo tra i diritti fondamentali del cittadino. Anche lo statuto italiano, all'art. 27, riprodotto dall'art. 10 della costituzione belga, dispone: "il domicilio è inviolabile. Nessuna visita domiciliare può aver luogo se non in forza della legge e nelle forme che essa prescrive". L'inviolabilità del domicilio trova poi particolari tutele nei codici penali, che considerano come reato l'introduzione illecita nell'abitazione altrui, tanto da parte di privati, quanto da parte di pubblici ufficiali. Il codice penale italiano del 1889 (art. 157), seguendo in ciò il codice toscano, adottò una soluzione intermedia tra quella più ampia del diritto germanico, che comprende anche luoghi che non hanno propriamente carattere di abitazione, e quella più ristretta del diritto francese, contenuta nel codice sardo, che richiede, per l'esistenza del reato, l'uso di insidie, violenze o minacce. La medesima soluzione è stata accolta dall'articolo 614 del codice penale 1930, il quale punisce con la reclusione fino a tre anni chiunque s'introduce nell'abitazione altrui o in altro luogo di privata dimora, contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, ovvero vi s'introduce clandestinamente o con inganno. La tutela penale si estende anche alle "appartenenze" dell'abitazione, a quei luoghi cioè che, pur non facendo parte integrante dell'abitazione in senso stretto, sono tuttavia adibiti a servizio o complemento di essa. Con le stesse pene è punito chi si trattiene nell'abitazione o nelle appartenenze di essa contro l'espressa volontà di chi ha il diritto di escluderlo o vi si trattiene clandestinamente o con inganno. Il nuovo codice penale - a differenza del precedente - quando il fatto sia commesso con violenza sulle cose o verso le persone, o nel caso che il colpevole sia palesemente armato, ha stabilito, oltre a una pena più elevata (da 1 a 5 anni), anche la procedibilità d'ufficio, in considerazione della maggior gravità che il fatto presenta in questa ipotesi. Viene poi contemplato distintamente (art. 615) il caso della violazione di domicilio commessa da un pubblico ufficiale (v.). È infatti punito con la reclusione da 1 a 5 anni il pubblico ufficiale che s'introduca o si trattenga nel domicilio privato abusando dei poteri inerenti alle sue funzioni, e con la reclusione fino a 1 anno, quando l'abuso consista esclusivamente nell'introdursi nell'abitazione altrui senza l'osservanza delle formalità prescritte dalla legge.

Come ogni altro diritto, anche l'inviolabilità del domicilio incontra dei limiti, che dipendono dalle esigenze della giustizia penale (al fine di raccogliere gli elementi di prova dei reati e di ricercarne gli autori, articoli 224, 267, 332 segg. cod. proc. pen., 1930), e della giustizia civile (articoli 42, 596, 850 cod. proc. civ.), o da esigenze di carattere amministrativo, attinenti alla pubblica sicurezza, alla polizia sanitaria, alla polizia fiscale, a necessità militari, ecc., nei casi in cui ragioni d'interesse pubblico richiedono che i pubblici ufficiali siano autorizzati, con le cautele previste dalle leggi, ad entrare in locali destinati ad uso di privata abitazione.

Il domicilio di soccorso.

La beneficenza obbligatoria, organizzata a servizio pubblico, richiede una ripartizione territoriale dei relativi oneri, per cui si determini dove e quando l'indigente abbia titolo all'assistenza e quali siano, in base alla pertinenza di luogo, gli organi tenuti al soccorso, o a rimborsare la spesa se esso venga prestato da altro ente. A questi fini intende l'istituto del domicilio di soccorso. Esso è una conseguenza del carattere territoriale della pubblica beneficenza. La funzione sovventiva, per essere efficace, suppone la conoscenza, da parte degli organi sovventori, delle condizioni di coloro che hanno bisogno dei soccorsi, il che non può conseguirsi se non in seguito ad una qualche dimora dell'indigente sul posto. D'altra parte non può negarsi uno stretto rapporto tra l'appartenenza a una data località e l'obbligo sovventivo della medesima in quanto anche l'indigente porta in un comune un determinato contributo di attività che giustifica, da parte dello stesso comune, la prestazione e l'onere del soccorso.

Prima della legge 17 luglio 1890, n. 6972, sulle istituzioni pubbliche di beneficenza, l'appartenenza a una determinata località, ai fini dei pubblici soccorsi, era determinata da criterî diversi (domicilio d'origine, residenza, ecc.), secondo la legislazione degli ex-stati e le particolari disposizioni degli statuti delle istituzioni pubbliche di beneficenza. La legge 17 luglio 1890, n. 6972, apportò uniformità d'indirizzo in questa materia, istituendo il domicilio di soccorso (art. 72 seg.). Il domicilio di soccorso si divide in due grandi categorie: domicilio di soccorso proprio o personale (art. 72 cit. legge), e domicilio di soccorso derivato o necessario (art. 73, 1° comma, stessa legge modificato dall'art. 33 del r. decr. legislativo 30 dicembre 1923, n. 2841). Il domicilio di soccorso proprio o personale si ha quando l'indigente: 1. abbia per più anni dimorato in un comune, senza notevoli interruzioni; 2. sia nato nel comune, senza riguardo alla legittimità della nascita; 3. o, essendo cittadino nato all'estero abbia, ai termini del codice civile, domicilio nel comune. La prevalenza delle suddette condizioni è determinata dall'ordine numerico. Giusta il n. 1 dell'art. 72 (modificato dall'art. 6 del r. decr. 14 sett. 1931, n. 1175 per quanto riguarda il termine ridotto da 5 a 3 anni), per l'acquisto del domicilio di soccorso per dimora, occorrono tre condizioni: a) dimora in un comune; b) che tale dimora abbia la durata di più di cinque anni (ora tre); c) che non vi siano state notevoli interruzioni. Quanto alla prima condizione, è da tener presente l'art. 109 del regolamento amministrativo 5 febbraio 1891, n. 99, il quale dispone che il domicilio di soccorso risulta dall'iscrizione, durante il periodo di cinque anni, nel registro di popolazione del comune, eseguito nei modi determinati dalle leggi e dai regolamenti (cfr. il regolamento per la formazione e tenuta del registro di popolazione approvato con r. decr. 2 dicembre 1929 n. 2132). Esso risulta inoltre dal fatto della dimora, durante il detto periodo, in un comune per causa d'impiego, di famulato, di commercio o dell'esercizio di una professione, arte o mestiere: questa elencazione, giusta la giurisprudenza, ha carattere esemplificativo, non tassativo.

L'art. 74 (2ª parte) della legge 17 luglio 1890, n. 6972, stabilisce che "non vale a far acquistare il domicilio di soccorso in un comune il tempo ivi trascorso sotto le armi, o in stabilimenti di cura o in stabilimenti di beneficenza pubblica a carico della medesima, ovvero in stabilimenti di pena o in case di correzione". In tutti questi casi la dimora, non essendo volontaria, non può essere considerata valida a generare il domicilio di soccorso. La giurisprudenza ha interpretata la disposizione nel senso che non vi sia distinzione tra servizio militare obbligatorio e volontario, e che ai militari siano da equipararsi gli appartenenti ai corpi organizzati militarmente (agenti carcerarî, di finanza, ecc.).

Il secondo criterio per determinare il domicilio di soccorso è quello della nascita. Se un indigente non abbia acquistato in un comune il domicilio di soccorso per dimora, si ricorre al luogo di nascita, senza riguardo alla legittimità o meno della nascita stessa (art. 72, n. 2, legge citata). L'accidentalità della nascita non costituisce motivo sufficiente per escludere il fatto dell'appartenenza al detto comune.

Per i cittadini nati all'estero, quando manchi una dimora ultratriennale nel regno, il legislatore ha assunto il criterio del domicilio civile nel comune, ai termini del codice civile (art. 72, n. 3, della legge 17 luglio 1890, n. 6972). La giurisprudenza ha ritenuto che il cittadino, nato e dimorante all'estero, il quale non abbia nel regno un proprio domicilio civile, conservi, anche se maggiore dei quattordici anni, il domicilio di soccorso dell'esercente la patria potestà. Della prova e dei mezzi probatorî del domicilio di soccorso si occupa l'art. 110 del regolamento amministrativo 5 febbraio 1891, n. 99.

La seconda figura o categoria di domicilio di soccorso è quella del domicilio di soccorso derivato o necessario (art. 73, 1° comma, della legge 17 luglio 1890, n. 6972): si tratta di un domicilio di diritto che si attribuisce, in omaggio al principio dell'unità della famiglia, al minore di quattordici anni, nel luogo in cui l'esercente la patria potestà ha il domicilio di soccorso. Secondo il testo originario dell'art. 73 della legge, per determinare, indipendentemente da quello dell'esercente la patria potestà, il domicilio di soccorso dei figli legittimi o riconosciuti, si richiedeva l'età minima di quindici anni. Questo minimo è stato ridotto a quattordici anni con l'art. 33 del r. decr. 30 dicembre 1923, n. 2841, e ciò perché, in base alla convenzione di Washington dell'ottobre-novembre 1919 (approvata successivamente con r. decr. legge 20 marzo 1924, n. 589), l'età minima di ammissione dei fanciulli al lavoro industriale fu portata a quattordici anni.

Il domicilio di soccorso del maggiore di 14 anni, dice il 2° comma dell'art. 73, è determinato indipendentemente del domicilio legale o dal domicilio di soccorso dell'esercente la patria potestà. Ne consegue che il maggiore di 14 anni acquista il domicilio di soccorso, secondo le norme del citato art. 72, nel comune in cui egli ha dimorato per più di tre anni, senza notevoli interruzioni, quantunque il periodo ultratriennale sia trascorso, in tutto o in parte, prima che egli abbia raggiunto il 14° anno di età. Secondo l'originario testo dell'art. 73 della legge del 1890 la donna maritata seguiva il domicilio di soccorso del marito, salvo che uno dei due coniugi avesse abitualmente dimorato per più di cinque anni (ora tre) in un comune diverso da quello di residenza dell'altro. L'art. 33 del r. decr. 30 dicembre 1923, n. 2841 ha modificato la disposizione nel senso che, qualunque sia il suo stato civile, la donna maggiore di i4 anni ha un domicilio di soccorso proprio, da determinarsi secondo i criterî dell'art. 72. L'art. 75 della legge 17 luglio 1890 dispone che le norme stabilite nei precedenti articoli (72, 73 e 74) si applicano in tutti i casi nei quali i comuni, le provincie e altri istituti locali siano obbligati a rimborsare spese di soccorso, di assistenza e di spedalità, eccettuate le istituzioni che provvedono a beneficenza obbligatoria per legge; rimangono però salve le disposizioni dei particolari statuti che regolano in modo diverso il domicilio di soccorso. Due principî si desumono dal suddetto articolo: il primo, che le norme sul domicilio di soccorso hanno carattere imperativo nel campo dell'assistenza obbligatoria; il secondo, che esse hanno carattere sussidiario nel campo dell'assistenza facoltativa, in quanto possono essere sostituite dalle particolari disposizioni statutarie delle singole istituzioni.

Le disposizioni della legge 17 luglio 1890 sul domicilio di soccorso ricevono un'importante limitazione in materia di spedalità romane. In virtù dell'art. 4 (2° comma) della legge 31 maggio 1900, n. 211 (il quale dispone che l'amministrazione degli Ospedali riuniti di Roma trasmette al Ministero dell'interno, pel visto di esecutorietà, gli elenchi di spedalità, compilati per comune di origine, e con la dichiarazione del Governatorato di Roma che dai registri d'anagrafe l'infermo non risulta dimorante nella capitale da oltre cinque anni), il comune obbligato a pagare le spedalità agli ospedali di Roma è quello indicato come luogo d'origine nel verbale di ammissione degl'infermi, abbia o meno il degente acquistato il domicilio di soccorso in altro comune. Il comune d'origine può essere esonerato dal rimborso solo quando riesca a provare che l'infermo sia nato in altro comune, ovvero abbia acquistato il domicilio di soccorso in Roma per dimora ultraquinquennale precedente al ricovero (non essendo la capitale tenuta a rivalere gli ospedali romani delle spese di cura degl'infermi romani o assimilati ai romani per dimora ultraquinquennale). Le suddette disposizioni, vigenti per gli Ospedali riuniti di Roma, si applicano anche ai rimborsi per spedalità consumate nel R. Istituto fisioterapico ospedaliero di S. Maria e S. Gallicano in Roma (art. 8 r. decr. 29 luglio 1926, n. 1619). Si noti che giusta il cap. dell'art. 6 del citato decreto 1931, nulla è innovato nella speciale legislazione vigente per l'Istituto di S. Spirito e Ospedali riuniti di Roma per quanto riguarda il termine richiesto per l'acquisto del domicilio di soccorso in Roma.

La legislazione sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza venne estesa alla Venezia Giulia e al Trentino con r. decr. 22 aprile 1923, n. 982, e alla città di Fiume con r. decr. 12 gennaio 1928, n. 130. In ambedue i decreti (art. 9 e art. 8) è detto: "agli effetti dell'art. 72, n. 3, della legge 17 luglio 1890, n. 6972, s'intende domiciliato nel comune chi vi abbia la sede principale dei proprî affari e interessi" disposizione necessaria perché il diritto al soccorso nei territorî annessi era regolato diversamente, e perché il nostro codice civile fu ad essi esteso solo più tardi (r. decr. 4 novembre 1928, n. 2325).

Bibl.: O. Luchini, Le istituziooni pubbliche di beneficienza nella legislazione italiana, Firenze 1894; V. Brondi, La beneficenza legale, in Primo trattato completo di diritto amministrativo italiano, diretto da V. E. Orlando, VIII, Milano 1905; E. Buzano, Il domicilio di soccorso degli indigenti infermi nel diritto italiano, Torino 1909; Domicilio di soccorso, spedalità, azione popolare, disposizioni generali della legge 17 luglio 1890 (Relazione del direttore generale dell'amministrazione civile presso il Ministero dell'interno, Roma 1914); M. Gennari, Domicilio di soccorso, in Enciclopedia giuridica italiana, Milano 1915, IV, vi; G. Amendola, Le norme che regolano il domicilio di soccorso e relativa applicazione, in Rivista di diritto pubblico, II (1918), p. 162; U. Borsi, Orientamenti della dottrina e della giurisprudenza sulla quistione del domicilio di soccorso del minore legittimo soggetto a tutela, in Foro italiano, 1924; A. Pironti e A. Lo Monaco, Codice dell'assistenza e della beneficenza pubblica, Firenze 1925; G. Costa, Domicilio di soccorso ed assistenza ospedaliera nelle leggi italiane, Como 1926; A. F. Gamberucci, Commento organico alla legge sulle istit. pubbl. di beneficenza, 2ª ed., Padova 1930; S. D'Amelio, La beneficenza nel dir. ital., 3ª ed., Padova 1931.

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