MORONE, Domenico

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 77 (2012)

MORONE, Domenico

Enrico Maria Guzzo

MORONE (Moronus o de Moronibus), Domenico. – Figlio di Agostino, conciatore di pelli originario di Morbegno, in Lombardia, nacque a Verona verso il 1442, o forse qualche anno prima, visto che in un documento del 1461, in cui compare assieme al collega Francesco Benaglio, è già segnalato con l’indicazione di «pictor» (Ludwig, 1911).

In questa città e nel suo territorio visse e operò.

Nei documenti anagrafici delle contrade veronesi (Gerola, 1909) è registrato fino al 1472, col padre, in quella di S. Vitale; nel 1481, in quella di S. Quirico con la prima moglie Cecilia; a partire dal 1491, dopo la morte del padre, di nuovo a S. Vitale, con la seconda moglie Caterina e i figli pittori Francesco e Antonio; di quest’ultimo, nato nel 1472, non si conoscono opere.

Varia documentazione lo vede ben inserito negli ambienti artistici locali: nel 1466 per esempio è segnalato nel testamento del lapicida Domenico di Bono (Zamperini, 2010A, p. 14); nel 1491 stimò con i colleghi Antonio Badile e Pietro Antonio di Paolo le pitture eseguite da Jacopo di Antonio della Beverara sulla facciata della casa di Lionello Sagramoso (Varanini, 1996); nel 1492 stimò con Liberale e Antonio Giolfino le statue di Alberto da Milano da porsi sulla sommità della loggia del Consiglio cittadino (Bernasconi, 1864, pp. 238 s.).

La sua prima produzione documenta la conoscenza dello squarcionismo padovano, prima ancora che l’influsso della pala di S. Zeno di Andrea Mantegna, in parallelo alla produzione del più anziano Francesco Benaglio, talora indicato come suo probabile maestro: cadute col tempo le attribuzioni relative ad alcune Madonne oggi riferite a Benaglio (Sandberg Vavalà, 1933), nonché a un gruppo di tavolette che spettano invece alla bottega dei modenesi Angelo e Bartolomeo degli Erri (Benati, 1988), la mano di Domenico giovane può essere riconosciuta in quattro tavole ritagliate da un polittico già nella chiesa di S. Clemente (ora Verona, Museo di Castelvecchio) con S. Bartolomeo e S. Rocco a figura intera, e S. Francesco e S. Bernardino a mezzo busto. Con la loro grande tensione espressiva e qualità si legano due affreschi staccati, pure a Castelvecchio, con S. Giacomo coi ss. Girolamo e Lorenzo (?), dall’ospedale veronese del Corpus Domini, che forse recava la data 1470 (Marinelli, 2010, p. 257), e la Madonna col Bambino e i ss. Sebastiano e Rocco, già nel portico del palazzo del Capitano. Era datato 1471 il perduto affresco di via Nicola Mazza 51 con la Madonna coi ss. Cristoforo e Maddalena, su cui veniva letta la discussa firma: «Dominici de Morocini» (Schweikhart, 1973, pp. 198 s.).

Del 1484 è la Madonna col Bambino, firmata, di Berlino(Staatliche Museen, Gemäldegalerie) e agli anni Ottanta risalgono anche le ante d’organo nella chiesa di S. Bernardino (la cassa dello strumento è datata 1481), la frammentaria Madonna col Bambino e s. Francesco della Ca’ d’Oro di Venezia (che nel Bimbo già preannuncia le tipologie tipiche di Domenico maturo) e qualche lavoro artigianale, lasciato alla bottega, come potrebbe essere la decorazione pittorica del pulpito nella stessa S. Bernardino, o gli affreschi (con Episodi della vita di s. Valentino) attribuiti a Domenico in un portico esterno della chiesa di S. Valentino a Bussolengo (Cuppini, 1978, p. 47).

Gli interessi prospettici (accennati nell’architettura dell’affresco del Corpus Domini) prevalgono nella tela con la Cacciata dei Bonacolsi (Mantova, Palazzo Ducale) del 1494, solitamente considerata di impostazione veneziana e carpaccesca, che si ipotizza provenga da un ciclo di fasti gonzagheschi (da ultimo L’Occaso, 2011); a essa possono essere legati i due Tornei (in realtà episodi del Ratto delle Sabine) della National Gallery di Londra, un tempo attribuiti anche a Carpaccio, e la monumentale Battaglia delle Amazzoni del Princeton University Art Museum data anche a Bernardo Parentino (su queste opere Eberhardt, 1974, p. 99), nonchè qualche tavoletta tra quelle provenienti dai cassoni nuziali veronesi. Al 1496 risaliva la perduta pala, firmata insieme al figlio Francesco, per S. Maria delle Grazie ad Arco (Trener, 1902). Al 1498 sono datati i pagamenti per alcuni affreschi nella cappella di S. Biagio nella chiesa dei Ss. Nazaro e Celso (Domenico, cui spettano parte dei Profeti della cupola e alcuni Santi nel tamburo sottostante, fu aiutato dal figlio Francesco e divise il cantiere con Giovanni Maria Falconetto), al 1498-99 quelli da parte degli olivetani di S. Maria in Organo (relativi anche a lavori per Lonigo, a conferma di un accenno fatto da Vasari [1568]), che potrebbero collegarsi all’esecuzione degli affreschi (Evangelisti, Dottori della Chiesa, Annunciazione, Profeti, Angeli) sulle volte del transetto e sul tiburio della chiesa (e a cui sono stati avvicinati i tondi recentemente emersi a Mantova nella chiesa di S. Maria della Vittoria: Bazzotti, 2006, p. 208); sempre negli ultimi anni del secolo cadono i lacunosi affreschi della cappella Medici in S. Bernardino, lodati da Vasari (Peretti, 2006) e la distrutta Crocefissione coi ss. Francesco e Girolamo, già nel vicino refettorio, ora nota solo per una foto Croci (ripr. in Zamperini, 2010A, pp. 25-27); infine, per quanto ancora si legge, l’affresco già su una facciata di casa in via Carducci, ora a Castelvecchio, con la Trinità coi ss. Giovanni Battista e Alberto carmelitano. Relativa a questo periodo è anche la tavoletta già in collezione Cini a Venezia (Marinelli, 1986, p. 30) raffigurante la Trinità.

Il nuovo secolo si apre con i due riquadri ad affresco già nella chiesa di S. Nicola da Tolentino al Paladon, ora nel Museo civico di Castelvecchio, firmati e datati 1502 (purtroppo disperse, forse distrutte, risultano le bellissime e potenti sinopie, anch’esse note solo per alcune foto: Brenzoni, 1956, figg. 6, 8) e raffiguranti, in due pannelli, i Ss. Caterina, Leonardo, Gottardo e Domenico, e i Ss. Rocco, Antonio da Padova, Onofrio e Lucia; del 1503 è invece la monumentale decorazione della libreria voluta da Lionello Sagramoso presso la chiesa francescana di S. Bernardino con i più insigni Membridell’Ordine francescano e, nella parete frontale all’ingresso, tra una gloria di angeli, la figura della Madonna in trono alla quale i ss. Francesco e Chiara presentano il committente e sua moglie Anna.

L’autografia di questo ciclo, per la distanza che lo separa dalla Madonna di Berlino, ancora timidamente quattrocentesca, è stata talora messa in discussione (per esempio da Luciano Bellosi che, nel 1994, creò la figura di un ‘Maestro della libreria Sagramoso’), tuttavia qualche indizio documentario(come il rapporto tra Lionello e il pittore già nel 1491: Varanini, 1996), nonché il legame stilistico con gli affreschi della cappella Medici e con i pannelli firmati del Paladon, per quanto riguarda sia le figure sia le lesene a grottesca e i fregi, non consentono di negare valore a una attribuzione consolidata già nelle fonti dell’Ottocento (la prima menzione del nome di Domenico Morone quale autore degli affreschi è in un accenno, peraltro poco chiaro, di Da Persico, 1820-21, II, p. 15): la maggior monumentalità delle figure, e i loro volumi fattisi più tondeggianti, si spiegano non solo con la presenza in bottega del figlio Francesco, ma anche con l’influsso in questa direzione di Michele da Verona, che già negli anni Ottanta esibiva modi analogamente plastici.

Con la decorazione della libreria Sagramoso fanno gruppo altre opere: la Madonna col Bambino di Vienna (Akademie der bildenden Künste); la Madonnacol Bambino e i ss. Pietro e Paolo di Pordenone (collezione Galvani; Zamperini, 2010A, p. 20); la Madonna col Bambino in trono di Verona (Collezione Banca popolare di Verona; Peretti, 2010, pp. 74 s.; una foto dell’Archivio Zeri, segnalata da Mattia Vinco, documenta la presenza sulla sinistra della figura  di un committente, ora occultata da una ridipintura); la Madonna col Bambino del Museo di Castelvecchio; la Madonna con le ss. Brigida e Caterina di Stoccarda (Staatsgalerie); i due Santi francescani, probabilmente S. Bonaventura (o Bernardino) e S. Francesco, e Tre fatti della vita di s. Biagio di Vicenza (Museo civico di Palazzo Chiericati); la frammentaria e larvale Madonna col Bambino e santi nella chiesa delle Ss. Agnese e Lucia di Portogruaro; un omogeneo gruppo di miniature a Berlino (Kupferstichkabinett), New York (The Metropolitan Museum of art, Lehman Collection), Londra (Victoria and Albert Museum) e in altre collezioni (da ultimo, Eberhardt, 2011). Caratteri tardi presentano anche i disegni del Fogg Art Museum di Cambridge, Massachusetts (Eberhardt, 1986, pp. 113-116), raffiguranti un Santo inginocchiato, S. Cristoforo e la Madonna col Bambino. Firmata 1509 è infine la pala di S. Maria delle Grazie di Arzignano, nota come pala Hearst, recentemente riemersa nel mercato ridotta a pochi frammenti (Old Masters…, 2010).

Alla figura del S. Sebastiano presente in quest’ultima opera, può essere avvicinato il S. Giovanni Evangelista dell’Accademia Carrara di Bergamo, pure frammentario, il quale però, per qualche debolezza nella costruzione prospettica di una mano, fa pensare alla bottega, al pari della debole Madonna col Bambino e l’Imago Pietatis della University of Missouri a Columbia. Decisamente da escludere dal gruppo sono invece l’Imago Pietatis, con nel retro la Madonna col Bambino, della collezione Federico Mason Perkins presso la basilica di S. Francesco ad Assisi, di un seguace, e l’Imago Pietatis coi ss. Bernardino, Francesco Antonio e Chiara di Castelvecchio, recentemente restituita a Giovanni Francesco Caroto (Peretti, 2010, pp. 400 s.). Da non dimenticare è anche la notizia di Vasari (1568 ) a proposito di una decorazione perduta sulla facciata della Domus Pietatis di Verona.

Morì, probabilmente a Verona, dopo il 1518, epoca dell’ultima segnalazione anagrafica (Gerola, 1909, p. 109).

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