MURATORI, Domenico Maria

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 77 (2012)

MURATORI, Domenico Maria

Maria Barbara Guerrieri Borsoi

– Figlio di Biagio e di Orsola Natali (Crespi, 1769), fu battezzato il 14 aprile 1661 a Vedrana (Bologna).

Studiò a Bologna con Lorenzo Pasinelli e frequentò l’accademia del disegno di casa Ghisilieri, di cui fu dichiarato principe, cioè alunno migliore, nel 1688. Degli anni bolognesi si conoscono attualmente solo incisioni del 1685 da prototipi del maestro e di Simone Cantarini (Simone Cantarini, 1997) e due incisioni, su disegni di Bartolomeo Veronesi, degli apparati funebri eseguiti per la morte del marchese Alessandro Facchinetti (La noce recisa ne i funerali del fu signor marchese Alessandro Fachenetti…, Bologna 1685).

Il 22 aprile 1689 partì per Napoli e vi rimase nove mesi, quindi giunse a Roma all’inizio del 1690 e in tale anno fu registrato negli Stati delle anime presso il Collegio celestino (Roma, Archivio storico del Vicariato, S. Maria in Posterula, c. 118v). Forse in quell’anno eseguì il dipinto su muro raffigurante la Madonna nella cappella dell’Archetto, nel rione di Trevi, per Alessandra Muti Mellini, derivata da un’opera del Sassoferrato.

Verosimilmente intorno al 1698, e comunque prima del 1704, decorò per intero la cappella di S. Giovanni da Capestrano in S. Francesco a Ripa con l’affresco raffigurante la Gloria del santo sulla volta e cinque tele. Sull’altare vi è il Santo alla battaglia di Belgrado, sulle pareti i Miracoli del santo a Vienna e S. Giovanni fa bruciare a Perugia gli oggetti strumenti del vizio, nelle lunette la Morte del santo e i Miracoli del santo dopo la morte. L’insieme di opere rivela appieno la formazione emiliana e classicista del pittore, con rimandi a Reni e a Domenichino, senza palesare ancora un’assimilazione di elementi romani.

È privo di riferimenti cronologici il dipinto conservato nella Raccolta capitolare del duomo di Amelia, in Umbria, raffigurante l’Educazione della Vergine (Caretta - Metelli, 2000), al quale si collega il disegno conservato nel Kunstmuseum der Stadt di Düsseldorf (Kupferstichkabinett, inv. FP 4011), opera ricca di ricordi cantariniani e forse, per questo, riferibile al primo decennio del Settecento.

Nel 1702 realizzò la Morte di Marcantonio e, nel 1706, il pendant con la Morte di Cleopatra per il cardinale Fabrizio Spada, conservati nella Galleria Spada. Per il porporato eseguì varie altre opere e operò come suo mercante di fiducia (Vicini, 2008). A queste tele si possono accostare anche le analoghe creazioni con la Morte di Cleopatra nella collezione Carella (donata al Louvre) e alla Rhode Island School of design. A quest’ultima opera è stilisticamente vicinissimo il dipinto, firmato, con Artemisia beve le ceneri di Mausolo (Bologna, mercato antiquario, 2004; Benati, 2004). Pur permanendo un classicismo di fondo che privilegia l’impostazione disegnativa e la resa plastica, vi è un avvicinamento ai modi del barocchetto romano, unito a un discreto interesse per la natura morta.

Probabilmente del primo decennio del Settecento sono i quadri con un Miracolo di s. Lorenzo Giustiniani in S. Croce e Bonaventura dei Lucchesi a Roma e la Madonna con il Bambino e santi in S. Lorenzo a Torino, considerato un ex voto per l’esito positivo dell’assedio della città del 1706 (Dardanello, 1988).

Nel 1703  fu iscritto alla Congregazione dei Virtuosi al Pantheon e nel 1705 all’Accademia di S. Luca, come accademico di merito. Nel 1708 dipinse alcuni dipinti, non rintracciati, per la residenza romana degli Strozzi (Guerrieri Borsoi, 2004). Nello stesso anno era già impegnato a dipingere, grazie alla protezione del cardinale Giuseppe Renato Imperiali, l’abside della chiesa di S. Giovanni Evangelista a Montecelio, presso Roma, con scene raffiguranti la Crocifissione con le pie donne e s. Giovanni, al centro della parete, e, ai lati, i monocromi con S. Giovanni resuscita Drusiana e la Morte del santo, opere tutte coperte da successivi dipinti (Sperandio, 2003).

Nel 1709 è menzionato il Miracolo di s. Tommaso d’Aquino nella chiesa dello Spirito Santo dei Napoletani a Roma, ordinato dal cardinale Tommaso Ruffo (Pizzoni, in corso di stampa). Un modello, probabilmente di provenienza Ruffo, è stato rintracciato (Pasculli, 2007) nel castello di Caccuri (Crotone) e si conosce un disegno preparatorio per una figura (Disegniromani, 1995). Tra i quadri di questo decennio appare il più solenne e composto, ancor memore di elementi carracceschi.

Nel 1710 fu completata la decorazione di una porta nell’attuale galleria degli Arazzi in Vaticano, nella quale Muratori diresse i lavori di decorazione e realizzò i due perduti medaglioni ad affresco raffiguranti la Allegoria del potere spirituale e la Allegoria del potere temporale (Pampalone, 2002). Probabilmente intorno al 1710 intraprese la decorazione della cappella di S. Pio V nel convento di S. Sabina a Roma, eseguita per il cardinale Tommaso Maria Ferrari, comprendente la tela dell’altare con S. Pio V adora il crocifisso, il quadro con S. Filippo Neri profetizza al cardinale Ghisilieri l’assunzione al pontificato e i dipinti a olio su muro con S. Pio V libera un’ossessa, Il santo vede l’esito della battaglia di Lepanto, Il santo consegna all’ambasciatore di Polonia una reliquia di Roma. I dipinti del raffinato ambiente, esprimenti una serena fiducia nell’intervento divino, hanno un tono misurato e una chiara leggibilità che piacquero agli esponenti della cultura arcadica romana. Nel 1712 realizzò i medaglioni per la cerimonia di canonizzazione di Pio V (Casale, 1990, p. 553). A tale momento va connesso anche il quadro conservato nel Museo presso il convento di S. Sabina con S. Pio V e il miracolo del crocifisso che sottrae i piedi avvelenati al bacio del santo, di cui si conoscono anche due versioni a stampa, una incisa da Girolamo Rossi e inserita nella biografia del pontefice scritta da Paolo Alessandro Maffei in quell’anno, e alcune derivazioni (Firpo, 2008).

Il rapporto tra Muratori e il cardinale  Imperiali, di cui era «virtuoso», dovette instaurarsi assai presto poiché già nel 1705 un suo quadro era stato prestato dal porporato per la mostra presso S. Salvatore in Lauro (De Marchi, 1987). Muratori dipinse per Imperiali anche la tela con L’entrata a Milano del cardinale, legato presso Carlo III di Spagna, avvenuta nel 1711 (ubicazione attuale ignota; ripr. in Prosperi Valenti Rodinò, 1987, fig. 4), nella quale privilegiò un linguaggio enfatico e celebrativo. Fu Imperiali a fargli ottenere la commissione del grandissimo dipinto a olio su muro sull’altar maggiore della chiesa dei Ss. Apostoli a Roma rappresentante il Martirio dei ss. Filippo e Giacomo, in corso d’opera nel 1715-16 (Roma, Archivio del Convento dei Ss. Apostoli, Libro dove si notarono tutte le spese che si faranno da fra Cref.o Palma …). È noto un grande modello, probabilmente quello attestato nella collezione di Imperiali, ora nel Museo Duca di Martina di Napoli. L’opera è un sorprendente atto d’omaggio a Domenichino, ma con una composizione complessa e sovraffollata, più godibile nei singoli personaggi che nel teatrale concatenarsi dei gruppi.

Dovrebbe risalire al 1715 circa la Madonna del Rosario e santi, conservata nella chiesa di S. Maria degli Angeli ad Assisi, più vicina ai modi maratteschi. Nel 1716 dipinse i medaglioni esposti sulla facciata di S. Pietro in occasione della beatificazione di S. Giovanni Francesco Regis, fra i quali in particolar modo un enorme dipinto con il Santo portato in cielo dagli angeli (Sferrazza, 1997; Arcuri, 2003).

Nel 1718 eseguì a olio su tela il Nahum per la serie dei profeti in S. Giovanni in Laterano, ordinati ai principali artisti romani del momento e quindi segno di un notevole apprezzamento. Nello stesso anno realizzò S. Ranieri guarisce un’indemoniata, inviato alla cattedrale di Pisa, quadro che appare concepito con le stesse caratteristiche riscontrate nelle opere in S. Francesco a Ripa e ai Ss. Apostoli, dimostrando una notevole continuità stilistica nella sua attività.

Alla tela della cattedrale si collega un modello conservato nel Museo nazionale di S. Matteo di Pisa; è inoltre passato sul mercato antiquario (Sotheby’s Italia, 26 giugno 2007, n. 71) un grande disegno preparatorio, con piccole diversità rispetto al dipinto, forse coincidente con quello segnalato in casa Mancini a Città di Castello (Mancini, 1832). Un «cartone a carbone» per tale opera era conservato presso Giuseppe Renato, figlio del pittore, nel 1766 (Archivio di Stato di Roma, Notai dell’Auditor Camerae, C. Jacobutius, t. 3748, c. 236).

Probabilmente nel terzo decennio del secolo, fu inviato nella chiesa di S. Sisto a Pisa il dipinto raffigurante la Madonna con il Bambino ed i ss. Leonardo e Francesco di Sales, commissionato da Simone Francesco Seghieri Bizzarri, eseguito con la partecipazione di aiuti, oggi presso la locale Soprintendenza (Tongiorgi Tomasi - Tosi, 1990). Nella chiesa di S. Andrea a Vetralla, nel Viterbese, ricostruita per volontà del cardinale Imperiali, si conservano un Martirio di s. Andrea, eseguito nel 1719, un’Assunta con s. Clemente e s. Eustachio e un’Immacolata Concezione e s. Ippolito, del 1723 (Palmieri, 2001).

Probabilmente verso l’inizio degli anni Venti, Muratori cercò di aggiudicarsi la commissione della tela per l’altar maggiore della chiesa di S. Eustachio come fanno pensare i due dipinti raffiguranti il raro tema del Martirio del santo (quello di maggiori dimensioni, firmato; Bologna, mercato antiquario, 2011; Di Natale, 2011).

Nel 1724 fu inviato nel duomo di Orvieto il dipinto raffigurante i Ss. Giovanni Battista ed Evangelista, Maddalena, Agnese e Carlo, commissionatogli dal cardinale Filippo Antonio Gualterio, caratterizzato da un’evidente ispirazione ai modi di Maratti. Se ne conserva anche il cartone preparatorio, di proprietà dell’Opera del duomo (Barroero, 1996), e la critica ha appurato che il cardinale possedette un rilevante numero di opere dell’artista (Antetomaso, 2002).

Probabilmente la tela con Cristo, la Madonna e s. Serafino da Montegranaro, conservata nel convento dei cappuccini di Ascoli Piceno (Santarelli,2004), è avvicinabile alla data di beatificazione del santo, avvenuta nel 1729.

Priva di sicuri riferimenti cronologici è la cosiddetta Allegoria a olio su tela di palazzo De Carolis a Roma, opera non documentata e attribuibile a Muratori con prudenza, la cui cronologia potrebbe collocarsi nel terzo decennio del secolo. Numerose le opere romane ascrivibili agli anni Trenta. L’Incoronazione di spine nella chiesa delle Stimmate di S. Francesco dovrebbe essere di poco anteriore al 1731, allorché fu eseguita la Flagellazione di Marco Benefial creata come suo pendant, e a essa si collega la piccola tela della Fondazione Roma, già nella collezione Lemme, da considerarsi come prima idea, seppur ancor lontana dalla soluzione definitiva. Nel 1735 firmò e datò il dipinto raffigurante S. Prassede versa nel pozzo della sua casa il sangue dei martiri, posto sull’altar maggiore dell’omonima chiesa, e, l’anno dopo, S. Agostino sconfigge l’eresia, esposto nella chiesa del Bambino Gesù. Soprattutto il primo rivela forme tornite e matronali che ripropongono modelli emiliani intensamente classicisti. Nel 1737, in occasione  della canonizzazione plurima, dipinse S. Giovanni Francesco Regis assiste gli appestati, tela donata al cardinale Neri Corsini e conservata nella omonima Galleria.

Probabilmente intorno al 1740 eseguì il dipinto con S. Carlo Borromeo prega durante la peste, donato dall’arcivescovo Girolamo Crispi alla basilica liberiana ove ancora si trova (Bodart, 2000). Potrebbe essere del 1741 circa il Beato Alessandro Sauli comunica un’appestata (Musei Vaticani; De Angelis, 2008), che rivela notevoli affinità stilistiche con il dipinto del 1737.

Non sembrano attribuibili a Muratori il Ratto di Elena (Feinblatt, 1987), la Strage degli innocenti (Nottoli, 2008), l’Immacolata di Manduria, nel Salento (Guastella, 2002) e sono state espunte dal suo catalogo alcune opere conservate in palazzo Colonna a Roma (De Marchi, 1999).

Morì a Roma il 17 agosto 1742 e fu sepolto nella chiesa di S. Maria ad Martyres (Pantheon), sua parrocchia.

Tra i figli, Giuseppe Renato (1708-1766) ereditò certamente buona parte dei beni paterni poiché possedeva molte decine di quadri, privi di attribuzioni ma alcuni dei quali coincidenti come tema con quelli realizzati dal padre (Archivio di Stato di Roma, Notai dell’Auditor Camerae, C. Jacobutius, t. 3748, cc. 177 e ss. testamento; cc. 230 e ss. inventario). Tali opere furono lasciate al fratello sacerdote Ignazio (1719-1782) che esercitò l’attività di architetto (De Vanna, 2007).

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