JACOVACCI, Domenico

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 62 (2004)

JACOVACCI (Jacovazzi, Jacobacci, Giacovazzi, de Jacobatiis), Domenico

Rotraud Becker

Nacque a Roma, probabilmente il 2 luglio 1444, da Cristoforo, di famiglia nobile residente nel rione S. Eustachio, che nel corso del XV secolo diede i natali a diversi importanti giuristi. Della madre Iacoba si ignora il cognome.

Un fratello minore dello J., Andrea, si distinse come umanista e poeta. Una sorella, Giulia, sposò Giovanni Battista Verallo e fu madre del cardinale Girolamo Verallo. Un'altra sorella, Marzia, moglie di Giulio Ricci, attraverso la figlia Costantina, andata in sposa allo scriptor brevium Cosma Castagna, divenne nonna di Giovan Battista Castagna, che fu papa (Urbano VII) per soli 12 giorni dal 15 al 27 ag. 1590.

Lo J. studiò diritto a Roma e verso il 1476 si addottorò in diritto canonico e poi in diritto civile. Tra i suoi maestri è ricordato Coronato de Planca. Un indizio del suo interesse per l'insegnamento universitario si può intravedere nel fatto che poco dopo il conseguimento della laurea, nel 1478, curò l'edizione di un manuale di Institutiones del giurista aretino Angelo Gambiglioni per il tipografo romano G. Lauer.

Il primo incarico dello J. fu quello di auditore presso il vicelegato di Bologna, ufficio in cui si dimostrò giudice integerrimo e incorruttibile. Verso il 1486 era di nuovo a Roma, avvocato concistoriale e docente di diritto canonico all'Università. Circa sei anni dopo fu nominato da papa Alessandro VI giudice della Rota.

Il protocollo dell'indagine informativa che fu condotta in questa occasione, l'11 dic. 1492, è conservato e ci informa sulla carriera accademica dello Jacovacci. Inoltre, testimoni riferiscono che egli aveva ricevuto la tonsura e recitava il breviario. Nell'ufficio che ricopriva godeva della migliore fama: non aveva mai tentato di spillare denaro ai clienti, ma si contentava di quello che gli veniva dato spontaneamente. Spesso aveva assistito poveri senza farsi pagare. Era considerato abbastanza benestante e percepiva una rendita di 15 ducati.

I protocolli dei notai alle dipendenze dello J. (Manualia actorum et citationum) per gli anni 1493-1515 documentano l'enorme mole di lavoro da lui svolta come giudice della Rota. Oltre a questa attività e alla partecipazione al cerimoniale pontificio per quanto questo richiedeva la presenza dei giudici di Rota, lo J. si adoperò anche come mediatore nei conflitti che si verificarono tra il casato dei Colonna, cui fu vicino lungo tutta la sua vita, e i pontefici. Nel settembre 1494 fu coinvolto nelle vicende legate alla discesa di Carlo VIII nello Stato della Chiesa, dato che i Colonna, insieme con i Savelli, avevano colto l'occasione per attaccare alcune roccaforti pontificie. Quando il cardinale Giovanni Colonna cercò di riconciliarsi con Alessandro VI, lo J. fu designato per condurre le trattative.

Un incarico diplomatico capitò di nuovo nel 1503 durante la sede vacante dopo la morte di Alessandro VI. Per dare più peso all'influenza spagnola nel conclave, truppe spagnole si spostarono dal Garigliano verso Roma. I cardinali inviarono lo J. nell'accampamento spagnolo con l'incarico di evitare ulteriori avvicinamenti, ed egli riuscì in effetti in questo compito. Fu forse per riconoscenza nei confronti del suo intervento che Giulio II, eletto dopo il brevissimo papato di Pio III, poche settimane dopo il suo insediamento, gli conferì un canonicato in S. Pietro.

Negli anni seguenti lo J. ricevette altri uffici. Il 5 nov. 1504 divenne referendario della Segnatura; verso il 1505 rettore dell'Università di Roma, carica che tenne fino alla nomina a cardinale, impegnandosi a fondo per l'ampliamento e la riforma degli studi. Inoltre, il 14 febbr. 1506 divenne decano della Rota; ricoprì questo ruolo fino al 1511. Dopo diversi benefici minori, l'8 nov. 1511 il papa gli conferì il vescovato di Nocera de' Pagani, suffraganeo di Salerno. Lo J. non si recò tuttavia nella sua diocesi e il 14 agosto dello stesso anno ricevette anche la carica di vicarius Urbis. Voci circolavano già sulla sua prossima nomina cardinalizia. Ma un ulteriore importante incarico gli fu affidato già durante il concilio che Giulio II convocò il 18 luglio 1511, dopo che il 16 maggio alcuni cardinali ostili al papa avevano indetto un concilio a Pisa in combutta con i Francesi. Il concilio papale, il diciottesimo concilio ecumenico della Chiesa cattolica e il quinto celebrato nel Laterano, avrebbe dovuto riunirsi il 19 apr. 1512, ma fu aperto solo il 3 maggio e si riunì fino al 16 marzo 1517. È documentata la presenza dello J. a tutte le sessioni.

La morte di Giulio II e l'ascesa al soglio di Leone X, l'11 marzo 1513, non modificarono la posizione di fiducia di cui lo J. godeva alla corte pontificia. Già il 17 marzo il nuovo papa lo confermò nell'ufficio di vicarius Urbis, gli conferì la cura degli ospedali e in seguito lo incaricò in più occasioni di seguire le sue questioni giuridiche personali. Nell'ambito del concilio, delle tre commissioni consultive istituite il 3 giugno 1513 per accelerare il dibattito, Leone X nominò lo J. membro di quella per la riforma della Curia. Quando negli anni 1517-18 un sinodo diocesano a Firenze trasformò i decreti di riforma votati durante il concilio in costituzioni, lo J., insieme con Tommaso De Vio (il cardinale Caetano), fu incaricato di esaminarli prima della ratifica papale. Circa la partecipazione personale dello J. ai lavori conciliari, in realtà è noto soltanto che egli fu uno dei tre membri che nella sessione del 19 dic. 1516 condizionarono la loro approvazione al concordato appena concluso con la Francia, soltanto al contemporaneo riconoscimento dell'abolizione della pragmatica sanzione di Bourges.

Nella grande ordinazione cardinalizia di Leone X del 6 luglio 1517 lo J. ottenne la porpora con il titolo di S. Lorenzo in Panisperna, che cambiò poi in quello di S. Bartolomeo sull'Isola e, infine, nel 1519, con quello di S. Clemente, con il quale fu spesso indicato nei suoi ultimi anni al posto del cognome. Al momento della nomina cardinalizia rinunciò al vescovato di Nocera de' Pagani a favore del fratello Andrea, che gli succedette anche come vicarius Urbis e rettore dello Studio. Il 12 dic. 1519 ricevette in cambio il vescovato di Cassano all'Jonio (suffraganeo di Reggio Calabria), che il 23 marzo 1523 cedette al nipote Cristoforo Jacovacci, mantenendo però una pensione pari alla metà della rendita vescovile e il diritto di concedere benefici. Quando, nel 1524, il fratello Andrea morì, rilevò nuovamente Nocera de' Pagani e lo tenne fino alla morte. Sconosciute restano ulteriori rendite ecclesiastiche, così come pure non è certo che al tempo di Adriano VI o ancora nel 1527 ricoprisse l'ufficio di amministratore del vescovato di Grosseto e ne riscuotesse le entrate. È invece certo che allora non era tra i cardinali più ricchi. Abitava in un palazzo in via de' Coronari, il cui tenore viene descritto come modesto, in proporzione alla dignità del personaggio. Della familia faceva comunque parte un medico, come informa l'autobiografia di Benvenuto Cellini.

Anche dopo l'investitura cardinalizia lo J. continuò a occuparsi di questioni giuridiche. Ebbe così occasione di occuparsi di importanti controversie collegate alla Riforma che si andava diffondendo in Germania.

Il primo di questi casi si trascinava già da anni e riguardava il famoso umanista ed ebraista Johannes Reuchlin, il quale si era impegnato in una violenta polemica letteraria e giuridica con la facoltà teologica di Colonia e i domenicani che vi insegnavano. Oggetto della disputa era se, per facilitare la cristianizzazione degli ebrei, dovessero essere vietati e distrutti tutti i testi ebraici tranne l'Antico Testamento. Reuchlin aveva preso posizione esprimendo un parere negativo. Nell'autunno 1511 difese il suo punto di vista in uno scritto intitolato Augenspiegel ("Specchio oculare"). Fu allora violentemente attaccato dai teologi di Colonia e accusato di dichiarazioni eretiche. Seguirono libelli da entrambe le parti e un primo processo a Magonza intentato e condotto personalmente dall'inquisitore della facoltà di Colonia Johannes Hoogstraeten. Reuchlin si appellò allora al papa e Leone X nel novembre 1513 affidò il giudizio a un tribunale del vescovo di Spira. Il giudizio fu favorevole a Reuchlin, ma Hoogstraeten ricorse in appello, si recò personalmente a Roma nel 1514 e ottenne anche una dichiarazione a lui favorevole dell'Università di Parigi. La posizione della Curia sembrò dapprima favorevole alle posizioni di Reuchlin, senza però che si giungesse a un pronunciamento definitivo. Poi, nel luglio 1516, Leone X, a seguito degli interventi di principi europei e di altre Università, emise un mandatum de supersedendo, che aggiornava ancora la discussione, consentendo agli avversari di Reuchlin di allargare la polemica e ottenere un mutamento di opinione. Quando, nel 1518, il cardinale Domenico Grimani, favorevole all'umanista svevo, fu rimosso dal procedimento e sostituito dallo J., Reuchlin avvertì subito che questa era una svolta a lui contraria, dato che egli considerava lo J. sostenitore dei domenicani. In realtà, la denuncia di eresia contro Reuchlin fu lasciata cadere, ma il 23 giugno 1520 egli dovette rassegnarsi a vedere annullata la sentenza di Spira e il suo Augenspiegel proibito come "scandalosum ac piarum aurium Christi fidelium offensivum ac non parum impiis Iudaeis favorabilem" (Trusen, p. 127).

In maniera ancora più diretta di questo episodio, ebbe conseguenze sul corso della Riforma in Germania il processo romano contro Martin Lutero. Nel luglio 1518 Lutero fu convocato a Roma per sospetta eresia, dopo che le 95 tesi, che egli aveva spedito a diversi destinatari il 31 ott. 1517 e che avevano sollevato grande scalpore, erano state inoltrate a Roma insieme con altri scritti dall'arcivescovo di Magonza per essere esaminate. Dopo l'interrogatorio di Lutero, condotto dal cardinale Caetano nell'ottobre 1518 alla Dieta di Augusta, e altri tentativi falliti di convincere il frate a una ritrattazione, il processo a Roma fu avviato con maggiore energia. Dal principio del 1520 diverse commissioni costituite in Curia, delle quali anche lo J. faceva parte, discussero sulle controversie sollevate da Lutero. Lo J. fu tra coloro che si pronunciarono in maniera decisa per la condanna delle dottrine del riformatore tedesco. Il teologo Johannes Eck che in dichiarazioni scritte e in occasione della disputa di Lipsia aveva già contestato a Lutero la sua ortodossia e ora, convocato a Roma, collaborava alla redazione della bolla, che minacciava Lutero della scomunica, Exsurge Domine (15 giugno 1520), considerava lo J. uno dei cardinali che condividevano le sue posizioni. Anche negli anni successivi rimase in contatto con lui.

Nel conclave dopo la morte di Leone X (27 dic. 1521 - 9 genn. 1522), al quale parteciparono 39 cardinali, lo J. era tra coloro che avevano buone prospettive di essere eletti. Considerato tra i sostenitori del partito imperiale, in realtà era tra coloro che, seguaci del cardinale Pompeo Colonna, si opponevano con decisione al candidato all'inizio più quotato, Giulio de' Medici, e ai concorrenti da lui sostenuti. In otto degli undici scrutini lo J. ottenne tra i sette e gli undici voti; nell'ultima votazione prima dell'imprevista decisione a favore di Adriano di Utrecht gli undici voti per lo J. rappresentarono il migliore risultato conseguito da uno dei cardinali presenti. I rapporti tra i partiti si riproposero pressoché invariati dopo la morte di Adriano VI. Nel nuovo conclave (1° ottobre - 19 nov. 1523) Colonna tentò di nuovo con grande tenacia di raccogliere una maggioranza contro l'elezione di Giulio de' Medici; per conseguire questo obiettivo si alleò temporaneamente con i cardinali francesi e indicò lo J. come suo candidato preferito. Quando però fu chiaro che i voti necessari non erano raggiungibili, il Colonna si decise per l'elezione di Giulio de' Medici e portò con sé lo J. e altri suoi sostenitori. Come segno tangibile di riconoscenza, il giorno stesso dell'incoronazione del nuovo papa (Clemente VII) lo J. ottenne il gubernium di Pontecorvo.

Quando i Colonna, nel settembre 1526, entrarono a Roma in armi, costrinsero Clemente VII alla fuga in Castel Sant'Angelo e saccheggiarono il Vaticano, allo J. toccò di nuovo di svolgere il ruolo di mediatore tra gli schieramenti rivali e di spingerli a una riconciliazione. Oltre a ciò, degli ultimi anni di vita dello J. è noto soltanto che l'11 genn. 1527 divenne camerlengo del Collegio dei cardinali, succedendo a Scaramuccia Trivulzio. Pare che sia sopravvissuto al sacco di Roma rifugiandosi nel palazzo Colonna e che dopo non lasciò la città, come altri abitanti, per sfuggire alla peste. Probabile data di morte dello J. è il 2 luglio 1527.

L'11 luglio la sua scomparsa fu annunciata all'imperatore. Il 13 genn. 1528 fu nominato un successore al suo vescovato di Nocera de' Pagani. La data di morte del 1528 in un registro di obbligazioni (oggi perduto) nell'Archivio del Capitolo di S. Pietro è certamente un errore. Versioni contrastanti esistono anche sul luogo di sepoltura: per il Ciaconius, lo J., secondo la volontà espressa in uno dei suoi primi testamenti, sarebbe stato sepolto nella tomba di famiglia nella chiesa di S. Trifone (nei pressi di S. Agostino, demolita nel 1746); secondo la nota nell'Archivio capitolare di S. Pietro, invece, in S. Eustachio. Difficile, infine, valutare l'attendibilità dell'affermazione dell'ambasciatore inglese Richard Pace, il quale, durante il conclave del 1521, scrisse che lo J. da giovane era stato sposato e aveva avuto figli.

La fama dello J. riposa tutta sulla sua grande opera De concilio, di cui non restano manoscritti e che non fu stampata in vita. L'edizione, a Roma per A. Blado nell'ottobre 1538, quando era in preparazione il concilio indetto da Paolo III a Mantova, fu curata dal nipote dello J., Cristoforo, che gli era succeduto nel vescovato di Cassano, fu poi datario e dal 1536 anche lui cardinale. Il periodo di composizione si può stabilire solo in base a criteri intrinseci. Klotzner l'ha collocata negli anni compresi tra il 1512 e il 1523, quando le discussioni sul concilio di Pisa indetto il 1° nov. 1511 e sul V concilio Lateranense fornivano materia per la composizione. Da alcune osservazioni si può pensare a una stesura precedente alla fine del Pisano, da altre successiva, prima della chiusura del Lateranense. L'opera non affronta espressamente le questioni sollevate da Lutero; invece, alcune frasi si riferiscono ad avvenimenti degli anni 1522-23, cosicché bisogna ritenere che lo J. abbia lavorato continuativamente all'opera più o meno tra i due e i cinque anni, apportando però ancora negli anni successivi piccole modifiche e aggiunte. Non è possibile stabilire se la divisione in dieci libri e i titoli presenti in alcune edizioni corrispondano al manoscritto perduto o siano dovuti all'iniziativa di un editore.

Lo J. tratta l'argomento rigorosamente dal punto di vista papale. Nella parte introduttiva discute il concetto e la storia dei concili. Segue una prima parte principale che tratta della gerarchia dei membri del concilio, preceduta da note sulla partecipazione del papa, la presidenza del concilio e l'abbigliamento prescritto. Nella successiva parte principale lo J. tratta dettagliatamente le questioni relative al diritto di convocare un concilio generale. Descrive le personalità che devono essere invitate e la formula necessaria per gli inviti, discute se procuratori possono essere ammessi a partecipare al concilio e quali punizioni comporta l'assenza. Con numerose ragioni sostiene che in tempi nei quali regna un papa incontestato è a lui che spetta esclusivamente il diritto di convocazione, non ai cardinali, all'imperatore o ad altri. Partendo dall'esperienza del grande scisma, esamina però anche le situazioni di emergenza che rendono necessaria e legittima una convocazione senza il papa. Di centrale importanza è inoltre la questione delle circostanze che richiedono la convocazione e perciò del carattere vincolante del decreto Frequens del concilio di Costanza. Condizioni di carattere generale sono distinte da quelle che si verificano in caso di condotta erronea o atteggiamento di rifiuto di un papa; gli incalzanti problemi della riforma della Chiesa vengono qui brevemente sottolineati. Un'ulteriore parte principale tratta del concilio come assemblea legislativa, delle costituzioni conciliari e della giurisdizione dei concili. Vengono trattati i criteri formali delle costituzioni conciliari, le condizioni della loro validità e il rapporto tra esse e i decreti pontifici. Segue la discussione sui poteri del concilio in rapporto a quelli del papa durante il pontificato, così come in sede vacante.

Altre sezioni affrontano la situazione contemporanea e trattano questioni concrete, che riguardano il tentativo di concilio Pisano, il V concilio Lateranense e i cardinali che vi presero parte, la legittimità e la validità delle capitolazioni elettorali del papa e il tentativo di poteri temporali di costringere alla convocazione di un concilio attraverso la revoca dell'obbedienza al pontefice. Segue quindi un'accurata disamina sui conflitti tra papi e concili e sulle possibilità per il concilio di accusare e deporre un papa. Lo J. vede come possibili motivi di accusa non un delitto comune del pontefice, bensì soltanto l'eresia, la simonia, la fomentazione di uno scisma e l'apostasia.

Una trattazione assai minuziosa del principio della superiorità del papa sul concilio conclude efficacemente l'opera. Una gran quantità di argomenti viene prodotta sia a favore della tesi della superiorità del concilio sia per la sua confutazione, finché lo J. decide a favore della tesi filopontificia. Nel contesto di questa discussione trovano posto osservazioni sulle diverse forme di appello al papa o al concilio, sulla teoria delle due spade e sulla donazione di Costantino.

Nell'impostazione generale così come nella trattazione di singoli argomenti lo J. si basa sulle opere di Juan de Torquemada. Dimostra però una certa indipendenza, dato che non si limita a riferire le proposizioni della fonte, ma le sottopone a un vaglio critico. Il lavoro dello J. testimonia una conoscenza autonoma della letteratura canonistica in tutta la sua ampiezza, in particolare delle discussioni circa la superiorità tra il papa e il concilio, che erano molto cresciute dopo i concili del XV secolo. Perciò l'opera dello J. si riferisce agli argomenti sia dei sostenitori della tesi conciliare, come Nicolaus de Tudeschis (Panormitanus) o Francesco Zabarella, sia dei partigiani della tesi pontificia. Anche per il Corpus iuris civilis lo J. adopera sia i commentari classici sia i legisti contemporanei. Inoltre, si richiama ad atti conciliari, opere di storia ecclesiastica, ai Padri della Chiesa e cita addirittura Dante. Tra i teologi ricorre soprattutto a Tommaso d'Aquino e non invece al Caetano, che conosceva personalmente. Conosce anche il dibattito sulla donazione di Costantino, di cui era già stata riconosciuta la falsità dagli studiosi di scuola umanistica. A differenza della canonistica, però, su questo argomento lo J. non si cimenta con le teorie attuali ma semplicemente non riconosce le obiezioni contro l'autenticità del documento.

È stata contestata la tesi che lo J. debba essere considerato un sostenitore incondizionato delle teorie papali, dato che egli riconosce la possibilità che un concilio, in caso di necessità, si possa riunire senza essere indetto dal papa e discute in via teorica casi in cui le decisioni conciliari abbiano maggiore autorità dei decreti pontifici (Klotzner, pp. 187 s.; Jedin, 1966, pp. 8, 431). Contro questa asserzione si è fatto notare che argomentazioni di questo tipo si trovano anche in altri sostenitori contemporanei della linea papale e che pertanto lo J. non risulta dipendere dalle tesi conciliaristiche (Bäumer, pp. 45, 264 s.).

Il lavoro dello J., che tratta anche problemi pratici della conduzione del concilio, rimase un classico attraverso i secoli e fu ristampato durante la preparazione del concilio Vaticano I. Durante il concilio di Trento fu consultato spesso a proposito di questioni complesse, come, per esempio, se oltre ai vescovi siano da ammettere tra i padri conciliari anche gli abati, se ai procuratori spetti il diritto di voto e se persista il carattere ecumenico, qualora siano presenti solo partecipanti italiani. Ancora più significativa fu l'influenza dello J. sul piano teorico, dato che la sua trattazione della tematica conciliare fu ampiamente recepita dai teologi successivi, specialmente nel diffusissimo e contestatissimo trattato De conciliis di Roberto Bellarmino (1586).

Non sono note altre opere dello Jacovacci. I titoli talora ricordati, De donatione Constantini, De utroque gladio in Ecclesia (Ciaconius - Oldoinus) e De appellando a papa ad concilium (A. Schulte) sono estratti dell'opera maggiore, e furono forse trasmessi separatamente. Un De computatione dotis in legitimam (F. Schulte) è soltanto una breve perizia in un processo per eredità.

Edizioni del De concilio: in Tractatus illustrium in utraque tum pontificii tum caesarei iuris facultate iurisconsultorum, de potestate ecclesiastica, XIII, 1, Venetiis 1584, cc. 190-398; Ad sacrosancta concilia a P. Labbeo et G. Cossartio edita apparatus alter, Lutetiae Parisiorum 1672, pp. 1-150; J.T. de Roccaberti de Perelada, Bibliotheca maxima pontificia, IX, Romae 1698, pp. 8-622 (senza i libri I e II); G.D. Mansi, Sacrorum conciliorum nova et amplissima collectio, Introductio, Parisiis 1903, pp. 1-580; cfr. anche Klotzner, pp. 61-65.

Fonti e Bibl.: Arch. segreto Vaticano, Arch. S. Rotae, Manualia, 29, 36, 46, 54, 75, 89 (Manualia actorum et citationum); Letters and papers, foreign and domestic, of the reign of Henry VIII, a cura di S. Brewer, III, parte II, London 1867, ad ind.; La vita di Benvenuto Cellini, a cura di O. Bacci, Firenze 1901, cap. 5; B. Dovizi da Bibbiena, Epistolario, a cura di G.L. Moncallero, Firenze 1955-65, ad ind.; A. Ciaconius - A. Oldoinus, Vitae et res gestae pontificum Romanorum et S.R.E. cardinalium, III, Romae 1677, col. 385; G.J. Eggs, Purpura docta, II, Monachii 1714, p. 381; F. Ughelli - N. Coleti, Italia sacra, III, Venetiis 1717, col. 693; VII, ibid. 1721, coll. 527 s.; IX, ibid. 1721, col. 351; G. Marini, Lettera al chiar.mo mons. G. Muti Papazurri già Casali, nella quale s'illustra il ruolo de' professori dell'Archiginnasio romano per l'anno MDXIV, Roma 1797, pp. 11, 17-19; F. von Schulte, Die Geschichte der Quellen und Literatur des canonischen Rechts, II, Stuttgart 1877, pp. 342 s.; C.J. von Hefele - J. Hergenröther, Conciliengeschichte, VIII, Freiburg i.Br. 1887, pp. 438 s., 476-478, 509, 765; A. Schulte, Die römischen Verhandlungen über Luther 1520, in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken, VI (1904), pp. 39-41; Id., Die Fugger in Rom, Leipzig 1904, I, pp. 134, 148; II, p. 190; P. Kalkoff, Forschungen zu Luthers römischem Prozess, in Bibl. des K. Preussischen Historischen Instituts in Rom, II (1905), ad ind.; L. von Pastor, Geschichte der Päpste, III, 2, Freiburg i.Br. 1924, pp. 632, 829; IV, ibid. 1923, 1, pp. 140, 583 s.; 2, pp. 5, 18, 164, 171; J. Klotzner, Kardinal Dominikus Jacobazzi und sein Konzilswerk. Ein Beitrag zur Geschichte der konziliaren Idee, Romae 1948; H. Jedin, Concilio e riforma nel pensiero del cardinale Bartolomeo Guidiccioni, in Riv. di storia della Chiesa in Italia, II (1948), pp. 38 s.; I. Rogger, Le nazioni al concilio di Trento, Roma 1952, ad ind.; H. Hoberg, Der Informativprozess des Rotarichters Dominikus Jacobazzi (1492), in Römische Quartalschrift, LI (1956), pp. 228-235; F. Gregorovius, Geschichte der Stadt Rom, a cura di W. Kampf, XIII-XIV, Basel-Stuttgart 1957, ad indices; J. Hamer, Note sur la collégialité épiscopale, in Revue des sciences philosophiques et théologiques, XLIV (1960), p. 44 n. 14; G. Alberigo, Lo sviluppo della dottrina sui poteri nella Chiesa universale. Testi e ricerche di scienze religiose, Roma-Freiburg 1964, ad ind.; D. Maffei, La donazione di Costantino nei giuristi medievali, Milano 1964, pp. 327-332; H. Jedin, Kirche des Glaubens, Kirche der Geschichte. Ausgewählte Aufsätze und Vorträge, II, Freiburg i.Br. 1966, ad ind.; R. Bäumer, Nachwirkungen des konziliaren Gedankens in der Theologie und Kanonistik des frühen 16. Jahrhunderts, Münster 1971, ad ind.; Lutherprozess und Lutherbann. Katholisches Leben und Kirchenreform im Zeitalter der Glaubensspaltung, XXXII, a cura di R. Bäumer, Münster 1972, p. 39; H. Jedin, Geschichte des Konzils von Trient, I-IV, Freiburg i.Br. 1951-75, ad indices; H.J. Sieben, Traktate und Theorien zum Konzil, Frankfurt a.M. 1983, pp. 209-243; H.-J. Becker, Die Appellation vom Papst an ein allgemeines Konzil, Köln-Wien 1988, pp. 359 s.; H.J. Sieben, Die katholische Konzilsidee von der Reformation bis zur Aufklärung. Konziliengeschichte, a cura di W. Brandmüller, Paderborn 1988, ad ind.; C. Weber, Papstgeschichte und Genealogie, in Römische Quartalschrift, LXXXIV (1989), pp. 356, 377; K. Ganzer, Kirche auf dem Weg durch die Zeit, Münster 1997, ad ind.; W. Trusen, Die Prozesse gegen Reuchlins "Augenspiegel", in Reuchlin und die politischen Kräfte seiner Zeit, a cura di S. Rhein, Sigmaringen 1998, pp. 122 s., 127; C. Weber - M. Becker, Genealogien zur Papstgeschichte, II, Stuttgart 1999, p. 464; III, ibid. 2000, p. LXX (fonti); IV, ibid. 2001, p. 612 (albero genealogico che riporta due figli); G. van Gulik - C. Eubel, Hierarchia catholica, III, Monasterii 1923, pp. 16, 156, 229; Dict. de théologie catholique, VI, col. 1343; Dictionnaire de droit canonique, VI, pp. 76 s.; Lexikon für Theologie und Kirche, V, col. 704.

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