TEMPIO, Domenico Francesco Giuseppe

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 95 (2019)

TEMPIO, Domenico Francesco Giuseppe

Gabriele Scalessa

– Nacque il 22 agosto 1750 a Catania, terzogenito di sette figli, da Giuseppe, commerciante di legname, e da Apollonia Arcidiacono.

Destinato al sacerdozio, entrò nel seminario arcivescovile, diretto dall’allora vescovo di Catania, filantropo e illuminato, Salvatore Ventimiglia di Belmonte. Qui venne in contatto con il gruppo di insegnanti che il religioso vi aveva riunito: il filosofo Lionardo Gambino, il giurista Sebastiano Zappalà Grasso, il poeta Raimondo Platania, il classicista Alessandro Maria Bandiera. Fu per mancanza di vocazione religiosa o per aver scritto versi in toscano contro alcuni personaggi del seminario (Monzone, 2013, p. 8), che ne uscì, senza completare gli studi, a ventitré anni.

Indirizzato dal padre agli studi forensi, vi si applicò malvolentieri, preferendo leggere i classici latini, i poeti italiani da Dante Alighieri in poi, la trattatistica del Cinquecento, Niccolò Machiavelli e Francesco Guicciardini. Conobbe anche l’opera di alcuni contemporanei, come Tommaso Campailla, autore del poema filosofico intitolato Adamo ovvero il mondo creato, del 1723. Si interessò inoltre ai volumi dei philosophes, che circolavano in Sicilia nonostante la censura, e lesse il giansenista Charles Rollin e lo storico Antoine-Yves Goguet (Musumarra, 1969, pp. 41 s.).

La limitata conoscenza della lingua italiana fu tra le ragioni che lo spinsero all’uso del dialetto siciliano, confortato anche dagli esempi di Giovanni Meli e del concittadino Carlo Felice Gambino. In siciliano compose La Truncetteide, nel 1773, in cui si prendeva gioco di un giovane calzolaio (truncetto, in siciliano). Il 20 luglio dello stesso anno fu cooptato, per volere di Ignazio Paternò Castello, principe di Biscari, nell’Accademia dei Palladii di Catania, assumendovi il nome di Aurisco Galeante.

Alla morte del padre nel 1775, incapace di proseguirne l’attività commerciale, contrasse debiti che non sarebbe mai stato in grado di estinguere completamente. Non perse, tuttavia, la passione per la scrittura in dialetto, anche satirica, come prova l’ode saffica, a sfondo mitologico, Supra la necessità, origini d’ogni beni, che replicava all’idea, esposta dal letterato catanese Giuseppe Lombardo-Buda in una dissertazione in versi, che la necessità sia buona cosa in quanto sprone al progresso. L’ode fu recitata nel 1775 nello stesso luogo in cui poco prima Lombardo-Buda aveva letto il suo lavoro, ovvero l’Accademia degli Etnei, di cui è probabile che Tempio fosse socio. Del 1777 è invece Lu Jaci in pritisa, ‘dramma per musica’ ispirato alla rivalità fra abitanti di Aci e di Catania e alla pretesa dei primi di non far parte del distretto della provincia di Catania, come prevedeva la circoscrizione territoriale siciliana. L’atteggiamento del canonico ligure Giuseppe Guglieri, in servizio presso Corrado Deodato di Moncada (successore di monsignor Ventimiglia), ma avverso agli studi filosofico-letterari, gli suggerì poi il poemetto satirico in ottave La ’Mbrugghiereidi (L’imbroglioneria) nel 1781. Centrato sulla figura del prete disonesto, figlio del Ventu e della Farfantaria, esso fu interrotto dopo 72 ottave per la morte di colui che lo aveva ispirato.

Al 1786 risale il matrimonio con Francesca Longo, che morì l’anno successivo dando alla luce una bambina, Apollonia, che decedette a sua volta poco tempo dopo.

Il primo componimento a stampa tempiano che si conosca è un Ditirammu (Ditirambo), celebrazione del vino delle contrade catanesi, parte di un Poema supra di lu vinu si sia utili o dannusu a li viventi cantatu ntra l’Accademia di l’Etnei pri lu Carnuvali di l’annu 1789 da Giuseppi Leonardi sicritariu di la stissa Accademia, stampato dall’editore catanese Francesco Pastore (Mirabella, 2004-05, p. 1). Forse nello stesso anno elaborò anche le sestine di ottonari, di argomento amoroso, Li vasuni (I baci).

Per decreto di Ferdinando IV di Sicilia del 25 aprile 1791, fu nominato notaro del casale di Valcorrente, anche se con ogni probabilità non svolse mai tale impiego. Alla fine degli anni Novanta del Settecento risale l’Odi supra l’ignuranza, viaggio allegorico in quartine di ottonari, dall’incipit dantesco (il poeta si ritrova fra li tenebri dell’Ignoranza, ma la Ragione viene in suo soccorso), che individuava nel «gran lumi» del XVIII secolo la forza capace di vincere il mostro dell’oscurantismo.

Dopo la carestia che colpì Catania nel 1797-98 e le conseguenti rivolte popolari, si diede alla stesura del poema La Caristia, di cui nel 1800 aveva scritto quattro canti, letti e apprezzati dall’amico pedagogista Giovanni Agostino de Cosmi. L’opera, in quartine di settenari, si apriva con una dedica al magnanimu Vicenzu, ovvero Vincenzo Paternò Castello, il principe di Biscari che aveva agito da moderatore durante le rivolte contribuendo alla loro cessazione.

Nel 1803 nacque Pasquale, avuto dalla balia di sua figlia Apollonia, Caterina, con cui conviveva.

Fatto socio dell’Accademia dei Trasformati di Noto il 1° febbraio 1806, vi intervenne con il nome di Melanconico. Forse nello stesso anno lavorò a Lu veru piaciri. Poemettu supra una villa di diportu, in ottave suddivise in quattro canti, lode della casina di un nobile catanese e delle bellezze naturalistiche etnee, nella cui contemplazione consisterebbe «il vero piacere» per l’Omu sensatu. L’opera era arricchita di digressioni, come la rassegna delle glorie siciliane nel secondo canto e l’elogio dei fiori nel quarto. Nei due anni successivi compose un poemetto allegorico, sempre in quattro canti e in ottave, dal titolo La maldicenza sconfitta, con dedica al barone Paolo Perramuto, eletto capitano giustiziere di Catania. Al pari del precedente, anche questo poema si avvaleva di divagazioni, come nel caso dell’episodio dell’Ozio e della Fortuna, dalla cui unione nascerebbe il personaggio di Don Fannenti.

In ristrettezze economiche, Tempio aveva cominciato a usufruire di alcune sovvenzioni, fra cui quella del Monte di pietà Sant’Agata, che gli permisero di continuare l’attività poetica. Nacquero così l’Odi a Baccu in occasioni di la carestia di vinu dell’annu 1811 e, più o meno nello stesso periodo, l’ode Li funerali di lu Libru Rossu. Quest’ultima fu elaborata dopo la notizia dell’abolizione del cosiddetto Libro rosso e quindi dei privilegi delle famiglie nobiliari catanesi (incluse nel libro) nelle elezioni per le cariche pubbliche. Verso la fine del 1813 compose La fiera in cuntrastu, che prendeva spunto dall’antagonismo fra i paesi di Mascali e Giarre: il secondo, storicamente dipendente dal primo ma desideroso di fare comune a sé, si era emancipato al punto di organizzare una fiera patronale che faceva concorrenza a quella dei rivali. Seguitò la stesura di La Caristia: inizialmente concepito della durata di quattro canti, il poema ne contava dieci in più nel 1814. Privo di una vera e propria trama, esso assemblava quadri scenici diversi in un impasto di fantasia e realismo. Vi emergevano le azioni del popolo e di singoli personaggi (come il mediocre Don Letterio e il magnanimo principe di Biscari), degli dei dell’Olimpo (come nell’episodio di Giove che invia Atena a placare la Carestia) e di figure allegoriche (quali l’Amor di Patria e l’Abbondanza), che si facevano veicolo del pensiero dell’autore: un pensiero moderato, di condanna della violenza delle rivolte, ma anche di comprensione delle esigenze dei poveri. La redazione procedé con lentezza e i sei canti conclusivi sarebbero stati aggiunti solo negli ultimi anni di vita.

Per interessamento del canonico Francesco Strano, suo amico, nel 1814 apparvero due volumi di Operi di Duminicu Tempiu catanisi. Un terzo volume uscì nel 1815. Tutti e tre recavano note di traduzione e di carattere storico e furono editi a Catania dalla Stamperia de li Regi Studi. Buona parte del primo volume era occupata da venti Favule, alcune delle quali guardavano alla tradizione esopiana. Una di esse era La Libertà, in endecasillabi e settenari, che nella vicenda del cardellino che cade preda del gatto dopo l’agognata liberazione relativizzava il concetto di libertà, un bene che non tutti sono capaci di gestire.

Attanagliato dall’indigenza, Tempio scrisse all’amico Blasco Florio, a Napoli, dicendo di trovarsi in uno stato miserevole.

Tirando avanti con gli aiuti economici degli amici, poté usufruire dal 1819 di una pensione del Comune di Catania, città nella quale aveva trascorso l’intera sua esistenza e dove morì il 4 febbraio 1821. Venne sepolto nella chiesa di San Giovanni: le sue spoglie vi rimasero sino al bombardamento che devastò l’edificio durante la seconda guerra mondiale.

Circondato da fama letteraria all’indomani della morte, fu incluso nella crestomazia Poesie di autori catanesi, curata da Giovanni Sardo per l’editore Felice Sciuto (Catania 1834). La Carestia. Poema epicu di Dominicu Tempiu catanisi, escluso dall’omnia del 1814-1815, fu stampato in due volumi, a cura di Vincenzo Percolla, ancora dall’editore Sciuto (1848-1849), che dedicava l’opera a Sua Eccellenza il signor Roberto Paternò Castello, principe di Biscari e figlio di quel Vincenzo che Tempio aveva celebrato nel poema. Tuttavia, a dispetto della ricca e varia produzione, il secondo Ottocento lo ridusse ingiustamente ad autore libertino per via delle sue non molte liriche licenziose, alcune delle quali circolavano alla macchia quando era ancora in vita.

Fonti e Bibl.: Manoscritti e documenti di Tempio sono a Catania, presso le Biblioteche riunite Civica e A. Ursino Recupero e la Biblioteca regionale.

A. Longo, Biografia di D. T., Catania 1835; V. Cordaro Clarenza, Lettera sopra la vita ed opere di D. T., Catania 1839; V. Percolla, Biografie degli uomini illustri catanesi..., Catania 1842, pp. 341-371; A. Emanuele, D. T., Catania 1912; N. Scalia, D. T., Genova 1913; C. Musumarra, D. T. e la poesia illuministica in Sicilia, in D. Tempio, Opere scelte, a cura di C. Musumarra, Catania 1969, pp. 5-143; D. T. e l’Illuminismo in Sicilia. Atti del Convegno di studio..., Catania... 1990, a cura di C. Musumarra, Palermo 1991; S. Camilleri, D. T., Catania 2002; G. Mirabella, Per l’edizione critica dei componimenti di D. T., tesi di dottorato, Università degli studi di Catania, a.a. 2004-05; M. Finocchiaro, Un paradigma intellettuale..., Acireale 2013; C. Monzone, Oltre l’erotismo: per una ridefinizione dell’opera poetica di D. T., tesi di dottorato, Université d’Avignon et des Pays de Vaucluse, 2013.

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