DOMENICO da Leonessa

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 40 (1991)

DOMENICO da Leonessa

Carla Casagrande

La sua data di nascita (da collocare nella prima metà del sec. XV) è sconosciuta; e incerto è il luogo d'origine: una tradizione lo vuole nato a San Severino Marche (prov. Macerata) e quindi trasferito a Leonessa (o Gonessa, Gonissa, Lagonissa nelle fonti), un'altra nato a Leonessa (prov. Rieti) da genitori provenienti da San Severino (si veda Chiaretti, pp. 309 s. n. 30).

Entrato nell'Ordine francescano dopo aver ascoltato predicare fra' Nicolò da Osimo, vi occupò cariche di rilievo: per sette volte fu vicario della provincia marchigiana. Non si conoscono tutte le date in cui D. ha rivestito questa carica; sappiamo dalle fonti che lo è stato sicuramente prima del 1455 (in una lettera di Marco da Bologna a Giovanni da Capestrano del 1455 D. viene ricordato come "olim Vicarius Provinciae Marchiae"), nel 1458, nel 1483, nel 1484 e nel 1497, anno della morte. Nel 1462 è chiamato da Giacomo della Marca al convento di Monteprandone per occuparsi in modo particolare della cura della biblioteca. Nel 1467, il 27 maggio, il capitolo generale di Mantova lo nomina vicario della Bosnia e della Dalmazia, affidandogli il compito di gestirne la divisione in due province, ordine ben presto revocato, il 25 giugno dello stesso anno, da papa Paolo Il che, accogliendo le richieste dei francescani della Bosnia, comanda a D. di continuare a reggere unitamente la Bosnia e la Dalmazia. Comunque D. abbandona ben presto la missione e non a causa di queste difficoltà, ma, come racconta divertito il cronista Bernardino d'Aquila, perché "la sua natura non poteva sostenere il mare e quella provincia non poteva essere governata se non veniva raggiunta per via mare". Nel 1476 il vicario generale Pietro da Napoli gli ordina di ritornare nelle Marche dalla provincia della Corsica, dove non sappiamo quando e con quale compito sia stato inviato. Nel 1489, nel capitolo generale di Urbino, viene designato definitore della provincia della Marca.

La sua fama tra i contemporanei, e poi nella tradizione, è dovuta non solo alle cariche ricoperte nell'Ordine, ma anche e soprattutto alla sua attività di predicatore; Roberto Caracciolo da Lecce, in un sermone, lo cita tra i predicatori più insigni che nel Quattrocento hanno saputo seguire l'insegnamento e l'esempio di Bernardino da Siena e le antiche biografie, che insistono, in tono apologetico, sulle sue virtù ascetiche e sulla sua dedizione alla preghiera, lo designano, in modo enfatico ma significativo, "tromba d'Italia". Dei suoi sermoni non abbiamo traccia, restano le testimonianze dei contemporanei sull'efficacia e sui risultati della sua prefficazione che contribui a fondare alcuni Monti di pietà e attirò alla militanza francescana personaggi come Giuliano e Venanzio da Fabriano, il biografo di Giacomo della Marca, e Pietro da Mogliano. Quest'ultimo decise di farsi francescano dopo aver ascoltato D. predicare a Perugia. Sulla data di questo avvenimento la storiografia ha formulato più di un'ipotesi. La più accreditata pare l'ultima, quella di I. Brandozzi, che la situa intorno al 1460. Del 1454, secondo la Chronica civitatis Aquilae di Alessandro De Ritiis, o del 1455, secondo la lettera di Marco da Bologna (Chiappini, 1928, p. 26) a Giovanni da Capestrano, è la predicazione della quaresima all'Aquila nella quale D. trionfò sul predicatore concorrente, il conventuale Giovanni da Volterra. Altra predicazione famosa fu quella a Fabriano nel 1466, durante la quale predisse alla città la peste. L'epidemia ci fu poi veramente e D. tornò nella città a curare gli ammalati.

Strettamente legata, anzi dipendente, dalla predicazione è un'altra iniziativa che caratterizza la figura di D.: la promozione e la fondazione dei Monti di pietà, impresa cui si dedicò l'intera Osservanza italiana, e marchigiana in particolare, nel Quattrocento. A D. è dovuta la fondazione del primo Monte di pietà, quello di Ascoli Piceno, nel 1458, poi nel 1468 dei Monti di Recanati e di Urbino, e nel 1469 di quello di Fermo, i cui statuti, redatti da D., furono poi riveduti e resi operanti nove anni più tardi da fra' Marco da Montegallo. Gli statuti di Recanati e quelli di Fermo, che sono stati conservati, a differenza di quelli di Ascoli, stabiliscono l'assoluta gratuità del prestito dietro pegno, il che porta a ritenere che D. sostenesse all'interno dell'Ordine questa tesi contro quanti ammettevano la liceità del prestito a interesse, pur inteso come compenso per le prestazioni connesse col servizio del prestito, tesi questa che diventerà propria di tutto l'Ordine solo nel capitolo generale del 1493 a Firenze. Un altro avvenimento segnala la connessione dell'apostolato religioso di D. con un impegno sociale e politico: nel 1487, insieme con Pietro da Mogliano, si adoperò per promuovere la pace tra Ascoli e Fermo.

D. va inoltre ricordato per essere stato, ancora insieme con Pietro da Mogliano, la guida spirituale della beata Camilla Battista da Varano, figura di rilievo nella storia della religiosità francescana femminile del Quattrocento. "Sapiate, dolce e dilettissimo padre mio, che tutta la vita mia spirituale ha avuto origine, principio e fundamento da vui e non da altri" dice la beata a D. all'inizio della sua opera più famosa, La vita spirituale. In effetti, fu ascoltando una predica di D. sulle sofferenze del Cristo, il venerdi santo del 1466 o del 1468, nella chiesa di S. Pietro in Muralto, che Camilla fece il voto di versare una "lacremuccia" ogni venerdi. Cominciò da li la sua avventura spirituale; D. le fu costantemente vicino: nel 1481 la accolse nel monastero di Urbino, nel 1483, sempre a Urbino, ne riceve i voti, nel 1484, ormai diventata suor Battista, la riceve a Camerino con otto consorelle in un nuovo monastero da lei fondato, tra il 1490 e il 1491 le ordina di scrivere La vita spirituale che suor Battista gli dedica, così come gli dedica un'altra operetta, i Ricordi di Gesù, nella versione riveduta del 1491.

Nel 1497, a Fossombrone, D. cadde profondamente ammalato. Il duca di Urbino, Guidobaldo da Montefeltro, lo fece condurre alla sua corte, dove, assistito dal confratello Nicolò Gallo, morì il 20apr. 1497. Raccontano le antiche biografie che rifiutò ogni cura medica per occuparsi solo della sua anima e che, prima di morire, ricevette la visita della Vergine. Fu sepolto sotto l'altare maggiore della chiesa del convento di S. Chiara e subito venerato come beato. Nel 1863, quando le monache dovettero trasferirsi, le sue reliquie vennero esumate e trasportate nel nuovo monastero, dove ancora si trovano.

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