DOLOMITI

Enciclopedia Italiana (1932)

DOLOMITI

Elio Migliorini

. Denominazione con cui si designa comunemente un paesaggio caratteristico dei monti calcarei, frequente nel versante meridionale delle Alpi Orientali. Il nome deriva dalla pietra calcarea detta dolomia (v.). In realtà assai spesso le rocce di cui queste montagne constano sono semplici calcari o calcari magnesiferi, bianchi, grigi, rossigni, che risultano molto degradati per l'azione delle forze esogene e in parte rotti e fratturati in seguito all'azione delle spinte orogeniche. Quanto alla loro origine, si discute se essi siano formazioni di scogliera oppure derivino il loro aspetto dalla trasformazione dei calcari originarî venuti a contatto, in seguito a eruzioni, con materiali ricchi di magnesia.

Le caratteristiche principali del paesaggio dolomitico sono il notevole spessore degli strati e la loro disposizione prevalentemente orizzontale, l'alternanza di questi con terreni marnosi e cretacei molto erodibili (orizzonti detti di Raibl, San Cassiano, Wengen, Buchenstein); l'azione esercitata dagli agenti demolitori e dai corsi d'acqua che fa apparire le cime, che sono di solito riunite in gruppi isolati, come il residuo di una più ampia massa rocciosa, smembrata in guglie, torri, bastioni, muraglie, ora isolate, ora riunite in festoni o giogaie, che talora si elevano su pianori rocciosi (gruppo di Sella, Pale di S. Martino). Quanto a età, le rocce o appartengono al Triassico superiore e medio e allora si presentano con forme più grandiose e unite, a banchi massicci non stratificati, oppure constano di rocce più recenti dei livelli superiori della serie triassica passanti al Liassico (Dolomia principale) e allora sono stratificate quasi orizzontalmente (o lievemente inclinate verso la pianura veneta) e sono più rotte e frastagliate. La diversa erodibilità ha creato ampie gradinate, cenge o cornicioni orizzontali e ai piedi delle rocce una base di detriti (ghiaioni), coperti verso il basso da pascoli e boschi, che accentuano il contrasto. In alcuni casi però queste linee orizzontali, che rompono la verticalità delle pareti e permettono il passaggio da camino a camino, si devono considerare terrazzi orografici connessi al ciclo d'erosione. Una superficie più bassa si può collegare con un ciclo pliocenico, mentre una più alta superficie spianata è da riconnettersi forse al Miocene. L'era glaciale ha lasciato qui un'impronta modesta (soprattutto circhi, cioè alte conche regolari, e valloni, cavità allungate); del resto anche la glaciazione attuale, sia per il frazionamento dei gruppi che permette un'estensione degli influssi adriatici e meridionali anche nell'interno della catena, sia per la generale depressione delle cime che di poco superano i 3000 metri, ha un'estensione limitata. Esiste tuttavia un gran numero di piccoli ghiacciai di secondo ordine, privi cioè di lingue d'ablazione allungate (il maggiore, quello della Marmolada, ha un'area di 3,55 kmq.). Frequenti sono le frane: le due più note sono quella che ha formato il lago di Alleghe, ai piedi del M. Civetta, e la frana di Borca ai piedi del M. Antelao. Il limite delle nevi permanenti si aggira sui 2700-2750 m., quello del bosco sui 2070-2100; le abitazioni isolate raggiungono le maggiori altezze nel gruppo di Sella (intorno ai 1750); frequenti in tutta la zona le dimore temporanee (casere). I centri più noti, che di recente si sono molto avvantaggiati per la diffusione del turismo e per la moda della villeggiatura, sono Cortina d'Ampezzo, Caprile, San Martino di Castrozza, Ortisei e Santa Cristina in Val Gardena, Canazei in Val di Fassa, ecc., tutti centri alpinistici di prim'ordine con guide rinomate. I gruppi montuosi che costituiscono il paesaggio dolomitico, per quanto caratterizzati da impronte particolari, conservano pur sempre una spiccata fisionomia di famiglia, dovuta al predominio delle linee orizzontali e verticali, alla tinta della roccia, al contrasto con la base su cui poggiano. I gruppi più noti sono quelli della Marmolada (3342), del Pelmo (3168), dell'Antelao (3263), del Cristallo (3216), del Sorapis (3205), del Civetta (3218), delle Tofane (3241), del Sassolungo (3178), delle Tre Cime di Lavaredo (2999), delle Pale di San Martino (3193), del Latemar (2846), del Catinaccio (2998). Si parla anche più impropriamente di Dolomiti di Gardena, di Fassa, di Livinallongo, di Primiero, d'Ampezzo e di Sesto dal nome delle valli. Essendo tutti questi gruppi compresi nelle Alpi Veneto-Tridentine (tra Piave, Brenta, Adige, Isarco e Rienza), si dà a queste talora anche il nome di Alpi Dolomitiche. Resta tuttavia al difuori l'importante gruppo delle Dolomiti di Brenta, sulla destra dell'Adige. La fama del nome ha poi fatto attribuire il termine anche ad altre montagne delle Alpi (Dolomiti del Delfinato, di Engadina, di Schio).

La regione era un tempo abitata per la massima parte da Ladini che crearono poetiche leggende sul colore della roccia, gli aspetti delle guglie, ecc. Italiani e Tedeschi da sud e da nord hanno in gran parte fatto diffondere le loro lingue. Restano molti termini geografici dialettali (cadín = "circo" e anche "cima", cengia, croda, piz, casera, tabià, pala "riva erta di terreno erboso"). La regione ha anche una grande importanza alpinistica; le cime principali sono state salite tra il 1860 e il 1880 da Tedeschi, Inglesi e Italiani (Antelao, 1863; Sorapis, 1864; Cima Grande di Lavaredo, 1869; Cimon della Pala, 1870; Pelmo, 1877); in seguito è venuta di moda la ricerca di vie più difficili lungo pareti verticali (v. alpinismo).

V. Tavv. XXIII e XXIV.

Bibl.: E. Mojsisovics, Die Dolomit-Riffe von Südtirol und Venetien, Vienna 1879; T. Taramelli, Note illustrative alla carta geologica della provincia di Belluno, Pavia 1883; C. Diener, Über den Einfluss der Erosion auf die Struktur der Südosttirolichen Dolomitstöcke, in Mitt. Geogr. Gesell. In Wien, 1900; O. Marinelli, Studi orografici nelle Alpi Orientali, in Boll. Soc. Geogr. Ital., 1900; id. Atlante dei tipi, a cura dell'Istituto Geografico Militare, tav. 24: Dolomiti; id., Nel mondo delle Dolomiti, in Le Vie d'Italia, XXVIII (1922), pp. 508-17; N. Krebs, Die Ostalpen und das heutige Österreich, Stoccarda 1928; R. von Klebelsbert, Südtiroler Dolomiten, Berlino 1928; M. Ogilvie Gordon, Geologisches Wanderbuch der westlichen Dolomiten, Vienna 1928; L. Purtscheller e H. Hess, Der Hochtourist in den Ostalpe, VII, Lipsia 1929; A. Berti, Dolomiti Orientali, Milano 1929; Da rifugio a rifugio, I e II, Milano 1929-30.

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