Dittatura

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Magistratura straordinaria romana, fornita di imperium maius, cioè della pienezza dei poteri civili e militari. Poteva sospendere tutte le altre magistrature. Il dittatore non poteva durare in carica oltre sei mesi; aveva 24 littori, era nominato su richiesta del senato dai consoli, più tardi fu eletto dai comizi. La data dell’istituzione è assegnata al 501 o al 498 a.C. e il primo dittatore sarebbe stato Tito Larcio o Manio Valerio. L’origine della d. va connessa probabilmente con il dittatore della Lega latina, magistrato che per la natura stessa della lega dovette essere straordinario e dotato di pieni poteri. Alla carica i plebei furono ammessi soltanto dal 356 a.C. La d. decadde nel 3° sec. a.C.: l’ultimo dittatore con poteri militari (rei gerundae causa) è del 216. Fu rinnovata, da Silla e da Cesare, ma con valore quasi di monarchia.

In epoca moderna il termine ha continuato a indicare sistemi di governo contraddistinti da una forte concentrazione di poteri nelle mani di un individuo o di un gruppo ristretto di individui, ma ha perduto del tutto (o quasi del tutto) qualsiasi riferimento al carattere eccezionale, limitato e temporaneo di tale concentrazione di poteri e soprattutto alla sua natura ‘costituzionale’. In tal modo, insieme ai concetti solo in parte analoghi di dispotismo e di tirannide, la d. è diventata una delle categorie che vengono di regola utilizzate per definire quell’ampio spettro di regimi politici autoritari, illiberali e antidemocratici (o non democratici) che, talora fondati su un ampio consenso di massa, attribuiscono a un capo o a un piccolo gruppo di persone poteri arbitrari e privi di controllo. Regimi di questo tipo possono fare ricorso in gradi diversi alla coercizione come strumento di governo e spesso si affermano in contesti politici in cui, almeno formalmente, i diritti di libertà e il principio del governo limitato continuano a sussistere. Essi si sono storicamente imposti all’interno di società e di sistemi politici di tipo tradizionale oppure ormai pienamente modernizzati sia sul piano economico e sociale sia su quello della partecipazione politica. In quest’ultimo caso, le d. si sono costantemente sforzate di conquistare il consenso popolare, spesso costruendo intorno al capo un vero e proprio culto della personalità.

L’età contemporanea è stata teatro di molteplici esperienze dittatoriali. Tra le più significative devono essere citate la d. rivoluzionaria dei giacobini durante la Rivoluzione francese; la d. cesaristica di Napoleone Bonaparte e poi di Napoleone III; le d. comuniste in Unione Sovietica, in Cina e più in generale nei paesi del cosiddetto socialismo reale (fu K. Marx a teorizzare l’idea della d. del proletariato come fase di transizione al socialismo sotto la direzione del Partito comunista); le d. fasciste nell’Italia di B. Mussolini e nella Germania di A. Hitler; le svariate d. militari e civili che hanno segnato la storia dell’America Latina e quella dei paesi sorti dal processo di decolonizzazione in Asia e in Africa.

Le d. moderne e contemporanee hanno assunto molteplici forme. Sono state dominate da élite politiche o militari. Hanno assunto il profilo di d. rivoluzionarie, conservatrici o reazionarie. Si sono fondate sul ruolo determinante di una singola personalità oppure di oligarchie politiche, burocratiche o di partito. In base a una celebre tipologia, esse si possono utilmente classificare in d. autoritarie, cesaristiche e totalitarie. Le prime – per es., la Spagna di F. Franco e il Portogallo di A. Salazar – si fondano su un basso livello di mobilitazione politica delle masse e sul controllo dei tradizionali apparati di potere dell’esercito, della polizia, della magistratura e della burocrazia che vengono utilizzati come strumenti di repressione per stroncare qualsiasi forma di opposizione. Le seconde – tipico il caso di Napoleone – sono costruite intorno alla figura carismatica di un capo che si sforza di governare sulla base di un forte sostegno popolare, e dunque in un contesto di mobilitazione politica crescente. Le ultime infine – i due casi classici sono quelli della Germania nazista e dell’Unione Sovietica staliniana – si basano sia sul controllo dei tradizionali apparati di potere sia sul culto del capo carismatico. A differenza delle prime due forme, esse traggono altresì la propria forza da un processo di mobilitazione permanente delle masse, realizzato attraverso una propaganda capillare dell’ideologia del regime e il ricorso indiscriminato al terrore. Espressione caratteristica di questa forma di dittatura è l’esistenza di un partito unico che rappresenta il veicolo principale della propaganda e dell’indottrinamento di regime e nel contempo la negazione di qualsiasi parvenza di pluralismo politico, che è invece ancora compatibile con i modelli della dittatura autoritaria e di quella cesaristica.

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