DITTA

Enciclopedia Italiana (1932)

DITTA (latinismo, da dicta "detta"; fr. raison sociale; sp. firma social, razón social; ted. Firma; ingl. firm, style)

Giuseppe Giudice

Per ditta s'intende il nome commerciale col quale il commerciante singolo tratta i suoi affari, sottoscrive i contratti, firma la corrispondenza, intesta le fatture, può citare ed essere citato in giudizio; ma per estensione, stante l'identità della funzione giuridica, si suol chiamare ditta anche il nome della società commerciale, che però dalla legge e dalla dottrina è contraddistinto con l'espressione propria ragione sociale. La ditta, in quanto serve a individuare la persona esercitante il commercio distinguendola da tutti gli altri commercianti, si dice anche ditta soggettiva o firma. Il commerciante può adoperare il proprio nome patronimico anche come denominazione dei suoi prodotti, o come marchio o insegna; ma in questi casi esso serve da segno distintivo di singole cose o del negozio e non è da confondere con la ditta.

La ditta-firma, segno distintivo della persona del commerciante (singolo o società), oggetto di diritti e doveri nello stesso tempo, è il nome commerciale usato in forma costante e caratteristica.

Non vi è in Italia una legge speciale né un complesso organico di disposizioni che disciplinino la ditta come istituto giuridico per sé stante. Come principio generale si riconosce che la ditta, perché sia legittimamente costituita, deve avere i requisiti della verità e della novità, onde il pubblico non venga tratto in inganno circa la persona del commerciante e non siano lesi i diritti di chi già esercita il commercio sotto un nome identico o simile. In pratica la ditta suol essere costituita col vero nome e cognome del commerciante, intero o con qualche abbreviazione nel nome, che può essere ridotto alla sola iniziale o perfino del tutto soppresso. Talvolta si adopera il solo nome o il soprannome, specialmente nei piccoli paesi dove un individuo può essere conosciuto per mezzo di essi meglio che per il cognome. Si possono aggiungere indicazioni che valgano a meglio distinguere: p. es. iunior, sentir, la paternità, i titoli, la città sede dell'azienda, l'anno in cui questa è stata fondata, nomi geografici, nomi di fantasia e simili. Nessuna disposizione di legge vieta di costituire una ditta col nome di altra persona che vi consenta; o con un nome esclusivamente fantastico, o con uno pseudonimo; né di aggiungere al proprio vero nome la sigla "e C." per far credere all'esistenza di una società. In dottrina è controverso se ciò sia legittimo, ma certamente non è compatibile con la vita degli affari perché renderebbe difficile accertare mediante i pubblici registri la condizione personale e patrimoniale del commerciante e agire contro di lui o sopra i suoi beni per le obbligazioni da lui assunte. Per altro non è conveniente per lo stesso commerciante, dato il sospetto d'inganno che nascerebbe dal celare il suo vero nome. Un'autorevole dottrina opina che se il commerciante cambii il nome patronimico per legittimazione, adozione, ecc., debba anche cambiare la ditta; e reputa che solo chi commercia sotto una ditta conforme al suo stato civile possa invocare la tutela giuridica e costringere chiunque altro adoperi abusivamente lo stesso nome a dimetterlo.

Quanto alle società in nome collettivo, possono far parte della ragione sociale í nomi dei soci o le loro ditte, ma si possono anche adoperare i nomi di uno o più soci con l'aggiunta & C., o & C.ia, per accennare agli altri soci non nominati. Nelle accomandite possono far parte della ragione sociale i soli nomi dei soci illimitatamente responsabili o le loro ditte, con le stesse aggiunte. Le anonime sono individuate con la designazione dell'oggetto dell'impresa o con una denominazione particolare che può essere anche un nome patronimico, solo o aggiunto all'oggetto dell'impresa. Una legge speciale fa obhligo di denunciare le ditte alla Camera di commercio, ora Consiglio provinciale dell'economia, perché siano iscritte in apposito registro ostensibile al pubblico, il quale ha diritto al rilascio di certificati. Le ditte non denunciate sono registrate d'uffieio. Per la sua organizzazione e per i suoi scopi questo registro è perb diverso dal registro del commercio istituito da alcune legislazioni straniere. Debbono pure essere depositate le firme dei proprietarî e dei procuratori delle ditte.

La ditta è anche il simbolo rappresentativo dei beni organizzati in unità economica e destinati a un esercizio commerciale, cioè dell'azienda; in tal senso essa ha un valore oggettivo e appartiene alla categoria dei cosiddetti beni patrimoniali immateriali. Anche il nome patronimico, quando è adoperato come ditta, acquista un valore oggettivo e diventa venale e commerciabile.

Si ammette generalmente dalla dottrina e dalla giurisprudenza che la ditta possa essere trasferita per atto tra vivi. Qualche autore sostiene l'opinione contraria: obietta infatti che la cessione mancherebbe di oggetto e di causa e che sarebbe illegittima l'obbligazione del cedente di non usare più del suo nome ai fini commerciali e di rinunciare per sempre al commercio, e rileva le responsabilità e i pericoli a cui andrebbe incontro il cedente, poiché, lasciando spendere il suo nome abitualmente in atti di commercio, sarebbe ritenuto ancora commerciante, risponderebhe delle obbligazioni del cessionario e resterebbe altresì soggetto all'eventualità del fallimento e della bancarotta. Certamente non si può negare che, dove non è organizzato alcun mezzo legale di pubblicità per rendere nota ai terzi la cessione delle ditte, potrebbero nascere abusi e inconvenienti, e tra l'altro il cessionario potrebbe carpire un credito immeritato. Ma, nel silenzio della legge, non sarebbe legittimo desumere il divieto di cessione delle ditte dalla possibilità d'inconvenienti e di rischi per il cedente. In pratica, per salvare il credito e l'avviamento della ditta ceduta rispettando insieme la buona fede nei confronti dei terzi e salvaguardando il cedente da eventuali responsabilità, si segue la consuetudine di far noto il rapporto di successione, aggiungendo alla ditta ceduta qualche indicazione idonea a far conoscere al pubblico il nome del nuovo proprietario. Ma così facendo la ditta ceduta per atto tra vivi viene in realtà modificata. Nel caso di successione a titolo universale o particolare a un commerciante defunto, molto minore essendo il pericolo d'inconvenienti, si riconosce senza contrasti la legittimità dell'uso di conservare la ditta tale e quale, senza alcuna modificazione che faccia noto al pubblico il rapporto di successione: in questo caso la ditta si dice derivata e la giurisprudenza riconosce che il successore può farsi iscrivere nei registri della Camera di commercio, intestare la sua corrispondenza commerciale, sottoscrivere le sue obbligazioni commerciali, citare ed essere citato in giudizio, esser dichiarato fallito sotto la ditta del suo predecessoie. Ma, se si tratti di atti od obbligazioni non commerciali, egli deve firmare col suo nome patronimico.

Come ogni individuo ha diritto esclusivo al proprio nome patronimico, così ogni commerciante alla propria ditta: egli potrà costringere chiunque abusivamente se l'approprii a dimetterne l'uso. Indipendentemente dall'interesse privato del commerciante, è interesse pubblico che sia tutelata la lealtà del commercio; perciò la legge punisce chiunque usurpa la ditta altrui. Se la ditta altrui sia falsificata (nella firma, nell'intestazione della corrispondenza o delle fatture) il falsificatore incorre nelle più gravi pene stabilite per il delitto di falso. L'usurpazione, la falsificazione e l'imitazione della ditta altrui sono mezzi fraudolenti per esercitare, ingenerando artificiose confusioni, la concorrenza sleale.

Poiché ciascuno può, di regola, esercitare il eommercio sotto il proprio nome patronimico, avviene talvolta, per omonimia o somiglianza di nomi, che un commerciante costituisca, nella più perfetta buona fede e senza alcun proposito di concorrenza illecita, una ditta identica o simile a un'altra già esistente. In questa ipotesi può sorgere un legittimo conflitto d'interessi tra le due ditte, se l'omonimia o somiglianza può esser cagione di confusione nel pubblico e quindi di danno per lo sviamento della clientela: ciò avviene quando sotto le due ditte si esercita un commercio identico o similare nella stessa piazza o nello stesso territorio dove si estende la loro attività. Per unanime consenso della dottrina e della giurisprudenza il conflitto si risolve a favore della ditta più anziana, a cui si riconosce il diritto di ottenere che l'altra sia modificata in modo da evitare qualsiasi possibilità di confusione. Ove la modificazione non sia effettuata spontaneamente, spetta all'autorità giudiziaria di stabilire di caso in caso quali aggiunte o variazioni debbano apportarsi alla ditta meno anziana (p. es. la paternità, la residenza, ecc.) perché venga sufficientemente differenziata e riesca inconfondibile per chi usi la diligenza ordinaria. La maggiore anzianità si può accertare con ogni mezzo di prova; essa è una circostanza di fatto relativa all'inizio dell'esercizio commerciale e il possesso di ciascuna parte è cumulabile con quello del suo autore. La priorità della denuncia costituisce una presunzione di maggiore anzianità, salvo la prova del contrario.

È controverso il fondamento giuridico della tutela del nome commerciale. Secondo una teorica che risale a Bartolo, e domina oggi nella dottrina germanica, il nome commerciale è l'espressione della personalità in quanto si esplica nel campo commerciale, sicché la tutela giuridica di esso costituisce un aspetto della tutela spettante alla persona morale. Più generalmente accettata è la teorica, dominante specialmente nella dottrina e nella giurisprudenza francese, che fonda la tutela del nome commerciale sul diritto di proprietà. Per il carattere oggettivo, che la ditta assume come simbolo rappresentativo di beni materiali e di un'attività economica capace di produrre guadagni, essa è un bene a cui - se non sono applicabili tutte le norme giuridiche che regolano la proprietà delle cose materiali - sono però bene applicabili quelle norme regolatrici del diritto di proprietà che si adattano alla sua natura. Il modo di acquisto della ditta è l'occupazione, di qui la prevalenza del diritto del primo occupante, il quale può esercitare il ius prohibendi, cioè il diritto che ogni proprietario ha di vietare che altri faccia uso della cosa sua. Questo principio, più volte accolto da autorevoli pronunciati della nostra giurisprudenza, ha il pregio di fondarsi su norme di diritto positivo e riconosce la tutelabilità del nome commerciale in ogni caso, anche quando manchi il danno, o il dolo o la colpa del commerciante omonimo meno anziano.

Il diritto alla tutela del nome commerciale è imprescrittibile, ma la ditta può essere oggetto di prescrizione, estintiva e acquisitiva a un tempo, quando un commerciante abbia cessato di usarla e un altro con giusto titolo e buona fede l'abbia fatta propria: tale prescrizione è quella ordinaria commerciale di dieci anni.

In taluni paesi (Germania, Svizzera, Austria, Ungheria, Spagna, Romania), nei quali il nome commerciale è disciplinato da leggi recenti e organiche, vige l'istituto del registro del commercio, il quale offre il vantaggio di preservare il nome medesimo dalle usurpazioni e dal pericolo di concorrenza illecita che può derivare dalla confusione per omonimia o somiglianza, e ha inoltre lo scopo di tutelare la buona fede dei terzi che stringono rapporti giuridici con i commercianti.

Bibl.: C. Vivante, Trattato di diritto commerciale, I, 5ª ed., Milano 1922, p. 162 segg.; G. Magri, Sul concetto giuridico della ditta commerciale, in Rivista di diritto commerciale, 1912, p. 18; A. Ascoli, Sul diritto al nome commerciale, ibid., 1915, p. 145; P. Bonfante, Il diritto al nome commerciale e la concorrenza sleale, ibid., 1908, p. 164; A. Sraffa, Nome patronimico e nome commerciale, ibid., 1909, p. 650; G. Segrè, Azione di spoglio e possesso di diritti con particolare riguardo al nome civile al nome commerciale e all'uso di un'insegna, ibid., 1911, p. 604; G. Fadda e E. Bensa, Note a Windscheid, Torino 1902, I, 1, p. 642; F. Ferrara, Trattato di diritto civile, Roma 1921, p. 579; C. Lyon-Caen e L. Renault, Traité de droit commercial, Parigi 1906, I, p. 218 segg.; C. Chenevard, Traité de la concurrence déloyable, Ginevra-Parigi 1914, I, p. 61 sgg.; C. Reibel, Du nom commercial artist. et litt. en droit français, Parigi 1905; Ph. Sudre, Le droit au nom, Parigi 1903, p. 217 segg.; M. Plaisant e Fernand-Jacq, Le nouveau régime internat. de la proprieté industr., Parigi 1927, pp. 90, 161.

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