Disegno industriale

Enciclopedia della Scienza e della Tecnica (2008)

Disegno industriale

Antonio Paris

Gli oggetti artificiali invadono ogni momento della nostra vita quotidiana: nello spazio domestico, nella scuola e nei luoghi di lavoro, nella città e nel tempo libero; oggetti d’uso, oggetti tecnici come prolungamenti del nostro corpo, rispondono alle nostre esigenze che aumentano di giorno in giorno; una straordinaria quantità di prodotti industriali dà ai nostri sensi nuove sollecitazioni. Tocchiamo continuamente nuovi materiali. Con i nostri occhi, guardiamo ogni giorno migliaia di immagini artificiali: sul giornale, dalla finestra di casa, dall’auto in movimento, sullo schermo luminoso di un monitor. Il nostro olfatto è sollecitato dai siliconi e dalle colle, dai nuovi odori delle plastiche, dalla secca aria condizionata, e mille nuove particelle modificano i profumi delle stagioni e omologano gli odori a quelli di continenti lontani. Fra oggetti e contesti c’è una relazione, una contaminazione che riguarda forme, figure, linguaggi. Essa interessa i processi di costituzione del contesto materiale, i rapporti tra gli artefatti, gli ambienti confinati, la città, la metropoli, i territori antropizzati e non; riguarda, infine, il nostro corpo, la nostra mente e il nostro apparato sensoriale.

In questo scenario la progettazione di artefatti, la loro realizzazione, il controllo del loro ciclo di vita fino alla loro dismissione, rappresentano momenti di sintesi e di decisioni complesse che investono una molteplicità di nuove competenze tecniche, nuove forme di espressione artistica, nuovi mestieri e nuovi contenuti sociali ed etici. L’analisi del prodotto industriale consente allora di comprendere il nostro tempo, di riflettere sul rapporto che l’artefatto stabilisce con un mercato senza confini territoriali, con l’omologazione della cultura nel cosiddetto villaggio globale. Essa consente di constatare come la figura del progettista del prodotto industriale si esprime in molte declinazioni; il designer non cura semplicemente l’estetica di un prodotto, ma profili tematici sempre più articolati e specialistici. Si sono ormai divesificati ambiti come il product design, il component design, il fashion design, il lighting design, il managment design, il design strategico – ovvero il progetto dell’innovazione di processo e di prodotto – l’ecodesign – ovvero il controllo e la gestione della ecoefficienza del prodotto – come pure il design e la progettazione di eventi culturali, la progettazione degli spazi museali e di prodotti per i musei, la progettazione di prodotti e sistemi di prodotto per aree di particolare pregio, come i centri storici o le aree archeologiche. Va ricordato, infine, il design della comunicazione visiva, multimediale e interattiva, ovvero la progettazione, con appropriatezza di linguaggi, di strumenti e tecnologie per la grafica di prodotti editoriali, per packaging e prodotti di immagine coordinata, per le immagini di sintesi e animazione, per le interfacce iconiche, per l’uso di reti informatiche.

Il designer opera nei settori in cui si esprimono i più altilivelli d’innovazione tecnologica, in cui si impostano le strategie per produzioni destinate a scenari di prospettiva, elaborando oggetti tecnici, oggetti d’uso non ancora in produzione, prefigurando nuove e inimmaginabili prestazionidell’artefatto, nuovi materiali, insospettabili applicazioni degli stessi per un mercato che unifica la domanda delle società industriali avanzate alla domanda delle cosiddette società in via di sviluppo.

sommario

1. Nuovi scenari del design. 2. Progettazione, produzione, commercializzazione e dismissione di un artefatto. 3. L’estetica della riduzione. 4. Tecnologia fra tradizione e innovazione. □ Bibliografia.

I. Nuovi scenari del design 

Il paesaggio dei prodotti artificiali materiali e immateriali che ci circonda è il risultato della progettazione e della produzione industriale di artefatti dalle innumerevoli forme, tecnologie e dimensioni destinati a molteplici usi. Il design pertanto, nelle sue diverse forme e sfaccettature, influenza il costume, determina nuovi comportamenti nei sistemi di relazione fra le persone, incide sul portato materico della società contemporanea: nell’innovazione dei prodotti e dei processi produttivi e nella loro progettazione.

In questo quadro la stessa nozione di design, non tanto in termini semantici, quanto nella realtà del fare progetto si ridefinisce come un’attività consapevole, come feedback virtuoso, in grado di formalizzare oggetti e/o servizi, e nuovi prodotti per vecchi e nuovi bisogni. Dunque il design non è solo riconoscibile nel corredo ogget-tuale di una parte della società contemporanea, ma si esprime piuttosto nella dimensione ordinaria della quotidianità: un design inteso come progettualità applicata a beni di largo consumo, pensato per tutti i settori produttivi e imprenditoriali; in sostanza per quello scenario, che palesemente e tacitamente, esprime fabbisogno progettuale nelle società industriali avanzate. È il design di artefatti che mettono a sistema relazioni immateriali attraverso prodotti materiali, come la smart card, oggetto minimo nella forma e massimo nei contenuti, che ci connette a innumerevoli link e ci trasforma in algoritmi informatici.

Una carta intelligente plastificata sulla quale il giapponese Kunitaka Arimura, applicando una sua idea, inserì piccoli processori capaci di elaborare e contenere dati. Vere e proprie casseforti elettroniche, oltre a funzionare come carte di credito, le carte magnetiche sono anche utilizzate come schede telefoniche, come chiavi per l’apertura di porte di sicurezza, come schede per la registrazione di dati personali, come mezzi di accesso ai programmi della TV digitale. La smart card rappresenta uno dei più importanti fattori di trasformazione nei nostri comportamenti. È interessante riflettere, infatti, sul valore oggettuale che essa ha assunto nel corredo dell’uomo contemporaneo: come scheda telefonica, come badge, come carta di credito. Un piccolo foglietto rigido, non a caso una carta, di dimensioni specifiche, dettate forse più dall’interazione con le macchine con cui comunica che da quella con l’uomo, ma che inevitabilmente ne condiziona il corredo oggettuale (portafogli, custodie, tasche ecc.). È interessante anche l’interazione che le carte magnetiche garantiscono tra fornitore e utente di servizi. Pensiamo, per esempio, alle carte per i concorsi dei supermercati o dei distributori di benzina che registrano i punti accumulati per ogni spesa; oppure alle tessere identificative – come quelle utilizzate per i negozi di alcuni stilisti – che raccolgono informazioni sul singolo cliente per andare incontro ai suoi gusti adattando il più possibile l’offerta. La smart card diventa uno strumento che può essere utilizzato nella costruzione stessa delle strategie aziendali, anche sui brief dei singoli prodotti.

In numerosi nuovi prodotti è molto forte la valenza dei materiali e delle nuove tecnologie, le cui caratteristiche esaltano alcuni aspetti della percezione sensoriale, il contatto, il piacere e la comodità più che la pura immagine. Così Philippe Starck o Gaetano Pesce impiegano un materiale biomedicale come il Tecnogel in prodotti che si segnalano per la loro morbidezza, per la sensazione di sofficità e protezione che comunicano, realizzando oggetti che procurano divertimento, piacere, emozione, ovvero il benessere che esperti del marketing come la Faith Popcom esprimono nella tendenza definita cocooning.

Oggi il design utilizza nuovi metodi e strumentazioni informatiche che consentono di interfacciarsi con i processi produttivi attraverso relazioni e intrecci sempre più stretti, che determinano vere e proprie mutazioni nella pratica e nei fondamenti della progettazione. Con l’integrazione di sistemi di disegno CAD (Computer aided design) a sistemi d’ingegnerizzazione rapida dei prodotti CAE (Computer aided engineering) e a sistemi di produzione CAM (Computer aided manifacturing), diventa possibile passare direttamente dalla fase di progettazione a quella di produzione attraverso macchine a controllo numerico. La sequenza integrata progetto-produzione consente, tra l’altro, la diversificazione dei prodotti senza investimenti importanti e senza la trasformazione dell’apparato produttivo, ottenendo così artefatti di serie, compatibili con l’esigenza dell’utilizzatore di considerarli personalizzati. Il progettista, sulla base di linguaggi codificati, può impartire ordini, entrando nella rete e interagendo direttamente con la produzione; può determinare le specifiche per la personalizzazione degli oggetti.

Il design realizza prodotti pensati perché alla fine del loro ciclo di vita possano prolungare la loro esistenza sotto altre forme. Si tratta di prodotti pensati come veri e propri sistemi formati da componenti intercambiabili la cui applicazione e montaggio consente di formalizzare numerosi e diversi modelli; concepiti in modo che alle funzioni base si possano aggiungere prestazioni accessorie per determinarne un arricchimento della complessità funzionale. Il design è essenziale oggi nelle strategie di marketing; esso diviene risorsa in grado di trasformare i dati dell’osservazione sociale in rappresentazione sintetica e attraverso la creatività proporre qualcosa che non c’è per rispondere a esigenze nuove. Il designer diventa, pertanto, una figura complessa le cui competenze di volta in volta attraversano segmenti di un percorso non solo ricco di figure e profili professionali, ma anche di un’organizzazione produttiva e commerciale le cui condizioni di riferimento sono la macchina, l’informazione e l’automazione, ovvero tecnologie in continua evoluzione che richiedono un costante e approfondito aggiornamento.

Il design, interpretato nel tradizionale compito di dare forma ai prodotti, rinnova il suo statuto disciplinare ricomprendendo nella sua sfera di riferimento tutta la complessità della progettazione industriale. La formazione quindi, è formazione permanente e richiede un sistema di apprendimento che sia in grado di trasferire conoscenze avanzate, ma anche facoltà di comprendere gli intrecci fra domanda, offerta e capacità di risposta; che permetta di conoscere e capire gli strumenti e i metodi per gestire la complessità; che sappia fornire gli strumenti per analizzare la domanda e tradurla in proposta di oggetti d’uso innovativi sia in rapporto ai requisiti prestazionali sia in rapporto alle tecnologie di produzione.

Progettazione, produzione, commercializzazione e dismissione di un artefatto

Il processo che porta alla materializzazione di un artefatto e ne regola tutto il ciclo di vita si sviluppa su una serie di specifici segmenti: (a) quello del concept, ovvero della strategia che porta alla concezione di un nuovo prodotto, interpretando le nuove esigenze e le potenzialità di nuovi materiali e/o di nuove tecnologie; (b) quello del progetto, ovvero della definizione della forma di un prodotto, della sua dimensione, del suo peso, delle sue prestazioni, dei materiali che lo costituiscono, dei suoi contenuti tecnologici; (c) quello della produzione del prodotto, che riguarda le persone, le risorse, gli impianti e le attrezzature impegnate alla sua realizzazione; (d) quello della commercializzazione, attraverso strategie di marketing ossia un brand che garantisca la sua penetrazione nel mercato; (e) infine quello dell’utilizzazione del prodotto da parte di chi lo acquista e della sua dismissione. Ognuno di questi segmenti è la rappresentazione di uno scenario emblematico.

Nella concezione di un nuovo prodotto che voglia avere successo non si considerano vincoli di contesto, né tipologici. Per la definizione del suo brief, dell’efficacia delle sue prestazioni, del suo costo e del prezzo, in pratica non si assumono né specifici riferimenti di luogo, né quell’insieme di valori consolidati da una tradizione d’uso, da una cultura materiale specifica poiché, com’è ovvio, il prodotto dovrà essere indifferentemente utilizzato in Occidente e Oriente, in un paese industrialmente avanzato o in un paese in via di sviluppo. Viceversa si prende in considerazione tutto il potenziale che l’innovazione tecnologica riesce a esprimere. In sostanza è fin dall’origine del prodotto industriale che si consuma la sua appartenenza all’etica e alla cultura della globalizzazione. Il progetto sublima il concept in proposta, fissa nei disegni, nelle simulazioni, nei modelli, forma e usi dell’artefatto; predispone il sistema di relazione dell’oggetto con il suo utilizzatore; determina i punti dell’oggetto sensibili al tatto, alla vista, all’udito di chi ne entrerà in possesso e potrà coglierne persino odore e sapore. Esso riunisce un complesso sistema di componenti, di parti meccaniche, di circuiti elettronici in un prodotto semplice fissandone anche modi e i tempi di produzione. Non c’è dubbio che è il progetto che definisce il linguaggio dell’oggetto, il suo stile e con esso il suo valore aggiunto. Linguaggi che nella contemporaneità sembrano frammenti di un sistema alla continua ricerca di una nuova identità; figurazioni e forme come schegge incapaci di rompere assetti consolidati, incapaci di trasgredire per l’affermazione di quella volontà d’egemonia che è propria delle avanguardie; stili che esprimono quella condizione di omologazione culturale, basata solo sulla continua ricerca di contaminazioni, di esotici e accattivanti riferimenti propri di quello che possiamo chiamare global style, un linguaggio diffuso che disegna lo scenario del nostro vivere quotidiano assumendo come spazio di riferimento l’intero pianeta.

Il sistema produttivo è quello che in modo più evidente ha rivoluzionato le proprie procedure operative e la logica stessa delle metodologie del lavoro tradizionale. È certamente il segmento su cui l’incidenza delle innovazioni tecnologiche è determinante e pertanto è il segmento su cui le implicazioni di ordine etico, sociale, economico sono più significative, ma anche più complesse e più contraddittorie.

Un artefatto esce da una filiera diffusa su un territorio vasto: nemmeno l’assemblaggio e lo stoccaggio insistono nello stesso sito. Già più di dieci anni fa si stimava che su una vettura venduta dalla General Motors il 30% del prezzo d’acquisto finiva in Corea del Sud per le operazioni di assemblaggio e la lavorazione ordinaria; il 40% a Taiwan, Singapore e Giappone per i piccoli componenti; il 17,50% in Giappone per componenti ad alta tecnologia; lo 0,75% in Germania per il design e per la progettazione delle parti meccaniche; lo 0,25% in Inghilterra per pubblicità e servizi commerciali e lo 0,5 circa in Irlanda e Barbados per l’esecuzione dei calcoli al computer. Oggi con l’introduzione e la diffusione di impianti di produzione comandati a distanza per via informatica, come i robot o le macchine a controllo numerico che praticamente escludono negli elementi prodotti le tolleranze (margini di errore previsti), si raggiunge la perfezione millimetrica anche nella produzione di artefatti di complessità ridotta e i processi produttivi sono sempre più delocalizzati. I margini di miglioramento del prodotto sono enormi potendo assemblare componenti selezionati fra produzioni specializzate in settori omogenei. Se da una parte ciò distribuisce lavoro e ricchezza, dall’altra rallenta l’integrazione fra le competenze di eccellenza presenti nelle strutture decisionali e le competenze tecniche che operano nelle strutture esecutive periferiche e accentua le disuguaglianze. Nel suo libro Globalizzazione e libertà Amartya Sen, economista e filosofo, osserva che le disuguaglianze sono la fonte principale dei dubbi sull’ordine economico del pianeta: «Benché incomparabilmente più ricco di quanto non sia mai stato prima, il nostro è un mondo di tremende privazioni e di disuguaglianze sconvolgenti».

La commercializzazione del prodotto è il segmento forse più condizionato dal mercato globale, già a partire dal sistema informatizzato di stoccaggio dei prodotti assemblati e dei componenti disassemblati, che consente di abbattere o alleggerire gli oneri attraverso il decentramento dei magazzini e la flessibilità della loro utilizzazione. Sul prodotto s’imposta una strategia di comunicazione comune all’intero mercato, introducendo per gli specifici contesti regionali solo pochi e piccoli adattamenti: (a) si prevedono modalità di vendita basate su un’impostazione unica che spesso suppone anche l’addestramento degli agenti di vendita in modo omogeneo; (b) si progetta la pubblicità utilizzando tecniche di condizionamento, sollecitando cioè desideri del prodotto a partire da aspetti esterni al prodotto stesso (lo status symbol, il successo, la bellezza, il sesso ecc.); (c) si definisce infine l’impiego del prodotto e la sua dismissione.

L’oggetto tende ad aumentare sempre più le sue prestazioni d’uso in termini qualitativi e in termini quantitativi. Negli oggetti ad alto contenuto tecnologico solo pochi dei molteplici usi possibili saranno alla portata dell’utente comune. Nell’oggetto tecnico non sono contemplati pezzi di ricambio di componenti elementari in quanto si prevede la manutenzione solo dei suoi pezzi più complessi o la sua sostituzione con il metodo dell’up-grading, ovvero la sua sostituzione con un prodotto nuovo e più evoluto. La dismissione costituisce un grande problema di impatto ambientale e mette in evidenza l’eccessivo consumo di risorse che il nostro pianeta non riuscirà più a sostenere se non attraverso una riorganizzazione della produzione, il risparmio di materiali, il contenimento dei consumi energetici, la riutilizzazione di prodotti dismessi, l’uso di procedure ecocompatibili.

L’estetica della riduzione

Nella produzione che mira alla qualità dell’oggetto si registra una diffusa tendenza al miglioramento attraverso progressive sottrazioni, finché ogni componente, ogni elemento è ridotto all’essenziale. Si tratta di un orientamento che può essere definito come estetica della riduzione: la riduzione dei materiali nella fabbricazione degli oggetti; la riduzione del numero dei pezzi che li costituiscono; la riduzione delle lavorazioni necessarie per produrli; la riduzione delle operazioni necessarie al loro montaggio; la riduzione della loro dimensione; la riduzione nella loro composizione figurativa, dei colori, delle geometrie, delle forme, delle linee; la riduzione in ultimo di tanti oggetti destinati a varie funzioni in un unico oggetto multiuso.

Si tratta di un approccio al progetto utile da indagare nelle sue articolate sfaccettature, nell’ambito etico-filosofico, estetico-formale, socio-culturale, ma soprattutto nell’ambito del progetto dell’artefatto industriale e delle relative implicazioni tecnologiche.

L’estetica della riduzione non è la semplificazione delle prestazioni e della complessità tecnologica degli artefatti, che anzi si arricchiscono di nuovi e numerosi usi, rappresenta piuttosto l’esigenza di ordinare i rituali della vita quotidiana dell’uomo, di sublimare ciò che è complesso oltre l’estetica pura, in una qualità più profonda: il costante controllo della ragione nel processo creativo. L’estetica della riduzione è la virtù di distinguere l’utile dal superfluo, di comprendere la più profonda natura delle cose, di porre in equilibrio l’esprit de finesse con l’esprit de géométrie.

Il tema della riduzione e della dematerializzazione dei prodotti industriali è stato oggetto di studio e di sperimentazione in Italia fin dalla metà degli anni Ottanta, quando si è sviluppato un approccio alla progettazione basato sull’idea di ‘fare di più con meno’. Un approccio molto diverso, sia rispetto a quello del funzionalismo razionalista della cultura europea del Movimento moderno, sia rispetto a quello sviluppato dal design radicale dei primi anni Settanta, basato sull’ideologia dell’austerità, della privazione fino alla distruzione dell’oggetto. Un approccio più vicino, al contrario, ad alcuni valori presenti nella cultura del design contemporaneo: il confronto con le problematiche ambientali, la diffusione delle macchine a controllo numerico nella fabbricazione degli oggetti, la cultura tecnica dell’informatizzazione, lo sviluppo delle tecnologie dell’infinitamente piccolo.

Oltre la riduzione delle dimensioni di un oggetto, della materia con cui è fabbricato, oltre la riduzione dello stile a forme minimali, con la nanotecnologia, ovvero con tecnologie che consentono di manipolare e controllare la materia a livello atomico e molecolare, l’azione dell’uomo si realizza a una scala ai limiti dell’immateriale e non è più percepibile. La nanotecnologia apre spazi di ricerca su artefatti complessi e invisibili all’occhio umano, come i microrobot in grado di riparare danni ai tessuti e di uccidere microrganismi patogeni, come quelli capaci di bloccare, o addirittura invertire, i meccanismi dell’invecchiamento.

Se in biologia la nanotecnologia è associata alla rivoluzione della manipolazione genetica, nella scienza dei materiali le prospettive sono altrettanto affascinanti. Chimica, fisica e ingegneria elettronica trovano la loro massima interfunzionalità nella possibilità di generare materiali e dispositivi in cui proprietà elettriche, ottiche, termiche e meccaniche sono definibili a priori. Si potranno, per esempio, adottare particolari dispositivi – led organici – costituiti da un film organico posto tra due strati conduttivi, in grado di convertire un segnale elettrico in uno luminoso, le cui applicazioni consentiranno un’elevata libertà progettuale nel settore dell’illuminazione. Si potranno impiegare inoltre i film organici polimerici supportabili da matrici vetrose o plastiche con proprietà ottiche speciali, per la realizzazione di vetrature intelligenti, da utilizzare – abbattendone il costo di produzione – nell’industria automobilistica, nell’edilizia o nell’agricoltura.

La nanotecnologia può essere considerata dunque, una forma di digitalizzazione della materia che introdurrà nella scienza dei materiali un’evoluzione analoga a quella introdotta dalla digitalizzazione nell’informazione.

L’assioma less is more assume pertanto, rispetto alla sua origine, nuovi significati e diventa (a) ricerca di nuovi equilibri fra artificio e natura, attraverso minore utilizzazione di materia ed energia e più attenzione alla concezione di artefatti ecocompatibili; (b) capacità di controllo delle più micrometriche tolleranze nelle lavorazioni e stimolo alla sottrazione di elementi figurativi ridondanti e invadenti sul piano formale; (c) stimolo per progettare e fabbricare oggetti tecnici sofisticati, piccoli e immateriali, resi intelligenti nelle funzioni dalle tecnologie dei microprocessori e veloci nell’interazione con l’uomo, che può usarli con gesti semplici ed ergonomici e senza la necessità di conoscenze approfondite; (d) infine diventa occasione di ricerca per la riduzione della fisicità delle cose per gli scenari del futuro con le applicazioni delle nanotecnologie, ovvero con la forma di riduzione estrema.

Tecnologia fra tradizionee innovazione

Tradizione e innovazione sono aspetti caratteristici del sistema di produzione globalizzato che riguardano sia l’uso delle tecnologie, sia la tendenza a trasferire prodotti dai territori dei Paesi sottosviluppati o in via di sviluppo verso l’Occidente industrializzato, connotando con evidenti riferimenti etnici molto di quanto è quotidianamente utilizzato nella moda, nell’arredamento, nella comunicazione, negli oggetti tecnici, insomma, in molti artefatti presenti nel nostro spazio domestico, in quello del lavoro e del nostro tempo libero.

Quest’argomento può essere approfondito partendo da alcuni aspetti oggettivi che caratterizzano l’attuale sistema produttivo e le sue tecnologie così come tutti quei prodotti che, per la loro affermazione, richiedono mercati sempre più estesi.

Ancora oggi si registra la convivenza di sistemi di produzione artigianali, di sistemi produttivi meccanizzati e di sistemi produttivi con impianti e attrezzature informatizzate, dove la presenza umana è ridotta al minimo per la prevalenza di macchine gestite da robot. Nel processo artigianale si rendono disponibili prodotti unici anche quando presentano le stesse caratteristiche tipologiche e morfologiche. Un pezzo di una serie omogenea è, così, differenziato dall’altro per un difetto, per una maggiore pressione delle mani sulla materia, per una più profonda incisione di un utensile, per una diversa composizione del colore utilizzato, per la minore o maggiore capacità o esperienza dell’uomo o della donna che lo hanno eseguito o per la loro libertà di introdurre un nuovo elemento formale o funzionale in relazione allo stato emotivo del momento. Gli artefatti dei processi industriali avanzati, invece, non hanno difetti, le componenti che ne consentono il funzionamento sono circuiti elettronici, microchip che, con i loro impulsi, arrivano ad animare gli oggetti stessi.

Ciò significa che i prodotti che utilizziamo possono essere il risultato di processi molto diversi tra loro. Da una parte processi che non possono prescindere dalla creatività del singolo uomo in specifiche condizioni di contesto, dalla sua capacità tecnica, dalla sua manualità e dalla sua perizia nell’uso degli utensili, tradizionali o evoluti che siano; dall’altra il risultato di processi caratterizzati da complessi percorsi le cui fasi sono affidate solo in parte all’uomo, in quanto è nel potenziale tecnologico della macchina che si esprime la loro perfezione e la loro capacità prestazionale. Si tratta, in quest’ultimo caso, di artefatti prodotti da sistemi raffinatissimi, articolati in segmenti che è possibile dislocare in territori lontani dal luogo d’ideazione e progettazione, grazie alle macchine comandate a distanza alle quali è affidata la fase della fabbricazione; diverso può essere anche il luogo dove sono programmate ed effettuate le verifiche qualitative. Ma soprattutto si tratta di processi che proprio attraverso l’uso di queste macchine rendono compatibile la produzione del grande numero con l’introduzione di personalizzazioni degli oggetti.

Esiste, però, un interessante fattore di compartecipazione tra queste differenti condizioni: di fatto esse possono essere contemporaneamente presenti nella stessa regione geografica di produzione e, ancora, tale contemporaneità può avvenire sia nelle realtà produttive dei Paesi in via di sviluppo sia in quelle dei Paesi industriali avanzati. È proprio nella dicotomia diversità/compresenza dei processi e, dunque, dei prodotti che risiede il fattore di condizionamento nei comportamenti di scelta dei consumatori. Nei fatti ci troviamo di fronte a un’apparente alternativa: da una parte ci sono prodotti il cui potenziale di attrazione è nell’esclusività del possesso, un carattere il cui valore semantico è espresso nell’unicità dovuta al fattore artigianale della loro producibilità: si tratta di prodotti riconoscibili come etnici, perché capaci di raccontare la storia e la cultura di un popolo, di una cultura materiale. Dall’altra ci sono prodotti di serie nei quali si ricerca una sorta di perfezione, sia prestazionale sia morfologica, dove l’esclusività è frutto del portato innovativo delle tecnologie utilizzate e che quindi si possono definire prodotti tecnici.

Oltre queste due alternative chiare si sono diffusi artefatti in cui le peculiarità di quelli che abbiamo chiamato prodotti tecnici o prodotti etnici si fondono in oggetti che sono solo il surrogato, l’apparenza dell’artigianato, essendo, di fatto, il risultato di processi produttivi avanzati. Il consumatore si trova così di fronte a un fenomeno di vera e propria ibridazione che riempie il panorama degli oggetti d’uso di prodotti meticci: né solo etnici né solo tecnici, ma etnici/etnici quando sono realmente frutto di una tradizione artigianale; oppure etnici/tecnici o tecnici/etnici quando la tradizione è simu-lata da macchine le cui reali potenzialità porterebbero a risultati completamente diversi; o ancora prodotti tecnici/tecnici nei quali vengono realizzate tutte le potenzialità che i processi di produzione tecnologicamente avanzati offrono. E questa dinamica assume una tale forza semantica che sembra possibile affermare che proprio il fenomeno dell’ibridazione sia il carattere dominante del già ricordato global style.

Altro fattore dominante è la diffusa attenzione all’innovazione tecnologica: gli artefatti si arricchiscono di nuovi contenuti prestazionali. Gli oggetti di volta in volta riassumono la loro funzione di protesi, di prodotti ideati per soddisfare l’aspirazione dell’uomo ad arricchire il suo apparato sensoriale e consentirgli di fare di più e meglio. Entra in gioco, una nozione specifica di téchnē e di artefatto. Téchnē è l’impiego di strumenti e procedimenti adatti alla più agevole e migliore esecuzione di un prodotto. Il prodotto, la protesi che risolve determinate esigenze dell’uomo, funzionali e non, per migliorare le proprie condizioni di permanenza nell’ambiente in cui vive, è l’artefatto.

Il processo di trasformazione di un bisogno in una protesi, è il risultato dell’ingegno e dell’artificio dell’uomo. Con l’ingegno l’uomo progetta un prodotto che risponde a un suo bisogno definendone i requisiti prestazio-nali; con la téchnē, l’artificio, predispone e controlla i materiali idonei allo scopo prefissato, gli strumenti e i metodi di lavorazione per l’esecuzione del prodotto, dell’artefatto, appunto. Nel rapporto tra téchnē e artefatto c’è la rappresentazione stessa dell’evoluzione. L’innovazione tecnologica, in sostanza, incide nella dinamica evolutiva degli oggetti tecnici che fino a oggi sono stati e sono prodotti materiali che, come prolungamenti del corpo, assolvono in modo più raffinato ed efficace a specifiche funzioni già comprese nell’apparato sensoriale dell’uomo, o espresse dai suoi rapporti con i bisogni naturali, o dai suoi rapporti con la natura, o dal suo sistema di relazioni sociali, o dai suoi comportamenti in tutte le attività in cui è coinvolto.

Oggi oltre che sugli oggetti tecnici, ovvero sui prodotti materiali presenti e visibili nel paesaggio artificiale che costituisce lo scenario della nostra vita quotidiana, dallo spazio domestico ai luoghi del lavoro o allo spazio urbano della nostra mobilità, l’innovazione tecnologica incide sullo sviluppo di prodotti immateriali, intervenendo con azioni e processi anche sulla trasformazione del nostro corpo o sulle mutazioni biologiche di esseri animati, oppure agendo direttamente sul nostro corpo attraverso variazioni biologiche, o introducendo prodotti artificiali con prestazioni estranee al nostro apparato sensoriale per arricchirlo di nuove possibilità.

Nuove tecnologie agiscono sui processi biologici, formando organismi geneticamente modificati, consentendo cioè di estendere il concetto di prodotto artificiale e industriale ai prodotti alimentari: pomodori, zucchine e altri alimenti, una volta frutto di un ciclo naturale di sviluppo, assumono colori e dimensioni progettate per rispondere nel modo più soddisfacente possibile alla domanda di mercato. Nuove tecnologie rendono ‘intelligenti’ i prodotti artificiali per farli interagire e dialogare con l’uomo, per interpretarne l’umore, per ascoltarlo a distanza, per sollecitarne il benessere o per farsi da tramite fra uomo e uomo. Nuove tecnologie consentono non solo di prolungare all’esterno del nostro corpo organi artificiali, ma di integrare direttamente nel nostro corpo nuove funzioni, come vedere al buio, oltre la dimensione reale, parlare e ascoltare nell’acqua o a distanza.

Si ripropone una condizione dell’uomo e dei suoi rapporti con la scienza e le nuove applicazioni tecnologiche non del tutto nuova, ma mai come oggi le potenzialità dell’innovazione tecnologica ci spingono a superare ogni limite immaginato.

Questi i complessi scenari del design che rendono necessaria una vera rivoluzione culturale che consideri la globalizzazione in tutti i suoi aspetti (economici, culturali, politici, istituzionali), piuttosto che fattore di squilibri, disugaglianze, e omologazione, come motore di sviluppo nel rispetto di diritti e opportunità dell’uomo inserito nella contemporaneità ma in armonia con la sua storia e la sua cultura.

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