Diritto civile 4. Il progetto di un codice civile europeo

Diritto on line (2017)

Guido Alpa

Abstract

Il processo di integrazione europea si è recentemente messo in moto per la confezione di un ‘codice civile europeo’, cosicché accanto allo ‘spazio economico’ e allo ‘spazio giudiziario’, si cerca oggi di realizzare uno ‘spazio giuridico unitario. È un cammino lento ma incessante, favorito ma non diretto, dalle origini romanistiche di molti sistemi, agevolato certamente della globalizzazione dei rapporti economici, auspicato dai protagonisti culturali e pragmatici e riflesso nell’opera di qualche Parlamento e di qualche Tribunale. Si riportano brevemente le principali iniziative degli organi comunitari per l’armonizzazione e l’uniformazione del diritto privato europeo, con particolare riguardo alla disciplina del contratto.

L’humus culturale dei progetti di ‘codice civile europeo’

Il processo che si è messo in moto per la confezione di un ‘codice civile europeo’ si può sezionare almeno in tre direttrici, che sono quasi coeve, procedono parallelamente, e si proiettano verso una meta comune.

La prima direttrice riguarda il consolidamento di un humus culturale comune, costituito di tradizioni e di valori, di principi e regole, di termini e di concetti, di soluzioni pratiche, modelli di decisione, artifici tecnici. La ‘Vecchia Europa’, divisa nei suoi ordinamenti e nei suoi modelli primigenii (dal diritto romano al diritto medievale e canonico, dal common law al giusnaturalismo, per poi arrivare alle codificazioni, alle prassi, ai diritti politici, economici e sociali) ha scoperto che gli ordinamenti nazionali non sono monadi separate l’una dell’altra (v. Diritto civile 3. Ordinamento comunitario). Anzi, la loro incessante evoluzione, il loro adattamento, la loro elasticità, porta, attraverso i trapianti, la circolazione di idee, di soluzioni, di regole, ad una convergenza, come l’ha denominata Sir Basil Markesinis. È un cammino lento ma incessante, favorito ma non diretto, dalle origini romanistiche di molti sistemi, agevolato certamente della globalizzazione dei rapporti economici, auspicato dai protagonisti culturali e pragmatici (scienziati del diritto, giudici, avvocati, notai, consulenti gius-economici) e riflesso nell’opera di qualche Parlamento e di qualche Tribunale. Sono le Università, in primis i centri di ricerca (da Copenhagen a Pavia, da Osnabrueck a Tilburg, ad Amburgo, da Utrecht a Regensburg, da Roma a Oxford e Londra, da Trento a Madrid, Barcellona, Oviedo, da Treviri a Louvain-la-Neuve, da Pisa a Salisburgo per segnalarne solo alcuni) a far emergere questa cultura giuridica che registra un’osmosi , fatta di coincidenze, di scelte sul campo, di proposte innovative (v. Diritto civile 2. Storia, fonti, codici). È una direttrice che salva le diversità culturali ma si interroga sulla loro profondità e sulla loro ineluttabilità.

Per alcuni settori del diritto privato già esistono modelli unitari di riferimento. Ancorchè elaborati per fini diversi, i principi dei contratti del commercio internazionale elaborati dall'Unidroit (su base planetaria) costituiscono un ‘restatement’ composto di regole ampie ed equilibrate (Bonell, J., An International Restatement of Contract Law, New York, 1994; Id., The Unidroit Principles in Practice:The Experience of the First Two Years, in Uniform L.Rev., 1997, 34 ss.; Id., The Unidroit Principles: What Next?, in Uniform Law Rev., 1998, 275 ss.; Alpa, G., Nuove frontiere del diritto contrattuale, Roma, 1998; Koetz, H. – Flessner, A., European Contract Law, I, Oxford, 1997 (trad. ingl. di Weir); Vranken, M., Fundamentals of European Civil Law, Londra, 1997; Markesinis, B. – Lorenz, W., Dannemann G., The Law of Contracts and Restitution: A Comparative Introduction, Oxford, 1997; Gandolfi, G., Pour un code européen des contrats, in Riv. trim. dir. civ., 1992, 707 ss.; Rescigno, P., Per un «Restatement» europeo in materia di contratti, in Moccia, L. a cura di, Il diritto europeo, Milano, 1993, 135 ss; Mengoni, L., L'Europa dei codici o un codice per l'Europa?, Roma, 1993); la storia delle iniziative tentate e realizzate per l'unificazione, l'uniformazione, l'armonizzazione del diritto è secolare ed ha ricevuto espressioni moltiformi (Bonell J., An International Restatement of Contract Law, cit., 4 ss.; Monaco, R., I risultati dell' «Unidroit» nella codificazione del diritto uniforme, in Moccia, L. a cura di, Il diritto europeo, cit., 35 ss.).

Lungo questa direttrice troviamo centri di ricerca già avviati a redigere parti di un ‘codice modello’, che hanno una sede per così dire originaria e diramazioni in tutto il Continente: a Pavia, sotto la direzione di Giuseppe Gandolfi, il ‘codice europeo di diritto contrattuale’; a Copenaghen i ‘Principi di diritto contrattuale europeo’ coordinati da Ole Lando e Hugh Beale; a Osnabrueck i ‘Principi di un codice civile europeo’, coordinati da Christian v. Bar; in Austria e in Spagna i ‘Principi di un codice della responsabilità civile’, coordinati da Spier.

La seconda direttrice è il diritto comunitario che incide sul diritto privato: è l’acquis communautaire, assunto come base, come ‘zoccolo duro’ in cui già si sono formati i primi nuclei del diritto privato europeo e quindi i tasselli di un possibile codice civile europeo. Si pensi alle direttive sui diritti dei consumatori, alle direttive su e-commerce, firma elettronica, pagamenti, alle direttive sull’ambiente e la salute, sui dati personali, sulle biotecnologie, sulla proprietà intellettuale, sul diritto societario e finanziario.

Accanto allo ‘spazio economico’ e allo ‘spazio giudiziario’ (Carbone, S.M., Lo spazio giudiziario europeo, Torino, 1997) si cerca ora di realizzare uno spazio giuridico unitario. La Comunità ha sovranità solo nelle materie di sua competenza. Il codice civile europeo non può quindi estendersi a materie estranee alla competenza della Comunità, come i rapporti relativi alla famiglia, alle successioni o alla proprietà. Vi sono invece inclusi sia i rapporti obbligatori, comprensivi dei contratti e dell'atto illecito (tort ), della negotiorum gestio, delle ‘restituzioni’ e dei rimedi. Ovviamente, vi sono inclusi i rapporti inerenti il commercio, le società, gli appalti, etc.

L'art. 115 TFUE e l'art. 114 TFUE attribuiscono al Consiglio la competenza a stabilire direttive volte al ravvicinamento delle «disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative agli Stati membri che abbiano una incidenza diretta sull'instaurazione o sul funzionamento del mercato comune». A queste disposizioni si può far ricorso per legittimare e giustificare l'iniziativa, e renderla compatibile con il principio di sussidiarietà.

Si può quindi scegliere tra lo strumento del regolamento o quello della direttiva, o quello della raccomandazione per adottare il codice comune europeo (Drobnig, U., Un droit commun des contrats pour le Marché commun, in Rev. int. dr. comp., 1998, 26 ss.)

Ma perché superare le barriere degli ordinamenti nazionali in queste materie?

Il superamento è funzionale – precisa la risoluzione – alla realizzazione del mercato interno. In altre parole, il differente trattamento dei rapporti giuridici di diritto privato nei diversi Paesi è considerato come un costo, un ostacolo, una complicazione, che si oppongono o rendono più difficile la realizzazione del mercato interno, cioè del libero scambio di merci, servizi, capitali, lavoro, all'interno dell'Unione. Si pone quindi una stretta correlazione tra attività economica e forme giuridiche, e l'armonizzazione delle regole giuridiche attinenti il diritto patrimoniale è effettuata in funzione per così dire ancillare rispetto alle esigenze economiche. In questo senso, l'iniziativa della Comunità appare come rivolta a favorire il mercato, senza tuttavia pervenire alla conclusione che le regole giuridiche debbano per loro natura ‘mimare’ le regole economiche, secondo la nota proposta dei fautori dell'analisi economica del diritto, e in particolare di uno dei suoi corifei, ben noto in Europa, Richard Posner (Alpa, G. – Chiassoni, P. - Pericu, A. – Pulitini, F. – Rodotà, S. – romani, F., a cura di, Analisi economica del diritto privato, Milano, 1998).

Nella sua raffinata analisi concernente il diritto europeo dei contratti Juergen Basedow ha sottolineato come regole tra loro contrastanti nei diversi Paesi dell'Unione si pongano come una vera e propria ‘restrizione del mercato’, mentre regole uniformi in materia di diritto privato si pongono come condizione preliminare per la realizzazione del mercato comune. Il diritto unitario dei contratti costituisce, infatti, un ‘elemento costitutivo’ del mercato unico.

La redazione di un codice europeo comporta anche una semplificazione delle regole giuridiche applicabili ai rapporti economici, troppo spesso frastagliate nei codici o nelle leggi speciali nazionali. Le regole uniformi servono a prevenire o a semplificare le liti, ad assicurare una omogenea applicazione delle regole ai conflitti insorti, a superare la concorrenza tra ordinamenti nazionali, o la prevalenza dell'uno sull'altro, o la rincorsa nella scelta della legge nazionale più conveniente.

Tuttavia, come si sottolineerà in conclusione, questa iniziativa - presentata sotto queste vesti anche al fine di giustificare l'intervento della Comunità nel settore generale del diritto privato - assume ben altra valenza.

In questo contesto sono intervenuti gli organi comunitari. Dapprima al solo fine di migliorare la produzione normativa, dal punto di vista tecnico, semplificandola, eliminandone le contraddizioni, rendendola più accessibile agli utenti. Poi, attraverso la Corte di Giustizia, elaborando modelli di decisione che conducono a principi generali, a ragionamenti condivisi, a terminologie e concetti comuni. Da ultimo, con atti – del Parlamento e della Commissione europei – rivolti a seguire e spronare questo processo, per arrivare ad un ‘quadro comune di riferimenti’ in cui regole comuni si applichino ai rapporti non solo transfrontalieri ma anche interni agli ordinamenti dei Paesi dell’Unione.

La terza direttrice è quella critico-politica, che si interroga sulla opportunità di un ‘codice modello comune’ – se sia cioè necessario o almeno utile, oppure del tutto indifferente, al fine di realizzare l’integrazione del mercato interno - ma si interroga anche sulla legittimazione dei centri di ricerca (che esprimerebbero un Professorenrecht avulso dalle concrete esigenze dei traffici e dei commerci), del Parlamento europeo e della Commissione (che finirebbero per esautorare i Parlamenti nazionali) a scrivere una ‘legge eguale per tutti i popoli d’Europa’ che non si fermi alla Costituzione dei diritti fondamentali, ma inglobi anche la costituzione dei rapporti tra privati. E si interroga – con Paolo Grossi, Pietro Rescigno, Stefano Rodotà, anche sull’ idea di ‘codice’ – un codice di vecchio stampo o un codice moderno? un codice come tavola stabile o una articolazione flessibile di regole? un codice in quanto tale o una rete di principi comuni? – per capire se questa sia la via maestra per l’integrazione europea che non soffoca le identità culturali dei sui popoli.

Verso l’armonizzazione del diritto privato europeo

Il Parlamento europeo

Con la risoluzione del maggio 1994 (A3-0329/94, in GUCE, 25.7.1994, C-205/518,) il Parlamento europeo ha ribadito la risoluzione assunta il 26.5.1989 concernente l'«armonizzazione di taluni settori del diritto privato negli Stati membri» (in GUCE, 28.6.1989, C-158/400). La motivazione di questa iniziativa è illustrata nei ‘considerando’ in cui si precisa, da un lato, che la Comunità ha già proceduto alla armonizzazione di alcuni settori del diritto privato, e, dall'altro lato, che un'armonizzazione progressiva è essenziale per la realizzazione del mercato interno. Il risultato auspicato è la elaborazione di un «codice comune europeo di diritto privato», da articolarsi in più fasi di progressivo avvicinamento delle discipline vigenti negli ordinamenti degli Stati membri, che conduca dapprima ad un'armonizzazione parziale a breve termine, e di poi ad una armonizzazione più completa a lungo termine.

Nell'ambito della risoluzione si fa riferimento ad organizzazioni che già si occupano della armonizzazione di regole quali l'Unidroit, l'Uncitral e il Consiglio d'Europa, così come ai lavori della Commissione sul diritto contrattuale europeo, conosciuta come ‘Commissione Lando’, dal nome del professore danese Ole Lando che la presiede (European Contract Law, in 31, Am. J. Comp. L., 1983, 653 ss.; Principles of European Contract Law, in Liber Memorialis François Laurent, Bruxelles, 1989, 555 ss; Principles of European Contract Law/An alternative or a Precursor of European Legislation?, in RablesZ, 1992, 261 ss.; European Contract Law, in Moccia, L., a cura di, Il diritto europeo, cit., 117 ss.; The Harmonization of European Contract Law through a Restatement of Principles, Oxford, 1997). La risoluzione è stata trasmessa al Consiglio, alla Commissione e ai Governi degli Stati membri dell'Unione europea. Per parte sua, la Commissione Lando ha lavorato fruttuosamente, ed ha predisposto un testo di regole sul diritto contrattuale (Hartkamp, A.S. - Hesselink, M.W. - Hondius, E. - Du Perron, E., eds., Towards a European Civil Code, Nijmegen–Dordrecht-Boston-London, 1994). Il lavoro non si è arrestato a questo punto perché, attraverso la effettuazione di ampie ricerche, si sta estendendo alle altre fonti delle obbligazioni, ad opera di un comitato coordinato dal professore tedesco Christian von Bar (Von Bar, C., The Common European Law of Torts, Oxford, 1998), in connessione con questo lavoro si stanno preparando ricerche sulle securities, sul contratto di assicurazione e sui diritti della persona.

Le Comunicazioni della Commissione europea sul 'diritto contrattuale'

Gli organi comunitari sono intervenuti con alcuni documenti fondamentali per rappresentare la situazione attuale e per acquisire indicazioni e orientamenti in ordine alla attività futura. Si devono richiamare, in particolare, la Comunicazione 2001, n. 398 sul diritto contrattuale europeo e la Comunicazione 2001, n. 531 sulla tutela dei consumatori, entrambe della Commissione, la Risoluzione sul ravvicinamento del diritto civile e commerciale del Parlamento europeo, A5-0384 del 2001, la Comunicazione 2002, n. 196 sulle alternative dispute resolutions e la proposta di armonizzazione delle regole concernenti la responsabilità civile.

Con la Comunicazione dell’11.7.2001 [COM (2001) 398 def.] inviata al Consiglio e al Parlamento europeo la Commissione CE ha predisposto un ampio questionario destinato a raccogliere osservazioni, suggerimenti e reazioni da parte delle istituzioni riguardanti il ‘diritto contrattuale europeo’. Questa espressione è intesa in un duplice significato: essa allude, da un lato, ai diversi interventi normativi assunti dagli organi comunitari nella materia dei contratti; dall’altro, essa allude ad una base comune composta da terminologia, nozioni e concetti, principi generali e regole specifiche che costituisce per così dire il ‘retroterra’ nel quale necessariamente si innestano gli interventi normativi. Un retroterra composito, nel quale confluiscono modelli provenienti da culture, esperienze professionali e tradizioni diverse, che potrebbe mantenersi tale, cioè frammentato e complesso, oppure tendere ad una armonizzazione, e finanche ad una uniformazione.

Preso atto della tecnica con cui gli organi comunitari hanno effettuato questi interventi, una tecnica ripartita in provvedimenti di natura generale e di natura specifica, effettuati in tempi diversi senza un iter logico né un progetto complessivo, ora concernenti singoli settori, ora concernenti le modalità di conclusione del contratto, ora le regole di comportamento delle parti nelle diverse fasi di conclusione, di esecuzione e di scioglimento del contratto, ora singole clausole contrattuali, e preso altresì atto che questi interventi talvolta coprono aree tra loro parzialmente sovrapposte o sono in alcuni casi tra loro in contrasto, la Comunità ha prospettato ai suoi interlocutori quattro opzioni: (i ) non intervenire con ulteriori provvedimenti, e lasciare la soluzione dei problemi al mercato, ( ii ) promuovere lo sviluppo di principi comuni non vincolanti, che le parti, i giudici, i legislatori possono prendere in considerazione nello svolgimento della loro attività, (iii ) intervenire con provvedimenti tesi a migliorare la legislazione comunitaria in materia, (iv ) adottare un nuovo strumento a livello comunitario (regolamento, direttiva, raccomandazione) e, in subordine, o considerare questo strumento come liberamente applicabile dalle parti oppure renderlo vincolante.

Con altra Comunicazione, del 2.10.2001 [COM (2001) 531 def.], intitolata «Libro verde sulla tutela dei consumatori nell’Unione europea», la Commissione ha avviato un’indagine diretta ad accertare l’esistenza di ostacoli incontrati da consumatori e imprese dovuti alle differenze nazionali in materia di trasparenza e correttezza delle operazioni commerciali, con riferimento agli aspetti precontrattuali, contrattuali e post-contrattuali nei rapporti tra imprese e consumatori, ed ha posto l’interrogativo se sia opportuna una riforma della disciplina comunitaria riguardante i consumatori, e quindi se sia opportuno proseguire con il metodo della frammentazione oppure con il metodo della sistemazione, eventualmente anteponendo alle regole specifiche dei singoli settori regole di carattere generale sul comportamento corretto nelle “pratiche commerciali”.

Con la Comunicazione pubblicata in pari data [2.10.2001, COM (2001) 546 def.] riguardante le promozioni commerciali nel mercato interno la Commissione ha reso nota una proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla promozione delle vendite nel mercato interno in cui, esaminate le forme di promozione commerciale più frequenti (dalla riduzione del prezzo agli sconti, agli omaggi, ai premi, ai concorsi promozionali, ai giochi promozionali), si prevedono interventi diretti ad armonizzare le restrizioni alla libertà negoziale già esistenti, restrizioni da modificare in senso meno restrittivo, restrizioni da assoggettare al riconoscimento reciproco.

Concepiti in modo diverso, con finalità diverse e con modalità di attuazione diverse, questi interventi lasciano emergere una realtà impensabile fino a dieci anni fa, che si può sinteticamente esprimere con alcuni assunti di base: (i ) gli organi comunitari hanno fondato un corpus di regole concernenti prevalentemente la disciplina contrattuale, e dato quindi vita ad un ‘diritto contrattuale europeo’ nella prima accezione sopra evidenziata, che ha riguardo in particolare ai contratti dei consumatori, ma in alcuni casi (come accade per la disciplina dell’ e-commerce) è destinato a tutti gli operatori; (ii ) questo corpus di regole non è sistematizzato, ma opera in modo vincolante per gli Stati membri dell’Unione, che hanno perciò modificato il diritto nazionale originario per adeguarlo al diritto comunitario; (iii ) questo corpus di regole costituisce di per sé una tecnica di intervento che – pur frammentaria – tende ad espandersi nell’ordinamento interno; (iv ) il suo adattamento, la sua interpretazione, la sua assimilazione, sono assoggettati ai principi del diritto comunitario e alle regole interpretative della Corte di Giustizia della UE. Costituiscono, in altri termini, indirizzi di normazione e di interpretazione che i legislatori, i giudici, le Amministrazioni pubbliche e gli operatori privati non solo non possono trascurare, ma debbono osservare.

Le reazioni al primo documento sono state ampie e diffuse nel tempo: considerato che il miglioramento della tecnica normativa comunitaria è da tutti auspicabile, e considerato che il mercato, di per sé, non riuscirebbe a raggiungere gli scopi enunciati, tra le opzioni residue le reazioni più frequenti depongono per una armonizzazione ‘soft’, e, in subordine, per la predisposizione di un quadro di principi che le parti possono liberamente scegliere; la soluzione più radicale, intesa alla redazione di un ‘codice civile europeo’, è stata per lo più avversata, o auspicata solo sotto forma di ‘codice modello’, frutto di libera scelta da parte degli operatori privati o eventualmente dei legislatori.

Ed è rilevante sottolineare come, ancora una volta, la ‘partita’ che sembra svolgersi sul piano del diritto, in un mondo asseritamente formale, non si gioca solo sul piano della elaborazione tecnica delle regole, ma finisce per lambire (o addirittura per mettere in discussione) le identità culturali e politiche, gli assetti economici e gli spazi professionali.

Ci si chiede tuttavia se, al di là degli studi rivolti alla comprensione degli interventi normativi e alla loro attuazione nell’ambito delle esperienze dei singoli Paesi membri, non sia opportuno o necessario attrezzare una ‘base comune’ di termini, nozioni, principi, tendenti alla armonizzazione (oppure alla uniformazione delle regole).

Con la Comunicazione del 2.10.2001 [COM (2001) 531 def.] la Commissione delle Comunità europee ha avviato un’ampia consultazione pubblica sull’orientamento futuro della tutela dei consumatori nell’Unione. Il Libro verde ha una funzione assai rilevante, perché in primo luogo espone il quadro complessivo degli interventi già effettuati (per l’appunto l’acquis comunitario) nel settore; in secondo luogo si preoccupa di capire – e per questo si rivolge alle istituzioni, agli operatori, alle associazioni rappresentative e ai centri di elaborazione culturale e giuridica - quale potrebbe essere il futuro di questo settore, se cioè sia necessario affidare solo al mercato la soluzione dei problemi di tutela del consumatore, attraverso l’attività concorrenziale dei professionisti, attraverso le negoziazioni tra professionisti e loro associazioni con le associazioni dei consumatori, attraverso i codici di autodisciplina, oppure se sia necessario un nuovo intervento del legislatore comunitario al fine di coordinare la disciplina esistente ormai frammentaria e in parte sovrapposta o lacunosa, ed eventualmente sia opportuno far precedere le singole discipline speciali da alcune regole di carattere generale. La Commissione si chiede – e chiede di avere risposte al riguardo – se sia opportuno lasciare frammentata la disciplina, oppure adottare un approccio ‘misto’, in cui si prevedano oltre alle regole speciali alcuni principi generali peraltro già esistenti ed osservati nell’esperienza dei singoli Stati membri. Gli esempi evocati riguardano le ‘pratiche commerciali leali’, le pratiche ingannevoli, l’informazione, l’autoregolamentazione e la co-regolamentazione, la cooperazione tra soggetti portatori di interessi tra loro conflittuali e da contemperare.

In contrasto con questa linea – le politiche comunitarie spesso confliggono con le politiche concernenti il mercato interno e la concorrenza – sempre la Commissione ha elaborato una Comunicazione sulla promozione delle vendite nel mercato interno (2.10.2001 (COM (2001) 546 def.).

Con Comunicazione dell’11.6.2002 [(2002) 289 def.] si sono pubblicati i risultati della consultazione avviata con il Libro verde.

La Carta dei diritti fondamentali all’art. 38 intitolato «protezione dei consumatori» dispone che «nelle politiche dell’Unione è garantito un livello elevato di protezione dei consumatori». Al di là delle questioni relative alla natura politica o giuridica della disposizione è significativo il fatto che la Carta riconosca ai consumatori, nell’ambito del Capo IV sulla solidarietà, meritevolezza di citazione e di elevata protezione.

La Corte di Giustizia in più occasioni (tra le ultime con la pronuncia del 22.11.2001 nei procedimenti riuniti n. C-541/99 e C-542/99) ha ritenuto che la nozione di consumatore, qualunque sia la sua definizione, non può che riguardare una persona fisica. Ciò non significa che in fase di attuazione delle direttive gli Stati membri siano vincolati, potendo invece estendere la tutela alle persone giuridiche che operino al di fuori dell’attività commerciale.

Ulteriori iniziative del Parlamento e della Commissione

La Risoluzione del Parlamento europeo sul ravvicinamento del diritto civile e del diritto commerciale degli Stati Membri (A5-0384/2001) è stata adottata il 15.11.2001.

Leggendo il testo della Risoluzione ci si avvede che la Commissione e il Parlamento manifestano una notevole disparità di vedute sul futuro della armonizzazione del diritto privato europeo. La Commissione, con la Comunicazione n. 398 del 2001 ha circoscritto l’ambito dell’armonizzazione al diritto contrattuale, mentre il Parlamento europeo, oltre ad esortare la Commissione a presentare proposte dirette a rivedere le direttive per rimuovere le clausole di armonizzazione minima che hanno impedito la realizzazione di una normativa uniforme a livello comunitario, constata che queste divergenze costituiscono un detrimento per la protezione del consumatore, ma anche un ostacolo al buon funzionamento del mercato interno.

Il programma di azione delineato dalla Risoluzione è molto più incisivo, perché, oltre alla realizzazione di una banca di dati inerenti la terminologia applicata, si propone di perseguire nel prossimo decennio la applicazione di principi giuridici comuni con l’introduzione di regole ad hoc, la realizzazione della unificazione del diritto contrattuale e per finire la adozione di un «corpus di norme di diritto contrattuale dell’Unione europea che tenga conto delle nozioni e soluzioni giuridiche comuni stabilite nelle iniziative precedenti».

La Risoluzione premia le iniziative in atto: in particolare l’iniziativa promossa già dal 1982 da Ole Lando diretta alla redazione di regole uniformi del diritto contrattuale (c.d. PECL) e l’iniziativa promossa da O. Lando, H. Beale e Ch. v.Bar per la realizzazione di regole uniformi destinate a disciplinare tutte le fonti delle obbligazioni e i principali contratti (vendita, servizi, garanzie etc.).

Si tratta di iniziative che – come più volte è stato precisato, e anche di recente da Christian von Bar – non intendono imporre un codice civile scritto, ma offrire all’Unione europea, agli Stati Membri, ai singoli privati, la possibilità di adottare un ‘codice modello’ con cui disciplinare i propri rapporti. Ciò nell’intento di creare proprio quella base comune di termini, nozioni, istituti sui quali poggiano le direttive comunitarie e possano procedere nel futuro gli interventi ulteriori dell’Unione.

Peraltro anche il settore della responsabilità civile vede profilarsi altre novità, in ambito comunitario, che richiedono una riflessione sull’opportunità di uniformare terminologia, nozioni e regole in questo che, accanto al diritto contrattuale, costituisce un settore di grande ampiezza e di rilevantissima incidenza sul contenzioso. Già il Libro bianco sulla responsabilità per danni all’ambiente [COM (2000) 66 def.] ha richiamato l’attenzione sulla esigenza di introdurre regole armonizzate per tutelare le vittime dei danni derivanti dall’inquinamento dell’ambiente; e il 23.1.2002 è stata presentata una proposta di direttiva in materia [COM (2002) 17 def.]; il 7.6.2002 è stata presentata la proposta di modifica delle direttive sull’assicurazione della responsabilità civile derivante dalla circolazione di autoveicoli [COM (2002) 244 def.]; prosegue l’attività della Commissione sulle iniziative di revisione della direttiva 85/374 in materia di danno da prodotti difettosi.

Ancora. Nel corso del 2002 è stato presentato un progetto preliminare di proposta del Consiglio sulla disciplina delle obbligazioni extracontrattuali che costituirebbe il pendent della Convenzione di Roma sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali. La disciplina proposta non dà la definizione dei vocaboli fondamentali (quali atto illecito, responsabilità, danno). Ed è evidente che gli ordinamenti nazionali provvederebbero ad integrare la lacuna: ma è noto che la materia è ancora assai diversificata nelle esperienze continentali e anche nelle esperienze di common law.

E sul piano delle iniziative dirette a realizzare uno spazio giudiziario europeo in materia civile si è proposto di introdurre un regolamento [15.5.2001, COM (2001), 221 def.)].

Le prospettive attuali

La Commissione ha avviato una ulteriore iniziativa, sulla base dell’ Action Plan del 2003 e della Comunicazione [COM (2004)651] sulla base dei quali si sono ricevute indicazioni dagli Stati Membri, dagli operatori, dai ricercatori. I progetti riguardano:

a ) il miglioramento dell’ acquis communautaire; b ) la verifica della individuazione di terminologia, concetti, principi comuni in ambito contrattuale; c ) la rispondenza della redazione di regole comuni alle esigenze degli operatori del mercato, dai produttori agli intermediari ai consumatori finali; d ) la rispondenza della redazione di regole comuni alla funzioni della giustizia e alla realizzazione di un sistema giudiziario europeo; e ) la possibilità di redigere un quadro complessivo di regole (CFR: Common Frame of Reference ), dal quale si potrebbe passare ad un ‘codice modello’ di diritto privato europeo.

3. Aspetti problematici della redazione di un ‘codice civile europeo’

Molte sono le critiche mosse all’idea e alla realizzazione di un ‘codice civile europeo’. Tra queste, lacune meritano una attenta riflessione.

Esse si possono riassumere nelle seguenti: (i ) la differenza strutturale, cognitiva e pratica tra common law e civil law; (ii ) la soppressione dei caratteri originali nazionali e il valore del pluralismo giuridico; (iii ) l'opportunità di ricorrere ad altre tecniche di armonizzazione, diverse dalla redazione di un codice civile unitario.

Quanto alla prima critica, è senz'altro apprezzabile l'opinione di Alan Watson, secondo cui «the legal tradition has a considerable impact on the shaping of the law, and the individual sources of law have different effects on the growth of the law» (Watson, A., Roman Law and English Law: Two Patterns of Legal Development, in Moccia, L., a cura di, Il diritto privato europeo, cit., 10); un conto è la formazione di un ordinamento sulla base delle fonti legislative piuttosto che non sulla base di fonti giudiziarie. Ma è appena il caso di ricordare che, ormai, nel diritto inglese e nel diritto irlandese non tutta la creazione del diritto è affidata alla case law, dal momento che sono sempre più estese le ‘province’ della statute law: le raccolte edite da Blackwell's sono organizzate per grandi partizioni, e le regole legislative dedicate all'area del contratto e del diritto commerciale sono contenute in diversi spaziosi volumi. L'appartenenza del Regno Unito e dell'Irlanda all'Unione europea implica inoltre l'applicazione di tutti i regolamenti comunitari, e il recepimento di tutte le direttive comunitarie, che avvengono ovviamente con fonti di diritto scritto. Ed è anche cambiato l'atteggiamento mentale di molti common lawyers riguardo alla codificazione come tecnica di introduzione o di consolidamento di regole giuridiche: nel quadro conclusivo sui futuri sviluppi del diritto commerciale nel Regno Unito uno dei prestigiosi studiosi della materia, Roy Goode, auspica l'avvento di una codificazione interna nella quale possano trovare compiuta trascrizione le regole oggi vigenti in materia di ‘economic transactions’ (Goode, R., Commercial Law in the Next Millennium, Londra, 1998, 100 ss. (e sul raffronto tra tecnica di «restatement» e codificazione, International Restatement of Contract and English Contract Law, in 3 Uniform L. Rev., 1998, 231 ss.).

Nello stesso tempo, sarebbe ingenuo credere che nei paesi a diritto scritto, codificato o legificato, non vi sia creazione di case law, di regole giurisprudenziali che vivificano il testo scritto, lo completano, lo correggono. Il ruolo del fatto è rilevante sia nell'una come nell'altra esperienza; il ragionamento (analogia, Rechtsfindung ) è apparentemente diverso nel suo processo, ma simile nella sostanza. La datazione delle regole è incerta nell'una e nell'altra esperienza, dal momento che la case law si ritrova in entrambe e così pure la statute law; la costruzione degli interessi protetti in termini di ‘diritti soggettivi’ è ormai comune ad entrambe. Sono inoltre sempre più estese le prassi contrattuali, molte delle quali sono tratte dall'esperienza dei paesi di lingua inglese e ciò con riguardo ai nuovi contratti, alle modalità di conclusione del contratto, alle tecniche di comunicazione e di trasferimento di danaro e di titoli. Al punto che, in un nuovo trattato di diritto privato italiano, diretto da Rodolfo Sacco, accanto al volume sulle fonti scritte si è pubblicato un volume sulle fonti ‘non scritte’ (Sacco, R., Le fonti non scritte, Torino, 1999).

Quanto alla seconda critica, la soppressione è in realtà più virtuale che reale. Certo, le regole contenute nei singoli codici non saranno singolarmente più applicate, ma esse continueranno a sopravvivere nelle regole comuni (che sono costruite su quelle oggi vigenti) e continueranno a sopravvivere nella cultura dei singoli Paesi, dal momento che gli interpreti per molto tempo continueranno ad usare le proprie categorie concettuali e il proprio stile ermeneutico applicati alle nuove regole. È pur vero che l'apparato giuridico nel suo complesso è uno dei connotati fondamentali di un Paese, ma è anche vero che ad esso si può facilmente rinunciare, ed è anche vero che l'esistenza e la consistenza di questo carattere è presente solo ai giuristi; realisticamente parlando non è considerato come tale dal comune cittadino.

L'appello alla storia e alla codificazione (o comunque alla organizzazione giuridica consegnata dalla tradizione) non deve essere sottovalutato, ma neppure essere sopravalutato. È sopravalutato quando si costruisce una tradizione - come ci ammonisce Hobsbawm - solo per raggiungere finalità o per ostacolare finalità di carattere puramente strumentale. Ora, è noto come il diritto comune medievale sia maturato nell'ambito di una cultura giuridica comune dell'Europa (Santini, G., L'Europa come spazio giuridico unitario: un'armonia nel rispetto delle dissonanze, in Contr. impr. Europa, 1996, I, 43 ss., Grossi, P., L'ordine giuridico medievale, Roma-Bari, 1997) e che abbia costituito il ceppo dal quale sono nati, come tanti rami, i diritti nazionali dei paesi continentali e delle regioni insulari (Inghilterra, Scozia, e più recentemente, l'Irlanda del Sud). È noto che nel periodo medievale si sono verificati importanti cambiamenti, che Berman ha definito in termini di autentiche ‘rivoluzioni’ (Law and Revolution. The Formation of the Western Legal Tradition, 1983, ora tradotto in Diritto e rivoluzione, Bologna, 1998).

Ma la storia giuridica dell'Occidente è una storia frastagliata, che presenta progressi (quali le codificazioni) e regressi (quali l'elaborazione dogmatica ottocentesca), curiose diversioni (quali, ad es., l'affinità maggiore del diritto contrattuale romano con il common law piuttosto che non con il modello napoleonico o con il modello germanico), stupefacenti connubi (come la traduzione in lingua inglese di un codice di matrice napoleonico-italiana quali sono il codice civile di Malta e il codice del Quebec) o inattesi riflessi (come quelli del diritto canonico sull'equity inglese). E la stessa evoluzione dei modelli non si presenta monolitica e uniforme, come vorrebbero rappresentarla i fautori della tradizione romanistico-francese: basti pensare alle differenze di applicazione del Code Napolèon in Francia e in Belgio, dove il vigore delle medesime regole scritte porta a divaricazioni notevoli nell'interpretazione della dottrina e della giurisprudenza; divergenze che si incontrano anche nella famiglia del common law, non solo tra il common law inglese e quello statunitense, ma anche tra il common law inglese e quello irlandese o di altri paesi colonizzati dall'Inghilterra. La storia costituisce un formidabile reservoir di fatti, di tecniche, di tendenze, di modelli, ma non è utilizzabile solo per dividere, può essere inutilizzata anche per unire.

Nella vecchia Europa si sono effettuate o sono in corso di effettuazione nuove codificazioni, come in Olanda, ricodificazioni, come in Italia e in Germania, senza parlare delle grandi modificazioni avvenute in tutti i paesi ad opera del recepimento delle direttive comunitarie. Si pensi inoltre che il diritto comunitario sta manifestando una forza espansiva, perché tende ad influenzare anche le regole di diritto comune non incise dalle direttive (Alpa, G. – Dassio, M., Les contrats des consommateurs et les modifications du code civil italien, in Rev. int. dr. comp., 1997, 629 ss.).

Si può davvero parlare di pluralismo giuridico, di unità nella diversità, di valori insopprimibili, oppure si deve parlare di superamento del particolarismo giuridico? Da questo punto di vista, la storia ha ancora molto da insegnare: basti pensare alla difficoltà create dal particolarismo alla Francia prerivoluzionaria del Settecento o all'Italia anteriore all'unita politica del 1861, e ai vantaggi che si sono ottenuti in questi Paesi uniformando le regole giuridiche.

In ogni caso, è solo una questione di livello al quale si vuol collocare le regole codificate: si tratta pur sempre di regole di natura generale, che lasciano liberi gli Stati membri di introdurre regole di carattere particolare applicabili a singole regioni: la dicotomia diritto statuale-diritto regionale, o diritto di singole nazionalità potrà essere salvata per i settori che non riguardano i rapporti economici.

Quanto alla scelta di altre tecniche di armonizzazione, ovviamente il discorso è aperto. Si potrebbe continuare con la introduzione di direttive frazionate settore per settore, ma già ora questo sistema di normazione comunitaria crea difficoltà di coordinamento delle normative a scapito della coerenza, della semplicità e della applicabilità. Si potrebbe pensare a convenzioni, il che però non cambierebbe di molto la situazione auspicata. Si può pensare ad un restatement o ad un collage di principi generali, ma le regole della Commissione Lando, anche se non sono molto distanti da questa proposta, costituiscono il risultato di un «more creative process» (Lando, O., European Contract Law, cit., 128). Si può pensare a principi generali, ma le regole già elaborate non sono distanti dai principi generali, in quanto formulate con sufficiente elasticità e generalità. Si può pensare a regole tratte dalla case law - sulla base delle ricerche avviate negli anni Sessanta in Italia da Gino Gorla e in questo torno d'anni nel Regno Unito da Basil Markesinis - ma occorrerebbe pur sempre raccogliere queste regole in un testo ordinato e quindi procedere al loro restatement. E a questo proposito si è osservato che un restatement non presenta «un minor rigore contenutistico rispetto a un codice» (Zeno-Zencovich V., l codice europeo, le tradizioni giuridiche nazionali e il neopositivismo, in Foro it., 1998, V, 67.)

Si tratta di alternative ben vagliate dalla Commissione Lando, ed ora riprese dalla Commissione che ne prosegue il lavoro nella parte restante del diritto delle obbligazioni, coordinata da Christian von Bar. In ogni caso, queste alternative non sono nuove : esse erano già state vagliate subito dopo la seconda guerra mondiale da Rodolfo Sacco, che segnalava come la scelta non possa essere affidata solo alla soluzione di problemi tecnici, ma incorpori soprattutto valutazioni di natura politica (Sacco, R., Le fonti non scritte, cit.)

Meno apprezzabile mi sembra l'altra proposta con la quale si vorrebbe sostituire la redazione di un codice europeo con la redazione di comuni regole di diritto internazionale uniforme. Si tratterebbe comunque di una soluzione intermedia, interinale, provvisoria, ma certo non della soluzione definitiva. Si darebbe luogo all’applicazione di comuni principi nella scelta delle regole da applicare, ma si dovrebbe sempre far ricorso da parte del giudice all’applicazione di una legge che potrebbe essere diversa da quella nazionale, e quindi di una legge di altro Paese della Comunità, con la quale egli può non avere (come normalmente non ha) familiarità.

Prima di discorrere, sinteticamente, dei vantaggi della codificazione europea, occorre riflettere ancora su alcuni problemi reali di questa iniziativa.

Il primo problema è la lingua. Il codice europeo deve essere redatto in tutte le lingue dei Paesi dell'Unione. Le regole già predisposte sul contratto in generale sono state scritte in inglese. Come è noto, l'inglese è ormai la lingua franca del traffico commerciale, avendo spodestato il francese; insieme con il francese, è una delle lingue più praticate dagli uffici comunitari. L'inglese è destinato a prevalere. Ciò non tanto per merito della potenza del Regno Unito, ormai da tempo declinante, ma soprattutto per l'espansione della potenza economica (e politica) degli Stati Uniti, per la sua praticabilità, per la semplicità della sua grammatica.

Già la elaborazione di regole in una lingua che emerge da una esperienza fortemente connotata dal punto di vista della cultura e della organizzazione giuridica come il common law, e costretta dunque a piegare il lessico e i concetti a termini e nozioni di provenienza diversa (cioè dal modello francese e dai suoi derivati e dal modello germanico) costituisce un punto di forza della codificazione, perché è frutto di un compromesso concettuale di grande momento (Palmisciano, G. – Christoffersen, J., Aspects linguistiques de la communication juridique en Europe: pratique et problemes des «juristes-reviseurs» de la Commission des Communautées européennes, in Moccia, L., a cura di, Il diritto privato europeo, cit., 69 ss.).

Sarà inevitabile la traduzione nelle lingue dei Paesi membri, e quindi anche nelle traduzioni si potranno adattare le regole alla cultura originaria delle regioni in cui il testo è destinato ad essere applicato.

Fondamentale, poi, è la scelta di regole scritte, anziché di regole derivate dalla case law. Certo, la scelta della codificazione potrebbe apparire ostica ai giuristi di lingua inglese, ma molti di essi ormai sono convinti che la codificazione comporta vantaggi notevoli, come la semplificazione, la certezza, la prevedibilità delle regole. Si deve anche considerare che «the citizen of a European State has not the same easy access to the laws of his sister states. Very often he cannot read them in the original and those he can read he may not fully understand» (Lando O., European Contract Law, cit., 118).

Poi, la struttura. Un codice di questo tipo e per questi fini non può essere congegnato come i vecchi codici del secolo scorso. Non potrà avere una parte generale, ma sarà costituito dall'assemblaggio, coordinato, di regole destinate a singoli settori. Non potrà essere completo, ma riguardare solo le ‘transactions’ e tutte le fattispecie ad esse relative. Potrà avere una coerenza interna, ma richiederà gradualità. Conterrà regole di ampia portata, anziché regole circostanziate. Si tratterà di regole collocate in una realtà dinamica, non in una realtà statica. Esse saranno quindi vagliate nella loro applicazione, e modificate là dove la presenza di lacune, di formule ambigue, di scelte rivelatesi inopportune, richiederà ulteriori interventi di perfezionamento.

Anche le divergenze di base sul piano concettuale dovranno essere appianate: a questo compito soccorre la comparazione, da svolgersi con strumenti raffinati, e nella prospettiva corretta: «il compito della scienza è ... quello di relativizzare e poi di ... esorcizzare … le contrapposizioni concettuali assurde» (Sacco, R., Le fonti non scritte, cit., 98).

Rimarranno questioni non semplici da risolvere. Ad es., la distinzione tra norme cogenti e norme dispositive, con riguardo ai singoli ordinamenti da cui le regole comuni derivano. Nei Paesi in cui la conformità alla costituzione delle regole di diritto privato è demandata ad una corte apposita, occorrerà far sì che le regole comuni siano conformi alle costituzioni dei diversi Paesi (a meno che non si risolta in radice la questione, sottraendo per intero la disciplina dei rapporti di diritto privato patrimoniale alla sovranità degli Stati membri). Si dovrà tener conto delle tecniche di applicazione diretta o indiretta delle singole normative costituzionali già in essere nelle diverse esperienze. Si dovrà tener conto che l'uso di clausole generali (come la buona fede, la ragionevolezza, e così via) e l'affidamento al giudice di poteri di ampia discrezionalità richiede una attività del giudice che è particolarmente impegnativa (Rescigno, P., Per un «Restatement", cit., 142).

Si dovrà, in particolare, unificare i rimedi, dal momento che il diritto non può essere solo considerato dal punto di vista sostanziale ma anche dal punto di vista procedurale. E in questo senso, occorrerà persino prevedere la unificazione dei sistemi di amministrazione della giustizia, sia quella togata, sia quella privata.

Oltre ai vantaggi già evidenziati, val la pena di rammentare che la codificazione unitaria rafforza l'unità economica ed è prodromica alla unità politica. Ma se è vero che la componente giuridica - cioè il complesso della organizzazione giuridica di una comunità - ne costituisce un connotato essenziale e caratterizzante, la redazione di un codice unitario in dimensione europea diventerà uno dei fattori aggreganti della stessa Comunità europea, e uno dei fattori della stessa identità europea (Gadamer, H.G., L'eredità dell'Europa, Torino, 1991, IX).

L’Europa dei diritti (Alpa, G. – Andenas, M., Fondamenti del diritto privato europeo, Milano, 2005) potrà quindi evolvere nell’ Europa del diritto privato. È una speranza, ma anche un impegno al quale sono chiamati a collaborare tutti i giuristi. Per la n cultura giuridica italiana potrebbe essere il modo più sicuro per lasciare una traccia indelebile nella costruzione della nuova Europa. E per i giuristi, in particolare per gli avvocati, non sarà più necessario cambiare ordinamento potendo essi esercitare la professione in ogni angolo d’Europa impiegando le medesime regole di diritto sostanziale (e forse, un giorno, anche di diritto processuale). Sarebbe la risposta più appropriata alle doglianze di Voltaire, che, viaggiando per l’Europa con i mezzi di allora, le carrozze a cavalli, lamentava il cambiamento delle regole giuridiche ad ogni stazione di posta.

Fonti Normative

Artt. 114, 115 TFUE; art.38, Carta di Nizza; Direttiva 85/374 Risoluzione A3-0329/94; COM (2000) 66 def.; COM (2001) 17 def.; COM (2001) 398 def.; COM (2001) 531 def.; Risoluzione A5-0384/2001; COM (2001) 546 def.; COM (2001) 221 def.; COM (2002) 289 def.; COM (2002) 196 def.; COM (2002) 244 def.; COM (2004) 651 def.

Bibliografia essenziale

Alpa, G. – Andenas, M., Fondamenti del diritto privato europeo, Milano, 2005; Alpa, G. – Chiassoni, P. - Pericu, A. – Pulitini, F. – Rodotà, S. – romani, F., a cura di, Analisi economica del diritto privato, Milano, 1998; Alpa, G. – Dassio, M., Les contracts des consommateurs et les modifications du code civil italien, in Rev. int. dr. comp., 1997, 629 ss.; Alpa, G., Nuove frontiere del diritto contrattuale, Roma, 1998; Berman, H.J., in Diritto e rivoluzione, Bologna, 1998; Bonell, J., An International Restatement of Contract Law, New York, 1994; Id., The Unidroit Principles in Practice:The Experience of the First Two Years, in Uniform L.Rev., 1997, 34 ss.; Id., The Unidroit Principles: What Next?, in Uniform Law Rev., 1998, 275 ss.; Carbone, S.M., Lo spazio giudiziario europeo, Torino, 1997; Drobnig, U., Un droit commun des contrats pour le Marché commun, in Rev. int. dr. comp., 1998, 26 ss.; Gadamer, H.G., L'eredità dell'Europa, Torino, 1991, ix; Gandolfi, G., Pour un code européen des contrats, in Riv. trim. dir. civ., 1992, 707 ss.; Goode, R., Commercial Law in the Next Millennium, Londra, 1998, 100 ss.; Grossi, P., L'ordine giuridico medievale, Roma-Bari, 1997; Hartkamp, A.S. - Hesselink, M.W. - Hondius, E. - Du Perron, E., eds., Towards a European Civil Code, Nijmegen–Dordrecht-Boston-London, 1994; Koetz, H. – Flessner, A., European Contract Law, I, Oxford, 1997 (trad. ingl. di Weir); Lando, O., European Contract Law, in 31, Am. J. Comp. L., 1983, 653 ss.; Id., Principles of European Contract Law, in Liber Memorialis François Laurent, Bruxelles, 1989, 555 ss; Id., Principles of European Contract Law/An alternative or a Precursor of European Legislation?, in Rables Z, 1992, 261 ss.; Id., The Harmonization of European Contract Law through a Restatement of Principles, Oxford, 1997; Markesinis, B. – Lorenz, W., Dannemann G., The Law of Contracts and Restitution: A Comparative Introduction, Oxford, 1997; Mengoni, L., L'Europa dei codici o un codice per l'Europa?, Roma, 1993, in Moccia, L., a cura di, Il diritto privato europeo, Milano, 1993; Monaco R., Risultati dell' «Unidroit» nella codoficazione del diritto uniforme, in Moccia L., a cura di, Il diritto europeo, cit., 35 ss.; Palmisciano, G. - Christofernes, J., Aspects linguistiques della communication juridique en Europe: pratiques et problemes des «juristes-revisevis» de la Commission des Communautées européennes, in Moccia, L., a cura di, Il diritto privato europeo, cit., 19; Sacco, R., Le fonti non scritte, Torino, 1999; Santini, G., L'Europa come spazio giuridico unitario: un'armonia nel rispetto delle dissonanze, in Contr. impr. Europa, 1996, I, 43 ss.; Vranken, M., Fundamentals of European Civil Law, Londra, 1997; Von Bar, C., The Common European Law of Torts, Oxford, 1998; Watson A., Roman Law and English Law: Two Patterns of Legal Development, in Moccia L., a cura di, Il diritto privato europeo, cit., 14; Zeno Zencovich V., Il codice europeo, le tradizioni giuridiche nazionali e il neo-positivismo, in Foro it., 1998, 60 ss.

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