Dipendenza

Universo del Corpo (1999)

Dipendenza

Pier Francesco Mannaioni e Renzo Carli

In medicina e nelle scienze sociali il termine dipendenza viene comunemente utilizzato per descrivere la condizione di incoercibile bisogno di un prodotto o di una sostanza, soprattutto farmaci, alcol, stupefacenti, riguardo ai quali si sia creata assuefazione. Da un punto di vista fisiologico, zoologico e antropologico con dipendenza si intende, invece, il fatto che l'organismo, alla nascita e per un periodo più o meno lungo, non è in grado di provvedere autonomamente alla propria sopravvivenza, che è legata alle cure parentali. L'approccio fisioantropologico è importante per comprendere la genesi della dipendenza, qual è definita entro i modelli psicologici.

Droghe, farmaci e dipendenza

di Pier Francesco Mannaioni

Lo sviluppo tumultuoso che i farmaci hanno avuto negli ultimi trent'anni del 20° secolo ha prodotto indubbi risultati nel campo delle malattie infettive, dell'anestesiologia, delle malattie mentali e cardiovascolari: ne è testimonianza l'aumento di circa 20 anni dell'attesa di vita. Tuttavia, la sempre maggiore disponibilità dei farmaci ha contribuito a creare un rapporto sbagliato tra farmaco e individuo, in cui il soggetto tende a demandare a quello la soluzione di ogni problema, di ordine sia fisico sia esistenziale o comportamentale. Da qui la tendenza ad abusare di farmaci leciti fino alla dipendenza. Contemporaneamente, la crisi di alcuni valori di riferimento nelle società affluenti (famiglia, ideali politici, fedi religiose) e lo sfruttamento di tale crisi da parte della criminalità organizzata, ha condotto larghe schiere di giovani ad abusare di droghe illecite fino a sviluppare la tossicodipendenza (v.). È difficile definire in modo netto i confini tra abuso e dipendenza. Si può definire come abuso ogni somministrazione di un farmaco che avvenga al di fuori della normale prescrizione medica. Sono caratteristiche dell'abuso di un farmaco: 1) l'autosomministrazione, al di fuori della posologia corretta; 2) l'impiego del farmaco che non tenga conto della posologia per tempi prolungati; 3) l'assenza, nel rapporto fra il soggetto e il farmaco, di ogni condizionamento psicologico che serva da rinforzo per proseguire l'autosomministrazione; 4) la ricerca, pur abusando del farmaco, delle sue caratteristiche azioni farmacologiche, e non di altri effetti. L'abuso di un farmaco può essere fonte di detrimento individuale che in particolari situazioni, dipendenti sia dalla dose sia dalla durata dell'autosomministrazione, può concludersi in nuovi quadri di patologia, attualmente identificabili come malattie da medicamenti (malattie iatrogene). Per es., la fenacetina e i suoi derivati entrano nella composizione di efficaci rimedi dell'emicrania e della cefalea, e spesso sono ottenibili senza la prescrizione medica (prodotti 'da banco'). Allo scopo di automedicare la cefalea/emicrania o qualsiasi altra forma di dolore sensibile alla fenacetina, è possibile il passaggio dal corretto uso medico all'abuso incontrollato. Come conseguenza, quando sia stata assunta la dose giornaliera di un grammo per la durata di 1-3 anni, oppure una quantità totale superiore a 1 kg, ingerita senza limiti di durata, si sviluppa la nefropatia da fenacetina, una malattia ad alto rischio, caratterizzata dalla necrosi delle papille renali. La malattia da lassativi è un altro esempio di danno prodotto da abuso di farmaci: consiste nella progressiva perdita di tono dell'intestino crasso fino a sviluppare forme tossiche di dolico-megacolon, conseguenza dell'abuso cronico di lassativi antrachinonici o derivati del difenilmetano. Tuttavia, nell'abuso di farmaci non viene mai ricercato, come accennato, un effetto che non sia quello farmacologicamente atteso: per rimanere ai soli esempi qui riportati, nell'abuso di farmaci è assente ogni motivazione psicologica che tenda a demandare al farmaco la soluzione di problemi diversi da quelli della rimozione della cefalea, nel caso della fenacetina, o del superamento della stipsi, nel caso dell'abuso dei lassativi.

La tendenza a richiedere al farmaco, oppure a una sostanza chimica, non il suo codificato effetto farmacologico ma la produzione e il mantenimento di uno stato d'animo o di un comportamento diventa tipica della dipendenza, che può, infatti, essere definita come quella condizione in cui si è instaurato, tra un individuo e un farmaco o una sostanza chimica, un rapporto di benessere condizionato. Sono caratteristiche della dipendenza: 1) l'autosomministrazione; 2) l'uso cronico o periodico; 3) la presenza, nel rapporto tra il soggetto e il farmaco o la sostanza chimica, di un forte condizionamento psicologico che serva da rinforzo nel proseguire l'autosomministrazione; 4) la ricerca non di un effetto farmacologico, bensì dell'induzione o del mantenimento di un comportamento. È divenuta tradizionale la distinzione tra dipendenza psichica e dipendenza fisica. Bisogna tuttavia sottolineare che la separazione tra la mente e il corpo diviene sempre meno valida man mano che le basi biochimiche e fisiologiche delle funzioni integrate diventano meglio conosciute. La dipendenza psichica è un insieme di sensazioni percepite come spiacevoli che si sviluppa con intensità crescente negli intervalli delle autosomministrazioni della sostanza verso cui la dipendenza si è instaurata: insorgono, infatti, talvolta contemporaneamente, stati di ansia e di depressione, insieme al desiderio, spesso irresistibile, di riprovare l'esperienza dell'ultima dose. La dipendenza psichica è una forma di dolore mentale che trova la sua estinzione con l'autosomministrazione della droga assuefacente; non ha segni obiettivi misurabili, rappresenta tuttavia un legame sottile e duraturo tra il soggetto e la droga. Tale legame è talmente duraturo che è comune la recidiva nell'autosomministrazione in soggetti che avevano cessato anche da molti anni l'uso di droghe come eroina, cocaina, bevande alcoliche. È ormai invalso l'uso di identificare tale comportamento compulsivo come craving (desiderio incoercible) verso gli effetti della droga assuefacente; esso rappresenta attualmente il maggior ostacolo a ogni metodo di dissuefazione. È probabile che la dipendenza psichica e il craving abbiano una componente neurobiochimica. È infatti difficile l'interpretazione sia del comportamento compulsivo sia della recidiva quasi obbligata, anche dopo lunghi periodi di benessere, senza pensare a una speciale memoria, incorporata nelle cellule nervose e capace di riemergere a intervalli di tempo anche tra loro molto distanziati. La patogenesi di questo stampo mnemonico è lungi da essere chiarita. La dipendenza psichica è la caratterisica principale della tossicomania da cocaina, da allucinogeni, da derivati della Cannabis indica, da anfetamina e composti anfetaminosimili. Essa è presente, insieme alla dipendenza fisica, nelle tossicomanie da oppioidi, da bevande alcoliche, da barbiturici e da alcuni psicofarmaci (benzodiazepine, metaqualone, amineptina). Un caso tipico di dipendenza psichica è il seguente: il soggetto che saltuariamente o continuativamente usa cocaina riceve un premio quando la adopera, in quanto è più lucido, più competitivo, socialmente più brillante e più stimolato sessualmente. Negli intervalli tra le somministrazioni soffre invece di ansia, di depressione (crashing, il sentirsi psicologicamente distrutto), anedonia (incapacità di percepire sensazioni piacevoli). Sotto la spinta compulsiva del craving, elimina tale disagio mentale con una successiva dose, perpetuando così la dipendenza. Non vi è nulla di fisico (segni obiettivi misurabili) nella dipendenza psichica da cocaina, ma solo una spinta a continuare. I segni fisici misurabili quando sia interrotto l'apporto della droga assuefacente sono invece caratteristici della dipendenza fisica, che può essere definita come lo stato di latente ipereccitabilità che si sviluppa nelle cellule del sistema nervoso centrale di Mammiferi superiori, in conseguenza della somministrazione prolungata di una sostanza. Dalla definizione emergono due concetti utili a chiarire il significato di dipendenza fisica: l'ipereccitabilità delle cellule nervose in conseguenza dell'uso prolungato di un farmaco o di una sostanza assuefacente si manifesta sia nell'uomo e nei Mammiferi superiori, sia in sistemi cellulari in coltura, e ciò indica la prevalente componente organica della dipendenza fisica, come malattia del soma e non della psiche; inoltre l'ipereccitabilità neuronale si rivela solo quando l'apporto della sostanza assuefacente sia sospeso improvvisamente. Infatti la dipendenza fisica si manifesta con segni oggettivi e sintomi soggettivi (sindrome di astinenza) in seguito alla brusca interruzione delle sostanze assuefacenti; oppure, nel caso dei narcotici morfinosimili, anche in seguito alla somministrazione di antagonisti specifici.

È quindi evidente che la dipendenza fisica è un fenomeno che può essere misurato solo indirettamente attraverso l'evocazione della sindrome di astinenza: è dunque questa che la caratterizza. Definita la dipendenza fisica come una malattia prevalentemente organica che si contrae con l'uso continuato di droghe assuefacenti e diviene manifesta con la sindrome di astinenza, si può aggiungere che essa è di solito accompagnata dalla dipendenza psichica, ed è peculiare di pochi farmaci (è prodotta infatti da tutti gli oppioidi, dall'alcol etilico, da alcuni barbiturici, dal metaqualone, dal flunitrazepam e dall'amineptina, tra i farmaci del comportamento). Le droghe di abuso possono, quindi, essere classificate in due gruppi: droghe capaci di indurre solo dipendenza psichica (come già detto, cocaina, allucinogeni, anfetamine e derivati, composti della Cannabis indica); droghe capaci di produrre dipendenza psichica e fisica (come accennato sopra, eroina, morfina, metadone, buprenorfina, pentazocina, alcol etilico, barbiturici ecc.).

Esaminiamo un caso tipico di dipendenza fisica: il soggetto che usa continuativamente eroina riceve un premio a ogni autosomministrazione (la sensazione di orgasmo e di distacco dalla realtà). Il suo benessere è però condizionato dall'autosomministrazione: se essa viene a mancare, il soggetto soffre una duplice punizione. In assenza di eroina, infatti, da una parte compare il dolore mentale tipico della dipendenza psicologica, dall'altra si presentano contemporaneamente altri sintomi psichici e organici (ansia, insonnia, dolori muscolari) e anche peculiari segni fisici facilmente obiettivabili (sudorazione, rinorrea, ipertensione). Tale corteo di segni e sintomi (sindrome di astinenza) è stereotipato sia come espressione sia come tempo di insorgenza, e chi usa eroina sa bene che il montare ingravescente del dolore mentale e fisico dell'astinenza si elimina immediatamente con una successiva autosomministrazione: ciò chiude il circolo iniziato con il rinforzo positivo e perpetua la tossicomania.

Capire se il comportamento di un soggetto che abbia sviluppato dipendenza da una droga sia la risultante di un condizionamento ambientale (stato sociale, famiglia, cultura), di alterazioni neurochimiche o di entrambi i fattori è oggetto di dibattito tra chi nella patogenesi della dipendenza fisica e psichica da una droga privilegia il fenotipo, enfatizzando la componente ambientale, o il genotipo, mettendo l'accento sulla predisposizione genetica. È indubbio che il fenotipo sia molto rappresentato nella patogenesi della dipendenza, sia fisica sia psicologica. L'appartenere a un nucleo familiare instabile, la carenza di cultura, la frequentazione di gruppi orientati verso la 'cultura della droga', la perdita di ideali politici e religiosi formano un insieme di stimoli che fortemente predispongono all'esperienza con le droghe di abuso: tale insieme di stimoli è stato indicato come un terzo tipo di dipendenza, la dipendenza sociale. È tuttavia opportuno ricordare che, su una popolazione giovanile, ugualmente assortita per sesso e abitudini di vita e sottoposta a una eguale dipendenza sociale, solo un quarto circa sviluppa con le droghe di abuso il rapporto di benessere condizionato (tossicodipendenza). È quindi necessario ammettere anche una componente genotipica nella patogenesi della dipendenza.

È stato affermato in precedenza che tutte le droghe di abuso danno un premio che serve a rinforzare il comportamento farmacologicamente orientato. È ormai comunemente accettato che il premio prodotto dalle droghe di abuso è da attribuire alla stimolazione del sistema dopaminergico: eroina, cocaina, anfetamine, alcol, stimolano la secrezione di dopamina nelle sinapsi del sistema mesolimbico (pleasure brain, quella zona del cervello destinata a ricevere ed elaborare tutti gli stimoli piacevoli). La dopamina soddisfa il craving stimolando recettori dopaminergici postsinaptici. È pertanto possibile che variazioni interindividuali del sistema dopaminergico possano condizionare lo sviluppo di dipendenza. Per es., nel caso della dipendenza da nicotina, è stato studiato nell'uomo il polimorfismo dei geni che regolano la presenza e il numero di recettori dopaminergici (DRD-4) sensibili alla nicotina. Esistono persone che hanno un genotipo di recettore D-4 che include solo un tipo di alleli (S/S, omozigoti), e altre persone che posseggono almeno un allele diverso (eterozigoti, L/S e omozigoti L/L). La popolazione afroamericana portatrice di almeno un L-allele è maggiormente a rischio di dipendenza da nicotina rispetto agli omozigoti S/S: il polimorfismo genetico condiziona dunque la dipendenza da nicotina. La nicotina è metabolizzata a cotinina dall'enzima CYP2A-6, geneticamente polimorfo. Tre alleli CYP2A-6 sono stati identificati: il tipo naturale (CYP2A-6/1) pienamente attivo nell'inattivazione metabolica della nicotina, e due alleli inattivi (CYP2A-6/2, CYP2A-6/3). Gli individui che hanno un difetto funzionale nel CYP2A-6 e che pertanto hanno un cattivo metabolismo della nicotina sono significativamente protetti dal contrarre dipendenza. Inoltre, fumatori che posseggono il genotipo inattivo, e quindi metabolizzano male la nicotina, fumano meno di chi ha un genotipo normale e un migliore metabolismo della nicotina: il polimorfismo genetico degli enzimi che inattivano la nicotina condiziona lo sviluppo della dipendenza. L'analisi del genoma degli alcolisti ha condotto all'identificazione di cinque regioni cromosomiali, probabilmente legate allo sviluppo della dipendenza da alcol: queste osservazioni suggeriscono l'esistenza di polimorfismi funzionali negli enzimi addetti al metabolismo dell'alcol, tali da modificare il rischio di dipendenza in individui di diverse etnie. È stata inoltre messa in evidenza la correlazione tra la dipendenza da alcol, il gene che codifica il recettore D-4 per la dopamina, il gene che codifica la tirosina idrossilasi, entrambi localizzati sul cromosoma 11, e il gene che codifica il recettore GABA-b localizzato sul cromosoma 4p. Anche per l'alcolismo, il polimorfismo dei geni che comandano la sintesi delle proteine-recettori e delle proteine-enzimi, a loro volta responsabili dell'intensità e della durata dell'effetto dell'alcol, sembra condizionare la variabilità interindividuale nello sviluppo dell'alcolismo stesso. Se da un lato è opportuno modificare la componente fenotipica della dipendenza intervenendo sul disadattamento sociale e psicologico, è altrettanto vero che lo sviluppo delle conoscenze in merito alla componente genotipica della dipendenza potrà essere utile integrazione nel combatterne l'insorgenza, una volta conosciute le cause.

Dipendenza psicologica

di Renzo Carli

l. Plasticità dell'apprendimento

La prolungata dipendenza del piccolo dell'uomo dalle cure parentali determina una progressiva diminuzione della rilevanza adattiva riferibile agli schemi innati di comportamento, in un certo senso precostituiti geneticamente, a favore di una plasticità dell'apprendimento che consente l'acquisizione di un patrimonio di modalità comportamentali ad alto potenziale adattivo nel corso dell'esperienza. Questo tipo di rallentamento evolutivo (neotenia) che caratterizza la specie umana sembra rappresentare nell'ambito dell'evoluzione un progetto specifico, che si inscrive in un piano filogenetico di più vasta portata. Alcuni studiosi ipotizzano una stretta correlazione tra il modello di sviluppo ontofilogenetico dell'organismo umano e l'esigenza di cure parentali assidue e prolungate entro il contesto sociale. Secondo questa interpretazione, la dipendenza dalle figure parentali costituisce la matrice per una strutturazione della personalità, che è fondata non sull'istinto ma sulla simbolizzazione affettiva degli oggetti presenti significativamente nell'ambiente. È importante in tale contesto la distinzione proposta da S. Freud tra istinto e pulsione. Nella concezione freudiana la dipendenza dalle cure parentali affranca l'uomo dall'istinto (di cui è, di fatto, relativamente poco dotato), inteso come comportamento consumatorio prestabilito, pronto per essere messo in atto, determinato per quanto riguarda genesi, oggetti e scopi. Nell'uomo si ritrovano, invece, le pulsioni, vale a dire una sorta di spinta iniziale all'azione e alla ricerca dei mezzi e degli scopi che sono culturalmente elaborati e acquisiti costruendo oggetti. La dipendenza prolungata dell'uomo consente di rimpiazzare la dotazione biologica relativamente scarsa, se messa a confronto con quella degli animali, con una strategia di adattamento all'ambiente che è del tutto peculiare: una specializzazione realizzata tramite la non-specializzazione, vale a dire un complesso di strutture interattive non più unicamente predeterminate dal patrimonio genetico, ma durevolmente disponibili a un modellamento morfogenetico, entro certi limiti reversibile, da parte della stimolazione ambientale. In altri termini, l'adattamento non si persegue, prevalentemente, tramite modificazioni strutturali d'ordine biologico, ma è il risultato di una progressiva integrazione di modelli di comportamento adattivo ad ampia gamma di applicabilità.

2.

La simbolizzazione affettiva e la categorizzazione

Questi modelli di comportamento sono di volta in volta posti in atto tramite la simbolizzazione affettiva degli oggetti e dell'ambiente circostante; ciò comporta un orientamento intenzionale degli oggetti e dell'ambiente entro il quale gli oggetti stessi vengono simbolizzati. La modificazione d'ordine strutturale, necessaria all'adattamento, è in tal modo messa a carico degli oggetti e dell'ambiente, non delle strutture biologiche di chi deve realizzare l'adattamento. La dipendenza dalle cure parentali è una dipendenza priva di connotazioni patologiche; è diffusa nella specie e possiede un'indubbia economicità adattiva, la quale si evidenzia nella funzione di apprendimento che la condizione di dipendenza comporta. Tale apprendimento si può declinare in due modalità fondamentali: l'apprendimento alla categorizzazione e l'apprendimento alla fiducia affettiva di base. Per quanto concerne l'apprendimento alla categorizzazione, esso appare come il risultato più rilevante del progetto evolutivo fondato sulla dipendenza: la categorizzazione trasforma in evento le condizioni di stimolazione del contesto e organizza in azione la risposta coerente all'evento stesso. Essa consente di rendere operativi specifici criteri, in base ai quali eventi apparentemente differenti possono essere ricondotti a unità di classe, così come eventi apparentemente simili possono essere analizzati nella loro significativa diversità. Si consegue in tal modo un controllo della variabilità ambientale, in grado di consentire una vera e propria costruzione dell'ambiente. La prima categorizzazione è quella noto-non noto, che si può anche definire categorizzazione presenza-assenza: per es., presenza come protezione rassicurante, assenza (della protezione rassicurante) come pericolo. Nella situazione di dipendenza prolungata dalle cure parentali si verifica una trasformazione dello schema amico-nemico, su cui si fonda la categorizzazione presenza-assenza. Nella dipendenza prolungata, infatti, viene a mancare l'oggetto in sé pericoloso, il nemico presente realmente nel contesto, nei confronti del quale mettere in atto i comportamenti di attacco-fuga, ma il nemico si configura come assenza dell'oggetto gratificante. Ciò comporta una caratterizzazione della dipendenza che possiamo denominare fiducia di primo tipo: "il mondo, il contesto è cattivo con me, rischia di creare ansia con la sua assenza, a meno che non mi dimostri il contrario, con la sua presenza continua e rassicurante". Sarà grazie all'identificazione con l'oggetto buono, quindi con la costituzione di un oggetto interno che garantisce la presenza buona dell'oggetto, che si potrà arrivare alla fiducia di secondo tipo, indice di una soluzione, sia pur relativa, della dipendenza: "il mondo, il contesto è buono con me, a meno che non mi dimostri il contrario, con la sua reale pericolosità". È interessante notare che l'assenza trasformata in pericolo, in oggetto nemico, quale si rileva nella dipendenza, si propone come dimensione mentale fantasmatica, derivante da un vero e proprio processo allucinatorio del pericolo, quale trasformazione presentificata di un'assenza gratificante. Nel caso della fiducia di secondo tipo, invece, è l'esame di realtà, è la valutazione della reale pericolosità degli oggetti nel contesto che crea allarme e mette in moto le procedure difensive.

3.

L'appartenenza

I sistemi di appartenenza e la motivazione ad appartenere possono essere considerati come riedizioni, entro la vita adulta, della dipendenza infantile. L'appartenenza, come modello di adattamento sociale, può essere ricondotta alla motivazione affiliativa di D.C. McClelland (1955): si tratta della motivazione a evocare nell'altro reazioni affettive positive, accettazione nei propri confronti. Complementare alla motivazione affiliativa è la motivazione al potere, riconducibile alla motivazione a determinare, influenzare, condizionare il comportamento altrui. I sistemi sociali fondati sulla diade affiliazione-potere vedono al proprio interno interazioni fondate sui soli elementi affettivi, senza competenza a perseguire risultati. Denominiamo collusione la simbolizzazione affettiva consensuale del contesto condiviso entro la relazione sociale. La collusione, se basata sui sistemi di affiliazione-potere, costruisce organizzazioni sociali fondate sulla sola transazione affettiva. L'uscire dalla dipendenza affiliativa comporta l'emergere della motivazione alla realizzazione, definibile come motivazione a perseguire risultati fuori dal comune, a realizzare compiti impegnativi e caratterizzati da standard di eccellenza. Si può notare come, nel modello motivazionale proposto da McClelland, la produzione sociale sia identificata con la realizzazione secondo parametri di eccellenza. Ogni altro tipo di produzione routinaria cade entro l'area delle relazioni fondate sulla sola affettività, entro il processo collusivo affiliazione-potere. Nell'ottica ora delineata tutte le stimolazioni ambientali che inducono perdita od ostacolo alla produzione di eccellenza inducono anche situazioni di collusione basata sulla diade motivazionale dipendenza-potere. Un modo di articolarsi della produzione di eccellenza è il processo di identificazione, che può essere considerato come un risultato della dipendenza infantile e che porta all'identità. L'identificazione primaria, caratterizzata dalle tendenze orali all'incorporazione, è considerata come il principale mezzo di relazione oggettuale del bambino dopo la nascita. Nella relazione madre-bambino questa dipendenza infantile può evolvere, grazie all'esperienza di assenza della madre e di recupero riparatorio, da parte della madre stessa, delle angosce persecutorie del bambino, angosce dovute all'assenza della madre trasformata in presenza persecutoria. La dipendenza infantile può evolvere in un altro modo di articolazione della dipendenza, quello che W.R.D. Fairbairn (1952) chiama dipendenza matura, caratterizzata dalla piena differenziazione dell'Io e dell'oggetto, insieme alla capacità di valutare l'oggetto per quello che è: capacità di dare, quindi, così come capacità di ricevere. Da quanto detto si può notare la differenza tra l'impostazione psicoanalitica classica, che riferisce la dipendenza alle caratteristiche di personalità dell'individuo, sia esso bambino o adulto, e l'impostazione psicoanalitica più recente che la riferisce piuttosto all'interazione tra individuo e contesto, elaborando teorie specifiche, sia pure di stretta derivazione psicoanalitica, della relazione sociale.

Bibliografia

r. carli, Psicologia clinica, Torino, UTET, 1987.

w.r.d. fairbairn, Psychoanalytic studies of the personality, London, Tavistock, 1952 (trad. it. Torino, Bollati Boringhieri, 1977).

Farmacopea ufficiale della Repubblica Italiana, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 19889.

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p.f. mannaioni, Le tossicodipendenze, Padova, Piccin-Nuova libraria, 1980.

id., Clinical pharmacology of drug dependence, Padova, Piccin-Nuova libraria, 1984.

w.r. martin, Drug addiction, Berlin, Springer, 1977.

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