DIONIGI il Piccolo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 40 (1991)

DIONIGI il Piccolo (Dionysius Exiguus)

Hubert Mordek

Monaco della Scizia, fu un importante tramite della cultura greca nell'Occidente latino svolgendo il ruolo di dotto traduttore, canonista e computista. L'epiteto di "piccolo", che lui stesso si scelse, non è che una semplice formula di umiltà.

Le informazioni in nostro possesso sulla vita di D. sono piuttosto scarse e provengono dagli scritti del suo amico Cassiodoro o dalle lettere e dalle prefazioni che egli stesso premise alle proprie opere. Gli autori di epoca più tarda, come il Venerabile Beda e Paolo Diacono, non offrono nei loro scritti niente di nuovo rispetto a ciò che ci dice Cassiodoro. Il fatto che le fonti relative a D. siano così povere di notizie sulla sua vita rende difficile anche inserire l'opera di questo dotto monaco in una precisa sequenza temporale. Si è pertanto qui in larga misura separata la trattazione relativa alla sua vita da quella riguardante le sue opere.

Sulla famiglia e sulla nascita di D. regna per noi la più completa oscurità. Sappiamo tuttavia che crebbe nella Scizia minore (parte della antica provincia romana della Mesia inferiore, oggi la rumena Dobrugia sul Mar Nero occidentale), regione bilingue ed abitata anche da Goti; che fu educato in un monastero (che poi fosse arrivato dai monaci come trovatello è soltanto un'ipotesi piuttosto ardita di E. Schwartz); che ebbe come maestro un Pietro vescovo di una sede a noi ignota ma forse da identificare con quella di Tomi, al cui ricordo rimase assai legato: "Semper ... ante oculos mentis adponens sancta nutrimentoruni vestroruni studia parvulo mihi depensa", scrive ad esempio nella lettera di dedica che precede la sua versione latina dell'epistola sinodale di Cirillo. Già nel monastero della Scizia si procurò quell'eccellente padronanza delle lingue latina e greca che ebbe modo di raffinare ulteriormente forse durante un suo successivo soggiorno a Costantinopoli ("in utraque lingua valde doctissimus quoscumque libros Graecos in manibus acciperet, Latine sine offensione transcurreret iterumque Latinos Attico sermone relegeret": Cassiodoro). Poco tempo dopo la morte del papa Gelasio 1 (21 nov. 496) incontriamo D. a Roma, dove per un periodo piuttosto lungo fu "magister" di lingue, di teologia e di dialettica. Resta incerto se egli fosse "presbyter", come afferma lo Schwartz, o addirittura "abbas", come riferiscono Felice Gillitano, Beda e Paolo Diacono.

Sulla vita di D. si è espresso invece diversamente e in modo assai categorico W. M. Peitz, il quale così scrive: "Proveniva da una famiglia del più alto rango sociale del territorio periferico sudcaucasico del Ponto... o per lo meno dell'Armenia settentrionale. Nella prima giovinezza sarebbe stato portato nel monastero di Mabbug presso Antiochia, dove sarebbe anche stato educato; più tardi ... entrò come monaco in quello stesso monastero". Sempre secondo il Peitz, "le agitazioni monotelitiche successive al 451, e il fatto che nella Chiesa siriaca e nei suoi monasteri stessero prendendo il sopravvento tendenze ereticali", avrebbero spinto D. a spostarsi da Mabbug a Costantinopoli, quando ormai era un letterato "nella pienezza dell'età matura, una personalità di rilievo e di autorità". Finalmente il papa lo avrebbe chiamato a Roma, dove egli sarebbe giunto nell'inverno tra il 496 e il 497 e sarebbe stato ospitato nel monastero di S.Anastasia sul Palatino, dove egli avrebbe composto le sue importanti opere. A tanta puntualità di affermazioni non corrisponde però una pari chiarezza di fonti: in molti punti infatti i dati forniti dal Peitz non sono verificabili.

Secondo la descrizione che ce ne dà Cassiodoro, D. aspirava ad una vita ritirata nell'ascesi e nella contemplazione monastica senza volersi sottrarre alle richieste che gli provenivano dal mondo esterno ("cum se totum Deo tradidisset, non aspernaretur saeculariuni conversationibus interesse"). È difficile che si sia lasciato coinvolgere nell'azione politica durante il conflitto tra Costantinopoli e Roma e durante lo scisma simmachianolaurenziano. Il suo terreno era il campo letterario. Lì si schierò nettamente dalla parte del Papato ortodosso, come testimoniano il suo encomio di Gelasio I (che egli non conobbe mai di persona, ma che gli era stato descritto con toni entusiastici dal presbitero romano Giuliano) e la collaborazione prestata al papa Ormisda. Non fu tuttavia un polemista: la sua cultura e la profonda conoscenza del greco e del latino, straordinaria in quel tempo, lo predisponevano piuttosto al ruolo di mediatore tra i due fronti (il che però non valse a metterlo al riparo da inimicizie e ostilità). Cassiodoro lo annovera in ogni modo tra i "viros illustres" della Chiesa cattolica; lo considerava uomo di grande cultura e di grande forza di carattere, in rapporto con numerosissime personalità del suo tempo e grato verso amici e protettori, come dimostra efficacemente il numero davvero insolito di dediche a vescovi, presbiteri, abati, monaci, e perfino ad una altolocata "domina veneranda" (forse la figlia di Simmaco), dediche in forma di prefazione, stilizzate con arte, preposte alle sue traduzioni e ai suoi lavori di compilazione. La notizia riportata da Cassiodoro, che D. "mecuni dialecticam legit et in exemplo gloriosi magisterii plurimos annos vitam suam transegit", ha alimentato l'ipotesi che i due avessero trascorso insieme alcuni anni nel monastero di Vivarium. È tuttavia più probabile che Cassiodoro e D. si fossero incontrati a Roma, poiché Vivarium fu fondato solo dopo la metà del sec. VI e perché Cassiodoro, nel primo libro delle sue Institutiones divinarum et saecularium litterarum, scritte anch'esse dopo il 550, parla di D. come di persona già scomparsa. L'ultimo indizio certo, che attesti D. come ancora vivente risale al 526 ed è la lettera da lui inviata in quell'anno ai segretari pontifici Bonifacio e Bono in difesa del suo computo della Pasqua.

Fin dall'inizio della sua attività a Roma D. si presentò come volgarizzatore di opere teologico-letterarie relative a questioni dogmatiche d'attualità, giacché nel 497 o poco dopo tradusse il "libellus quem dederunt apocrisiarii Alexandrinae ecclesiae legatis ab urbe Roma Constantinopolim destinatis" (Libellus de fide), contenuto nella così detta Collectio Avellana (colophon: "Dionysius Exiguus Romae de Graeco converti"). D. mise tuttavia la sua dottrina anche al servizio della politica: sostenne i suoi confratelli sciti nella disputa teopaschita, quando questi cercarono di ottenere dal papa il riconoscimento della formula "unus ex Trinitate". Appoggiando i teopaschiti, D. si metteva peraltro in campo teologico decisamente dalla parte dell'imperatore Giustiniano, che negli anni 519-520 esercitava sul terreno politico allo stesso modo pressioni su Roma affinché questa formula passasse. Proprio allo scopo di diffondere la conoscenza delle argomentazioni antinestoriane in Occidente D. tradusse alcune opere che tra l'altro esercitarono un importante influsso su Boezio: due lettere di Cirillo di Alessandria al vescovo Successo di Diocesarea; l'epistola sinodale di Cirillo a Nestorio con i dodici anatematismi (non si tratta, come ha dimostrato definitivamente lo Schwartz contro il Maassen e altri, di un plagio di Mario Mercatore, bensì di un lavoro originale di D.); il Tomus ad Armenios de fide del patriarca di Costantinopoli Proclo. Queste versioni furono tutte accompagnate da epistole di dedica, che rendono possibile ordinarle cronologicamente. Rimane, invece, aperto il problema se proprio lui abbia composto - come pensa l'Amelli - gli Exempla sanctorum patrum inseriti nella così detta Collectio Novariensis dal ms. XXX, 60 della Bibl. capitolare di Novara ("una raccolta, pervenutaci mutila dell'inizio e della fine, di documenti tradotti dal greco che sembra siano stati sottoposti al papa Giovanni II per aiutarlo a risolvere la questione teopaschita"; Krüger, p. 590), o se egli nel caso specifico sia stato a torto chiamato in causa, come ritengono il Duchesne e lo Schwartz. C'erano anche dubbi se si debba attribuire a D. la traduzione dell'Oratio prima de Deipara di Proclo di Costantinopoli. È invece sicuramente sua la versione latina dell'epistola di Proterio vescovo di Alessandria al papa Leone, lettera che possiamo leggere ora soltanto in questa forma e che nella tradizione manoscritta è premessa al Liber de Paschate.

Il fatto poi che egli abbia tradotto in latino anche lo scritto di Gregorio di Nissa Περὶ κατασκευῆς ἀνθρώπον (De conditione hominis o De opificio hominis), sebbene non condividesse le affermazioni in esso contenute, è una testimonianza molto convincente della sua tolleranza ideologica.

A proposito, infine, delle opere agiografiche e cioè delle traduzioni di biografie greche di santi, non sono mai stati contestati i meriti di D.; si tratta delle opere seguenti: la Historia de inventione capitis s.Johannis Baptistae, probabilmente quella che nell'elenco di opere del cosiddetto Decretum Gelasianum è nominata con riserve; la Poenitentia s. Thaysis; la Vita s. Pachomii, dedicata ad una pia donna sconosciuta. Le opere agiografiche di D. tradiscono la sua simpatia per il monachesimo orientale e in particolare per quello egiziano, con il suo orientamento ascetico. Questi scritti rispondevano ad un interesse pubblico abbastanza diffuso (a quel tempo operava nelle vicinanze di Roma Benedetto da Norcia) testimoniando di nuovo in D. il desiderio di critica e di stimolo sociale. Questo non è in contraddizione col fatto che egli spesso lavorasse su ordinazione (Eugippio e altri); la sua abilità oratoria prendeva così progressivamente forma nell'espressione scritta.

D. scrisse su ordinazione anche opere di diritto canonico, e furono proprio queste ultime a renderlo famoso nel campo scientifico. Egli fu uno dei pochi autori di raccolte canoniche anteriori a Graziano, e in assoluto fu il primo in Occidente ad assumersi, facendo esplicitamente il proprio nome, la responsabilità delle proprie opere di diritto canonico.

La sua produzione si articola in un Liber canonum e - altra novità per la storia del diritto canonico - in un vero e proprio Liber decretorum contenente scritti che vanno dal papa Siricio (morto nel 399) al papa Anastasio II (morto nel 498). La prefazione di quest'ultima opera è indirizzata a Giuliano, presbitero di S. Anastasia in Roma.

Le decretali non provengono direttamente dall'archivio pontificio, come ha dimostrato il Wurm. contraddicendo l'Amelli. Dei canoni greci sotto il nome di D. esistettero almeno due traduzioni latine pervenuteci in tre redazioni: la Dionysiana I, un primo tentativo che ci è conservato solo in due manoscritti completi di età carolingia; e la Dionysiana II, dedicata al vescovo Stefano di Salona, che la sostituì probabilmente già intorno al 500 e che ebbe presto ampia diffusione. Quest'ultima è una collectio che raccoglie 50 Canones apostolorum e i concili di Nicea, di Ancira, di Neocesarea, di Gangra, di Antiochia, di Laodicea, Costantinopolitano I, di Calcedonia, di Serdica e d'Africa, mentre la redazione modificata e bilingue richiesta dal papa Ormisda (54-523) e chiamata Dionysiana III, che non contiene quei passi "quos non admisit universitas" - e cioè i Canones apostolorum, Serdicenses, Africani -, è andata perduta tranne la prefazione di dedica.

A distinguere D. dagli altri canonisti attivi in quegli stessi anni a Roma durante la "rinascenza gelasiana" non fu il fatto di aver raccolto materiale antico e di grande valore, come testi conciliari e decretali; quanto a materiale anzi egli era perfino inferiore, e anche la sua opera, per quanto la Chiesa romana l'avesse ben presto accolta giudicandola molto favorevolmente (la prima testimonianza di adozione risale al 534, da parte del papa Giovanni II), non entrò mai tra i libri ufficiali di diritto canonico. D. fu insuperato per l'elevata qualità del suo lavoro, che egli raggiunse grazie ad un esercitato bilinguismo, che gli consentì una sintassi corretta, uno stile accurato e, in particolare, una resa in latino il più possibile vicina alla lettera dell'originale greco attraverso un continuo "labor limae".

Ancor più efficace si dimostrò in seguito il suo metodo, influenzato forse dal diritto romano, di ordinare il materiale in modo chiaro e pratico per la consultazione: distinzione precisa tra atti dei concili e lettere papali; ordinamento cronologico delle decretali. articolate, così come pure i canoni, in singoli capitoli con una nuova numerazione per ciascun papa. Fin dall'inizio dell'opera, per mezzo di un elenco delle rubriche, D. informava in modo agile ed affidabile il lettore sul contenuto complessivo della sua opera.

Non è significativo soltanto il fatto che le sue raccolte, con diverse modifiche, siano sopravvissute in centinaia di manoscritti nel Medioevo: tra gli altri, quello contenente la Dionysiana ampliata, la Dionysiana di Bobbio, ma in particolare quello contenente la DionysioHadriana, il grande codice di canoni e decretali del periodo carolingio, "che ha contribuito a gettare un ponte tra il diritto canonico antico e quello medievale" (Feine). D., con i suoi lavori di canonistica, improntati alla critica e all'ordinamento delle fonti, ha aperto la strada ad una comprensione del tutto nuova delle fonti giuridiche della Chiesa. Tutte le grandi raccolte sistematiche dei secoli seguenti vennero composte con l'ausilio della Dionysiana: in Africa la Concordia canonum di Cresconio; in Gallia la Vetus Gallica; in Spagna, oltre a quella ordinata storicamente, la Hispana sistematica; forse persino la Hibernensis in Irlanda; nell'Impero carolingio la Dacheriana, in seguito più volte copiata. La concezione consapevolmente sistematica di D. è strettamente connessa con la formazione del diritto canonico sistematico occidentale, formazione che ancora deve essere illuminata nei particolari. Con D. si inauguro una svolta fondamentale nella canonistica: la sua epoca, cioè gli anni intorno al 500, poté essere definita come "svolta dionisiana", un momento davvero cruciale nella storia del diritto canonico occidentale.

Il Peitz ha teorizzato che l'originale "esemplare di lavoro di D. come unico traduttore e redattore", conservato nell'archivio pontificio di Roma, sia stato "la comune fonte di tutta la tradizione canonistica dei primi secoli" e che le modifiche testuali successive presenti nelle altre collezioni essenzialmente non siano altro che "una contaminazione originaria", da collegare cioè a correzioni operate dallo stesso D. nella "protodionisiana". Ma questa teoria rivoluzionaria assegna a D. un ruolo superiore a quello che egli ebbe realmente. Le ipotesi del Peitz, in definitiva mai provate, non possono assolutamente corrispondere, nella loro unilateralità, alla realtà antica e medievale, anche considerando soltanto i problemi pratici e legati alle tecniche di produzione.

La fama, che D. si era acquistato dal punto di vista scientifico, lo destinava evidentemente anche a risolvere il problema del calcolo della data della Pasqua, che da tempo divideva le Chiese di Oriente e Occidente. A differenza dell'aquitano Vittorio, che intorno al 457 cercava ancora senza risultato di conciliare i sistemi romano e alessandrino, molto differenti tra loro, D. nel 525 optò con decisione per il ciclo di diciannove anni caratteristico della Chiesa orientale.

La sua scelta ebbe come risultato il computo della Pasqua contenuto nel Liber de Paschate, opera divisa in più parti: Libellus de cyclo magno Paschae con una breve prefazione al vescovo Petronio; Argumenta paschalia; e lettera del patriarca Proterio di Alessandria al papa Leone I. D. continuò a fissare le date della Pasqua secondo questo ciclo per una serie di 5 per 19 anni (dal 532 al 626). Nella stessa direzione rispose nel 526 ad una richiesta ufficiale della corte papale con l'Epistola ad Bonifatium primicerium notariorum et Bonum secundicerium de ratione Paschae, richiamandosi di nuovo alla presunta autorità del concilio di Nicea. In questo modo si ponevano definitivamente le basi per la progressiva unificazione del giorno della festività pasquale nel mondo cristiano. I calcoli di D. furono utilizzati già da Cassiodoro nel suo Computus paschalis.

La dimostrazione che il ciclo pasquale di 532 anni derivava dal prodotto del ciclo solare per quello lunare non si deve certo a D.; era invece una novità il fatto che egli, nella sua tabella pasquale, non facesse più cominciare gli anni dall'imperatore romano Diocleziano, "l'empio persecutore dei Cristiani" (come invece si usava fare a partire dalla storia ecclesiastica di Eusebio), bensì dalla nascita di Cristo, alla quale egli tuttavia attribuì una data un po' troppo avanzata, fissandola all'anno 754 ab Urbe condita. A ragione D. viene considerato il fondatore della cronologia cristiana, anche se il computo degli anni "ab incamatione Domini" entrò in vigore ovunque solo alcuni secoli più tardi, grazie soprattutto al venerabile Beda, che se ne servì nella sua Historia ecclesiastica gentis Anglorum del 731, diffusa in tutto l'Occidente.

D. godette, ancora in vita, di grande notorietà e autorevolezza grazie alla sua opera, che consentì tra l'altro alla sua fama di sopravvivere per secoli.

Nella sua attività seguì sempre "lo stesso principio-guida: unione dei valori educativi della Grecia e di Roma, traduzioni di documenti importanti ordinate in modo chiaro e il più possibile affidabili, in modo tale che su questa base il confronto e la reciproca comprensione tra Chiesa d'Oriente e Chiesa d'Occidente potessero portare, nel modo più rapido e semplice possibile, ad unità e verità" (Wurm).

In questo senso, D. ha reso un valido servigio alla storia culturale dell'umanità, lavorando per l'unificazione culturale di Oriente ed Occidente nel passaggio dall'Antichità al Medioevo.

Opere ed edizioni. La più completa raccolta degli scritti di D. è quella edita dal Migne, che tuttavia non risponde alle esigenze della modema critica storico-filologica: Translatio epistolae synodicae s. Cyrilli et concilii Alexandrini contra Nestorium, in J.-P. Migne, Patr. Lat., LXVII, coll. 9-18; Epistolae duae de ratione Paschae, ibid., coll. 19-23 (a Petronio) e 23-28 (a Bonifacio e Bono); Collectio Dionysiana IL Epistola praefatoria di D. e Canones apostolorum et conciliorum, ibid., coll. 139-230; Epistola praefatoria di D. e Decreta pontificum Romanorum, ibid., coll. 231-316 (dalla DionysioHadriana!); Translatio libri s. Gregorii Nysseni de conditione hominis (de opificio hominis), ibid., coll. 345-408; Translatio epistolae s. Procli ad Armenios, ibid., coll. 407-418; Translatio historiae inventionis capitis s. Joannis Baptistae, ibid., coll. 417-454; Liber de Paschate, ibid., coll. 483-508; Translatio epistolae Proterii ad Leonem papam, ibid., coll. 507-514; Epistola de ratione Paschae (a Bonifacio e Bono), ibid., coll. 513-520; Translatio orationis s. Procli de Deipara, ibid., XLVIII, coll. 777-781; Translatio vitae s. Pachomii abbatis Tabennensis, ibid., LXXIII, coll. 227-272; Translatio vitae s. Thaisis meretricis, ibid., coll. 661 s.; Epistola ad Hormisdam papam, ibid., Suppl. IV, coll. 19 s.; Epistola ad Ioannem (Maxentium) et Leontium, ibid., coll. 20 s.; Epistola ad Pastorem abbatem Poenitentiae s. Thaisis praemissa, ibid., coll. 21 s.

Edizioni critiche: I. Lettere prefatorie: Dionisii Exigui Praefationes latinae genuinae in variis suis translationibus ex Graeco, a cura di F. Glorie, in Corpus Christianorum, Ser. Lat., LXXXV, Scriptores "Myrici" minores, Turnholti 1972, pp. 33-81.

II. Opere teologico-letterarie (traduzioni latine dal greco): Libellus quem dederunt apocrisarii Alexandrinae ecclesiae legatis ab urbe Roma Constantinopolim destinatis, in Corpus scriptorum ecclesiasticorum Latinorum, XXXV, Epistulae imperatorum, pontificum, aliorum inde ab a. CCCLXVII usque ad a. DLIII datae. Avellana quae dicitur collectio, a cura di O. Guenther, 1, Pragae-Vindobonac-Lipsiae 1895, n. 102, pp. 468 ss.; Cyrilli epistula synodica contra Nestorium. Cyrilli epistulae duae ad Successum, in Acta conciliorum oecumenicorum, I, Concilium universale Ephesenum, a cura di E. Schwartz, 5,2, Berolini et Lipsiae 1924-1926, pp. 235-244 e 294-302; Procli Constantinopolitani Tomus ad Armenios, ibid., IV, Concilium universale ConstantinoPolitanum sub Iustiniano habitum, a cura di E. Schwartz, 2, Argentorati 1914, pp. 196-205; Vita s. Pachomii abbatis, a cura di H. van Cranenburgh, in H. van Cranenburgh, La vie latine de Saint Pachóme traduite du grec par Denys le Petit, Bruxelles 1969, pp. 77-232 (col testo originale greco a fronte). Opere dubbie: Exempla sanctorum patrum, contenuta nella Nova collectio pro controversia de Uno e Trinitate in carne passo ... (Collectio Novariensis), a cura di A. Amelli, in Spicilegium Casinense complectens analecta sacra et profana, I, Montis Casini 1893, pp. 157-176, edita anche a cura di E. Schwartz, in Acta conciliorum oecumenicorum, IV, 2,..., pp. 74-96, ed. a cura di F. Glorie, in Corpus Christianorum, Ser. Lat., LXXXV,..., già citati, pp. 85-129.

III. Opere canonistiche (in parte traduzione latina dal greco): Collectio Dionysiana I e II (ed. crit. non completa), in Ecclesiae Occidentalis monumenta iuris antiquissima..., I, 1, parte I, Canones qui dicuntur Apostolorum, a cura di C. H. Turner, Oxonii 1899, pp. 1-32; ibid., I, 1, parte II, Nicaeni concilii, capitula, symbolum, praefatio, canones, a cura di Id., ibid. 1904, pp. 250-273; ibid., I, II, parte III, Concilium Serdicense. Gesta de nomine Apiarii, a cura di Id., ibid. 1930, pp. 446-487, 566-622 passim; ibid., II, parte I, Concilium Ancyritanum et Neocaesariense, a cura di Id., ibid. 1907, pp. 37-115, 117-141 passim; ibid., II, parte II, Concilium Gangrense. Concilium Antiochenum, a cura di Id., ibid. 1913, pp. 165-211, 221-315 passim; ibid., II, parte III, Concilium Laodicenum. Concilium Constantinopolitanum, a cura di Id., ibid. 1939, pp. 327-389, 405-421 passim; A. Strewe, Die Canonessammlung des D. E. in der ersten Redaktion, Berlin-Leipzig 1931; Canones Chalcedonenses secundum versiones Dionysii Exigui, in Acta conciliorum oecumenicorum, II, Concilium universale Chalcedonense, a cura di E. Schwartz, 2,2, Berolini et Lipsiae 1936, pp. 51 [143]-60 [152], 63[155]-77 [169]; Decretales selectae, a cura di H. Wurm, in Apollinaris, XII (1939), pp. 40-93; Innocentii papae Epistula ad Decentium episcopum Eugubinum, in R. Cabié, La lettre du pape Innocent Ier à Décentius de Gubbio (19 mars 416), Louvain 1973, pp. 18-32; Codex Apiarii causae, in Corpus Christianorum, Ser. Lat., CXLIX, Concilia Africae a. 345-a. 525, a cura di C. Munier, Turnholti 1974, pp. 89 ss. passim.

IV. Scritti di cronologia: Argumenta Paschalia, in B. Krusch, Studien zur christlich-mittelalterlichen Chronologie, in Abhandlungen der preussischen Akademie der Wissenschaften, philos.-hist. Klasse, VIII (1937), pp. 82-86; Libellus de cyclo magno Paschae, ibid., pp. 63-74.

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