Diomede

Enciclopedia Dantesca (1970)

Diomede

Giorgio Padoan

Eroe della mitologia greca, figlio di Tideo, re di Argo. Fu uno dei più valorosi guerrieri greci, famoso per l'abilità con cui combatteva sul cocchio; partecipò alla guerra di Troia, dove uccise molti nemici e ferì la stessa Venere. Inseparabile compagno e amico di Ulisse, fu con l'itacese nelle più famose imprese di quell'assedio: insieme a Ulisse convinse Achille a partecipare alla guerra di Troia, con Ulisse sorprese Reso nel sonno seminando strage tra i nemici e con Ulisse penetrò nella rocca di Ilio portando via il Palladio.

Al ritorno dalla guerra, respinto dalla moglie che l'aveva tradito, venne in Italia, dove aiutò il re Dauno contro i Messapi, avendone in sposa la figlia Enippe e fondando in Puglia la città di Argiripa (secondo alcuni mitografi, sarebbe invece il fondatore di Benevento). Virgilio immagina che i Latini inviino un messo a Diomede per averlo alleato nella guerra contro Enea (Aen. VIII 9-17, XI 225-295; cfr. anche Met. XIV 457-511). Ma non valsero né preghiere né promesse o doni: l'eroe non volle saperne, ricordando il grande valore guerriero di Enea e soprattutto considerando le sventure che si erano abbattute sui Greci vincitori di Troia e sui suoi stessi compagni quale giusto castigo di tanta scelleratezza.

Dante lo condanna nella bolgia dei mali consiglieri, unito per l'eternità a Ulisse in un'unica fiamma a due punte (If XXVI 52-63). Inutile rilevare che la figura predominante è quella di Ulisse: che ha guidato la fantasia del poeta anche nel determinare la condanna di Diomede tra i mali consiglieri (ancorché Diomede appaia sempre uomo forte e valoroso, più che astuto o fraudolento). L'idea degl'indissolubili legami che hanno unito i due in imprese tanto nefande perviene a D. da Ovidio e Stazio: questo descrive ampiamente, e commenta con tono di aspra condanna, il modo e le parole fraudolente con cui Ulisse, aiutato da Diomede, riesce a trascinare a Troia il giovane Achille (I 730 ss.); quello sottolinea ripetutamente la complice amicizia dei due, sì che l'uno appare quasi complementare all'altro: da Ulisse " luce nihil, gestum nihil est Diomede remoto " (Met. XIII 100, e 239-242; v. anche Ach. I 542 ss., 700-701, ecc.). D. non rimprovera esplicitamente a Diomede il sacrificio di Ifigenia, cui fu persuasore Ulisse (Ovidio peraltro non vi nomina, con l'itacese, Diomede: cfr. Met. XIII 184-195), né l'uccisione di Reso e dei compagni (che tuttavia poté conoscere da Aen. I 469-473 e da Met. XIII 98 e 249-251); i tre gravi peccati rimproverati ai due greci sono l'arte fraudolenta con la quale persuasero Achille ad abbandonare Deidamia (giusta il racconto staziano; cfr. anche Pg IX 39), l'inganno con cui riuscirono a portar via da Troia il Palladio, senza curarsi della profanazione (Virgilio li aveva bollati con parole di fuoco per quell'infame impresa: " impius ex quo / Tydides sed enim scelerumque inventor Ulixes / fatale adgressi sacrato avellere tempio / Palladium, caesis summae custodibus arcis, / corripuere sacram effîgiem manibusque cruentis / virgineas ausi divae contingere vittas ", Aen. II 163-168; per il giudizio di condanna cristiana di quell'atto ritenuto irreligioso, v. s Agostino Civ. I 2), e l'inganno del cavallo di legno, mascherato con un pretesto religioso (il voto a Pallade: cfr. Aen. II 17). Per quest'ultima impresa è d'obbligo il rinvio al libro secondo dell'Eneide, dove tuttavia Diomede non è nominato tra gli eroi nascostisi nel cavallo (cfr. vv. 261-264); ma una fiorente tradizione medievale, che pare rifarsi indirettamente a Igino, collega i due greci anche in quell'inganno.

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