DHARMAŚĀSTRA

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1991)

DHARMAŚĀSTRA

Irma Piovano

(XII, p. 715)

Denominazione sanscrita usata per indicare una serie di manuali (śāstra) che, insieme con i più antichi Dharmasūtra ("Aforismi sul Dharma"), i commentari e i digesti, costituiscono il corpus dell'antico diritto indiano. Dharma è termine tecnico che ha esteso la primitiva connotazione semantica della radice dhṛ, "reggere", "mantenere saldo e immutabile", all'indicazione dell'insieme di quanto è "stabilito ab aeterno", dei doveri religiosi e morali assunti nella loro più ampia estensione.

Nel quadro di un'accezione che non ha mai mutato nel tempo la sua primitiva essenza, il dharma non disgiunge mai, in substantia rerum, le due categorie parallele di dovere morale e di fondamento religioso. Esso designa, in un insieme quasi indiscriminato di sacro e di profano, tutti gli aspetti dell'azione umana, indica la regola costante, la forza di coesione e di equilibrio, la Legge che non si può violare e attraverso la quale si realizza l'ordine stesso delle cose. Insieme con l'artha (le attività della vita pratica e quindi anche la politica) e il kāma (l'amore e il piacere sessuale), esso costituisce il trivarga, il complesso dei tre fini dell'esistenza umana che, armonicamente contemperati e convenientemente perseguiti, conducono alla liberazione (mokṣa) dalle rinascite e dal dolore dell'esistenza.

La tradizione indigena riconosce come fonti del dharma la ''rivelazione'' (śruti), ossia l'insieme dei testi vedici in quanto rivelati direttamente dalla divinità; la ''tradizione'' (smṛti), cioè i testi considerati opera umana e tramandati per via mnemonica; i modi di vita praticati dalle persone virtuose e dalle persone colte; gli usi e i costumi delle regioni, delle caste, delle famiglie (o diritto consuetudinario).

Il dharma ha dato origine a un'imponente letteratura che dalla fine del periodo vedico (circa 6° secolo a.C.) si estende fino al 18° secolo e conta un ragguardevole numero di opere, ricordate o frammentariamente citate dai maggiori trattati in nostro possesso ma perdute nella loro realtà testuale. La fase più antica di questa letteratura è rappresentata dai Dharmasūtra, testi che rientrano nell'ambito di quei manuali ausiliari e dottrinali elaborati per un più preciso apprendimento del rituale relativo a ciascun Veda e facenti capo a questa o a quella scuola vedica. Sono redatti in prosa di stile aforistico o in prosa alternata con parti versificate; in queste composizioni gli spunti giuridici presenti in forma embrionale e sporadica nei testi vedici più antichi hanno assunto una veste più consistente. Superando i limiti e i particolarismi conseguenti alla loro originaria appartenenza all'una o all'altra scuola vedica, tali testi tendono a offrire nei confronti di alcuni temi una visione più ampia e compiuta che acquista carattere di universalità.

Gli argomenti più propriamente giuridici contenuti nei Dharmasūtra concernono di norma le fonti del dharma e i doveri dell'uomo in fatto di religione e di morale, considerati piuttosto in quanto norme attinenti la famiglia che non nel quadro di categorie giuridiche inerenti i rapporti sociali e la vita pubblica. Vi trovano già precisa definizione concettuale le teorie delle quattro caste (varṇa) e dei quattro stadi della vita (aśrama), la cui combinazione costituisce il fondamento sul quale si organizza armonicamente la vita dell'uomo sia dal punto di vista individuale sia da quello sociale. Oltre alla regolamentazione relativa ai fuori casta, vi si trovano elencate le pene sancite per le diverse infrazioni, i doveri e le responsabilità del sovrano, le norme di tassazione, i prestiti, gli interessi, il pagamento dei debiti e dei depositi, le prescrizioni sui fondamenti dell'istituto familiare, le norme relative a matrimoni, adozioni, levirato, eredità, princìpi di contenzioso e di diritto penale. In genere non hanno carattere strettamente ''giuridico'' e le prescrizioni in essi contenute altro non sono che un insegnamento prescrittivo a carattere dommatico che si fonda sull'eterno vero della religione. Nella forma e nella sostanza sono libri dottrinali, ma la loro dottrina è dottrina di un imperativo che, pur senza comminare sanzioni terrene, ci appare equivalente, se non superiore, a quello che è proprio della Legge.

La datazione di questi trattati è discussa: la stessa cronologia comparativa fra i Dharmasūtra e i testi che costituiscono la fase successiva della trattatistica giuridica, e cioè i D., è problema che rimane, per ora, insoluto. Nell'insieme, la loro composizione può essere presumibilmente situata tra il 6° e il 2° secolo a.C. I principali Dharmasūtra sono quelli di Gautama (ritenuto il più antico), Apastamba, Baudhāyana, Vasiṣṭha e Viṣṇu.

I D., denominati anche smṛti (o dharmasmṛti, "Tradizione del corpo del giure"), segnano lo stadio più avanzato della letteratura giuridica. Sono veri e propri trattati di diritto, redatti in strofe di stile epico in una lingua meno arcaica di quella dei Dharmasūtra e più vicina al sanscrito classico. Lo stesso stile non è più ellittico, ma vuol essere chiaro e facile da comprendere. L'esposizione della materia legale vi appare più ampia e particolareggiata; vi si trovano ormai costituite le categorie-base dello scibile giuridico e si è affermata la tendenza a sistematizzare un insegnamento giuridico d'ordine generale, nel quale l'interesse preminente si è spostato dal piano religioso a quello civile. I D. testimoniano contemporaneamente un ampliamento dell'insegnamento del dharma, tanto nel contenuto quanto nella portata, oltre che una specializzazione che ne fa, ormai, una disciplina indipendente. Secondo alcuni studiosi questa specializzazione, segnata dall'apparizione di scuole indipendenti del dharma, deriverebbe, da un lato, dallo sviluppo delle cinque scienze ausiliarie inizialmente insegnate come complemento dello studio di un Veda, dall'altro sarebbe dovuta sia al ruolo sempre più essenziale assunto dai brammani nell'amministrazione della giustizia, sia all'esigenza manifestatasi nella società post-vedica, di una legislazione che salvaguardasse l'unità di quanti, fra la popolazione, pretendevano di appartenere legittimamente alla tradizione brammanica. Il sorgere dei D. sarebbe dunque dovuto alla presa di coscienza di una discriminante comunità di cultura nei cui ''modi di vita'' si sarebbe identificata una specie di ''codice dell'indianità''.

Questi testi, circondati da leggende che conferiscono loro un'origine mitica, si presentano come la parola di Brahmā, raccolta da semidei o da saggi e trasmessa in forma abbreviata fino a noi. Non rivelano alcun legame con una scuola vedica specifica, né alcuna preferenza per un rituale particolare, e sembrano opere di scuole unicamente dedicate allo studio del dharma. Pertanto, dalla loro apparizione, le regole da essi prescritte hanno autorità per tutti gli Arii, non più soltanto nella cerchia ristretta di questa o quell'altra scuola. Pur non trascurando le osservanze e le pratiche religiose o rituali, essi dedicano ampio spazio alle regole destinate all'amministrazione della giustizia che sono classificate con metodo e studiate secondo un certo numero di rubriche.

I principali fra questi codici di leggi sono legati per affinità di princìpi ideologici e per età con fasi particolarmente significative della cultura e con periodi importanti della storia dell'India; essi sono uniti da strette analogie con gli insegnamenti giuridici contenuti nel Mahābhārata, nei Purāṇa, nei Jātaka, o nelle sezioni che l'Arthaśāstra di Kauṭilya dedica ai problemi di ordine giuridico, e costituiscono documenti di estrema importanza per la conoscenza della cultura e della società dell'India antica.

La letteratura dei D., i cui termini cronologici vanno grosso modo dagli inizi dell'era volgare fino al 9° secolo, epoca in cui compaiono i primi commentari a noi pervenuti, è estremamente abbondante. Il numero di questi testi supera largamente il centinaio, ma molti di essi sono poco conosciuti o non sono noti che grazie a citazioni spesso sporadiche e frammentarie. Una dozzina soltanto sono stati fatto oggetto di commentari. I testi ritenuti più antichi sono quelli di Manu, Narada e Yājñavalkya. Di tutti, il Codice di Manu, o Mānavadharmaśāstra, è il più rinomato, diffuso e importante, e la sua indiscussa autorità in tema di diritto gli deriva non tanto dal fatto che esso proclama la sua origine divina e si dichiara opera di Manu, progenitore mitico della razza umana e fondatore del diritto e dell'ordine sociale, quanto dal fatto che esso presenta una trattazione globale del dharma nella quale s'instaura per la prima volta il processo di distinzione tra contenzioso e penale.

Bibl.: M. Vallauri, Diritto e Scienza dell'India, in Le Civiltà dell'Oriente, iii, Roma 1938, pp. 677-743; O. Botto, L'antico diritto indiano: fondamenti e metodi, in Letterature Comparate, 1981, pp. 23-37.

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