DERIVAZIONE

Enciclopedia Italiana (1931)

DERIVAZIONE (fr. dérivation; sp. derivación; ted. Ableitung; ingl. derivation)

Gaetano Ganassini

Ogni complesso di opere, destinate a togliere da un ammasso d'acqua una parte di essa per destinarla ad altra via, prende il nome di derivazione. Le derivazioni si possono attuare a pelo libero o in condotta forzata: dal punto di vista teorico generale i due sistemi si equivalgono; in linea tecnica e costruttiva sussistono invece sostanziali differenze.

Il principio teorico generale che presiede allo studio delle derivazioni è il seguente: "ogni modificazione di regime d'una massa liquida induce un assorbimento di energia che nell'idraulica si manifesta sempre sotto una forma unica, la perdita di carico" (v. idrodinamica). Ne segue che tutte le dissertazioni teoriche che si elaborano nello studio d'una derivazione, debbono concludere alla determinazione d'una grandezza lineare, l'altezza o carico.

Il primo studio riguarda perciò le condizioni topografiche della località interessata e l'altimetria delle acque nei varî stati in cui può trovarsi il corso d'acqua, avendo riguardo specialmente alle condizioni estreme, di piena e di magra minima. Le derivazioni d'acqua si possono diversamente classificare a seconda dei criterî tassinometrici che si vogliono adottare. Secondo lo scopo, le derivazioni si suddividono in: 1. derivazioni a scopo irriguo; 2. derivazioni per creazione di forza motrice; 3. derivazioni per canali navigabili; 4. derivazioni per uso potabile, igienico o industriale; 5. derivazioni per difese indirette delle sponde dei fiumi; 6. derivazioni a scopo di bonifica.

Derivazioni a scopo irriguo (v. anche irrigazione). - Le acque fluenti dei fiumi vengono captate e incanalate con speciale riguardo all'altimetria delle campagne da irrigarsi: si deve quindi cercare di mantenere il più possibile la quota alta riducendo al minimo la perdita di carico. La pendenza dei canali si stabilisce la minima possibile con riguardo al criterio economico: pure con riguardo all'economia si decide la natura del rivestimento delle pareti.

I canali d'irrigazione si distinguono in primarî, secondarî e terziarî: vi sono poi ancora le bocchette d'alimentazione. I primarî servono al trasporto dell'acqua fino alla zona da irrigarsi, i secondarî recano l'acqua ai singoli poderi, i terziarî intersecano i campi e sono distanziati con riferimento all'estensione dell'alimentazione che può essere raggiunta dalle bocchette aperte in fregio ai canali stessi: questa estensione è in ragione inversa della bibacità del terreno. Per il calcolo della sezione dei canali, v. canale.

Spesso per l'irrigazione è necessario sollevare l'acqua meccanicamente per giungere a una quota tale che consenta la sua distribuzione nei campi: il caso tipico si ha quando si attinge l'acqua dal sottosuolo a mezzo di pozzi.

Si usano, per il sollevamento dell'acqua, macchine idrovore che possono essere pompe centrifughe, pompe a stantuffo, ruote idrovore, coclee, eiettori e, in casi speciali, arieti idraulici: le macchine sono azionate da motori termici o elettrici salvo che per le ruote idrovore e per gli arieti idraulici, dove è la stessa corrente d'acqua che fornisce automaticamente l'energia per il sollevamento. Dati i rendimenti del motore elettrico e della pompa, che si possono in media ragguagliare a 0,80 e a o,70, si può stabilire la regola pratica che occorra 1 kWh. per sollevare 20 mc. all'altezza di 10 m. Queste irrigazioni servono molto bene per i piccoli poderi: la bocchetta d'alimentazione deve sempre essere integrata da un serbatoio di conveniente capacità per poter fare una utilizzazione completa e razionale dell'acqua disponibile: si può empiricamente ritenere che si richiedano da 10 a 20 mc. di serbatoio per ogni litro-secondo di portata.

Derivazioni per creazioni di forza motrice. - La condotta delle acque per la creazione di forza motrice non richiede di solito norme particolari: solo per i grandi corsi d'acqua di pianura dove la forza motrice si attinge quasi esclusivamente alla differenza tra la perdita di carico idrodinamica nel corso naturale e quella più ridotta che si realizza in un canale artificiale, si presenta il problema complesso, d'indole solo economica, di trovare la velocità e, corrispondentemente, la pendenza e le dimensioni del canale tali da ottenere la massima produzione col minimo dispendio specifico.

Infatti se si aumenta la pendenza si perde di salto, ma si rimpicciolisce la sezione: chiamando C il costo del canale, esso può esprimersi in funzione della velocità V con un'espressione empirica del tipo:

dove n è un numero sempre maggiore di 1: d'altra parte il valore dell'impianto, se H è il salto naturale disponibile, cioè il dislivello tra i peli d'acqua al punto di presa e alla restituzione allo stato naturale del fiume, Q la portata, i la pendenza del canale derivato e l la lunghezza, è dato da:

la pendenza i si esprime in funzione di V con la relazione approssimata semplice: V = ci; il costo specifico dell'impianto per quanto riguarda la sola costruzione del canale risulta quindi:

il valore di i, che rende minimo il costo specifico, si ha dalla relazione:

La trattazione tecnica ha importanza solo per dimostrare l'esistenza del valore minimo: praticamente la ricerca si eseguisce numericamente anche perché spesso la variazione di pendenza introduce delle varianti costruttive di cui il calcolo non può tenere conto.

Per le determinazioni relative alle sezioni dei canali (v. canale) è da tener presente l'assoluta convenienza di ridurre al minimo la sezione salvo valori critici della portata per i canali in galleria.

Quando il canale si deriva da un serbatoio si adotta spesso la cosiddetta galleria forzata (v. condotta): cioè si conduce l'acqua riempiendo tutta la galleria.

Per decidere sulla convenienza di adottare una derivazione in condotta forzata piuttosto che una derivazione a pelo libero, sempre quando ci sia un serbatoio alla presa, è necessario conoscere a priori il diagramma giornaliero d' esercizio. Dall'esame di questo diagramma, è dato stabilire senz'altro, da una parte, la capacità della vasca di carico corrispondente alle variazioni del diagramma, dall'altra la portata massima che necessita erogare in centrale. Se la capacità è ridotta perché la caduta è molto forte, allora la galleria sotto carico può risultare meno conveniente, in quanto la capacità di portata del canale può limitarsi alla media. Il confronto in questo caso è semplice: la differenza di costo tra il canale a pelo libero con capacità di portata limitata alla media e quello della galleria forzata prevista per la massima portata deve essere superiore al costo della vasca di carico perché questa ultima soluzione sia preferibile. Nel caso più comune però si tratta di sostituire un canale a pelo libero con la stessa capacità di portata della galleria forzata costituendo una modesta capacità alla vasca di carico per compensare le brusche e impreviste variazioni di chiamata di carico di breve durata. In linea di norma, e salvo naturalmente ogni più precisa indagine sperimentale caso per caso, si può stabilire che quando la roccia è sana così da non richiedere nella galleria, per funzionare sotto carico, dei presidî speciali (rivestimenti metallici o di cemento armato) conviene sempre la galleria forzata: quando invece la formazione è tale da non dare affidamenti se non si costituisce all'infuori della roccia una struttura di resistenza indipendente, allora in linea economica e anche per la sicurezza d'esercizio conviene attenersi alla soluzione d'una galleria a pelo libero.

Quando si sia deciso di adottare la galleria forzata pure provvedendo a un rivestimento di cemento armato, si delinea ancora un problema di massima economia: quale sarà il diametro da assegnare alla galleria per realizzare il minor costo. Si dimostra facilmente che facendo lavorare il ferro a 1000 kg./cmq. e assumendo come rapporto dei moduli di elasticità alla tensione del ferro e del calcestruzzo, il valore 25, e limitando il lavoro del calcestruzzo armato alla tensione a 10 kg./cmq., si ha lo spessore s del rivestimento espresso in cm. dalla relazione semplice:

essendo il diametro D e l'altezza di carico totale H espressi in metri e s in centimetri: ora scomponendo l'altezza H nei due elementi costitutivi, il carico h all'inizio e la cadente della galleria da stabilirsi eguale alla perdita di carico per attrito cioè alla cadente della piezometrica, si può facilmente ottenere l'espressione del volume di rivestimento in funzione del diametro D e, derivando, l'equazione da risolvere per trovare il valore di D che corrisponde al volume minimo di rivestimento: si trova

dove c è il coefficiente del termine q2/D5 per il calcolo della perdita di carico per attrito, l è la lunghezza della galleria in metri, q la portata in mc. al minuto secondo, e h il carico iniziale della galleria cioè la profondità sotto la massima ritenuta della luce di presa dal serbatoio.

Evidentemente i risultati debbono vagliarsi in rapporto all'ammissibilità pratica dei valori trovati: cosi è da tenersi presente che non è prudente nelle gallerie forzate avere velocità medie superiori a 3 m./sec.

Le derivazioni per creazione di forza motrice hanno sempre un edificio speciale che separa la conduzione dell'acqua al posto in cui si utilizza il salto, dalla conduttura che immette direttamente l'acqua ai motori idraulici. Questo edificio, a cui si è accennato parlando delle capacità di portata da assegnarsi ai canali derivati dai serbatoi, prende il nome di vasca di carico se il canale adduttore è a pelo libero, di pozzo piezometrico o vasca di oscillazione se il condotto è sotto pressione.

Nel primo caso serve solo a rallentare la velocità di arrivo e a creare un regime tranquillo per l'immissione dell'acqua nei tubi, salvo che, come si è visto, non si voglia dalla vasca di carico, creata con capacità esuberante allo scopo accennato, attingere il mezzo di variare l'erogazione dell'acqua in centrale; nel secondo caso l'edificio ha un'importanza tecnica più essenziale perché provvede ad arrestare la propagazione alla galleria forzata dei colpi d'ariete che facilmente si producono nelle tubazioni metalliche.

Le sovrapressioni rapide e ritmiche del moto perturbato non sono tollerate dalle strutture rigide che rivestono le gallerie: la pratica ha dimostrato che sotto queste azioni dinamiche si producono facilmente fessure pericolose. L'efficacia del pozzo piezometrico per l'arresto delle propagazioni delle onde di pressione del moto perturbato, deriva dal fatto fisico che la discontinuità del condotto e l'apertura d'uno sfogo di sufficiente entità, modificano la natura del fenomeno che accompagna il moto perturbato e che si caratterizza nella reazione elastica del mezzo liquido e più ancora dell'involucro metallico, trasformando le oscillazioni vibratorie in oscillazioni di massa: l'energia cinetica bruscamente liberata dall'arresto del deflusso, si spegne più dolcemente nella sopraelevazione del pelo d'acqua nel pozzo piezometrico. La teoria dei pozzi piezometrici ha indicato in modo molto preciso come si debbono dimensionare i pozzi stessi in rapporto alla lunghezza della galleria e alla velocità dell'acqua: una delle espressioni piti attendibili, per quanto solo approssimata, è la seguente:

dove h è la sopraelevazione massima di pelo d'acqua che si produce nel pozzo per una chiusura totale dell'erogazione, espressa in metri; v è la velocità dell'acqua nella galleria all'atto della chiusura, espressa in metri al 1″, l la lunghezza della galleria, espressa in metri; ω la sezione della galleria, in mq.; Ω la sezione del pozzo, pure in mq.; g l'accelerazione di gravità, in metri al 1″; h0 la perdita totale di carico per attrito in galleria, corrispondente alla velocità v sempre espressa in metri.

Un complesso di opere in tutte le derivazioni, il manufatto di presa, serve a togliere l'acqua dal suo corso naturale per immetterla nella derivazione. La natura di questo manufatto e le modalità corrispondenti sono identiche sia che si tratti di derivazioni per irrigazione, sia che si tratti di quelle per forza motrice.

Il manufatto di presa per le acque fluenti consta essenzialmente della traversa, delle bocche di presa, degli scaricatori, delle opere di presidio per le sponde, delle opere regolatrici e modulatrici.

La traversa (v. diga) serve a creare e a mantenere il battente necessario per il funzionamento delle bocche di presa con qualsiasi regime idraulico del corso d'acqua e può essere a ciglio stabile o con sovrastrutture mobili. La prima disposizione si usa di preferenza nei torrenti e comunque dove il rigurgito creato non può danneggiare i terreni sulle sponde. Nei grandi fiumi e dove interessa ridurre al minimo il rigurgito durante il periodo di acque abbondanti, si limita l'altezza del ciglio fisso della traversa e vi si sovrappone una struttura di ritenuta che può essere tolta, spesso automaticamente, in tempo di piena.

Le traverse a ciglio fisso si profilano in modo che la massima lama liquida, che si prevede possa tracimare in epoca di piena, sia sempre aderente. Per questo basta sagomare il paramento a valle secondo la parabola corrispondente alla traiettoria teorica del filetto liquido più basso: se h è l'altezza della lama, l'equazione della parabola riferita a un asse orizzontale x e a un asse verticale y con l'origine sul ciglio interno della traversa, è semplicemente:

Per lo studio delle traverse è necessario avere la nozione più sicura possibile dell'entità della massima piena: per questa nozione debbono in linea principale tenersi presenti le determinazioni fatte direttamente, anche se approssimate: se vi sono segni di piena visibili si può con approssimazione grossolana calcolare la portata rilevando le sezioni trasversali del corso d'acqua in almeno due punti tra i quali sia stato possibile verificare il dislivello del pelo di piena. Quando non sia possibile fare altrimenti, si potrà calcolare la portata di piena con riferimento all'ampiezza del bacino imbrifero e all'altezza di pioggia.

Si usano, a questo scopo, formule empiriche: la più nota è quella dell'ing. Possenti:

dove q = portata di piena; c = coefficiente pmtico = 700 ÷ 800; l = lunghezza del fiume; h = altezza della pioggia in 24 ore; m = area del bacino montano; p = area del bacino di pianura.

Altre formule sono state date dal prof. ing. Forti e sono: per bacini dove si sono verificate intensità di pioggie di 400÷500 mm. in 24 ore:

e per bacini dove l'intensità dì pioggia non ha sorpassato i 250 mm.:

dove q = portata unitaria di piena in litri al minuto secondo per kmq., e S = area del bacino imbrifero in kmq.

Per stabilire il regime di piena sul manufatto di presa, è necessario conoscere le caratteristiche del fiume per un certo tratto a monte e a valle della traversa. Se si tratta di strutture mobili aventi la soglia a livello del fondo naturale del fiume, l'impostazione è semplice: basta considerare il moto uniforme nel tratto di fiume sistemato e calcolare il rigurgito idrodinamico prodotto dalle pile come si potrebbe fare per un ponte. Se il ciglio della traversa è sopraelevato sul greto del fiume, si produce il cosiddetto stramazzo rigurgitato e il calcolo del rigurgito è più incerto.

In linea di approssimazione si procede così: si calcola innanzi tutto quale sarà il regime del fiume appena a valle della traversa, considerando un tratto di esso abbastanza lungo cosi da poter applicare possibilmente le formule sperimentali del moto uniforme (nel caso in cui le variazioni di sezione siano di poca entità così da poter considerare, senza grandi scarti dalla realtà, una sezione media). Questa determinazione serve a delimitare la zona rigurgitata dallo stramazzo cioè la sopraelevazione sul ciglio fisso della traversa del pelo a valle: si ricorre allora, in linea di semplificazione, alla formula tipica:

dove Q = portata di piena; μ1 = coefficiente di contrazione variabile (con legge praticamente lineare) da o,40 a 0,50 per valori di h1 compresi tra 0 e h; h = sopraelevazione totale sul ciglio della traversa; l = sviluppo del ciglio della traversa: si ricava la relazione di 3° grado:

che può essere facilmente risolta per via grafica.

Determinato il livello di massima piena, si progettano con un franco conveniente, cioè con una conveniente altezza sul pelo dell'acqua, tutte le opere di difesa delle sponde e le passerelle di manovra delle paratoie.

Le bocche di presa debbono avere normalmente un'area tale per cui la velocità d'ingresso dell'acqua non superi 1 m./sec. È opportuno che le luci d'ingresso si aprano in fregio e parallelamente all'andamento del fiume così da ostacolare l'ingresso delle ghiaie. Una griglia ad elementi radi sarà collocata ad impedire l'ingresso o solo l'urto dei grossi galleggianti in epoca di piena.

Con la velocità d'ingresso di 1 m./sec., l'altezza di carico, cioè il dislivello tra i peli a monte e a valle delle luci, risulta di:

Sarà sempre opportuno, dove sia possibile, che le luci di presa siano totalmente rigurgitate, che cioè tanto a monte quanto a valle il pelo d'acqua sia piu̇ alto dell'orlo superiore delle luci stesse: in queste condizioni il valore del coefficiente di contrazione μ si aggira attorno a 0,8 e risulta h = m. 0,13. Sono preferibili le luci basse che consentono di aumentare il più possibile la sopraelevazione della soglia sul fondo: dove è possibile nei fiumi impetuosi e che trasportano molto materiale, sono consigliabili le cosiddette prese sfioranti, cioè le prese attuate con un grande sviluppo di soglia e con una sottile lama tracimante.

Lo scaricatore delle ghiaie si colloca sul fianco della traversa normalmente alle bocche di presa: ha la soglia depressa rispetto a quella delle bocche di presa, soglia raccordata a una platea detta platea di pulizia, che si estende per la larghezza dello scaricatore fino a monte dell'ultima bocca di presa e serve a facilitare il rotolamento delle ghiaie. Questo scaricatore viene aperto durante le piene ma con qualche accorgimento in rapporto all'altimetria del fondo: di massima conviene limitare l'apertura della paratoia così da mantenere la chiamata sul fondo per far meglio ruzzolare le ghiaie.

Alle bocche di presa fa seguito il canale moderatore che a sua volta è munito di uno sfioratore, di un dissabbiatore e di un edificio regolatore: il complesso costituisce l'opera modulatrice e regolatrice della portata: il canale moderatore deve avere dimensioni tali da rallentare la velocità dell'acqua derivata fino a un valore di circa 30÷40 cm./sec.; meglio se si può scendere a 10 cm./sec. La sponda della vasca viene incisa per una certa lunghezza per costituire lo sfioratore cioè uno scaricatore di superficie che lascia tracimare le acque eccedenti la portata che si vuole introdurre nel canale: per regolare questa portata serve un edificio di paratoie che immette direttamente nella testata del canale di derivazione. È a questo edificio che si assegna la vigilanza continua d'un guardiano per evitare il pericolo che le acque di piena possano invadere il canale stesso: a questo scopo la chiusura dell'edificio e la passerella di manovra sono poste ad un'altezza superiore al livello della massima piena prevedibile. Il dissabbiatore è una luce di spurgo della vasca, nella quale, per la rallentata velocità dell'acqua, si decantano le alluvioni minute da essa trascinate in sospensione.

Derivazioni per i canali navigabili (v. navigazione fluviale).

Derivazioni per uso potabile, igienico ed industriale (v. acquedotto).

Derivazioni per difese indirette delle sponde dei fiumi (v. fiumi).

Derivazioni a scopo di bonifica. - Le derivazioni che si debbono attuare a questo fine sono generalmente costituite da trincee di emungimento e di raccolta, le cui dimensioni debbono essere calcolate con gli stessi criterî che valgono per le derivazioni irrigue, salvo che qui la pendenza che si può assegnare ai canali è quasi sempre limitata dall'altimetria del terreno: molto spesso anzi l'altimetria è tale che non è possibile il deflusso naturale delle acque ed allora è necessario ricorrere agli impianti idrovori.

Le portate da assegnarsi ai diversi canali dipendono dalla estensione di terreno che sfocia in essi le acque di pioggia, oltre che dal gettito della falda freatica che essi incidono nel loro percorso. Le determinazioni relative a questi contributi si fanno, dove è possibile, con riferimenti sperimentali: in linea di approssimazione, quando mancano o sono insufficienti i dati dell'esperienza, con l'impiego di formule empiriche nelle quali entrano sempre dei parametri che dipendono dalle condizioni del terreno, variabili da caso a caso, ed è nell'assumere i valori di questi parametri che si manifestano le maggiori incertezze (v. bonifica).

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