DEMOCRAZIA

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1991)

DEMOCRAZIA

Gianfranco Pasquino

(XII, p. 591)

La famosa affermazione di A. Lincoln, secondo cui la d. è "il governo del popolo, dal popolo, per il popolo", per quanto ambigua (Sartori 1987, pp. 34-35), fornisce un modo eccellente di organizzare il discorso sulla d. e le sue forme. La democrazia come 'governo del popolo'. - 'Governo del popolo' significa indirizzare l'attenzione alle modalità con le quali il popolo può accedere davvero al governo. Storicamente, netta è stata la contrapposizione fra le forme di d. diretta e di d. rappresentativa. Nelle prime, talvolta identificate nella polis greca, nei cantoni svizzeri cari a Rousseau (che viene considerato il maggior sostenitore ed estimatore della d. diretta) e nelle città del New England, una popolazione decisamente omogenea si pronuncia su tutte le tematiche che la riguardano (e pronunzia così la 'volontà generale'). Nelle seconde, invece, il popolo affida un mandato a un certo numero di rappresentanti che, nelle loro assemblee, procederanno alle deliberazioni di loro spettanza (cosicché Marx, che vide nell'esperienza della Comune parigina un esaltante esempio di d. diretta, avrebbe sottoscritto la famosa espressione di Rousseau che il popolo, nella fattispecie quello inglese, è libero solo una volta ogni cinque anni, quando si reca a votare per i suoi rappresentanti).

Per quanto le forme democratiche contemporanee di governo abbiano tutte carattere e fondamento rappresentativo, nessuna di loro manca di elementi di d. diretta. Attualmente gli elementi di d. diretta sono costituiti dai referendum e dall'iniziativa legislativa popolare.

Attraverso il referendum, i cittadini, a livello locale e a livello nazionale, si esprimono pro o contro una determinata politica, una specifica legge, una determinata opzione (mantenere o no la legge che consente il divorzio, aderire o no alla Comunità Economica Europea, espellere o no gli stranieri). Attraverso l'iniziativa legislativa popolare, i cittadini introducono nelle assemblee rappresentative l'esigenza di regolamentazione di una materia sulla base di un progetto di legge redatto in articoli (per lo più senza alcuna garanzia che il progetto verrà sottoposto a un rapido esame o alla valutazione dell'elettorato nel suo complesso).

Gli elementi di d. diretta, in particolare i referendum, sono stati utilizzati con maggiore frequenza e incisività nell'ultimo ventennio. Di per sé, peraltro, essi non mutano la caratteristica dominante dei regimi democratici di essere d. rappresentative. Naturalmente, esistono tipi diversi di d. rappresentative, con un diverso peso e utilizzo degli strumenti referendari. La distinzione più nota è quella fra forme di governo parlamentari e forme di governo presidenziali. Molto sinteticamente, nelle prime l'esecutivo trae la propria legittimazione dal parlamento di cui deve godere la fiducia. Nelle seconde, l'esecutivo trae la sua legittimazione dall'elezione popolare diretta (che, in qualche modo, recupera così un'istanza dei sostenitori della d. diretta: l'elezione popolare, anche se non l'altra istanza: la revoca).

Esistono diverse varianti delle forme di governo parlamentari, a seconda della distribuzione del potere fra il capo dell'esecutivo e il parlamento e a seconda della natura del sistema partitico (governo del primo ministro, governo del cancelliere; sistemi bipartitici, sistemi multipartitici moderati, sistemi multipartitici estremi). Così come esistono diverse varianti delle forme di governo presidenziali: da quella, originaria, degli Stati Uniti, alle repubbliche presidenziali latino-americane, da essa derivanti, al semi-presidenzialismo della Quinta Repubblica francese.

Se, infine, si ha riguardo agli assetti istituzionali intesi in senso più ampio, nei quali si esprime il governo del popolo, allora è possibile distinguere, secondo A. Lijphart (1984), fra un modello maggioritario e un modello consensuale, sulla base della concentrazione del potere nell'esecutivo o della sua diffusione nei rapporti fra esecutivo e legislativo, della natura del sistema elettorale, maggioritario o proporzionale, della struttura dello Stato, unitaria o federale, del tipo di sistema partitico, bipartitico e multipartitico, dell'importanza delle minoranze, delle modalità decisionali, strettamente improntate alla regola della maggioranza o aperte ai contributi dell'opposizione e delle minoranze. Altrove, lo stesso autore ha elaborato il concetto di d. consociativa, intesa come una coalizione di tutte le forze politico-partitiche impegnate nella salvezza, a fronte di drammatiche sfide interne e internazionali, del quadro democratico in società disomogenee (per brevi periodi di tempo, inoltre, possono aversi grandi coalizioni). In definitiva, il governo del popolo si può esprimere in una molteplicità di assetti istituzionali e di modalità di formazione delle coalizioni di governo.

La democrazia come 'governo dal popolo'. - Affinché si possa dar luogo al 'governo dal popolo' sono necessarie numerose condizioni, formali e informali. L'elenco delle prime può essere molto lungo e dettagliato (addirittura codificato in alcune costituzioni, come quella italiana) e definibili sulla base dell'estensione, della tutela e della promozione di diritti: civili e politici, e poi anche sociali. Il governo potrà essere espresso (e rovesciato) dal popolo, in maniera democratica, anzitutto se si terranno elezioni libere (alle quali possano partecipare tutti i cittadini, senza discriminazioni e senza esclusioni, al di sopra di una certa età, oggi prevalentemente 18 anni) e competitive (alle quali siano presenti più liste, almeno due, e più candidati). In secondo luogo, se verranno riconosciuti e rispettati i diritti di riunione, espressione, pubblicizzazione e organizzazione e, ancora più, di presentazione di candidati, di rappresentanza nelle assemblee e, infine, di formazione dei governi.

Il processo di formazione delle d., di creazione di un effettivo governo 'dal popolo', è passato attraverso numerose fasi, tutte decisamente conflittuali, nelle quali, secondo il famoso detto inglese, s'imparò a contare le teste piuttosto che a tagliarle (Moore 1966; Rokkan 1970; Dahl 1971). Il riconoscimento del pluralismo non come necessità ma come risorsa, dei diritti dell'opposizione come strumento e stimolo per il buon governo, del voto libero, segreto e uguale come caratteristica fondante della dignità e della cittadinanza degli individui, sono conquiste democratiche maturate lentamente negli ultimi centocinquant'anni (e mai pienamente acquisite, come provano i casi di crollo delle d. e di ritorno alla d.: Linz e Stepan 1978; O'Donnell, Schmitter e Whitehead 1986).

Le difficoltà del 'governo dal popolo' rimangono numerose e grandi. Il problema può essere definito nei termini della d. partecipata. Vale a dire che la qualità, e forse la possibilità stessa, della d. dipendono secondo alcuni (Pateman 1970) dal livello di partecipazione politica dei suoi cittadini. Troppo spesso misurato soltanto in base alle percentuali di partecipanti alle elezioni, il livello di partecipazione politica si esprime in forme, settori, ambiti diversi (da quello locale a quello nazionale, dalle sedi nelle quali si può partecipare e votare, alle decisioni che possono essere effettivamente prese e può attingere persino la democratizzazione della sfera economica: Bobbio 1984).

Peraltro, la qualità e la possibilità di esistere e di mantenersi di una d. dipendono anche dalla qualità dell'informazione che circola in un sistema politico e che è effettivamente utilizzabile dai cittadini. Sia che il problema venga affrontato dal punto di vista dei costi per i singoli cittadini-elettori dell'acquisizione dell'informazione (Downs 1957), sia che venga visto come difficoltà di scelta fra alternative ad alto contenuto tecnico in una società complessa (Dahl 1985), è la stessa possibilità del 'governo dal popolo' che viene messa in discussione. Alla d. si verrebbe sostituendo la tecnocrazia che, inoltre, finirebbe per assumere il volto e i comportamenti di una d. autoritaria, formalmente democratica grazie ai processi elettorali, sostanzialmente autoritaria per la necessità di mantenere il controllo sul popolo attraverso la manipolazione delle fonti d'informazione.

Il 'governo dal popolo' presuppone, per venire in essere e per mantenersi nel tempo, un certo grado di equidistribuzione delle risorse socio-economiche (Schumpeter 1947), dei diritti sociali. Vale a dire che i cittadini potranno, come afferma a chiare lettere la Costituzione dell'Italia repubblicana, sviluppare pienamente la loro persona e partecipare effettivamente all'organizzazione politica, economica e sociale del paese quando saranno rimossi tutti gli ostacoli di ordine economico e sociale che ne limitano di fatto la libertà e l'eguaglianza. È patrimonio acquisito di qualsiasi riflessione sulla d. come insieme di regole e di procedure che la loro forza e la loro incisività dipendono dallo stretto legame che si è intrecciato fra diritti civili, diritti politici e diritti sociali e che la riduzione di questi ultimi ha inevitabili riflessi negativi sugli altri e sulla qualità stessa della democrazia (Walzer 1983).

La democrazia come 'governo per il popolo'. - È interesse dei governanti soddisfare le esigenze dei governati. In questo senso, la d. è anche 'governo per il popolo'. Più di ogni altra, però, questa caratteristica solleva numerosi e talvolta irresolubili interrogativi. Da un lato, infatti, nonostante la loro buona volontà e favorevole predisposizione, i governanti possono non riuscire mai a conoscere le esigenze e le preferenze dei governati. Dall'altro, gli stessi governati possono non essere consapevoli delle loro esigenze, non essere in grado di esprimere le loro preferenze, essere incapaci di scegliere correttamente fra coalizioni di governanti quella che soddisferebbe meglio i loro interessi. Il 'governo per il popolo' si rivelerebbe così ancor più illusorio che il governo 'del popolo' e il governo 'dal popolo'.

Affrontato dal semplice versante delle decisioni governative, della produzione di risorse a favore dei governati (di alcuni settori di governati), dell'attribuzione di titoli, meriti, riconoscimenti, diritti, nella speranza di poter individuare e misurare una corrispondenza fra quanto il governo fa e quanto i cittadini chiedono, o hanno chiesto, il problema si presenta di difficile, se non impossibile soluzione. Certo, analisi di questo tipo sono utili e possono suggerire chiaramente l'esistenza di discrepanze, d'insoddisfazione, di inconvenienti nei processi decisionali e allocativi. Tuttavia, l'impostazione più convincente del problema va effettuata lungo l'asse della responsabilità elettorale.

Nelle d. contemporanee i cittadini hanno comunque a loro disposizione molteplici strumenti con i quali influenzare i processi decisionali dei loro rappresentanti, in primo luogo, naturalmente, l'attività di pressione (attraverso gruppi e lobbies che premono sul parlamento, sul governo, sulla pubblica amministrazione), in secondo luogo, facendo ricorso alle forme di d. diretta. Ciò che più conta, però, è la sanzione elettorale. Vale a dire che, a prescindere da ogni altra considerazione, i governanti cercheranno di comprendere, interpretare, tradurre le esigenze e le preferenze dei cittadini in decisioni e assegnazioni di risorse che rispondano a quanto, in modo più o meno confuso, i cittadini ritengono sia nel loro interesse. Nei regimi democratici competitivi, dunque, l'elezione sarà il segnale, probabilmente non l'unico, che i governanti hanno davvero, fondamentalmente governato 'per il popolo', e la mancata rielezione sarà il segnale che i governanti non hanno saputo o voluto soddisfare esigenze e preferenze dei cittadini, o non le hanno capite. E, comunque, che i cittadini hanno dato una valutazione negativa dell'operato dei governanti oppure una valutazione positiva del programma promesso dall'opposizione (Downs 1957). D'altronde, la caratteristica più significativa dei regimi democratici consiste proprio nella loro capacità di autocorrezione rapida ed efficace, a dispetto di tutte le imperfezioni strutturali, manipolazioni informative, inconvenienti operativi, nella convinzione che il corpo elettorale sarà in grado di scegliere meglio di chiunque altro.

Bibl.: J. A. Schumpeter, Capitalism, socialism and democracy, New York 1947 (trad. it., Milano 1964); A. Downs, An economic theory of democracy, ivi 1957 (trad. it., Bologna 1988); B. Moore, Social origins of dictatorship and democracy, Boston 1966 (trad. it., Torino 1969); C. Pateman, Participation and democratic theory, Cambridge 1970; S. Rokkan, Citizens, elections, parties, Oslo 1970 (trad. it., Bologna 1984); R. Dahl, Polyarchy. Participation and opposition, New Haven 1971 (trad. it., Milano 1980); The breakdown of democratic regimes, a cura di J. Linz e A. Stepan, Baltimora-Londra 1978; M. Walzer, Spheres of justice: a defense of pluralism and equality, New York 1983 (trad. it., Milano 1987); N. Bobbio, Il futuro della democrazia, Torino 1984; A. Lijphart, Democracies. Patterns of majoritarian and consensus government in twentyone countries, New Haven-Londra 1984 (trad. it., Le democrazie contemporanee, Bologna 1988); R. Dahl, Controlling nuclear weapons. Democracy versus guardianship, Syracuse 1985 (trad. it., Democrazia o tecnocrazia?, Bologna 1987); Transitions from authoritarian rule. Prospects for democracy, a cura di G. O'Donnell, Ph. Schmitter e L. Whitehead, Baltimora-Londra 1986; G. Sartori, The theory of democracy revisited, Chatham 1987.

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