Demenza

Universo del Corpo (1999)

Demenza

Luigi Amaducci
Mario Falcini

Il termine demenza, derivato del latino demens, "uscito di mente", che nel linguaggio comune indica spesso genericamente stati di infermità mentale o insensatezza, contrassegna in psichiatria un grave processo di deterioramento delle facoltà intellettive, che in quanto tale si distingue nettamente dalle altre condizioni di debilità mentale, quali, per es., l'oligofrenia, dovute non a un decadimento ma a un mancato sviluppo delle facoltà psichiche. Il processo demenziale coinvolge in genere la memoria, le facoltà creatrici dell'intelligenza e quelle di sintesi del pensiero, con il progressivo instaurarsi - pur tra prestazioni per altri versi sorprendentemente valide - di lacune sempre più gravi, fino a un eventuale stato di completo sfacelo psichico. Più che di una malattia unica, si tratta di un processo involutivo connesso a qualsiasi encefalopatia che determini lesioni distruttive della corteccia cerebrale e che, a seconda dell'origine (traumatica, vascolare, degenerativa ecc.), può essere o meno irreversibile. Accanto a forme clinicamente ben definite, quali tipicamente la malattia di Alzheimer e altri quadri clinici propri dell'età involutiva, presenili o senili, esistono numerose altre forme di demenza, di inquadramento clinico meno chiaro, quali, per es., la malattia di Binswanger, le forme che si instaurano a seguito di paralisi progressiva, alcolismo, tumori cerebrali, encefalopatie spongiformi.

l. Definizione, classificazione, diagnosi

L'incremento della durata media della vita, in atto nei paesi con un più elevato livello di sviluppo socioeconomico, ha determinato un incremento del numero di soggetti a rischio per le patologie neurologiche correlate con l'età. Fra queste, le demenze occupano un posto di primo piano per la frequenza e la gravità delle conseguenze sia sociali sia economiche. Il 5-15% delle persone oltre i 65 anni è affetto da demenza; la percentuale cresce notevolmente con l'età, per cui i soggetti con demenza rappresentano il 20-30% della popolazione oltre i 75 anni. Il numero di nuovi casi per anno (incidenza) è stimabile attorno all'1% oltre i 65 anni, e aumenta negli anni successivi.

La demenza è definibile clinicamente come un disturbo cerebrale organico acquisito, che si manifesta con una progressiva compromissione della memoria a breve e a lungo termine, accompagnata da un'alterazione del pensiero astratto, della capacità di giudizio, delle altre funzioni corticali superiori, o da modificazioni della personalità, valutate rispetto al livello cognitivo precedente e in assenza di processi che compromettano lo stato di coscienza.

Uno degli elementi essenziali per formulare la diagnosi di demenza è che il complesso di tali alterazioni deve essere di grado tale da compromettere in modo significativo il lavoro o le attività sociali abituali o le relazioni con gli altri del paziente. Per l'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) i sintomi devono essere presenti in modo continuativo da almeno sei mesi, mentre i criteri della American psychiatric association (APA) richiedono che sia accuratamente esclusa la possibilità che il quadro clinico sia dovuto a una patologia di tipo psichiatrico.

Il disturbo psichiatrico che più facilmente si presenta con una sintomatologia simile a quella della demenza è la depressione maggiore, caratterizzata da disturbo di memoria, apatia, abbandono delle attività sociali (pseudodemenza depressiva). Il progressivo declino e la mancata reversibilità dei sintomi dopo una terapia antidepressiva specifica sono utili indicatori di una forma di vero deterioramento, anche se va sottolineato come elementi depressivi possano essere presenti fra i sintomi iniziali di una demenza, talvolta come reazione alle molteplici difficoltà quotidiane incontrate dal soggetto con demenza iniziale. Il livello sociale e culturale del soggetto e l'ambiente lavorativo possono condizionare il giudizio di deterioramento cognitivo, che risulterà più o meno palese in base all'età dell'individuo, alla complessità delle mansioni lavorative, alla capacità di compenso delle funzioni residue, alla diversa sensibilità dei familiari, le cui osservazioni, una volta raccolte, costituiscono utili punti di riferimento per la diagnosi.

I sintomi hanno spesso un esordio insidioso e un decorso lento, che è di solito valutato nella giusta prospettiva solo a posteriori; ne deriva che nella maggior parte dei casi è difficile stabilire con precisione il momento di inizio della demenza. I disturbi della memoria (difficoltà a ricordare inizialmente eventi banali, poi fatti di un certo rilievo del recente passato, facili dimenticanze di appuntamenti, nomi, localizzazione di oggetti comuni) costituiscono in genere il sintomo di esordio. I deficit di linguaggio, con difficoltà a nominare, riduzione della fluidità nel parlare e della comprensione verbale (afasia), il disorientamento nel tempo e nello spazio, l'incapacità a utilizzare gli oggetti o a comunicare attraverso i gesti un contenuto simbolico (aprassie), a riconoscere oggetti e volti familiari (agnosie), sono di solito sintomi aggiuntivi, che si presentano con una rapidità di progressione variabile a seconda del substrato patologico e del singolo caso.

In generale, si può operare una separazione fra forme in cui il declino cognitivo costituisce di per sé la malattia (malattia di Alzheimer, malattia di Pick) e quelle in cui si accompagna a una costellazione di sintomi e segni indicativi di una particolare patologia del sistema nervoso centrale, per lo più su base degenerativa, talora ereditaria (morbo di Parkinson, paralisi sopranucleare progressiva, atassie spinocerebellari, corea di Huntington). Altre forme di demenza secondaria si hanno quando siano riconoscibili elementi eziologici quali l'arterio-arteriolosclerosi cerebrale, alterazioni metaboliche ed endocrine, carenze alimentari e vitaminiche, sequele di traumi cranici, processi espansivi intracranici neoplastici e non, infezioni virali come le forme da herpes simplex, demenza in corso di AIDS, e la malattia di Creutzfeldt-Jakob.

Da queste premesse deriva che, mentre la diagnosi di demenza è basata sul comportamento del soggetto, la ricerca semeiologica di segni neurologici e le indagini strumentali consentono di identificarne, con buona attendibilità, la causa specifica. Negli ultimi anni del 20° secolo alcuni fondamentali lavori hanno fissato i punti principali dell'iter diagnostico, anche allo scopo di armonizzare i risultati degli studi internazionali. La struttura utilizzata è quella dell'algoritmo diagnostico, in cui le diverse tappe dell'indagine consentono di identificare specifiche cause di demenza secondaria, fino a giungere alle forme primitive, come la malattia di Alzheimer, in cui la diagnosi viene posta quindi per esclusione.

Oramai insostituibili e largamente utilizzate si sono dimostrate a questo proposito le tecniche di neuroimaging, quali la tomografia assiale computerizzata (TAC) e la risonanza magnetica (RM) dell'encefalo. Entrambe permettono di visualizzare la progressiva riduzione del volume cerebrale che accompagna la malattia di Alzheimer, sia per riduzione dello spessore corticale, sia per ampliamento degli spazi ventricolari centroencefalici, o la presenza di molteplici infarti cerebrali nella demenza vascolare. La particolare sensibilità e versatilità della RM consente poi di valorizzare le alterazioni della sostanza bianca che circonda i ventricoli; queste possono essere dovute a ischemia cronica, a lesioni demielinizzanti in corso di sclerosi multipla, a diffusione di liquor cefalorachidiano attraverso l'ependima che lo separa dal parenchima cerebrale, come nel caso della demenza da idrocefalo normoteso.

Più recentemente, metodiche come la tomografia a emissione di fotoni singoli (SPECT) e di positroni (PET) hanno permesso di ottenere, con l'uso di radiotraccianti, immagini della funzionalità di singole aree cerebrali che, quantificando il flusso di sangue o il consumo di glucosio, ne indicano il grado di attività o di sofferenza. È significativo che nelle demenze degenerative primarie le alterazioni locali del metabolismo energetico cerebrale dimostrate da SPECT e PET precedano la comparsa del declino cognitivo.

La malattia di Alzheimer costituisce, almeno in Europa e negli Stati Uniti, la causa di demenza più frequente (oltre la metà di tutti i casi), seguita dalla demenza vascolare che costituisce 1/3 dei casi e che peraltro prevale in Giappone e in Russia. Sebbene la loro collocazione nosologica sia ancora controversa, una discreta percentuale di casi è attribuita a forme miste in cui si associano le caratteristiche istologiche degenerative della malattia di Alzheimer e la presenza di lesioni vascolari, più o meno estese. Recenti studi istopatologici suggeriscono che la demenza nella malattia con corpi di Lewy, caratterizzata da marcate fluttuazioni cognitive, allucinazioni visive precoci e parkinsonismo, possa contendere alla forma vascolare il secondo posto.

Seguendo un criterio prognostico, le forme di demenza secondaria a ipotiroidismo, a deficit di vitamina B₁₂ o di folati, a idrocefalo con normale pressione liquorale, a infezioni encefaliche del tipo della neurolue, alla depressione, all'alcolismo cronico, sono oggi indicate come le sole demenze potenzialmente reversibili o arrestabili una volta riconosciuta e trattata la causa. In percentuale esse rappresentano il 10-15% del totale. Occorre tuttavia precisare che la reversibilità di una demenza ritenuta classicamente trattabile, come quella che, insieme alla difficoltà di deambulazione e all'incontinenza urinaria, completa la triade sintomatologica dell'idrocefalo normoteso, è strettamente legata a una corretta e precoce diagnosi. Questa si avvale oggi principalmente della RM dell'encefalo, che consente di misurare l'aumento di liquor nei ventricoli cerebrali e la sua velocità nell'acquedotto di Silvio. L'efficacia dell'intervento terapeutico di drenaggio liquorale varia dal 15% al 50% dei casi.

Anche la reversibilità della demenza legata a un deficit nutrizionale è spesso incompleta. Ne è un esempio quella dell'alcolista cronico, in cui ha gran parte la carenza di tiamina, anche se non si esclude un'azione tossica diretta dell'etanolo sul neurone. In questo caso nel bilancio prognostico pesano da un lato la reale capacità dell'alcolista di mantenere un'assoluta astinenza e dall'altro il sommarsi delle molteplici possibilità di danno cerebrale, che vanno dall'encefalopatia di Wernicke, accompagnata o meno dalla psicosi amnestica di Korsakoff, alla malattia di Marchiafava-Bignami, alla presenza di ematomi fra gli involucri meningei, come esiti di ripetuti traumi cranici, alla presenza di un ascesso cerebrale e di un'encefalopatia da insufficienza epatica cronica.

Un'altra distinzione è quella fra demenze corticali e sottocorticali, operata in base alla sede prevalente delle lesioni anatomopatologiche, corticale nelle prime, a livello dei nuclei grigi profondi (caudato, talamo, troncoencefalo) o dei fasci associativi di sostanza bianca nelle seconde. Rientrano nel primo gruppo le malattie di Alzheimer, di Pick, di Creutzfeldt-Jakob, nel secondo la paralisi sopranucleare progressiva, il morbo di Parkinson, la corea di Huntington, l'encefalopatia sottocorticale arteriosclerotica di Binswanger, la demenza in corso di AIDS e quella associata alla sclerosi multipla.

Clinicamente si possono avere due diversi profili di deterioramento mentale. Amnesia, aprassia, afasia, agnosia sono più tipiche e gravi nelle forme corticali; il gruppo delle forme sottocorticali è caratterizzato da dismnesie, rallentamento psicomotorio, apatia, depressione, ridotta capacità di adattamento e di concentrazione, alterazione degli schemi motori. Fra i due gruppi non è operabile una netta distinzione; nelle demenze sottocorticali, infatti, i sintomi sono dovuti anche al coinvolgimento della corteccia frontale, alterata nella sua funzionalità per la deconnessione dai circuiti a proiezione ascendente diffusa, che salgono dalle strutture del troncoencefalo (demenze frontosottocorticali).

Diversi studi hanno poi dimostrato come in soggetti parkinsoniani con deterioramento mentale vi siano a livello corticale alterazioni istologiche tipiche della malattia di Alzheimer. D'altra parte, nella malattia di Alzheimer a esordio precoce (presenile) è stata descritta e correlata al disturbo mnesico la degenerazione del sistema dei grandi neuroni a trasmissione colinergica che originano dal profondo nucleo basale di Meynert, intercalato fra le strutture del sistema limbico e la corteccia. Sintomi corticali di tipo frontale (disibinizione, bulimia, palilalia con ecolalia, girovagare esplorativo) sono comuni anche alle forme di atrofia con gliosi corticale circoscritta frontotemporale, che vengono definite demenze del lobo frontale, e di cui la malattia di Pick, con i tipici inclusi neuronali citoplasmatici argentofili (corpi di Pick), rappresenta il 20% circa dei casi. Pur non esistendo un preciso rapporto fra schemi di deterioramento cognitivo e corrispondenti localizzazioni del danno cerebrale, la distinzione fra demenze corticali e sottocorticali è ancora utile per puntualizzare il ruolo svolto dalle strutture profonde nei processi cognitivi.

2.

La malattia di Alzheimer

L'Alzheimer è una malattia degenerativa dell'encefalo, a eziologia ignota, che si manifesta con una demenza progressiva, che insorge oltre i 40 anni, più spesso dopo i 65. Con questo termine si comprendono quindi le forme sia presenili (prima dei 65 anni), sia senili, che hanno peraltro caratteristiche distintive. Gli studi di epidemiologia descrittiva hanno delineato le dimensioni sociali della malattia, che in Europa presenta una frequenza nella popolazione che aumenta notevolmente con l'età, passando dallo 0,3% al 3,2% fino al 10,8%, rispettivamente per le classi di età fra i 60-69, 70-79 e 80-89 anni. Le donne appaiono più colpite, probabilmente per la loro maggiore sopravvivenza. Non sembrano esserci differenze significative fra i vari paesi europei, né un incremento negli ultimi anni del 20° secolo. I dati epidemiologici indicano nella presenza di casi di demenza e di sindrome di Down fra i familiari un rilevante fattore di rischio. L'importanza di fattori genetici è sottolineata anche dai legami fra casi di Alzheimer a esordio precoce con ricorrenza familiare e alterazioni di loci genetici situati sui cromosomi 21, 14 e 1. Un fattore genetico sembra, inoltre, legare il cromosoma 19 e casi di malattia di Alzheimer a esordio oltre i 65 anni.

Dopo un esordio insidioso, spesso con dismnesie evidenti nell'attività quotidiana, modificazione della personalità, apatia e abbandono degli interessi, si manifestano le difficoltà nella gestione del denaro e nel calcolo, nella cura della persona e nella capacità di orientarsi in luoghi non familiari, nell'abbigliamento, nell'espressione e nella comprensione verbale. In queste fasi un esame TAC o RM dell'encefalo può mostrare una riduzione del mantello corticale, con ampliamento degli spazi subaracnoidei, un'iniziale dilatazione dei ventricoli, talvolta asimmetrica, per il prevalente coinvolgimento di uno dei due emisferi. Poiché le strutture ippocampali sono una delle sedi precocemente ed elettivamente interessate, la RM consente di valutarne la progressiva ipotrofia. Durante la progressione della malattia il comportamento e la personalità sono spesso significativamente alterati, fino a che, nelle fasi avanzate, i pazienti divengono mutacici, cioè con inibita comunicazione verbale, estranei all'ambiente, del tutto incapaci di provvedere a sé. È in questa fase che possono manifestarsi sintomi extrapiramidali, mioclonie e crisi comiziali generalizzate. La morte interviene per cause intercorrenti, di solito infettive, data l'estrema debilitazione raggiunta negli stadi terminali, in cui diventa difficile l'alimentazione e l'incontinenza sfinterica e l'immobilità favoriscono le infezioni respiratorie e urinarie.

La storia naturale della malattia copre un arco di tempo compreso fra i 2-3 e i 10-12 anni, una variabilità di sopravvivenza dovuta sia alle migliorate condizioni di assistenza, affidata ancora nella maggior parte dei casi ai familiari, sia alla eterogeneità della malattia. Questo concetto di variabilità può essere riferibile sia all'erronea inclusione di altre malattie degenerative cerebrali con diversa prognosi (demenza con corpi di Lewy, demenze miste, degenerazione spongiforme, gliosi sottocorticali), sia a un'effettiva diversità, almeno iniziale, nel coinvolgimento di aree corticali da parte del processo patologico. Si può comprendere il primo punto se si considera che la diagnosi di malattia di Alzheimer è clinica e di tipo presuntivo, basata in pratica su criteri di esclusione, grazie ai quali si giunge alla definizione di due livelli di accuratezza diagnostica: probabilità o possibilità di malattia. La certezza è data dal riscontro autoptico o bioptico di impoverimento neuronale, di placche di depositi proteici di β-amiloide e di intrecci di neurofibrille costituite da proteine del citoscheletro anomale (proteina TAU) in zone significative della corteccia cerebrale, quali alcuni settori dell'ippocampo, e nella corteccia associativa temporoparietale. Questi reperti devono essere presenti in misura superiore a quella attesa nel 'normale' processo di invecchiamento cerebrale. Dato che simili alterazioni si accumulano negli anni, le differenze istopatologiche fra demenza e invecchiamento sembrano essere più di tipo quantitativo che qualitativo, e rendono difficile tracciare una precisa demarcazione soprattutto nei casi in cui non sia presente in tutte le sue gravi manifestazioni anche la sintomatologia clinica.

Inoltre, recenti indagini istopatologiche hanno dimostrato come nel 20% dei casi di demenza degenerativa siano riscontrabili, a livello corticale, strutture proteiche filamentose intraneuronali analoghe ai corpi di Lewy, tipici del morbo di Parkinson. Essendo in questi casi presenti anche dei marcatori istopatologici della malattia di Alzheimer, non è chiaro se si tratti di una forma di demenza autonoma o di una variante della malattia di Alzheimer, secondo alcuni caratterizzabile anche sul piano clinico per decorso più rapido, maggiore frequenza di sintomi psichici, precoce comparsa di una deambulazione di tipo parkinsoniano, decorso tipicamente fluttuante che fa in prima istanza pensare alla demenza vascolare. Benché i dati siano contraddittori, gli elementi che nella malattia di Alzheimer sembrano influenzare negativamente la prognosi e che contribuiscono a individuare, anche clinicamente, alcuni sottogruppi della malattia, sono costituiti da esordio precoce, grave compromissione delle capacità linguistiche, segni extrapiramidali e sintomi psichici già nelle fasi iniziali.

Sulla base di differenze cliniche, biochimiche e strumentali, alcuni autori distinguono una forma 'pura' di malattia di Alzheimer, identificabile con la forma presenile, e una forma a esordio più tardo, a genesi multifattoriale, cui contribuirebbero anche alterazioni microvascolari e biochimiche legate all'invecchiamento. In sintesi, la malattia di Alzheimer viene vista ora come un processo patologico indipendente, la cui espressione è correlata con l'età, ora come un processo di invecchiamento particolarmente accelerato da fattori ignoti. Nonostante i numerosi studi sull'eziologia e sulla patogenesi delle demenze degenerative, non esistono a tutt'oggi terapie sicuramente in grado di arrestarne l'evoluzione. Il supporto teorico della terapia è dato dal tentativo di intervenire sui numerosi deficit di neurotrasmettitori, provocati dalla degenerazione neuronale e quindi dall'impoverimento delle connessioni sinaptiche che liberano acetilcolina, serotonina, dopamina, somatostatina. Si utilizzano quindi, da soli o in combinazione, farmaci che hanno dimostrato di aumentare l'input corticale di tali neurotrasmettitori. Nella malattia di Alzheimer, tacrina, donepezil e rivastigmina sono oggi gli inibitori cerebrali selettivi dell'enzima catabolico acetilcolinesterasi, utilizzati in mono- o politerapia, associati o meno agli estrogeni, agli antinfiammatori non-steroidei, ad agenti antiossidanti (vitamina E). Resta da stabilire il loro utilizzo nelle altre forme di demenza. Uno dei limiti di queste terapie è costituito dal fatto che i risultati ottenuti in vitro e nell'animale da esperimento non sono integralmente applicabili a un organo complesso come è l'encefalo umano, ancora in larga parte ignoto nei suoi meccanismi di funzionamento. Inoltre, la loro efficacia è legata alla sopravvivenza di una popolazione neuronale residua che sia in grado di utilizzare il farmaco, probabilità che si riduce fortemente con l'avanzare della malattia stessa. Oltre al trattamento farmacologico è ampiamente praticata una terapia farmacologica di supporto, che cerca di incidere sui sintomi, quali l'agitazione, la depressione, l'aggressività, le modificazioni del ritmo sonno-veglia, con cui si devono confrontare quotidianamente coloro che assistono il paziente. Sono dibattuti il ruolo e l'efficacia delle terapie non-farmacologiche che comprendono tecniche di riabilitazione cognitiva (ROT, Reality orientation therapy, terapia della riminescenza, tecniche di space-retrieval) e interventi sull'ambiente dove vive la persona affetta da demenza, con l'intento di ridurre lo stress e il disorientamento spaziale.

3.

La demenza vascolare

Gli studi degli ultimi venti anni del 20° secolo hanno contribuito a chiarire come il deterioramento mentale, tradizionalmente associato con l'arteriosclerosi dei vasi afferenti all'encefalo, non risulti tanto da una generica, diffusa ischemia cronica, quanto dall'accumularsi di grandi o piccoli infarti cerebrali, corticali o sottocorticali, dovuti all'occlusione di vasi arteriosi di medio e piccolo calibro. Per questo, è stata coniata la locuzione demenza multiinfartuale, sottolineando il ruolo dei molteplici danni focali nello sviluppo di un quadro demenziale, che comparirebbe quando il volume di tessuto cerebrale distrutto supera i 50-100 ml. Questo concetto di soglia critica è stato recentemente rivisto in un'ottica più dinamica, dato che si possono considerare come alterate anche quelle aree cerebrali anatomicamente non danneggiate, ma che dimostrano alla PET una minore attività metabolica, probabilmente dovuta alla riduzione delle afferenze provenienti da regioni ischemiche più o meno vicine.

La locuzione demenza vascolare  comprende oggi anche i quadri che si manifestano dopo singole lesioni ischemiche selettive, per es., nel talamo, nutrito da rami derivati dalle arterie cerebrali posteriori, oppure nei territori irrorati dalle arterie cerebrali anteriori e medie. La demenza può essere associata anche a un'alterazione della parete dei piccoli vasi della base encefalica, che provoca un'estesa ischemia della sostanza bianca periventricolare, con gliosi e demielinizzazione, tipica dell'encefalopatia sottocorticale arteriosclerotica di Binswanger, accompagnata o meno da lesioni infartuali ('lacune'), localizzate preferenzialmente nei talami, nello striato, nel ponte, nella sostanza bianca dei lobi frontali.

La demenza può inoltre essere provocata da un'ischemia cerebrale globale, come quella che si verifica durante un arresto cardiaco, o da cause emorragiche, per es. dopo un episodio di emorragia subaracnoidea. Elementi clinici che fanno sospettare una demenza vascolare sono l'esordio brusco e la fluttuazione nel tempo dei sintomi cognitivi, il decorso caratterizzato da peggioramenti improvvisi, la notevole agitazione psicomotoria, la presenza di segni e di sintomi neurologici focali, in un soggetto con fattori di rischio vascolare, quali l'ipertensione, il diabete mellito, l'iperlipemia, il fumo.

Secondo criteri recenti, la demenza deve manifestarsi entro tre mesi dall'ictus perché sia stabilita una correlazione eziologicamente valida tra demenza e malattia cerebrovascolare. Questo criterio temporale è tuttavia posto in discussione dal frequente reperto di infarti cerebrali asintomatici, evidenziati da indagini TAC occasionali, e quindi non databili con precisione.

Nel caso della malattia di Binswanger e di lacune ischemiche multiple, la clinica è caratterizzata da sintomi prevalentemente sottocorticali, con apatia, abulia, depressione, ritardo psicomotorio e difficoltà di concentrazione, facilità al pianto, cui si accompagnano incontinenza urinaria, difficoltà nella deambulazione, che diviene a piccoli passi, con ridotta motilità spontanea degli arti, che sono caratteristiche tipiche anche dei soggetti con morbo di Parkinson. In tali casi la RM dimostra chiaramente un'alterazione della sostanza bianca periventricolare, che, seppure presente in altre patologie e soprattutto nel 5% degli anziani normali, è considerata significativa se si estende ad almeno il 25% delle fibre mieliniche che formano la sostanza bianca.

Da un punto di vista terapeutico occorre mantenere sotto stretto controllo i fattori di rischio vascolare (ipertensione arteriosa, diabete, fumo, dislipidemie, abuso di alcol); un tale approccio è consigliabile sia per rallentare la progressione della malattia, sia per cercare di migliorare funzioni cognitive in soggetti con demenza multiinfartuale. A questo si aggiunge la prescrizione di farmaci antiaggreganti piastrinici o anticoagulanti orali, che si sono dimostrati efficaci nella prevenzione delle recidive dell'ischemia cerebrale su base embolica, in particolare nella fibrillazione atriale cronica.

4.

Le demenze trasmissibili

Si tratta di un gruppo di demenze trasmesse attraverso materiale organico proveniente da soggetti affetti. Esse sono caratterizzate da perdita neuronale, gliosi e alterazioni spongiformi (vacuoli intracitoplasmatici neuronali) della sostanza grigia, assenza di reazione cellulare flogistica, mancanza di risposta immunitaria da parte dell'ospite, lunghissimo periodo di incubazione (mesi o anni).

Si parla quindi di 'encefalopatie spongiformi trasmissibili', provocate da agenti infettivi non convenzionali. Ne fanno parte l'ormai storico kuru, demenza che colpiva una popolazione della Nuova Guinea dedita ai riti cannibalici, la malattia di Creutzfeldt-Jakob, la sindrome di Gerstmann-Straussler-Scheinker, e alcune malattie animali, quali lo scrapie della pecora e della capra e le encefalopatie trasmissibili del visone e dei bovini. Fondamentali per la dimostrazione della loro trasmissibilità sono stati gli esperimenti di Gajdusek, Gibbs e Alper che riprodussero nello scimpanzé il kuru e la malattia di Creutzfeldt-Jakob, attraverso l'inoculazione di materiale infetto.

Le modalità di trasmissione note della malattia di Creutzfeldt-Jakob sono quelle iatrogene, costituite da trapianti di cornea e di dura madre, dagli interventi neurochirurgici di stereotassi, dall'assunzione di estratti ipofisari umani. Nella maggior parte dei casi non si conosce l'esatta via di trasmissione e va considerato anche che una quota del 10% circa è ereditaria, con trasmissione di tipo autosomico dominante. L'agente infettivo appare particolarmente resistente all'inattivazione, privo virtualmente di acidi nucleici, da cui il nome di prione, che vuole indicare un'infettività legata a materiale proteico. Il marcatore delle encefalopatie spongiformi sarebbe costituito da una sialoglicoproteina, proteasi resistente, denominata PrP 27-30, ottenuta inizialmente da tessuto cerebrale di hamster infettato con criceto. Essa deriverebbe da un precursore normalmente presente nel genoma nell'ospite ma alterato, forse a livello post-trascrizionale; tuttavia, i rapporti fra PrP e agente infettivo sono ancora da chiarire.

D'altra parte, la rara malattia di Gerstmann-Straussler-Scheinker rappresenta un esempio di encefalopatia ereditaria, nella quale è presente una mutazione puntiforme del materiale nucleico che codifica per la PrP, ma è anche trasmissibile tramite omogenato di encefalo di individui affetti. La malattia di Creutzfeldt-Jakob (cosiddetta della mucca pazza) ha un'incidenza annuale di 1-2 casi per milione, che sale a 31 casi per milione fra gli ebrei libici. In Italia è segnalata una maggiore frequenza nel sesso femminile. Clinicamente si manifesta con una demenza a rapido decorso, che inizia con prodromi aspecifici, quali depressione, dimagrimento, cefalea. Compaiono rapidamente disturbi mnesici, alterazioni comportamentali, atassia cerebellare, disfunzioni visive (varietà di Heidenhain), segni extrapiramidali, disturbi della sensibilità, atrofia muscolare (varietà amiotrofica). Nel 90% dei casi si manifestano scosse miocloniche. L'elettroencefalogramma, quando positivo, è diagnostico, in una fase più o meno precoce, mostrando un'attività periodica con onde lente di ampio voltaggio, tri- o polifasiche, ritmiche, ricorrenti (93% dei casi). Nel liquor può trovarsi la proteina 14-3-3 e la RM può mostrare una caratteristica iperintensità del segnale dei nuclei striati e dei talami. Il coma chiude il decorso della malattia, che, nella maggior parte dei casi, si completa irreversibilmente in 6-8 mesi, mentre un decorso di 2 o più anni è stato riportato nelle forme familiari.

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